mercoledì 31 agosto 2011

Manovra economica sempre più confusa

articolo di Emanuele Costa
È proprio vero che quando non si conosce a fondo il vero problema che ruota intorno alle cose, il rischio, spesso non calcolato, è quello di adottare decisioni che, anziché risolverlo definitivamente, lo aggravano, rendendolo, con il trascorrere del tempo, sempre più difficile da gestire. In pratica, è quello che sta accadendo in questi giorni sulla scena politica nazionale dove si sta cercando, tra una proposta e l'altra più o meno bizzarra, di mettere insieme le varie toppe (perché di queste in fin dei conti si tratta) che andranno a imbastire il vestito della manovra economica.
Quello che emerge in tutto questo bailamme è l'assoluta nonchalance con la quale i principali interpreti sono riusciti abilmente a spostare l'ago della bilancia dalla diminuzione dei costi della casta all'aumento degli oneri per i cittadini. Occorre, però, fare attenzione perché non si tratta di una scelta a favore di questi ultimi, come in realtà si vuol far credere, in quanto il peso specifico delle cose che, dopo l'approvazione della manovra, potranno acquistare risulterà sensibilmente inferiore e solo allora sarà chiaro da che parte si è spostato non l'ago, ma il piatto della bilancia.
Tra tutte le proposte avanzate da vari esponenti politici non ne esiste una che faccia esplicito riferimento alla riduzione di spesa. Sotto varie spoglie si parla sempre di maggiori entrate per effetto dell'introduzione di nuove forme di tassazione. Il tempo che passa tra una proposta e l'altra non è da imputare alla complessità delle stime da elaborare per verificarne l'entità monetaria, ma serve, probabilmente, per accertarsi che quella decisione non vada ad incidere sulle tasche dei proponenti.
È così che nella confusione generale si è passati dal taglio dei costi della casta, che avrebbe colpito uno dei principali responsabili del debito pubblico, ossia la classe politica, al contributo di solidarietà per i redditi superiori ad una certa cifra (prima 90mila euro, poi 150mila, dopo 200mila, ora nessuno), che avrebbe inciso sui cittadini più facoltosi, per chiudere la partita con la proposta di aumento dell'Iva, naufragata per gli effetti negativi sui consumi per quei contribuenti che oggi annaspano per arrivare alla fine del mese.
Ma non è ancora finita qui! Se l'andazzo generale è quello di continuare a mischiare le carte per ritardare il più possibile l'inizio della partita, il rischio è quello che i giocatori intorno al tavolo abbandonino le loro posizioni, lasciando al mazziere la possibilità di costruire da solo quel castello che il primo battito di ciglia spazzerà via in un attimo.

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martedì 30 agosto 2011

Renato Di Gregorio, organizzazione per gli enti locali

Renato Di Gregorio ha operato in aziende di grandi dimensioni (Italsider, Aeritalia, Enichem), è il fondatore dell'Istituto di Ricerca sulla Formazione-Intervento e della società di consulenza Impresa Insieme S.r.l., ha pubblicato diversi libri tra i quali L’organizzazione territoriale, Guerini e Associati,  opera come consulente per imprese, agenzie di formazione, Scuole, Enti locali e Aziende di servizio pubblico, Ministeri, e propone un nuovo modello di organizzazione per i comuni.
Considerata l'importanza del nuovo modello ho pensato di intervistare Renato Di Gregorio.
Può raccontare la sua esperienza nell’impresa prima di dedicarsi alla consulenza direzionale?
Dopo i primi anni vissuti come “capo di produzione” in Italsider, a Bagnoli, all’epoca dell’autunno caldo, sono passato a occuparmi di “ricerca-intervento” per l’innovazione organizzativa, sempre a Bagnoli, fino al 1979. Poi sono passato all’Aeritalia come responsabile centrale dell’organizzazione del lavoro (ODL). Qui ho costituito la funzione dell’ODL a livello centrale e nelle divisioni e ho seguito i progetti d’innovazione organizzativa e tecnologica dell’Azienda- Nel 1983 sono stato chiamato in Enichem, a Milano, come responsabile centrale sempre dell’organizzazione del lavoro. Anche qui ho costituito la funzione e ho sviluppato i progetti di integrazione e ottimizzazione organizzativa. In Enichem sono rimasto fino al 1996 ricoprendo anche ruoli diversi: lo sviluppo del personale, la formazione, la comunicazione e occupandomi del progetto “Ambiente Insieme si può” improntato alla logica del “responsible care”.

Quali sono state le motivazioni che l’hanno indotta a lasciare l’impresa per dedicarsi alla consulenza direzionale? In azienda, dal 1972 in avanti ho sempre ricoperto un ruolo a supporto dell’innovazione, una sorta di “consulente interno” e nel 1994 avevo già scritto quattro libri raccontando le esperienze maturate nel cambiare le organizzazioni complesse. La P.A. in quell’epoca, dopo tangentopoli, stava cambiando pelle e richiedeva amministratori che venissero dalle professioni e consulenti che avessero un’esperienza nuova, maturata nelle imprese. Il campo mi sembrava affascinante per la novità e per l’ampiezza che potevano assumere gli interventi di cambiamento. Avevo 50 anni e ho deciso di lasciare la sicurezza dell’azienda e avventurarmi nel campo della consulenza, anche perché pensavo che ciò mi consentisse di esprimere più liberamente la metodologia che sentivo di possedere e di poterla così più largamente diffondere.

Nel 1999 ha fondato l'Istituto di Ricerca Formazione – Intervento, alla quale hanno aderito diversi esponenti della cultura organizzativa. Vuole spiegare le metodologie che ispirano l’Istituto a favore del cambiamento delle organizzazioni pubbliche e private? 
La metodologia aveva preso una sua prima forma all’epoca della “ricerca-intervento” negli anni ’70 (Italsider), si era poi sviluppata negli anni ‘80 e ‘90 nelle grandi imprese a partecipazione statale (Aeritalia, Enichem) e infine le prime sperimentazioni nella P.A., dal 1994 fino al 1999, l’aveva ulteriormente consolidata. Fu così che decidemmo di costituire un’Associazione che consentisse di preservare questa conoscenza accumulata, questo know how, come un tesoro della cultura italiana sulla gestione del cambiamento organizzativo. L’Associazione fu fondata con le persone che avevano vissuto quella stessa esperienza, seppur in contesti italiani diversi. Ad essa fu data il nome di Istituto di Ricerca sulla formazione intervento proprio perché l’intento era quello di continuare a fare ricerca per arricchire ulteriormente la metodologia e i suoi campi di applicazione. Essa si è infatti progressivamente trasformata assumendo la funzione, non solo di gestione di processi di cambiamento organizzativo, ma anche di gestione di processi di apprendimento, soprattutto dopo i miei cinque anni di insegnamento a Cassino alla Facoltà di Scienze della Formazione. Oggi, infatti essa viene usata sia per cambiare le organizzazioni e sia per fare formazione su qualsiasi tema e per qualsiasi persona.

Uno dei grandi problemi del sistema Italia è l’efficienza e l’efficacia delle PA. Con la riforma Brunetta sembra che le Amministrazioni Centrali abbiano intrapreso la strada del cambiamento. Rimangono fuori gli enti locali, i quali per la maggior parte sono impegnati ad applicare la riforma solo dal punto di vista formale e non realizzativo. Secondo lei bastano le sole regole normative per avviare il cambiamento negli enti locali oppure occorre una visione organizzativa coerente ai tempi che viviamo? 
Le regole normative sono necessarie perché la P.A. non promuove dall’interno l’innovazione, ma almeno prova a perseguirla se viene stimolata dalle leggi. Le leggi però non bastano e ciò è dimostrato dal fatto che molte di esse sono disattese. Si pensi al SUAP (sportello unico per le attività produttive) la cui legge risale al 1997, ma che ancora non è stato istituito in ogni comune e stenta a funzionare laddove è stato attivato.
Il cambiamento organizzativo è peraltro ostacolato dalle stesse norme, che dovendo essere generali, finiscono per non essere calzanti per tutte le diverse realtà su cui si applicano. Infine va considerato che il cambiamento costa e gli enti locali sono quelle realtà che hanno visto progressivamente ridursi la sua capacità di spesa.
Nella P.A. così come nelle imprese però il cambiamento va sostenuto da professionisti dei processi di cambiamento e non solo dagli amministratori. Per questo motivo è importante riconoscere alla consulenza di direzione e in particolare ai consulenti di processo un ruolo di primaria importanza per sostenere e realizzare il cambiamento. Invece nella P.A. la consulenza viene vista con sospetto, quasi come un meccanismo per fare favori e distribuire denaro, oppure viene trattata al pari di venditori di mercanzie che pertanto vanno trattati come fornitori. La consulenza di processo è invece un ruolo che va espresso da una consulenza di grande professionalità che riesce a vivere i problemi della sua clientela e la segue lungamente perché si sente responsabile dei risultati che assieme riesce nel tempo a realizzare.

Nel suo ultimo libro, L’organizzazione territoriale, propone un modello di organizzazione innovativo per gli enti locali. I fattori che si utilizzano nella nuova organizzazione degli enti locali sono: il territorio, la rete di comuni, la comunità di persone. Vuole descrivere tale modello organizzativo?
Il modello si basa sul fatto che sul territorio gli esseri viventi si sono dati un’organizzazione del lavoro che consente loro di vivere e di svilupparsi, esattamente come fa una qualsiasi organizzazione. Se per un’organizzazione la ripartizione del lavoro che effettua al suo interno porta a costituire “funzioni” e ruoli, anche il territorio costituisce delle funzioni e dei ruoli. L’organizzazione raggiunge il massimo dell’efficienza quando riesce a integrare le sue funzioni interne e la massima efficacia quando riesce a produrre uno scambio favorevole per tutti coloro che entrano in contatto con essa. La stessa cosa vale per il territorio. Solo che nel territorio le funzioni sono costituite da organizzazioni che esercitano una funzione, ma non si sentono parte di un’organizzazione né sono raccordate da una gerarchia integratrice. Gli stessi enti locali che costituiscono, nel loro insieme, una funzione del territorio, trovano una forma di integrazione.
Il modello dell’O.T. (organizzazione territoriale) suggerisce pertanto di integrare per prima cosa i Comuni formando una Associazione e formalizzandola con una convenzione. Esso suggerisce poi di dare ad essa una forma organizzativa “divisionale” che consenta di ottimizzare l’erogazione dei servizi (attraverso economie di scala e strutture a rete) e al tempo stesso di sostenere lo sviluppo locale riconoscendo la distintività delle diverse aree territoriali interne e facendo leva sulle loro vocazioni e potenzialità.
La formazione intervento è la metodologia con cui si attua il cambiamento sia culturale che organizzativo che il modello dell’O.T. suggerisce.
La consulenza di processo che supporta il cambiamento finisce per far parte della stessa organizzazione e assume la responsabilità dei risultati assieme alle altre figure che il cambiamento chiama in causa.

