mercoledì 28 aprile 2010

Per diventare giornalisti pubblicisti

di Andrea Curiat - Repubblica degli stagisti
“Un'’inchiesta della testata online Repubblica degli Stagisti sulle magagne dell'’iscrizione all'albo pubblicisti
Costa caro il sogno di diventare giornalisti: molti giovani pur di realizzarlo pagano di tasca propria.
Tante testate dichiarano il falso, fingendo di pagare i pezzi, altre fanno addirittura sborsare agli aspiranti pubblicisti le ritenute d’'acconto
Il sito Repubblica degli Stagisti pubblica oggi le testimonianze esclusive di due giovani aspiranti giornalisti costretti a falsificare le ricevute fiscali pur di ottenere il tesserino da pubblicisti (per il quale bisogna provare di aver svolto attività giornalistica continuativa e retribuita, per almeno due anni – scrivendo almeno un tot di pezzi all'’anno e ricevendone in cambio una retribuzione). Un problema sommerso, più diffuso di quel che si potrebbe credere: «La mia storia non è molto diversa da quella di tanti altri», racconta alla testata online il pubblicista “Carlo” (un nome di fantasia attribuito dalla redazione per tutelare il testimone). «Pezzi scritti e non pagati, in barba alla legge. Retribuzione ovviamente certificata da parte dell'’editore, dichiarando il falso». (link all'’intera testimonianza: http://www.repubblicadeglistagisti.it/article/testimonianza-carlo-diventato-pubblicista-scrivendo-gratis-su-testata-giornalistica-aziendale).
Qui il resto del post E Franca (altro nome di fantasia, altro racconto di vita reale) aggiunge: «Ho accettato di pagarmi da sola i contributi scrivendo per un blog online. Il direttore mi rilascia le ritenute d'’acconto e io gli restituisco i soldi in contanti. Ovviamente non ho nessuna retribuzione: di fatto, pago in tasse circa 160 euro ogni sei mesi e in più lavoro gratuitamente». (link testimonianza: http://www.repubblicadeglistagisti.it/article/testimonianza-pubblicista )
Un problema grave che costituisce il perno di una nuova inchiesta della Repubblica degli Stagisti, sempre impegnata a tutelare i giovani che si affacciano al mondo del lavoro. Il giornalista Andrea Curiat ha interpellato i venti Ordini regionali chiedendo cosa facciano, in concreto, per scongiurare queste truffe, e ha raccolto nell'’articolo «Disposti a tutto pur di diventare giornalisti pubblicisti: anche a fingere di essere pagati. Ma gli Ordini non vigilano?» (http://www.repubblicadeglistagisti.it/article/articolo-finti-pubblicisti-contromisure-ordini ) le risposte di alcuni presidenti degli Odg – tra cui Claudio Laugeri, della Valle d’Aosta, che auspica «l'attribuzione di un potere ispettivo anche all'Ordine, come già avviene per l'Inpgi» rimarcando però che questo non fa parte del progetto di riforma, e Stefano Pallotta, dell’'Odg d’'Abruzzo, che invoca l'’istituzione di una laurea in giornalismo per uniformare l'’accesso e «democratizzare il sistema».
Tra l’'altro, questo malcostume è completamente illegale: secondo l’'avvocato Gianfranco Garancini, intervistato dalla Repubblica degli Stagisti, le testate che fingono di pagare i propri giornalisti «commettono un complesso di reati che può includere truffa ed evasione fiscale, per non parlare della gravità di un simile atteggiamento dal punto di vista etico». Ma attenzione, avverte l’'avvocato: anche gli aspiranti giornalisti sono «correi», e potrebbero quindi andare incontro «a pene di tipo economico e detentivo».
(l’'intera intervista è al link http://www.repubblicadeglistagisti.it/article/intervista-avvocato-franco-garancini-cosa-rischia-chi-falsifica-documentazione-iscrizione-albo-giornalisti-pubblicisti
La Repubblica degli Stagisti pubblica anche una tabella e un approfondimento con il confronto dei requisiti e dei costi per l'’iscrizione all’'albo dei pubblicisti nelle varie regioni (http://www.repubblicadeglistagisti.it/article/tabella-iscrizioni-pubblicisti-ordini-regionali). Si scopre così che le spese per i futuri giornalisti «variano dal minimo di 262 euro dell’Umbria al massimo di 582,62 euro per la Sicilia», e che nel Lazio c'’è «un pubblicista ogni 500 abitanti», contro i 5 o 6 su 10mila residenti in Puglia e Liguria. Variabile anche la retribuzione richiesta, da 300 euro in Sicilia a 3mila euro nel Lazio, in bilico tra due necessità: «Da un lato, l'’esigenza di non porre paletti troppo rigidi per consentire al maggior numero di giovani possibili di diventare pubblicisti; dall'’altro, la volontà di evitare lo sfruttamento dei ragazzi con paghe da fame».”
La fondatrice e direttrice di Repubblica degli stagisti è Eleonora Voltolina, la quale scopre nel mondo del lavoro tante cose che non vanno bene come i superstage in Calabria ed in Basilicata per i quali sono state presentate delle interrogazioni dal senatore Pietro Ichino senza ricevere alcuna risposta nonostante sia trascorso molto tempo dalla data degli avvenimenti.
Repubblica degli Stagisti si pone l’obiettivo di tutelare e sostenere i giovani che si trovano ad effettuare gli stage. Inoltre, propone degli stage garantiti dal punto di vista della legalità ai giovani con lo strumento Bollino OK Stage e con la Carta dello Stagista che viene sottoscritta dalle aziende che si impegnano a rispettare alcuni principi.
I giovani prima di avventurarsi negli stage dovrebbero collegarsi al sito Repubblica degli Stagisti e farsi consigliare e valutare le offerte delle aziende.
Sappiano i giovani che nonostante tutte le irregolarità scoperte Eleonora non demorde e continua con maggior impegno a sostenere i diritti dello stagista e del suo futuro.
Repubblica degli Stagisti è presente in Facebook

