Articolo del senatore Pietro Ichino pubblicato sul Corriere della Sera del 16 maggio 2009
Improvvisamente, nel giro di soli quindici giorni, il tabù dell’articolo 18 è crollato. Ne ha fornito una sorta di cronaca minuto per minuto il Riformista, a partire dal 1° maggio, con una serie impressionante di interviste e articoli di dirigenti nazionali dei sindacati maggiori, che, pur con diverse sfumature, hanno preso posizione a favore della sostituzione del vecchio modello di rapporto di lavoro con il “contratto a stabilità crescente” per tutti i nuovi assunti e nuove protezioni nel mercato per chi perde il posto. Qualche avvisaglia del crollo imminente si era avuta già a marzo, con un articolo di Giorgio Santini (numero due della Cisl) e una presa di posizione pubblica molto netta del segretario della Uil Luigi Angeletti, in concomitanza con la presentazione in Parlamento di un disegno di legge sulla “transizione a un regime di flexsecurity”, firmato da 35 senatori dell’opposizione. Ma il vero e proprio crollo del tabù avviene ai primi di maggio, quando nel dibattito intervengono anche i dirigenti di vertice della Cgil: apre le danze Paolo Nerozzi (senatore Pd di provenienza Cgil) con un’opzione a favore della proposta di Tito Boeri e Pietro Garibaldi: ingresso al lavoro per tutti con un contratto a tempo indeterminato, con un periodo di prova di sei mesi, seguito da due anni e mezzo nei quali la protezione contro il licenziamento è data soltanto da un indennizzo in denaro; poi, dal quarto anno, la “stabilità reale” garantita dall’articolo 18. Il 6 maggio esprime un’opzione simile Carlo Podda (segretario della Funzione pubblica Cgil). A ruota, altri esponenti sindacali di primo piano si pronunciano per una riforma più incisiva, che punti a superare l’apartheid tra protetti e non protetti nel mercato del lavoro coniugando la maggiore flessibilità del rapporto con l’introduzione di un nuovo sistema di sostegno del reddito e assistenza al lavoratore nel passaggio da un lavoro a un altro: tra i vertici della Cgil Nicoletta Rocchi, Fausto Durante, Mauro Guzzonato e Bruno Pierozzi, cui si aggiungono le voci di due “grandi vecchi” della Cisl ora in Parlamento, Franco Marini e Pierpaolo Baretta.
Sull’altro versante del sistema di relazioni industriali, la presidente di Confindustria fin dal gennaio scorso, al Forum di Davos, aveva manifestato – con molto coraggio e lungimiranza – la sua piena disponibilità su questo terreno (tutti gli interventi e interviste si possono reperire attraverso il Portale della flexsecurity). Ora si incomincia a parlare della possibilità che il tema venga introdotto nelle “piattaforme” per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici: Fim-Cisl e Uilm ci stanno lavorando e anche la Fiom – a giudicare dall’intervista del suo segretario Durante – sembra interessata. Così, non è impensabile che il colossale nuovo piano industriale della Fiat possa diventare tra breve il banco di prova di una riforma promossa, una volta tanto, dall’accordo tra le parti prima che dal legislatore. I sindacati potrebbero fare a Cordero di Montezemolo e Marchionne questo discorso: “condizione per la ristrutturazione è che essa sia un grande gioco nel quale nessuno ha da perdere e tutti hanno qualche cosa da guadagnare. Facciamola, dunque, ma prima attrezziamoci per garantire a tutti i lavoratori che nella ristrutturazione dovessero perdere il posto una seria garanzia di continuità del reddito e un forte investimento sulla loro professionalità, che consenta la loro ricollocazione in tempi ragionevoli: più i servizi saranno efficaci e la ricollocazione sarà rapida, minore sarà il costo complessivo dell’operazione per l’azienda”. Per esempio, visto che si prevede un forte incremento dell’industria ferroviaria per effetto degli investimenti americani e cinesi in questo campo, perché non riconvertire i produttori di automobili trasformandoli in produttori di treni e impianti per farli funzionare?Il sindacato sembra dunque voler scrollarsi di dosso l’immagine di forza conservatrice e assumere un ruolo di avanguardia. Se lo farà davvero, il sistema delle relazioni industriali potrà riprendere la guida del governo del mondo del lavoro, della quale si è lasciato da troppo tempo espropriare: un “avviso comune” dei rappresentanti dei lavoratori e degli imprenditori al legislatore sui modi della transizione a un regime di flexsecurity potrebbe costituire la base per un dialogo fruttuoso in Parlamento fra opposizione e maggioranza. Per il Paese questo sarebbe il migliore viatico per la fase di uscita dalla crisi.