Quali sono le esperienze realizzate ed i risultati conseguiti dal punto di vista organizzativo, della qualità dei servizi e dell’economicità di gestione?
Le esperienze sono andate maturando dal 1994 in avanti. Un primo risultato lo abbiamo avuto in Sardegna, con l’Associazione Territorio, nel 2000, centrata sull’ottimizzazione dei servizi innovativi ( SUAP, URP, Marketing territoriale, Scuole) per i Comuni del Nord. Il modello è stato premiato al Forum P.A..
Le altre sono state sviluppate nel Lazio e in Puglia a partire dal 2004 in avanti centrando l’attenzione ancora sui servizi. Nel 2007 si è andata affiancando l’esperienza delle aree di sviluppo distintivo e le Associazioni hanno arricchito la loro articolazione passando alla formula divisionale e consolidando la formula dell’O.T..
Oggi siamo di fronte ad un modello consolidato che consente ai Comuni di associarsi senza gli oneri delle formule più note: Unioni, Comunità, Consorzi, ma ricorrendo alla semplice convenzione e dandosi una articolazione organizzativa che consenta di operare sia sui servizi che sullo sviluppo locale.
Per operare sia sul primo che sul secondo piano le associazioni siffatte sviluppano progetti di cui cercano il finanziamento attraverso il ricorso ai bandi pubblici emessi dalla Provincia, dalla Regione e dal Governo e con il supporto della consulenza di processo di cui si sono dotati.
La progettualità viene utilizzata non solo per realizzare i cambiamenti necessari e acquisire le tecnologie utili, ma anche per sviluppare l’apprendimento di una nuova cultura e formare i nuovi promotori, sostenitori e realizzatori del cambiamento.
I cittadini stessi sono considerati clienti da soddisfare e membri di un organizzazione che deve vivere e svilupparsi e in quanto tali soggetti che devono apprendere come difendere e sviluppare la propria organizzazione territoriale.
Gli esempi si trovano concretamente descritti sui siti web delle tre associazioni di comuni del Lazio (www.associazioneseraf.it, www.associazioneseral.it, wwww.associazioneserar.it).
La maggior parte dei Comuni delle tre associazioni hanno ora un sito web istituzionale con la comunicazione dei servizi erogati, oramai tutti omogeneizzati. Tutti i siti dispongono del collegamento con un portale web di marketing territoriale per la promozione del territorio e con software gestionali per consentire di svolgere on line le pratiche delle imprese. Tutti i siti sono peraltro collegati al portale web dell’Associazione dei Comuni dove si possono seguire i finanziamenti acquisiti, i progetti sviluppati e i risultati conseguiti. Una serie di protocolli d’intesa tra le Associazioni dei comuni e gli altri Enti della P.A., con le Associazioni imprenditoriali e sindacali, con le altre Associazioni e gli Ordini professionali, con le Scuole, consente di sviluppare progetti e iniziative comuni per il miglioramento della vivibilità sul territorio. La costituzione di laboratori per i giovani in ogni Comune consente di formare la nuova classe dirigente dell’organizzazione territoriale e di sviluppare una consapevolezza diffusa della responsabilità sociale, garantendo così lo sviluppo del capitale sociale dell’O.T.. Gli interventi nelle scuole sui docenti e, con loro, sui giovani, consente di costituire una identità di fondo e un orgoglio di appartenenza all’O.T.. La Rete dei centri Anziani e il loro coinvolgimento sul tema della promozione del territorio a partire dalla loro memoria sviluppa l’integrazione intergenerazionale che salvaguarda l’integrità del capitale sociale e il suo rinnovamento.

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mercoledì 24 agosto 2011

Provincia Verona: tagli ai trattamenti incentivanti

Intervento di Franco Antolini Segretario Generale Funzione Pubblica Cisl Verona
La giunta provinciale per l’ennesima volta adotta provvedimenti che penalizzano il personale dipendente, su consiglio della dirigenza e del direttore generale che ne legittimano l’azione, ignorando le più elementari regole che determinano, dal punto di vista contrattuale, le relazioni sindacali tra le parti e dimostrando una mancanza di rispetto nei confronti delle rappresentanze sindacali e delle lavoratrici e lavoratori della Provincia, che non ha uguali sul territorio provinciale.
Che la giunta fosse commissariata dalla dirigenza non è un fatto nuovo, non lo è neppure lo scontro tra dirigenti che fanno a gara per “inventarsi” i modi più sofisticati e innovativi per penalizzare i colleghi sottoposti, respingendo qualsiasi richiesta di parte sindacale, ma che si arrivasse a decurtare il fondo della produttività costituito unilateralmente un anno prima, scaricando le responsabilità sul nucleo di valutazione, è una giustificazione che fa “ridere i polli”.
E siccome le rappresentanze sindacali polli non sono, ci vuol poco a capire che è stata costruita ad hoc una modifica del sistema di pesatura degli obiettivi , con il solo ed unico scopo di decurtare risorse per i lavoratori della provincia, con il blitz della famosa delibera n.240/2010, quella per capirsi dichiarata illegittima dal giudice di Verona.
La conseguenza è che vengono tagliate dell’11% le risorse destinate alla produttività per l’anno 2010, pari a circa € 58.195, che, considerato il blocco del fondo imposto dalle recenti manovre finanziarie fino al 2014, comporteranno l’impossibilità di percepire queste risorse per cinque anni con un danno economico nelle tasche dei lavoratori pari complessivamente ad € 294.925. Tutto ciò tradotto in numeri pro capite significano un meno 130 € per l’anno 2010 e meno € 650 fino al 2014.
Le affermazioni del vicepresidente Venturi, riportate sul giornale l’Arena del 23 agosto 2011, dimostrano con quanta superficialità e inadeguatezza si affrontino i problemi e quale considerazione questa classe politica emergente abbia nei confronti del lavoro pubblico e dei lavoratori.
Minimizzare la decurtazione della produttività anche se di 130 € pro capite, in una situazione di crisi come questa, scaricando le colpe ad altri ( a proposito quanto costa il nucleo di valutazione ????)….. ma dov’era la giunta quando ha approvato la modifica del sistema di valutazione???? Sono segnali preoccupanti e denotano quanto mai sia necessaria una riforma della pubblica amministrazione a partire dai vertici.
Tutto ciò, al di là della ennesima palese violazione sindacale, l’opzione proposta vale solo per la “truppa” mentre i dirigenti non subiranno alcuna decurtazione. Con quale giustificazione si può sostenere un taglio sugli obiettivi di PEG, che peraltro sono stati raggiunti al 97% e che interessano dipendenti e dirigenti su obiettivi comuni, senza che tale riduzione non possa minimamente interessare i dirigenti ?
Che la classe politica provinciale non capisca proprio nulla di come funziona il sistema contrattuale e le regole che ne dovrebbero governare le relazioni tra le parti, appare ancora più evidente dalle affermazioni conclusive di Venturi: “ i sindacati sono stati avvertiti il 28 luglio” ….. ( nessuna informazione è stata data né formale né informale) ….. “la delibera verrà messa al tavolo delle trattative tra dirigenti e sindacati, se non si dovesse trovare un accordo , la Provincia procederà con atto unilaterale, liquidando il premio ai dipendenti”….. ma non è proprio la deliberazione adottata l’ennesimo atto unilaterale?????
La giunta provinciale ha scelto ancora una volta di fare da sola negando apertamente e in tutti i modi la partecipazione sindacale e dei lavoratori e affidandosi a questa dirigenza che sta compromettendo seriamente il clima e il benessere organizzativo interno, scaricando responsabilità in basso e appellandosi a tutte le istituzioni e organi superiori possibili, anche quando questi rispondono picche (vedi l’ultima nota della corte dei conti, che invece giustamente riporta al tavolo negoziale le scelte), pur di non decidere nulla, anzi capaci solo di decidere tagli e di mandare avvisi a casa di molti dipendenti per la restituzione di compensi percepiti, frutto di accordi sottoscritti dagli stessi dirigenti che ora ne richiedono la restituzione….. ma questa è un’altra storia ……
Gli interventi strutturali che la CISL chiede al Governo per uscire dalla crisi riguardano pure l’eliminazione delle Province (tutte), sicuramente a Verona non piangerebbe nessuno….. tranne coloro che vogliono far prevalere l’interesse di lobby e quindi elettorali a scapito degli interessi del paese.

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Trattamenti incentivanti in Provincia di Verona

Intervento di Mariapia Mazzasette segretaria generale Funzione Pubblica Cgil Verona
La Giunta Provinciale di Verona con propria deliberazione del 18 agosto u.s. ha approvato in via definitiva le risorse da erogare ai dipendenti della Provincia a titolo di premio incentivante la produttività.
Le risorse determinate ai sensi dell’art. 15, comma 5, del C.C.N.L. 31.3.1999 risultano ridotte rispetto alla quantificazione in via provvisoria effettuata con la deliberazione n. 240 della stessa Giunta il 9 novembre 2010. La riduzione è stata operata in base all’esito della verifica effettuata dal Nucleo di valutazione, “attraverso un nuovo sistema di riferimento basato sulla pesatura degli obiettivi gestionali del piano esecutivo di gestione”, a sua volta approvato dalla stessa Giunta con la delibera n. 240/2010.
Tecnicamente il procedimento è ineccepibile.
Il nucleo propone un sistema di pesatura degli obiettivi e determinazione delle risorse da destinare alla remunerazione della produttività, la Giunta lo approva. Si verificano i risultati e si determinano conseguentemente le risorse sulla base dei risultati raggiunti.
Ma perché ogni volta che si parla di produttività ed efficienza della Pubblica Amministrazione, si chiedono ai lavoratori maggiori flessibilità, responsabilità, competenze e si riducono loro le retribuzioni (peraltro, già piuttosto scarse)?
I lavoratori della Provincia di Verona (come quelli di molti altri enti pubblici) negli ultimi anni, per effetto del mancato turn-over imposto dalle norme finanziarie nazionali, sono costantemente in riduzione. Così, in sempre minor numero, continuano a svolgere le attività e a garantire tutte le funzioni attribuite alla Provincia, con risultati accertati dal Nucleo di Valutazione comunque vicini al 100%. Eppure la loro retribuzione deve essere ridotta!
La Pubblica Amministrazione in Italia non funziona e costa troppo.
La responsabilità, a detta del ministro della Funzione Pubblica, è tutta dei lavoratori pubblici fannulloni.
Per ridurne i costi, quindi, si bloccano gli stipendi fino al 2014, si sospendono i contratti nazionali di lavoro, si cancella la contrattazione aziendale.
Per aumentarne l’efficienza si introducono sistemi di valutazione sempre più rigorosi.
Il risultato è sempre lo stesso: la riduzione delle risorse destinate ai lavoratori.
Ultima novità: se gli obiettivi di riduzione della spesa, che dovranno essere perseguiti dai pubblici amministratori, non saranno raggiunti non verranno pagate le tredicesime ai lavoratori.
Questi i provvedimenti che, ormai quotidianamente, vengono assunti da amministratori locali e governo nazionale contro i lavoratori pubblici.
In Provincia di Verona assistiamo però ad un curioso scaricabarile.
Amministratori - appartenenti alla stessa coalizione politica del governo, che ha approvato la riforma Brunetta e le varie norme finanziarie contro il lavoro pubblico - esprimono solidarietà ai lavoratori, attribuendo la responsabilità della riduzione delle retribuzioni alla cattiva volontà di chi pretende di applicare le norme approvate.
Sarebbe ora che ognuno si assumesse le responsabilità connesse al proprio ruolo.
E’ ipocrita approvare un sistema di valutazione e determinazione delle risorse e, una volta applicato, dire che non si è d’accordo.
Se il sistema è sbagliato chi lo ha approvato lo cambi!
Gli amministratori locali che ritengono i lavoratori pubblici troppo penalizzati si esprimano pubblicamente in questo senso e lavorino per la modifica di norme e decisioni che riducono le retribuzioni. Soprattutto, lavorino per rendere realmente efficiente la Pubblica Amministrazione e per la riduzione di sprechi e spese non necessarie, che sicuramente non sono le retribuzioni di chi ogni giorno lavora per far funzionare i servizi ai cittadini.