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Il raccolto della speranza

di Nadia Lazzaro

Il  27 aprile 2010 rimarrà una data importante per la nostra Calabria: ad Isola Capo Rizzuto nei campi confiscati alla ‘ndrangheta c’è stato il primo raccolto di candidi e pennacchiuti finocchi. Un sole splendido illuminava e riscaldava ragazze e ragazzi, uomini e donne calabresi che eravamo lì, insieme a Don Ciotti, ai membri di Libera Calabria e alle forze dell’ordine per festeggiare i primi frutti di questa terra sempre stigmatizzata come “aspra e amara”, ma che è madre dolce ed accogliente, quando i suoi figli non la oltraggiano spargendo sangue ed ignominia.
Le nozze tra il profumo di finocchio e camomilla diffondevano nell’aria una sonorità briosa e tenera, come di un valzer mescolato ad una tarantella, e nonostante il nostro atteggiamento composto, non particolarmente festaiolo ( ma noi calabresi siamo fatti così: burberi e sensibili allo stesso tempo) i nostri visi non potevano nascondere la contentezza di condividere un momento di speranza così forte. Oggi mi sono sentita fiera di essere calabrese, e ho sentito che possiamo farcela ad impedire che altre iniquità, come i fenomeni di razzismo a Rosarno, come i continui assassinii di ‘ndrangheta, macchino una terra così bella. Grazie ragazze e ragazzi che oggi siete venuti: questa è la vostra eredità e dovete imparare a custodirla gelosamente. Grazie procuratori e forze dell’ordine, che rischiate di continuo la vita per un valore purtroppo così desueto ai nostri tempi: la giustizia. Grazie Don Ciotti, grazie Libera, grazie per la vostra instancabile testimonianza di resistenza ad ogni ottusa ferocia.
Commenti
Alfonso De Stefano.Complimenti a te Nadia e a tutti i Calabresi. Da meridionale, non molto lontano da Voi, comprendo benissimo il vostro stato d'animo, le vostre speranze e le vostre perplessità. Più di tutto, condivido l'entusiasmo e la voglia enorme di riconquistare libertà e quella dignità più voltre oltraggiate da ignobili eventi. Un caro saluto.
Antonino Leone. Ti ringrazio dell'informazione e delle emozioni che ho sentito, grazie alle tue parole, per la nostra terra. Certo molte cose vanno cambiate ma le tappe che si concludono offrono una grande speranza per continuare ad impegnarsi perché la Calabria possa cambiare nella solidarietà e nella giustizia.
Teodora Gagliardi. Splendida giornata, con tanto sole e tanta voglia di condividere un momento particolare. Ringrazio il presidio di Libera Cosenza per questo percorso difficile ma importante intrapreso. Una speranza: riuscire a raccogliere insieme tutti i frutti della legalità anche nella nostra provincia.
Bè, dichiaro ufficialmente fotografa ufficiale la mia amica Nadia ( io mi propongo come assistente)........"