Improvvisamente, nel giro di soli quindici giorni, il tabù dell’articolo 18 è crollato. Ne ha fornito una sorta di cronaca minuto per minuto il Riformista, a partire dal 1° maggio, con una serie impressionante di interviste e articoli di dirigenti nazionali dei sindacati maggiori, che, pur con diverse sfumature, hanno preso posizione a favore della sostituzione del vecchio modello di rapporto di lavoro con il “contratto a stabilità crescente” per tutti i nuovi assunti e nuove protezioni nel mercato per chi perde il posto. Qualche avvisaglia del crollo imminente si era avuta già a marzo, con un articolo di Giorgio Santini (numero due della Cisl) e una presa di posizione pubblica molto netta del segretario della Uil Luigi Angeletti, in concomitanza con la presentazione in Parlamento di un disegno di legge sulla “transizione a un regime di flexsecurity”, firmato da 35 senatori dell’opposizione. Ma il vero e proprio crollo del tabù avviene ai primi di maggio, quando nel dibattito intervengono anche i dirigenti di vertice della Cgil: apre le danze Paolo Nerozzi (senatore Pd di provenienza Cgil) con un’opzione a favore della proposta di Tito Boeri e Pietro Garibaldi: ingresso al lavoro per tutti con un contratto a tempo indeterminato, con un periodo di prova di sei mesi, seguito da due anni e mezzo nei quali la protezione contro il licenziamento è data soltanto da un indennizzo in denaro; poi, dal quarto anno, la “stabilità reale” garantita dall’articolo 18. Il 6 maggio esprime un’opzione simile Carlo Podda (segretario della Funzione pubblica Cgil). A ruota, altri esponenti sindacali di primo piano si pronunciano per una riforma più incisiva, che punti a superare l’apartheid tra protetti e non protetti nel mercato del lavoro coniugando la maggiore flessibilità del rapporto con l’introduzione di un nuovo sistema di sostegno del reddito e assistenza al lavoratore nel passaggio da un lavoro a un altro: tra i vertici della Cgil Nicoletta Rocchi, Fausto Durante, Mauro Guzzonato e Bruno Pierozzi, cui si aggiungono le voci di due “grandi vecchi” della Cisl ora in Parlamento, Franco Marini e Pierpaolo Baretta.
Sull’altro versante del sistema di relazioni industriali, la presidente di Confindustria fin dal gennaio scorso, al Forum di Davos, aveva manifestato – con molto coraggio e lungimiranza – la sua piena disponibilità su questo terreno (tutti gli interventi e interviste si possono reperire attraverso il Portale della flexsecurity). Ora si incomincia a parlare della possibilità che il tema venga introdotto nelle “piattaforme” per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici: Fim-Cisl e Uilm ci stanno lavorando e anche la Fiom – a giudicare dall’intervista del suo segretario Durante – sembra interessata. Così, non è impensabile che il colossale nuovo piano industriale della Fiat possa diventare tra breve il banco di prova di una riforma promossa, una volta tanto, dall’accordo tra le parti prima che dal legislatore. I sindacati potrebbero fare a Cordero di Montezemolo e Marchionne questo discorso: “condizione per la ristrutturazione è che essa sia un grande gioco nel quale nessuno ha da perdere e tutti hanno qualche cosa da guadagnare. Facciamola, dunque, ma prima attrezziamoci per garantire a tutti i lavoratori che nella ristrutturazione dovessero perdere il posto una seria garanzia di continuità del reddito e un forte investimento sulla loro professionalità, che consenta la loro ricollocazione in tempi ragionevoli: più i servizi saranno efficaci e la ricollocazione sarà rapida, minore sarà il costo complessivo dell’operazione per l’azienda”. Per esempio, visto che si prevede un forte incremento dell’industria ferroviaria per effetto degli investimenti americani e cinesi in questo campo, perché non riconvertire i produttori di automobili trasformandoli in produttori di treni e impianti per farli funzionare?Il sindacato sembra dunque voler scrollarsi di dosso l’immagine di forza conservatrice e assumere un ruolo di avanguardia. Se lo farà davvero, il sistema delle relazioni industriali potrà riprendere la guida del governo del mondo del lavoro, della quale si è lasciato da troppo tempo espropriare: un “avviso comune” dei rappresentanti dei lavoratori e degli imprenditori al legislatore sui modi della transizione a un regime di flexsecurity potrebbe costituire la base per un dialogo fruttuoso in Parlamento fra opposizione e maggioranza. Per il Paese questo sarebbe il migliore viatico per la fase di uscita dalla crisi.
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