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Pietro Ichino: il lavoro nella manovra economica

Intervento del senatore Pietro Ichino svolto il 23 agosto 2011 nel corso del dibattito, in seno alla Commissione Lavoro del Senato, sul disegno di legge di conversione del decreto-legge 13 agosto 2011 n. 138, recante la cosiddetta “manovra finanziaria aggiuntiva”
Signor Presidente, Colleghi, l’articolo 8 del decreto che stiamo discutendo è l’ultima manifestazione di una tattica politica sconcertante: quella che consiste nel tentativo di riformare la chiave di volta del diritto del lavoro, cioè la disciplina del licenziamento, il fatidico articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori del 1970, senza nominarlo. L’idea è di risolvere un enorme problema politico senza affrontarlo a viso aperto, senza che sia il Parlamento a discuterne il problema e a decidere il contenuto della riforma.
Questo stesso tentativo il Governo lo ha compiuto una prima volta, in questa legislatura, con il Collegato-Lavoro varato l’anno scorso: lì si tentò di svuotare l’articolo 18, senza toccare la norma, col consentire che la materia del licenziamento potesse essere devoluta dal contratto individuale a un arbitro di fatto scelto dal datore di lavoro. In quell’occasione il tentativo è fallito perché lo ha bloccato il Presidente della Repubblica: ricordo in proposito che nella lettera con cui ha rinviato al Parlamento il provvedimento legislativo il Capo dello Stato non ha affatto negato la legittimità e la piena plausibilità di una riforma legislativa di questa materia, ma ha sottolineato la necessità che la questione venga affrontata in modo diretto ed esplicito, chiamando le cose con il loro nome e discutendone apertamente in Parlamento.  Non sembra avere raccolto questo invito il ministro del Lavoro Sacconi, il quale, dopo aver lanciato il sasso ha subito nascosto la mano; dopo aver fatto inserire nel testo del decreto una norma che implicitamente consente un mutamento profondo della disciplina dei licenziamenti, fino alla sua possibile abrogazione totale di fatto, ha dichiarato ai giornali – cito testualmente – che “l’articolo 18 non viene minimamente toccato”. In questo modo il ministro non ha soltanto disatteso l’invito del Presidente della Repubblica di cui ho detto prima, ma ha anche mancato di rispetto agli elettori, all’opinione pubblica, a tutti noi italiani, trattandoci come degli stupidi, cui un annuncio ben fatto può far credere qualsiasi cosa, anche contro la realtà dei fatti.
Un’altra manifestazione di questa tattica politica si è avuta con il disegno di legge, presentato dal ministro del Lavoro alle parti sociali – ma non formalmente in Parlamento – l’11 novembre dello scorso anno. Anche lì il tentativo era quello di dare al Governo una delega in bianco su questa materia senza neppure nominarla; e ovviamente senza che il Parlamento neppure ne discutesse. Ci sono alcune analogie e addirittura coincidenze tra quel disegno di legge e l’articolo 8 oggi al nostro esame. Però, se non altro, in quel disegno si prevedeva un limite alla potestà derogatoria conferita alla contrattazione collettiva in materia di diritto del lavoro: il limite dei principi costituzionali e di quelli sanciti dalle convenzioni internazionali e direttive europee vincolanti per la Repubblica Italiana. Nell’articolo 8 del decreto-legge n. 138 al nostro esame anche questo limite scompare: la contrattazione collettiva potrà intervenire sulla materia della “disciplina del rapporto di lavoro” senza alcun limite, cioè potrà riscrivere il diritto del lavoro da cima a fondo, o anche cancellarlo del tutto, ignorando gli standard internazionali al cui rispetto siamo obbligati e i nostri vincoli costituzionali interni.
La cosa ancora più stupefacente, però, è che questo articolo 8 non pone neppure alcun requisito circa la natura e i soggetti stipulanti del contratto aziendale cui viene attribuito l’enorme potere di cui si è detto. Che cosa intende l’articolo 8, quando parla di “contrattazione collettiva”? Negli ultimi mesi, e ancora in questi ultimi giorni il ministro Sacconi non ha perso occasione per ribadire che egli intendeva rispettare rigorosamente le scelte compiute dalle parti sociali circa la struttura della contrattazione collettiva, i criteri di misurazione della rappresentatività nei luoghi di lavoro, i rapporti tra contratti di diverso livello. Ci saremmo dunque attesi che, nell’attribuire alla contrattazione collettiva gli amplissimi poteri derogatori di cui si è detto, questo articolo 8 richiamasse con una delle diverse tecniche normative in cui la cosa poteva essere fatta i criteri di individuazione degli agenti contrattuali e di misurazione della loro rappresentatività ultimamente definiti con l’accordo interconfederale del 28 giugno scorso, firmato da tutte e tre le confederazioni sindacali maggiori. Niente di tutto questo: la norma che il ministro del Lavoro ha inserito nel decreto-legge semplicemente ignora, quindi azzera, le scelte compiute dalle parti sociali con quell’importantissimo accordo interconfederale.
Vediamo più da vicino, dunque, a chi il ministro vorrebbe affidare il compito di riscrivere ad libitum il diritto del lavoro. Una prima categoria di soggetti abilitati è costituita dalle “associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”; nessun accenno a requisiti di rappresentatività di queste associazioni al livello aziendale. Una seconda categoria di soggetti abilitati è costituita dalle “rappresentanze sindacali operanti in azienda”. Anche qui - ma qui è più grave - la norma non pone alcun requisito di rappresentatività, né alcuna altra qualificazione; queste “rappresentanze aziendali” possono dunque essere quelle “qualificate” previste dall’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori, ma anche quelle legittimate a operare in modo del tutto generico dall’articolo 14, che possono essere costituite da chiunque: anche da tre amici al bar. A queste “rappresentanze sindacali”, dunque, senza alcun filtro di rappresentatività o di altro genere, viene attribuito il potere di riscrivere con l’imprenditore l’intero diritto del lavoro. Ma come può il ministro del Lavoro di un Paese civile, membro dell’Unione Europea e dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, varare una norma come questa, che conferisce una delega in bianco sull’intera disciplina dei rapporti di lavoro a soggetti del tutto indeterminati?
Se per questo aspetto la norma dice evidentemente troppo, per un altro aspetto essa dice altrettanto evidentemente troppo poco. La Banca Centrale Europea, cui in questi giorni siamo interamente debitori della nostra tenuta nei mercati finanziari, nella lettera al nostro Governo dei giorni scorsi ci ha chiesto innanzitutto una riforma del nostro diritto del lavoro che concilii la maggiore flessibilità per le strutture produttive con la maggiore sicurezza nel mercato del lavoro per i lavoratori: discorso, questo, che implica evidentemente un intervento esteso a tutto l’apparato di sostegno del reddito e della professionalità del lavoratore che perde il posto di lavoro. Di questo nell’articolo 8 del ministro Sacconi non vi è assolutamente nulla. Ma la stessa BCE, con quella lettera, ci ha chiesto un’altra cosa di grande rilievo: il superamento del dualismo tra lavoratori protetti e non protetti nel nostro tessuto produttivo. Ci ha avvertiti che la flessibilità che il nostro sistema attinge ai milioni di collaboratori autonomi in realtà dipendenti, di “lavoratori a progetto”, di lavoratori associati, e simili, non ha niente a che fare con la buona flessibilità di cui il nostro sistema ha bisogno: questo dualismo ci condanna a una svalutazione di metà del nostro capitale umano; e per di più tiene lontani dal nostro Paese gli investitori stranieri, i quali non hanno il know-how necessario per operare in questa economia semi-legale, se non del tutto illegale. La BCE ci chiede, dunque, di ricostruire un sistema protettivo capace di essere davvero universale, capace di garantire la piena sicurezza economica e professionale non soltanto alla parte forte dei lavoratori, ma anche alla parte oggi più debole, agli ultimi della fila. Questa richiesta della BCE è ineludibile nelle nostre scelte di politica del lavoro, se è vero che la civiltà di una nazione non si misura sulla sicurezza e il benessere che essa riesce a garantire al proprio cittadino medio, ma sulla sicurezza e il benessere che essa riesce a garantire agli ultimi tra i suoi cittadini, ai meno dotati, ai più sfortunati. Bene: di tutto questo nell’articolo 8 che il ministro del Lavoro ci propone non c’è assolutamente nulla. Nulla che anche solo accenni alla necessità di scalfire il regime di feroce apartheid che caratterizza oggi il nostro tessuto produttivo.
Per altro verso, la norma di cui stiamo discutendo è proprio concettualmente sbagliata, nella parte in cui essa consente alla contrattazione aziendale “qualsiasi” di cui ho detto prima di disporre di interessi e diritti di terzi, che al tavolo della negoziazione aziendale non hanno alcuna voce. Così, per esempio, se la norma dovesse entrare in vigore quella contrattazione aziendale “qualsiasi”, senza alcun filtro, potrebbe esentare il committente e/o l’appaltatore dalla solidarietà passiva nei confronti dell’istituto previdenziale o dell’erario per il versamento dei contributi o delle ritenute fiscali. È evidente a chiunque come questo esito sia del tutto improponibile.
Una sola certezza questa norma ci darebbe, quella della nascita di un nuovo dualismo nel nostro tessuto produttivo: il dualismo tra le imprese che contrattano con Cgil, Cisl e/o Uil, le quali presumibilmente farebbero un uso molto sorvegliato dei poteri di deroga rispetto alle leggi vigenti, e le imprese che invece contrattano con un sindacato autonomo, o con una “rappresentanza aziendale” spuria, ottenendo l’esenzione da qualsiasi norma inderogabile. Non posso credere che neppure Confindustria, né qualsiasi altra associazione imprenditoriale seria, possa puntare a questo risultato.
Vorrei proporre un’ultima osservazione, in tema di festività soppresse. Il Governo ha giustificato la scelta di sacrificare tre festività infrasettimanali civili, e nessuna di quelle religiose, con l’osservazione secondo cui queste ultime sarebbero coperte irreversibilmente da un vincolo concordatario. Senonché nel 1977, quando ci fu una riduzione del numero delle festività infrasettimanali di circa un terzo, da 16 a 10 se non ricordo male, la Chiesa fu assolutamente sollecita nel rispondere alla richiesta del nostro Governo di una modifica dell’elenco. Come allora, anche oggi nessuna difficoltà verrebbe opposta, per esempio, allo spostamento alla domenica più vicina delle due festività più vicine a quelle del Natale e Capodanno, cioè l’Immacolata e l’Epifania, in modo da ristabilire un opportuno equilibrio tra feste religiose e feste civili.
Degli altri e non certo meno importanti aspetti di questo decreto-legge, nella materia di competenza di questa Commissione, parleranno gli altri colleghi del Gruppo democratico.