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martedì 27 aprile 2010

Trasparenza e valutazione: A parole tutti d’accordo

Il confronto che si è realizzato nel PD sulle nomine nei consigli di amministrazione delle società partecipate del Comune di Verona è scaturito dal documento EntiTrasparEnti, dalla lettera del Circolo PD Ottava Circoscrizione e dai post pubblicati sul mio blog.
Senza tali documenti di tale problematica non se ne sarebbe parlato per niente ed è forse questo che infastidisce.
Il dibattito non affronta in modo adeguato il problema proposto e non tiene conto dell’impegno dei sottoscrittori a contribuire affinché il PD si adegui alle esigenze richieste dalla società nel terzo millennio in tema di democrazia, trasparenza, valutazione e competenze.
Il regolamento del comune di Verona non prevede nel processo delle nomine, come ad esempio avviene nel comune di Bologna, la trasparenza e la valutazione delle competenze dei candidati. Di conseguenza permette ai consiglieri comunali di scegliere i candidati senza entrare nel merito delle competenze possedute dalle persone che hanno presentato la propria candidatura.
Per tale motivo il PD ha il dovere di supplire a questa carenza per raccordarsi con i cittadini veronesi in due modi:
1) Il gruppo consiliare del PD presenta una proposta di regolamento comunale che preveda i fattori prima indicati (trasparenza, valutazione e competenze);
2) Il PD, nel caso in cui la prima opzione non sia praticabile, adegui la propria strategia approvando una regolamentazione delle nomine che regoli la trasparenza nei confronti degli iscritti e degli elettori veronesi, i criteri, i requisiti e la valutazione delle competenze.
Nell’espletamento di certi ruoli non è sufficiente la buona volontà e l’impegno dei soggetti ma occorre competenza cioè il saper fare. Infatti, l’on.le Federico Testa dichiara che “le persone che vengono candidate devono possedere, al di là della buona volontà, le competenze minime per poter svolgere adeguatamente il loro ruolo”.
I fattori della trasparenza, della valutazione e delle competenze sono essenziali per il PD periferico e di Verona per creare un dialogo ed un rapporto con i cittadini, i quali sono sempre più interessati a conoscere, analizzare e valutare i comportamenti dei partiti ed a comportarsi di conseguenza negli appuntamenti elettorali.
Pietro Ichino in merito ai fattori indicati dichiara che “ogni comune, Provincia e Regione, cosi come ogni altro ente pubblico deve far propria fino in fondo la cultura della valutazione ….. della trasparenza, impegnandosi a fa si che le nomine nei consigli di amministrazione delle società che gestiscono servizi pubblici locali siano basate su criteri di competenza oggettivamente verificabili. Il Partito Democratico deve per primo attivarsi su questo terreno, impegnando tutti i propri amministratori locali”.
L’affermazione di Giandomenico Allegri, segretario provinciale del PD, che “non è lui l’interlocutore più adatto a esprimersi sulla questione” potrebbe significare che non intende promuovere negli organi del PD una decisione politica che assecondi nel processo di nomina la trasparenza, la valutazione e le competenze.
Giandomenico Allegri nel suo intervento non tiene conto che la disciplina delle nomine del comune di Verona non garantisce la trasparenza e la valutazione delle competenze e, pertanto, il PD se crede in questi fattori di cambiamento non deve adeguarsi allo stato delle cose ma avviare dei processi di innovazione al proprio interno ed in rapporto con gli iscritti ed i cittadini.
IL segretario provinciale del PD condivide le dichiarazioni di Ichino e Testa e crede:
- nella trasparenza >>> la applichi nei confronti degli iscritti e degli elettori;
- nella valutazione >>> la promuova nel PD e la faccia applicare dal gruppo consiliare;
- nelle competenze >>> sostenga le persone competenti attraverso l’applicazione del primo e secondo punto.
Per quanto riguarda il centralismo democratico devo dire con tutta franchezza che non provengo da certe tradizioni che nel passato lo hanno praticato e ne tantomeno condivido adesso tale pratica.
Il centralismo democratico verrà applicato solo nel caso in cui il gruppo consiliare del PD, competente per le nomine, agisca da solo, senza guida e regole e non tiene in considerazione i fattori proposti ma altri.
Se il PD veronese si affida per le nomine esclusivamente al regolamento comunale che esclude qualsiasi criterio e non elabora una linea politica propria che affronti in modo serio e responsabile tale questione si assumerà una grande responsabilità nei confronti degli iscritti e degli elettori.
All’indomani delle nomine i cittadini veronesi sapranno chi è stato eletto, quali competenze possiede e per quale motivo è stato designato nonostante che la valutazione delle competenze non venga effettuata ed il sito del comune e quello del PD non pubblicano i curriculum dei candidati.
La cultura della trasparenza s’impone da sola con i mezzi esistenti e, quindi, è inutile nascondere la verità in quanto essa si presenta alle persone in modo chiaro e non bastano le dichiarazioni dei responsabili di partito rivolte a normalizzare le questioni.
La trasparenza, la franchezza e l’ammissione degli errori effettuati consentono di creare un rapporto di fiducia tra le persone.
Credo che il PD dovrebbe praticare di più queste qualità per riavviare un dialogo con le persone e realizzare un rapporto di fiducia con gli elettori che si sta perdendo sempre di più.
Un ulteriore chiarimento: il primo documento è stato redatto dagli iscritti al circolo PD Ottava Circoscrizione ed il secondo da un gruppo di persone iscritte al PD che hanno espresso la medesima sensibilità rispetto ai criteri da seguire per le nomine negli enti. Dietro le persone non vi sono gruppi di potere, componenti del PD o interessi nascosti.
Si comunica che in Facebook è stato costituito il gruppo EntiTrasparEnti: Valutazione e Competenze che in pochi giorni ha raccolto il consenso di 501 persone. L’argomento delle nomine e della cultura della trasparenza, della valutazione e delle competenze non è più un problema veronese ma interessa le altre province.