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Robin Hood Tax: misura approssimativa e pasticciata

Articolo di Federico Testa e Claudio Di Mario pubblicato su Il Sole 24 Ore il 24 agosto 2011
Il decreto legge 13/08/2011, n.138 prevede alcune novità in merito alla cosiddetta “Robin Hood Tax”
- l’innalzamento dal 6,5% al 10,5% dell’aliquota addizionale IRES per le società operanti nel settore energetico  per i periodi di imposta dal 2011 al 2013.
- l’estensione dell’addizionale IRES ai soggetti che svolgono attività regolate sia nel settore elettrico che in quello del gas (trasmissione/dispacciamento e distribuzione) col divieto di traslazione di tale imposta ai clienti finali.
- l'estensione di predetta addizionale anche ai soggetti che producono elettricità da biomasse e fonte solare-fotovoltaica o eolica, finora esclusi.
- la riduzione della soglia di fatturato che determina l’assoggettamento all’imposta (da 25 a 10 mln di Euro).
La Robin Hood Tax è stata introdotta nel giugno 2008, e la situazione attuale, almeno per quanto riguarda i fondamentali economici, è profondamente diversa.
In più, l'estensione di tale imposta anche ad attività regolate, ne cambia la ratio, considerato che i risultati di tali attività non risentono in alcun modo delle dinamiche speculative dei mercati petroliferi. Infatti, non si colpiscono più i presunti windfall profit degli operatori energetici, ma soggetti operanti in settori regolati le cui entrate non hanno alcun collegamento col prezzo delle materie prime e che anzi vedono i propri introiti fissati da un organismo terzo, l’Autorità per l’Energia Elettrica e il Gas.
Come noto, infatti, le imprese operanti nel settore della distribuzione e del trasporto di gas ed energia elettrica vedono remunerata la propria attività attraverso una tariffa i cui principi sono fissati inderogabilmente dalla L. 481 del 1995 la quale stabilisce tra le altre cose che:
- il criterio tariffario sia trasparente, certo e predeterminato;
- la tariffa remuneri il capitale investito e garantisca altresì una remunerazione efficiente dei costi di gestione, tra i quali ricadono ovviamente anche gli oneri fiscali, coperti attraverso una maggiorazione del tasso di remunerazione del capitale investito – cosiddetto WACC pre-tax – che tiene conto dell'effetto complessivo dell'aliquota fiscale pagata sull'utile ante imposte.
Tutto ciò trova fondamento (oltre che nella ragionevolezza ... dal momento che se si vuol far fare un investimento a qualcuno gli si deve dare la prospettiva di un rendimento) anche nella legislazione comunitaria laddove la direttiva 2009/72 stabilisce che le tariffe di accesso alla rete devono essere cost-reflective (articolo 37.comma 6).
In un simile contesto, dunque, appare evidente che qualsivoglia "erosione" dei margini cosi garantiti dalla tariffa viola, prima ancora che la relativa disposizione legislativa di riferimento, la logica e la finalità della tariffa stessa, determinando una inevitabile contrazione degli investimenti sia in nuova infrastruttura che in ammodernamento e manutenzione di quella esistente.
Risulta quindi chiaro il corto circuito in atto e pertanto appare di difficile sostenibilità, a fronte di eventuali ricorsi da parte degli operatori (anche in sede europea), il divieto di traslazione sui clienti finali, che nelle intenzioni del legislatore precluderebbe all’Autorità di ri-determinare le tariffe in modo tale da riconoscere alle imprese le imposte pagate allo Stato: il rischio reale e' quindi quello di defatiganti contenziosi.
Volgendo infine l'attenzione sui termini economici della misura, ossia sull’impatto della nuova Robin Tax per il bilancio dello Stato, si evidenzia quanto segue:
- gli introiti attesi paiono del tutto sottostimati;
- è assente una valutazione degli effetti sui titoli e sul bilancio statale, essendo alcune delle società coinvolte (Enel, Eni, Snam, Terna) quotate e con partecipazione statale (perdita di capitalizzazione per il Ministero delle Economie e Finanze al primo giorno di riapertura delle borse, come riportato dalla stampa, pari a circa 1,6 mld, superiore al gettito annuo atteso dall’imposta).
- è assente, altresì, una valutazione dell’impatto sulla dividend policy delle società partecipate, che ridurrà notevolmente il vantaggio derivante alle casse pubbliche dal prelievo previsto dal decreto legge.
In conclusione, anche in una situazione drammatica come l’attuale, il fine di recuperare in tempi brevi e certi (dopo aver per anni colpevolmente sottovalutato i rischi della congiuntura) non può giustificare l'adozione di misure approssimative e pasticciate, che prefigurano rilevanti "rotture" di equilibri tra i poteri, pesanti contenziosi con il conseguente carico di incertezze, benefici economici inferiori a quelli che verrebbero apportati da un corretto sviluppo economico-finaziario del settore energia, esponendoci ulteriormente al rischio dell'abbandono del nostro Paese, sempre più inquadrato come affetto da un rapido e crescente rischio normativo-regolatorio. da parte degli investitori nazionali ed internazionali.

Federico Testa è Ordinario di Economia delle Imprese, Università di Verona, e componente Commissione Attività Produttive, Camera dei Deputati
Claudio Di Mario è Ingegnere e Partner Cattaneo Zanetto & Co S.p.A

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Governo senza timoniere contro le famiglie

Articolo pubblicato su Famiglia Cristiana n. 35 del 24 agosto 2011
La Manovra economica di luglio e la Manovra-bis di Ferragosto hanno assestato alla famiglia una serie di colpi micidiali. Un serial killer non avrebbe potuto fare meglio. Anziché tassare i patrimoni dei ricchi, coloro ai quali anche un forte prelievo fiscale non cambierebbe la vita, s’è preferito colpire quell’ammortizzatore sociale italiano per eccellenza che è la famiglia. Unico vero patrimonio del Paese. È una politica miope, da“statisti” improvvisati, che non hanno un’idea sul futuro del Paese. Tanto meno pensano al bene comune. Unica loro preoccupazione soddisfare il proprio elettorato. Unico orizzonte le prossime elezioni. Nel frattempo, il Paese va alla deriva e perde credibilità. Una nave senza timoniere.
La stretta economica che si preannuncia provocherà collassi ovunque. Una situazione già insostenibile, che fa scivolare il ceto medio nella povertà. A pagare saranno i soliti noti. Ci si accanisce, ancora una volta, sui lavoratori dipendenti e sugli statali. Questi si vedono, addirittura, minacciata l’abolizione della tredicesima. A pagare un prezzo altissimo è chi ha già dato. Sonni tranquilli, invece, per i più ricchi, gli evasori e i grandi speculatori. Questi ultimi, tra l’altro, sono tra i principali responsabili della crisi finanziaria che sta devastando i mercati e incrementando paurosamente i debiti sovrani dei Paesi dell’Occidente.
Eppure, le indicazioni su alternative fiscali, come una tassa sui grandi patrimoni, non mancano. Di “tesoretti” intoccabili ve ne sono tanti. A cominciare dai centoventi miliardi annui di evasione fiscale. Una cifra definita«impressionante» dal cardinale Bagnasco, presidente dei vescovi italiani. E che ha spinto anche Giorgio Napolitano, al Meeting di Rimini, a lanciare un appello: «Basta con assuefazioni e debolezze nella lotta a quell’evasione, di cui l’Italia ha ancora il triste primato». Per non parlare, poi, dei sessanta miliardi spesi in corruzione e dei novanta miliardi “fatturati” dalla criminalità organizzata. Su cui poco si è intervenuto.
Mentre è in corso l’esame della Manovra economica, è partito l’assalto alla diligenza. Ognuno ha qualcosa da salvare. O da proteggere. I sacrifici si scaricano su chi non ha“santi in paradiso”. O, meglio, nelle Aule parlamentari. Senza equità nei sacrifici, e se non si mira al bene delle famiglie e del Paese, difficilmente ne verremo fuori. Soprattutto se chi può dare un “elevato” contributo troverà modo di sfilarsi dalla solidarietà nazionale. Come i calciatori (ignobili!). Ma anche la casta politica, che danza allegramente sulle macerie del Paese. Vanta sacrifici e riduzioni, ma non dà un taglio risoluto a costi e privilegi, ingiustificati e immorali.
Ancora una volta, i politici cattolici stanno alla finestra. Insignificanti e a corto di idee. Si confondono nel mucchio, per non disturbare i “manovratori”. In entrambi i campi. Spettacolo, anche questo, avvilente.

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domenica 21 agosto 2011

Quali tagli per la casta!