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Allegri sulla richiesta di meritocrazia

Articolo di Laura Lorenzini pubblicato su DNEWS del 27 aprile 2010.
Il segretario provinciale replica alle lettere con cui l’ala vicino a Marino chiede nomine legate alle capacità professionali e non a principi di interesse politico
Ve ro n a
«Logiche correntizie? Credo che il Pd non le abbia mai utilizzate nella scelta dei componenti del cda. I criteri di selezione sono sempre stati improntati alla qualità e alla competenza, anche nell'ultima tornata».
Giandomenico Allegri,segretario provinciale del Pd, ritiene che il partito non abbia nulla da rimproverarsi sotto il profilo della meritocrazia in fatto di nomine. E quindi condivide solo in parte il contenuto dei due documenti sottoscritti dall'ottavo circolo del Pd e da un gruppo nato sotto l'ala innovatrice di Ignazio Marino, che esortano i vertici provinciali ad evitare logiche di scambio nelle scelte future sui membri cda delle società partecipate. Allegri precisa innanzitutto che non è lui l'interlocutore più adatto a esprimersi sulla questione, perché in base allo statuto non è la direzione provinciale del partito ad avere la competenza sulle nomine:   “Il regolamento dice che sono i gruppi consiliari a decidere le persone che andranno a sedere nei Consigli di amministrazione di Amia, Amt, Agsm e Agec. Certo,la scelta va fatta in accordo con il partito, ma in piena autonomia. Direi che questo sistema mi piace di più di quello suggerito, secondo il quale dovrebbe essere la segreteria a istituire una commissione selettiva. Questo sì mi sembrerebbe un ritorno al vecchio centralismo partitocratico”. Allegri esclude protezioni o nomi calati dall'alto dall'una o l'altra corrente interna: “Che i singoli possano avere dei rappresentanti di riferimento credo sia normale. Ma di qui a parlare di manuale Cencelli ne passa”.I componenti di minoranza dei cda condividono in pieno i criteri di trasparenza e meritocrazia, ma non accettano mitragliate nel mucchio: “Non credo che basti il bagaglio tecnico –dice ElisaLa Paglia, nel cda diAmia -.Servono persone motivate a lavorare per il bene dei cittadini. E bisogna dar loro fiducia,sotto esame. Semmai servirebbe più condivisione con i vertici del partito”.D'accordo Marco Burato,cda Agsm: “Finiamola dispararci addosso. Da parte nostra c'è lamassima disponibilità e trasparenza”. Lorenzo Dalai, Amt, crede che rivoluzionare i nomi nei cda, in questo momento, sarebbe un errore: “Il Pd, continuando a disfare, si sta sotterrando da solo. Servono anni per capire i meccanismi di una società partecipata”.
La proposta on line
Più di cento adesioni al documento che detta nuove regole per la scelta dei membri nei cda. La proposta on line, lanciata dal gruppo di esponenti del Pd, sta suscitando interesse anche fuori dalle mura veronesi. Tra le 115 sottoscrizioni ci sono anche quelle del senatore Pietro Ichino e del deputato Federico Testa. E in province vicine, come Venezia, c'è chi vuole riproporlo pari pari alle proprie direzioni di partito. Su Facebook è stato lanciato anche il gruppo Enti trasparenti.