Articolo di Emanuele Costa pubblicato su http://www.ilfuturista.it/
Dopo aver cavalcato per anni, al grido di “meno tasse per tutti”, l’idea di non mettere le mani in tasca degli italiani, il premier ha preferito, per non correre il rischio di trovarle vuote, evitare sorprese e andare a colpo sicuro: il prelievo forzoso entrerà direttamente nei portafogli! Da qui il dispiacere per essersi reso reo di aver commesso un atto impuro, tanto da indurlo a versare lacrime di coccodrillo e sangue di rapa per colpa di una manovra che ha tutta l’aria di configurarsi come una sanguisuga per i redditi già tartassati del suo popolo.
Questa volta, però, a pagare saranno tutti, politici compresi. D’altronde, dopo aver buttato alle ortiche due anni di legislatura, pensando solo al divertimento e all’orticello di casa propria, era il minimo che a pungersi fossero anche i cortigiani del palazzo, che hanno saccheggiato il paese in tutti questi anni. È stato il malcontento generale, forzatamente sottovalutato in passato, a spingere il governo a tagliare i cosiddetti “costi della politica”, in modo da esaudire quel desiderio, perpetuamente disatteso, che anche la Casta dovrà contribuire ai sacrifici, donando volontariamente un po’ del suo prezioso liquido ematico.
I meno accorti hanno tirato un sospiro di sollievo, arrivando ad esclamare a gran voce: «Era ora!». Ma la nebbia che ha avvolto l’annuncio gridato ai quattro venti ben presto si è diradato, mettendo a nudo lo scheletro di una sterile propaganda retorica. Infatti, mentre il sacrificio richiesto al popolo sarà immediato sotto forma di prelievo fiscale, costringendolo a rivedere le proprie spese per effetto di un minor reddito disponibile, quello alla Casta sarà futuro, ossia le spese dovranno essere riorganizzate, ma a portafoglio invariato!
In primo luogo, un disagio cui andranno incontro gli Eletti è quello di non poter più viaggiare in business class sugli aerei, dovendosi così equiparare ai comuni mortali che abitualmente viaggiano in classe economica. Tuttavia, questa decisione equivale più alla perdita di un privilegio, piuttosto che a una sofferenza. Indagando a fondo il problema, una domanda sorge spontanea: non è forse vero che in tutti i voli nazionali esiste solo la classe economica? Se così fosse, in cosa consiste il sacrificio che andrà a colpire i parlamentari?
In secundis, un altro intervento che inciderà sui costi della politica è quello relativo al binomio della cancellazione di alcune province e all’accorpamento di alcuni comuni, secondo un criterio demografico. Anche in questo caso, il risparmio sui costi non sarà immediato, ma rinviato a data da destinarsi. In altre parole, occorrerà attendere la scadenza delle legislature locali in corso ed il parametro demografico da prendere in considerazione sarà quello che scaturirà dal prossimo censimento generale sulla popolazione. Quindi, non prima del mese di aprile 2012!
Nello specifico, per i comuni, il taglio dei costi si tradurrà nell’eliminazione degli stipendi/gettoni di coloro che compongono la giunta e il consiglio comunale. Come già anticipato, non si tratta di una minore spesa attuale, ma futura, perché la si potrà realizzare quando gli enti interessati decideranno di procedere all’unione con quelli confinanti. Unione di comuni che, peraltro, era già stata prevista, senza successo, dall’articolo 26 della legge n° 142/1990 sull’ordinamento delle autonomie locali.
Inoltre, l’unione dei comuni con una popolazione inferiore ai mille abitanti non farà emergere una consistente riduzione di spesa in quanto se da un lato il numero dei politici che perderanno la poltrona è numericamente ridotto al lumicino, dall’altro potrà verificarsi un loro aumento in quelli in cui confluiranno territorio e abitanti. Quindi, a quanto ammonterà il taglio dei costi della politica generato da queste privazioni che investiranno la Casta? Difficile quantificarlo, ma sicuramente insignificante!
Infine, l’unica potenziale certezza è che questa operazione, unitamente a quella della riduzione del numero di province, creerà una situazione nella quale alcuni politici rischieranno di conoscere per la prima volta il significato dello status di disoccupato, imparando sulla loro pelle cosa significa guadagnarsi da vivere con il sudore della fronte e l’olio di gomito. Ma anche questa prospettiva rischia di tradursi in una pia illusione. Infatti, l’abolizione dei doppi incarichi servirà a liberare delle poltrone sulle quali saranno paracadutati quei soggetti che hanno perso il “posto di lavoro” per effetto della riforma che con la recente manovra interesserà i micro comuni e alcune province.
Quindi, calcolatrice alla mano, il governo chi ha intenzione di prendere in giro?

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venerdì 19 agosto 2011

Gli effetti della manovra a Verona

Un’analisi attenta e puntuale sugli effetti della manovra economica su Verona è stata effettuata dal PD. Presenti alla conferenza stampa: il segretario provinciale del PD Vincenzo D'Arienzo, i deputati Gianni Dal Moro e Federico Testa, la senatrice Maria Pia Garavaglia e il consigliere regionale Franco Bonfante.
L’incertezza e la confusione della maggioranza e del Governo non aiutano i mercati a confidare sull’affidabilità delle scelteeconomiche. Molti sono i punti che dividono la maggioranza: revisione delle pensioni, addizionale Irpef che impropriamente viene chiamata contributo di solidarietà, i tagli alle regioni ed agli enti locali, l’assenza di proposte per la crescita. L’incertezza del Governo nasce anche dalle proposte delle opposizioni che sono coscienti della gravità della crisi ed esprimono contrarietà all’addizionale Irpef che colpisce i soliti noti ed ai tagli alle autonomie locali e propongono tra l’altro una lotta ferma e determinata all’evasione fiscale ed un prelievo straordinario una tantum sull’ammontare dei capitali esportati illegalmente e scudati.
L’attenzione del PD è rivolta alla situazione economica e sociale della provincia di Verona.
I comuni della provincia di Verona, afferma Vincenzo D’Arienzo, hanno ricevuto dallo Stato nel 2010 circa 216 milioni di euro. I tagli per i comuni veronesi sono: 21 milioni nel 2010, 29 milioni nel 2011 e dal 2012 i tagli saranno più pesanti fino ad arrivare a 186 milioni di euro. Per il comune di Verona i tagli sono: 10 milioni per il 2010 e con l’attuale manovra 12 milioni.
La senatrice Mariapia Garavaglia ha sottolineato gli effetti negativi della manovra sulle donne e sulle famiglie per il rincaro del costo dei servizi (asili nido e abbandono del lavoro).
Federico Testa, responsabile del settore Energia del PD, ha contestato duramente l’imposta sul gas e sulle energie rinnovabili che si ripercuoterà sull’aumento delle tariffe, incluse quelle di Agsm. Inoltre, Testa ha approfondito la proposta di Bossi relativa alla inclusione del Tfr in busta paga esponendo che tale ipotesi sopprimerebbe la previdenza integrativa ed eliminerebbe la possibilità di finanziamenti alle aziende che nell’attuale momento sono senza liquidità ed incontrano difficoltà a contrarre prestiti.
Il vice presidente della Regione, Franco Bonfante, ha evidenziato i tagli alla Regione di altri 400 milioni per ogni anno futuro dal 2012, dopo i 358 per il 2011 e i 400 per il 2012, il che significa mettere a rischio la formazione professionale, oltre ai servizi sanitari. Serve quindi una drastica riduzione di auto blu e dei costi della politica, a cominciare dallo staff troppo numeroso del presidente Zaia. Intanto i cittadini veneti dovranno pagare il ticket della sanità e molte scuole professionali rischiano di chiudere per mancanza di finanziamenti.
L’incontro è stato chiuso dall’intervento di Gianni Dal Moro che ha richiesto comportamenti trasparenti il Sindaco Tosi, il quale non può più assumere posizioni contraddittorie “contro la manovra ed a favore della maggioranza del centro destra”. Occorre, ha affermato Dal Moro, cambiare governo perché l’attuale governo ha perso ogni credibilità.
Tosi e Giorgetti, si legge nel comunicato del PD, sono la malattia che ha portato a questa situazione, non la cura. Anziché litigare sulle responsabilità reciproche, dicano cosa perderemo, quali attività e servizi non potranno più garantire a causa dei tagli del loro Governo.
Gli esponenti del centro destra, i quali governano la Provincia ed il comune di Verona e la stragrande maggioranza dei comuni scaligeri, non possono più raccontare bugie per coprire le responsabilità delle scelte effettuate dal governo di centro destra e dovranno confrontarsi con i cittadini con franchezza e sincerità perché è finito il tempo dell’opacità.

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giovedì 18 agosto 2011

Sprechi e doppioni nei trasporti a Verona

Stefano Zaninelli, direttore di ATV (Azienda trasporti Verona srl), ha dichiarato che l’unificazione del trasporto pubblico locale è già avvenuta. Su questo punto, senza entrare nel merito della gestione di ATV, non vi è nulla da contestare perché ATV assicura teoricamente una gestione unificata del trasporto pubblico locale nella provincia di Verona.
ATV, Azienda trasporti Verona, è stata costituita il 23 dicembre 2006 dalle società AMT Spa (azienda trasporti del comune di Verona) e APTV (azienda dei trasporti della provincia di Verona) Spa tramite il conferimento dei rami di azienda del trasporto pubblico con il preciso obiettivo di integrare il trasporto pubblico urbano ed extraurbano nella provincia di Verona, conseguire risparmi di gestione e realizzare benefici a vantaggio degli utenti.
L’operazione è ancora valida dal punto di vista gestionale se vengono perseguiti gli obiettivi su cui poggia la costituzione di ATV ed espressi a suo tempo da Elio Mosele e da Paolo Zanotto, all’epoca rispettivamente presidente della provincia e sindaco di Verona.
Ritengo che il direttore di ATV, Stefano Zaninelli, con le sue dichiarazioni non avrebbe dovuto andare oltre i suoi compiti istituzionali che sono delimitati dai confini di ATV. Al contrario assistiamo giornalmente che i confini tra management e politica vengono superati dal management che guida le aziende pubbliche veronesi per interessi di bottega e di parte.
Il direttore di ATV dovrebbe pensare di più alla eliminazione delle sovrapposizioni delle linee urbane ed extraurbane al fine di risparmiare risorse finanziarie ed erogare servizi di qualità.
La questione di fondo che ancora rimane aperta è la sopravvivenza delle aziende pubbliche APTV e AMT, le quali continuano ad esistere nonostante che i rami d’azienda del trasporto pubblico locale siano stati conferiti alla nuova società ATV. L’oggetto sociale di tali aziende, rappresentato dalla gestione del servizio di trasporto pubblico cosi come specificato dai rispettivi statuti, non è più perseguibile direttamente e, pertanto, viene meno lo scopo sociale della esistenza delle società stesse.
Le due società, APTV e AMT, sono diventate delle scatole vuote senza la gestione dei servizi di trasporto e producono dei costi, rappresentati dai compensi assegnati agli organi, che ammontano annualmente a 356.367 euro (vedi tabella).
A ottobre 2010, dopo varie e costanti sollecitazioni del consigliere provinciale Vincenzo D’Arienzo, l’Amministrazione Provinciale ha deciso di sostituire il consiglio di amministrazione di APTV con l’amministratore unico, risparmiando 46.671 euro. Prima di questa decisione il costo annuale delle due società, rappresentato dai compensi, ammontava a 403.088 euro.
Per giustificare il mancato scioglimento di APTV e AMT si trova la giustificazione che la prima ha il compito di gestire i parcheggi di Verona e la seconda il patrimonio immobiliare di Apt.
Si fa presente che la situazione economica del paese non consente di sostenere costi inutili e di costituire società senza un’attenta valutazione economico-finanziaria in particolare quando le attività ed i servizi possono essere gestiti direttamente dagli enti.
Uno dei fenomeni che si riscontra è la moltiplicazione delle società controllate da parte degli enti locali con dispendio di capacità e risorse finanziarie. Questo fenomeno si rileva anche a Verona nei trasporti pubblici locali con tre società, di cui una soltanto gestisce operativamente il servizio, e nell’AGSM con una pluralità di società e di organi che mettono a rischio la governance unitaria.
In AGSM si potrebbe procedere alla fusione delle società controllate, con esclusione di quelle la cui gestione separata è prevista dalla legge, e realizzare delle business unit nella società incorporante. Facendo cosi si realizzerebbe una gestione semplificata e veloce, una governance unitaria ed un risparmio di risorse finanziarie.
Purtroppo il centro destra è interessato alla moltiplicazione delle poltrone ed al controllo del potere e, quindi, non è facile introdurre una politica aziendale che consideri l’economicità di gestione, l’efficienza e l’efficacia dei servizi e la qualità della vita dei cittadini veronesi.
Altre questioni vanno affrontati in prospettiva: - la valutazione trasparente delle competenze delle persone che vengono designate nei consigli di amministrazione degli enti; - la possibilità della presentazione di candidature indipendenti dal sistema dei partiti; - l’introduzione del colloquio pubblico per dare la possibilità ai candidati di presentare il proprio curriculum.
Le società degli enti locali sono strumenti che vanno gestiti per migliorare la qualità della vita dei cittadini con professionalità e competenze e non per accettare supinamente gli ordini dei partiti. Quando la fedeltà e l’appartenenza politica rappresentano gli unici fattori di scelta difficilmente possiamo avere delle società di gestione dei servizi pubblici locali efficienti ed efficaci ed al servizio degli utenti.
Occorre comprendere che non è più possibile dilapidare risorse pubbliche che diventano sempre più scarse nell’ambiente competitivo di oggi in particolar modo quando si è alla ricerca di risorse per colmare il deficit del bilancio dello stato.

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mercoledì 17 agosto 2011

Italia sotto tutela

di Emanuele Costa pubblicato su http://www.ilfuturista.it/
Sono trascorsi poco più di dieci giorni dall’insignificante discorso del presidente del Consiglio alle due Camere del Parlamento. Per rinfrescare la memoria a chi l’ha perduta o per coloro che hanno preferito nascondere la testa sotto la sabbia, quello in cui ha spiegato orgogliosamente che in Italia tutto andava bene e non c’era alcun motivo per preoccuparsi.
La situazione economica stava attraversando il suo momento di gloria, anzi la congiuntura era molto favorevole. La dimensione del debito pubblico rientrava nella norma, anzi meglio di quella degli altri paesi europei e addirittura degli Stati Uniti che erano a rischio default. Il benessere sociale abbracciava tutti indistintamente, con le famiglie in perfetta forma, anzi senza alcun problema finanziario perché i redditi erano adeguati.
In sintesi, tutti potevano tranquillamente partire per le sospirate vacanze e gli onorevoli concedersi un bel pellegrinaggio in Terra Santa per rigenerarsi dalle fatiche che l’attività parlamentare richiede. E così, mentre il popolo sudava sette camicie per mandare avanti la baracca, arrancando per arrivare a fine mese, il “Governo del fare” si gongolava per aver fatto il suo dovere con giustizia ed equità. Qui il resto del post
Peccato che, come sempre, non ha percepito nel profondo le difficoltà esistenti, anzi non si è proprio accorto della loro esistenza. Quindi, se non si conosce un problema, o volutamente lo si ignora, come è possibile elaborare una soluzione che vada incontro a tutte le aspettative e risolva definitivamente questioni che da decenni sono perennemente aperte?
In altre parole, per il Governo l’interrogativo al quale rispondere non era sufficientemente chiaro, altrimenti non avrebbe fornito una risposta inadeguata, che si è tradotta nella manovra economica licenziata recentemente. Un provvedimento che non solo grida vendetta, ma rischia di collocarsi nell’alveo dell’istigazione alla violenza. Un documento privo di meccanismi utili, se non quelli, usati ed abusati, ad esclusivo beneficio dei soliti e a sfavore spudoratamente di coloro che sono già allo stremo.
Se l’obiettivo era quello di accelerare (e non alleviare) la sofferenza di chi era già agonizzante, allora il target è stato pienamente realizzato. Con la recente manovra economica, il Governo ha dato prova della sua inadeguatezza a guidare il paese, obbligando il popolo ad eseguire i suoi dettami, come nelle peggiori dittature, dove la discussione pubblica è inesistente.
Quel popolo, però, per non far morire anche quella flebile speranza che ancora rimane, ha dalla sua parte un’arma importante, da usare con maggiore frequenza: la Costituzione. Occorre organizzarsi per riappropriarsi di quella sovranità che, come sancito dall’articolo 1 (comma 2) «appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Un principio fondamentale di cui è importante, oggi più di prima, prenderne piena coscienza.
Gli strumenti che la Carta costituzionale affida al popolo sono l’iniziativa legislativa, che, a norma dell’articolo 71 (comma 2), è esercitata «mediante la proposta da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli» oppure il referendum popolare, disciplinato dall’articolo 75 (comma 1), indetto «per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore legale quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali».
In questo modo, agli onorevoli in partenza per le ferie, rimane da ascoltare solo un appello, quasi un richiamo severo ai loro doveri, spesso disattesi, lanciato nel lontano 1955 ai giovani da Piero Calamandrei: «Se voi volete andare in pellegrinaggio, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione».
Parole importanti, con un significato inequivocabilmente di speranza rivolto ad un popolo degno della Costituzione che si è data. Pare, però, che i principi costituzionali siano stati dimenticati dai parlamentari.

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martedì 16 agosto 2011

Gli evasori ringraziano

La manovra economica bis del Governo Berlusconi ha suscitato notevoli contestazioni nelle opposizioni ed in alcuni esponenti della maggioranza perché non affronta il problema non più procrastinabile della crescita della ricchezza nazionale, non introduce elementi di equità, taglia i fondi alle regioni ed agli enti locali con gravi ripercussioni sui servizi sociali e fa pagare il costo della manovra a coloro che sono in regola con il fisco.
L’attuazione del contributo di solidarietà, provvisorio per tre anni,a carico di coloro che possiedono un reddito superiore a 90 mila euro conferma l’equilibrio esistente e non interviene strutturalmente nel sistema paese. E’ il metodo più facile per conseguire l’obiettivo del pareggio di bilancio a spese dei soliti noti.
La manovra cosi come è stata approvata colpisce il lavoro ed il ceto medio e non affronta il grave problema dell’evasione fiscale, le cui risorse se introitate potrebbero sostenere gli obiettivi della manovra e realizzare una maggiore equità fiscale.
L’evasione fiscale viene trattata nella manovra economica come uno dei tanti problemi e non il primo problema dell’Italia che ricade sulla giustizia sociale, decurta la ricchezza nazionale e non permette di realizzare un sistema fiscale equo ed efficace.
L’evasione fiscale, la quale ha un imponibile di circa 270 miliardi ed un mancato introito di circa 125 miliardi, genera ingiustizia perché fa pagare di più i contribuenti onesti per circa 3.000 euro pro capite. Negli ultimi 30 anni il lavoro dipendente ha pagato tasse maggiori per circa 870 miliardi di euro.
Il Partito Democratico subito dopo l’approvazione in Consiglio dei Ministri ha presentato una manovra alternativa che consta di 7 proposte, di cui 2 fanno riferimento all’evasione fiscale.
Il PD prevede un prelievo straordinario “una tantum sull’ammontare dei capitali esportati illegalmente e scudati, in modo da perequare il prelievo su questi cespiti alla armonizzazione della tassazione sulle rendite finanziarie al 20 per cento e di adeguare l’intervento italiano alle medie delle analoghe misure prese nei principali paesi industrializzati”. Questa proposta è condivisa dal parlamentare del Pdl Maurizio Lupi.
Inoltre, il Pd ripropone alcune misure anti-evasione introdotte dal Governo Prodi ed abolite dall’attuale Governo che si indicano di seguito:
“a) tracciabilità dei pagamenti superiori a 1.000 euro (pensare a somme più elevate significa lasciare di fatto tutto come è oggi) ai fini del riciclaggio e soglie più basse, a partire dai 300 euro, per l’obbligo del pagamento elettronico per prestazioni e servizi;
b) obbligo di tenere l’elenco clienti-fornitori, il vero strumento di trasparenza efficiente;
c) descrizione del patrimonio nella dichiarazione del reddito annuo con previsione di severe sanzioni in caso di inadempimento”.
L’epoca di scovare l’evasione fiscale con i soli accertamenti diretti è finita in quanto i risultati sono modesti ed inefficienti. Oggi occorre che la Agenzia delle Entrate disponga di dati ed informazioni da sottoporre ad elaborazione attraverso un sistema di informazione analitica che permetta di individuare e colpire gli evasori nei diversi campi: fiscale, previdenziale e sanitario. Pertanto, occorre che gli organi competenti dispongano di tutti i dati e flussi di informazioni utili a normalizzare il livello dell’evasione fiscale rapportandolo a quello degli altri paesi.
Sulla lotta all’evasione fiscale vi sono le condizioni per realizzare un ampio consenso tra le forze politiche a meno che non vi siano ancora esponenti politici che antepongono alla trasparenza la privacy. Falso problema per l’Italia che ha bisogno di rinnovare il proprio sistema per uscire dalla crisi e realizzare un nuovo equilibrio di equità.
Il Pd si pone l’obiettivo di far pagare chi detiene una maggiore ricchezza e propone “una imposta ordinaria sui valori immobiliari di mercato, fortemente progressiva, con larghe esenzioni e che inglobi l’attuale imposta comunale unica sugli immobili, in modo di ricollocare l’Italia nella media e nella tradizione di tutti i maggiori paesi avanzati del mondo”.
Quest’ultima proposta accompagnata dalle misure anti-evasione rappresenta una valida alternativa al contributo di solidarietà non condiviso dalle opposizioni e osteggiato strumentalmente dal premier e da alcuni esponenti della maggioranza. Il contributo di solidarietà ha il grave difetto di richiedere sacrifici a chi già paga le imposte e colpire il ceto medio, come nella precedente manovra, con l’effetto di impoverire le classi sociali (ceto medio e debole) che sostengono la domanda di consumo e, quindi, l’economia del paese. Inoltre, occorre rivedere i tagli alle autonomie locali perché anche in questo caso si provocano dei disagi sociali nel settore dei servizi.
Vi è una grande differenza tra il contributo di solidarietà approvato dal Governo e le misure proposte dal Pd: - il contributo di solidarietà è un intervento temporaneo e congiunturale che non modifica il sistema che dopo la scadenza ritornerà come prima; - le misure anti-evasione e l’imposta sul patrimonio immobiliare proposte dal Pd sono misure strutturali che cambiano l’equilibrio esistente e lo modificano in modo equo.
Proposte del PD
Intervista a Pierluigi Bersani su Repubblica

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giovedì 11 agosto 2011

Franco Bonfante: Agsm e Hellas di Verona

Franco Bonfante, vice presidente del Consiglio Regionale, ha presentato un’interrogazione alla Giunta Regionale sulla sponsorizzazione della squadra di calcio Hellas Verona da parte della società Agsm, controllata dal comune di Verona. Inoltre, l'interrogazione parla di intimidazioni alla stampa e di tariffe agevolate agli abbonati della squadra Hellas.
Questa decisione di Agsm che penalizza gli utenti e privilegia la società calcistica di Verona ha aperto un dibattito acceso nella città ed è finita con una interrogazione in parlamento e adesso in Consiglio Regionale Veneto grazie all’impegno di Franco Bonfante.
Si riporta l’interrogazione completa di Franco Bonfante.
- Richiamata la dichiarazione dell’allora Vicepresidente della Giunta Regionale e attuale Assessore della Lega Nord Franco Manzato che in data 5 agosto 2008 preannunciava per il giorno seguente una conferenza stampa a Palazzo Balbi, assieme al Presidente del Chievo Verona, unica squadra veneta di calcio di serie A, per comunicare la sponsorizzazione della squadra con 1 milione di euro, grazie ai fondi stanziati per la promozione turistica (Buy Veneto): “Io non sponsorizzo una squadra di calcio, ma il territorio veneto, abbinando il logo della Regione e i prodotti tipici. Una scelta consentita dal Pea, il piano regionale per le sponsorizzazioni votato dalla giunta. Il Chievo ha avuto il premio simpatia, il premio fair play, garantisce una visibilità enorme”;
- Ricordato che l’iniziativa venne bocciata in primo luogo dai colleghi di giunta di Manzato: “…Il provvedimento non sta in piedi, né tecnicamente né come filosofia. Abbiamo 30 atleti veneti che vanno alle Olimpiadi e si pagano viaggio e allenamenti, per non parlare di tutto lo sport amatoriale. E poi se si apre un capitolo di spesa deve valere per tutti: perché solo serie A e non anche serie B, promozione, altri sport?”, in secondo luogo venne bocciata anche da autorevoli esponenti della Lega Nord, come l’attuale Vicecapogruppo in Consiglio Regionale e all’epoca Assessore del Comune di Verona Tosato: “perché sponsorizzare una società di calcio e non altri sport e perché proprio il Chievo e non un’altra squadra?”, infine venne bocciata anche dai rappresentanti dell’opposizione, fra i quali il sottoscritto, che sottolinearono l’inopportunità di una scelta a favore di società professionistiche che possono avere anche utili da distribuire e pagano milioni di euro per un giocatore, quando invece compito delle istituzioni pubbliche deve essere favorire la pratica e l’educazione sportiva, in particolare delle giovani generazioni; ognuno, alla luce degli avvenimenti del 2008 e di quelli di questi giorni, può valutare la coerenza dei comportamenti;
- Rilevato che recentemente AGSM, società pubblica interamente di proprietà del Comune di Verona, ha formalmente approvato la sponsorizzazione di 700.000 euro (+IVA) in due anni (per il secondo anno è un diritto di opzione) a favore della squadra di calcio di serie B del Verona Hellas, somma non prevista dal budget relativo al marketing e quindi certamente idonea a ridurre l’utile netto annuo d’esercizio che va interamente al Comune di Verona per le attività istituzionali, sociali, scolastiche, ecc..; per “curiosa” coincidenza la cifra di 700.000 euro è leggermente inferiore al debito che il Verona Hellas ha nei confronti del Comune per l’affitto ed i servizi dello stadio, cosìcchè la manovra appare come un aggiramento della legge del 2010 che vieta agli enti pubblici ogni tipo di sponsorizzazione a decorrere dal 2011 (si osserva inoltre che in proporzione ai rispettivi bilanci è come se la Regione effettuasse una sponsorizzazione di 15.000.000 di euro + IVA);
- Atteso che AGSM ha attivato una riduzione delle tariffe riservata agli abbonati allo stadio per le partite casalinghe del Verona Hellas, creando con tale scelta una discriminazione scontistica nei confronti di tutti gli altri clienti, particolarmente irritante in un periodo di forte crisi economica come l’attuale;
- Considerato che l’operazione ha ricevuto molte critiche da più parti, poiché tutte le osservazioni che erano state fatte nel 2008 sulla proposta di Manzato sono state ripetute in questa occasione, con la differenza che nell’agosto del 2008 la crisi finanziaria non era esplosa, non esistevano le gravi restrizioni a carico degli enti locali, non erano state approvate le leggi finanziarie che, a partire dal 2009, hanno aumentato le tasse, ridotto i servizi, vietato le sponsorizzazioni;
- Visto il comunicato dell’Hellas Verona F.C. di qualche giorno fa, inteso a criticare gli organi d’informazione per il loro interessamento alla vicenda, invitandoli a cessare di seguire la questione e a “..lasciare spazio all’informazione che interessa maggiormente i cittadini veronesi..” e la risposta di Assostampa che esprime il proprio disappunto, difendendo “…il diritto di cronaca che rappresenta l’essenza della professione giornalistica…”;
- Preso atto di voci diffuse e insistenti che riferiscono di forti pressioni, politiche e soprattutto commerciali, nei confronti delle concessionarie pubblicitarie degli organi di informazione veronesi, nonché della diffusione della “querelatio precoce”, contagiosa malattia che ha colpito Tosi ed il suo entourage e che comporta l’ossessivo avviso di querela, utilizzato il più delle volte per intimorire chi non ha i mezzi economici o la volontà per difendersi ed altre volte effettivamente presentata, con inutili intasamenti giudiziari e pervenendo quasi sempre al risultato dell’archiviazione per l’inconsistenza del loro contenuto; le voci, le dichiarazioni ed i comportamenti inducono a ritenere credibile che si voglia ottenere l’asservimento dell’informazione alle esigenze elettorali del Sindaco di Verona e dei suoi fedeli uomini inseriti ai vertici di AGSM, nonché l’incertezza e la debole reazione di chi, pur avendo opinioni diverse dal potere imperante, ne possa temere le ritorsioni;
interroga codesta Giunta Regionale per conoscere:
1) Se siano state date direttive ai componenti dei Consigli di Amministrazione delle Società partecipate della Regione Veneto in materia di sponsorizzazioni e, in caso negativo, se non ritenga utile ed opportuno procedere tempestivamente al fine di impedirle;
2) Se ritenga corretto che una società interamente pubblica possa sponsorizzare una società di calcio professionistico, sostituendosi di fatto all’Ente proprietario delle quote o azioni ( che nomina l’intero Consiglio di Amministrazione) e al quale la sponsorizzazione è vietata per legge;
3) Se non ritenga necessario intervenire, anche con una semplice dichiarazione, a tutela della libertà d’informazione, che non deve essere in alcun modo condizionata da pressioni e interferenze che ne limitino l’autonomia ed il diritto di rappresentare ai cittadini gli avvenimenti nella loro completezza.

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Crisi economica: Flavio Tosi e Franco Bonfante


Dichiarazione del consigliere regionale Franco Bonfante
"Se economicamente dovessimo seguire la ricetta di Tosi, torneremmo indietro di 2 secoli". Lo dichiara il vicepresidente del Consiglio regionale, Franco Bonfante (PD), in riferimento alle dichiarazioni del Sindaco di Verona, Flavio Tosi, apparse sui giornali e secondo cui il sindaco sostiene la necessità di colpire le grandi rendite finanziarie. "E' normale - ha precisato in una nota Tosi - ed è previsto dalla Costituzione che, in modo proporzionale, chi ha di più debba pagare di più". A questo proposito Bonfante annota però che la Costituzione, al II comma dell'articolo 53, recita esattamente che "il sistema tributario è informato a criteri di progressività". "Mi pare - sottolinea poi l'esponente del PD - ci sia una netta differenza tra proporzionalità e progressività. L'imposta patrimoniale richiamata da Tosi - prosegue Bonfante - c'è già, colpisce seconde e terze case, ma anche negozi, uffici, capannoni, terreni: si chiama IMU, entrerà in vigore con aliquote elevate tra poco più di un anno ed è stata inserita dalla Lega Nord nelle norme sul federalismo fiscale per compensare i tagli ai comuni. Se il federalismo che risolve i problemi dell'Italia è questo, - si salvi chi può! Per il rilancio economico del paese, - sostiene il vice presidente del Consiglio - non esistono ricette semplicistiche, ma un insieme di azioni che spostino il carico in positivo da lavoro e produzione a rendite e transazioni finanziarie ed a rendite immobiliari. Occorre inoltre coinvolgere maggiormente i lavoratori nella gestione delle imprese, come in Germania. La riduzione degli sprechi - conclude Bonfante - va non solo dichiarata, ma concretamente realizzata ognuno nel proprio ambito. A Verona, ad esempio, in un utilizzo più sobrio delle società pubbliche, sia nelle assunzioni che nelle sponsorizzazioni, e nella liberalizzazione attraverso la vendita delle azioni sul mercato".

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Governo senza strategia in Parlamento

Ieri è stata una giornata nera perché l’andamento delle borse è stato negativo e vuota in quanto l’incontro tra il Governo e le parti sociali non ha prodotto risultati e non li poteva produrre per responsabilità del Governo che non ha presentato alcuna proposta e non ha reso trasparente la lettera ricevuta dall’Unione Europea.
Tutto questo lascia presupporre che il Governo non ha ancora le idee chiare o meglio non ha costruito una strategia credibile e responsabile per affrontare la crisi finanziaria ed economica che condiziona il nostro paese.
Il Governo non tiene conto dei seguenti fattori la cui assenza influisce negativamente sulla credibilità dell’Italia da parte del mercato:
- Velocità. La grave crisi che colpisce l’Italia ed il pianeta richiede velocità nelle decisioni e non annunci disattesi come è abituato a fare Berlusconi. L’inversione di tendenza dei mercati non può essere realizzata con la politica del rinvio e dell’incertezza.  I cambiamenti che si stanno realizzando nel mondo sono veloci e non si fermano per aspettare i ritardi nelle decisioni del Governo Italiano.
- Coesione nazionale. Tale fattore proposto dal Presidente Napolitano può essere realizzato con il coinvolgimento dei partiti dell’opposizione e delle parti sociali. Fino a questo momento gli intenti del Governo sono opachi e non sono stati mai sottoposti al vaglio delle parti sociali e dell’opposizione. Troppo facile adottare provvedimenti in modo unilaterale in assenza di un dialogo e di un confronto serio per il bene del paese e senza avvalersi del contributo degli altri soggetti che non partecipano al Governo del paese. Questo comportamento rende inattuabile il messaggio del Presidente Napolitano. In questo caso la responsabilità del fallimento sarebbe da ascrivere al Governo ed alla maggioranza.
Anche stamattina in sede di Commissioni riunite Affari costituzionali e Bilancio di Senato e Camera il ministro Tremonti non ha svolto una relazione completa e trasparente sulle misure che il Governo intende prendere a breve termine. Quella di stamattina è stata una riunione interlocutoria e niente di più.
Per un aggiornamento più completo siamo costretti a fare riferimento ai giornali ed mass media perché nei momenti istituzionali il Governo non è aperto e trasparente.
In questi ultimi giorni mi hanno colpito alcuni articoli:
- Il podestà forestiero di Mario Monti. In questo articolo Monti descrive l’accettazione delle decisioni principali di un governo sopranazionale e mercatista. Il Governo Italiano ha prima rivendicato la propria autonomia nel risolvere i problemi dell’Italia e rifiutato un impegno comune con i partiti dell’opposizione e dopo ha accettato le decisioni tecniche dell’Europa.
- Costi della politica. Ecco i tagli che potete fare subito di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella. Gli autori di questo articolo indicano 6 facili modi per ridurre i costi della politica a cominciare dal taglio dei parlamentari e dalla introduzione della regola che i parlamentari in base alla quale un deputato non può svolgere altre attività. Si tratta di proposte facilmente attuabili che possono recuperare il rapporto di fiducia tra i cittadini e la classe politica.
- In cerca di Leader di Alberto Alesina. Nell’articolo Alesina sottolinea la mancanza di grandi leader che si vedono nei momenti difficili e non nella gestione ordinaria dello Stato. I leader mettono il bene comune al primo posto nei momenti di crisi. Alesina non vede leader nel mondo odierno, compreso Berlusconi ed alla fine dell’articolo afferma “ridateci Einaudi, De Gasperi, Thatcher, Reagan, Clinton, Blair e Kohl prima che sia troppo tardi.
Nei tre anni di Governo del centro destra i problemi del paese sono stati messi da parte per dare spazio ai problemi personali di Berlusconi. Per tale motivo e per l’incapacità dell’attuale Governo e del premier di affrontare in modo efficace i problemi del paese occorre un nuovo leader che riporti il paese a crescere e che risolvi le iniquità di un sistema che non regge più.
La mancanza di leader in Italia ha portato il paese in queste condizioni disperate.
Antonio Polito ha rivolto delle dure critiche al PD, smentite da un altro articolo pubblicato sul medesimo giornale che riporta la proposta del PD e dall’intervento di Pierluigi Bersani in parlamento. Le critiche di Polito andavano rivolte al PDL e a Berlusconi perché il PD oltre che proporre delle giuste misure e impegnarsi per una alternativa efficace all’attuale governo per il bene comune non può far altro in quanto a differenza del Governo non gestisce gli strumenti del governo dell'economia.   

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mercoledì 10 agosto 2011

Pietro Ichino: riforma del diritto del lavoro

Lettera di Pietro Ichino sul lavoro pubblicata il 10 agosto 2011 sul Corriere della Sera
Caro Direttore, il ministro Sacconi ha ragione quando denuncia (sul Corriere di ieri) la persistenza dei tabù della vecchia sinistra politica e sindacale sulle riforme in materia di lavoro. Ma dimentica che quegli stessi tabù sono presenti e fortemente radicati anche nel centrodestra. Per esempio, sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, in materia di disciplina dei licenziamenti, è solo di un anno fa l’apologia del “posto fisso” clamorosamente compiuta dal ministro Tremonti. Questo fa sì che Sacconi sia poco credibile quando annuncia il suo intendimento di sostituire a colpi di maggioranza lo Statuto del 1970 con un nuovo “Statuto dei lavori”. E ancor meno credibile quando su di una materia così delicata e incandescente si propone di chiedere al Parlamento una sorta di delega in bianco al Governo.
Per far cadere i tabù occorre la talpa che scava sotto di essi minandone le basi nell’opinione pubblica; occorre il lavorio faticoso delle discussioni sui quotidiani e sul web, dei mille dibattiti serali nelle feste di partito, di sinistra e di destra, anche nei luoghi più sperduti, magari con la partecipazione soltanto di 50 o 100 persone. Certo, lo scavo della talpa non basta: per far cadere il tabù è sempre necessario anche un evento un po’ eccezionale, capace di determinare una accelerazione delle scelte politiche. Ma se la talpa non ha lavorato, o il suo lavoro viene ignorato, anche quell’accelerazione non si dà, o non produce buoni risultati.
Si obietterà che la crisi finanziaria gravissima in cui versa il Paese esige decisioni rapide e incisive, che dunque non c’è il tempo per il lavoro della talpa. D’accordo. Ma negli ultimi anni la talpa ha già scavato a lungo, sia a sinistra sia a destra. Lo ha fatto su un progetto di radicale riscrittura e semplificazione dell’intera disciplina dei rapporti di lavoro nella forma di un nuovo codice del lavoro in 70 articoli, che mira al superamento del regime attuale di apartheid tra protetti e non protetti, comprendendo anche una radicale riforma della materia dei licenziamenti ispirata alle migliori esperienze nord-europee. Il progetto è stato presentato in Parlamento già due anni fa da 55 senatori del Pd e radicali (disegno di legge n. 1873).
Da allora, attraverso centinaia di convegni, dibattiti, confronti pubblici e privati, ha allargato notevolmente la propria base di consenso, come è dimostrato dalla mozione bi-partisan, primo firmatario Francesco Rutelli, che il 10 novembre scorso il Senato ha approvato con 255 voti favorevoli e soltanto 24 contrari o astenuti, alla presenza del ministro del Lavoro Sacconi. Quella mozione, motivata dalla necessità di stimolare la ripresa della crescita economica del Paese, impegna il Governo a varare un testo unificato delle norme sul lavoro modellato proprio sul disegno di legge n. 1873. Che non si sia trattato di un episodio casuale e politicamente poco significativo è dimostrato dal fatto che, due mesi dopo l’approvazione di quella mozione, a Palazzo Madama alcuni senatori della Lega hanno manifestato esplicitamente il proprio favore al progetto, e alla Camera alcuni deputati di Futuro e Libertà capeggiati da Benedetto Della Vedova ed Enzo Raisi hanno lanciato l’iniziativa di un progetto di legge di iniziativa popolare per una riforma del diritto del lavoro ispirata esplicitamente all’impianto di quello stesso disegno di legge. Poco dopo hanno fatto proprio pubblicamente quel progetto, con un intervento sul Corriere dell’8 aprile scorso, anche Luca Cordero di Montezemolo e Nicola Rossi. E la “macchia d’olio” è andata allargandosi anche in seno al centrosinistra, se è vero che hanno espresso consenso a quel progetto non soltanto i leader delle due minoranze interne al Pd, Walter Veltroni, e Ignazio Marino, ma anche alcuni esponenti della maggioranza, come Enrico Letta e Massimo D’Alema, e ultimamente il “vecchio saggio” Giuliano Amato.
Il risultato del lavoro della talpa, dunque, si vede eccome, in tutto l’arco delle forze politiche. Proprio in questi giorni, poi, si è verificato anche l’evento eccezionale, quello capace di determinare una accelerazione delle scelte di governo in direzione del superamento del tabù. Secondo l’anticipazione del Corriere di lunedì, la Banca Centrale Europea, per bocca del suo Governatore uscente Jean-Claude Trichet e di quello entrante Mario Draghi, in via per ora ufficiosa, ci indica tra le condizioni necessarie per il suo intervento a sostegno del sistema Italia una profonda riforma del nostro diritto del lavoro. E non sfuggirà al ministro Sacconi che la BCE non ci chiede soltanto una riforma che porti “meno rigidità nelle norme sui licenziamenti nei contratti a tempo indeterminato”, ma anche un “superamento del modello attuale imperniato sull’estrema flessibilità dei giovani e precari e sulla totale protezione degli altri”. Dunque, il discorso non riguarda soltanto l’articolo 18 e non è affatto a senso unico: è un discorso assai più impegnativo, che va esattamente nella direzione del “codice del lavoro semplificato” proposto con il d.d.l. 1873.
Perché dunque, visto che quel progetto è maturo non soltanto sul piano tecnico-legislativo ma anche su quello politico, non partire da lì per elaborare la risposta che la BCE ci chiede con urgenza?

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domenica 7 agosto 2011

AGSM Verona: nuovo piano tariffario!

Il consigliere di amministrazione di Agsm Marco Burato propone di estendere a tutti i cittadini veronesi le agevolazioni effettuate agli abbonati della squadra di calcio Hellas Verona (5,5% in meno per l’energia, 1 centesimo di euro per ogni metro cubo di gas consumato). Fin qui la proposta di Burato che secondo me va integrata da misure di sostegno.
La società Agsm è una società che opera prevalentemente nella città di Verona ed in piccola parte nella provincia e per tale motivo occorre considerare gli utenti della provincia di Verona per evitare ulteriori discriminazioni nel caso in cui Agsm ritenga di abbassare le tariffe.
Si tratta di valutare un nuovo piano tariffario per tutti gli utenti al fine di superare le discriminazioni create da Agsm nei confronti degli utenti non titolari di abbonamento all’Hellas Verona.
Considerato che Agsm è un’impresa industriale, il nuovo piano tariffario per gli utenti di Agsm, il quale contrae i ricavi, per essere realizzato ha bisogno di essere sostenuto da risorse finanziarie da individuare nel bilancio della società.
Pertanto, occorre effettuare delle scelte che consentono la riduzione delle tariffe e la individuazione delle risorse finanziarie da destinare a tale scopo tra le quali si indicano:
- Riduzione dell’utile d’esercizio dal 2011;
- Riduzione dei costi di gestione attraverso la eliminazione degli sprechi e delle spese improduttive;
- La riorganizzazione del gruppo incorporando in Agsm quelle società controllate che per legge non devono essere gestite separatamente al fine di eliminare i costi degli organi di gestione e delle unità operative di supporto;
- La previsione di un unico consiglio di amministrazione per tutte le società controllate da Agsm con la corresponsione di un’unica indennità agli amministratori.
Agsm per crescere e per competere nel mercato dell’energia ha bisogno di scelte aziendali ambiziose e strategiche che superino il rapporto strumentale con la politica.
Il dibattere di sponsorizzazione alla squadra di calcio Hellas Verona e di agevolazioni tariffarie a favore degli abbonati all’Hellas Verona è grave in quanto tali problemi non dovrebbero esistere in una gestione aziendale che fa gli interessi dell’azienda e della comunità locale. Il dibattito deve trattare temi importanti per Agsm: La crescita, le alleanze, l’organizzazione e la strategia aziendale.

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