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lunedì 26 aprile 2010

Pressing sui Democratici Spazio alla competenza

Articolo di Laura Lorenzini pubblicato su DNEWS del 26 aprile 2010
L’articolo di Laura Lorenzini descrive il confronto che si è avviato nel Partito Democratico di Verona sul problema delle nomine nelle società partecipate del Comune.
Una precisazione: il primo documento è stato redatto dagli iscritti al circolo PD Ottava Circoscrizione ed il secondo da un gruppo di persone iscritte al Partito Democratico che hanno espresso la medesima sensibilità rispetto ai criteri da seguire per le nomine negli enti. Niente di più e niente di meno.
Si riporta integralmente l’articolo.
“Ve ro n a
Cambiare criteri di scelta. E dunque stop a logiche correntizie e largo a competenza, titoli e professionalità. Sui cda in scadenza delle società partecipate non è solo il centrodestra ad essere messo sotto torchio per le nomine dei nuovi consiglieri e presidenti. Anche nel Pd parte la discussione per scegliere chi dovrà rappresentare la minoranza nei tavoli in cui si compiono scelte cruciali per i cittadini. E qualcuno auspica che il tema venga trattato presto in direzione provinciale, insieme a nodi di prim'ordine come il congresso provinciale previsto in maggio legato al rinnovo delle cariche. Due in sostanza, le linee in campo. Quella di chi propone di mantenere gli attuali esponenti fino alla scadenza del mandato Tosi, nella logica di una continuità e di un bagaglio di nozioni già acquisito. E quella di chi vuole cambiare rotta lanciando in campo persone dotate di chiare capacità e competenze. Vanno in questa direzione due lettere indirizzate al segretario provinciale del Pd Giandomenico Allegri:
una dal circolo di partito dell'ottava circoscrizione, l'altra da un gruppo che viene collocato nel solco di Ignazio Marino (l'ala innovatrice), firmata da giovani come Michele Fiorillo e Damiano Fermo e da Maurizio Carbognin, Antonino Leone, Francesco Magagnino,
Chiara Chiappa e Carmelo Furnari. «A breve, il partito sarà chiamato a rinnovare i suoi rappresentanti nei cda –s c r i vo n o - . E il Pd dovrebbe assumere una posizione netta. Riteniamo indispensabile affiancare ai discorsi sulla meritocrazia e al rifiuto del manuale Cencelli una pratica corretta ed effettiva, individuando le persone in base alla loro competenza. Bisogna evitare che la questione divenga per il Pd un grande mercato, in cui le nomine si trasformino in moneta di scambio per addomesticare le sorti del congresso provinciale».
Quattro le proposte come possibili sistemi selettivi. La prima è l'istituzione da parte della segreteria provinciale di una commissione tecnica, che raccolga in due settimane le candidature in base a meriti e competenze. La seconda è l'introduzione di un principio che preveda l'esclusione per un anno da cariche pubbliche elettive per coloro che accettano una nomina. Si chiede infine che tutto il processo sia pubblico e trasparente e che chi sia nominato dia puntuale rendiconto”.

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Nomine negli enti locali

In Italia lo spoils system introdotto non è in grado, a differenza di quello inglese e messicano, di attrarre talenti o manager di successo dal settore privato, ed è asservito alle volontà dei partiti governativi e rischia di realizzare clientelismo, di attentare all’imparzialità della PA e di alimentare la corruzione. La riforma Brunetta, grazie alle proposte del PD e del senatore Pietro Ichino relative alla introduzione della cultura della trasparenza e  delle competenze, prevede nuove regole che limitano lo spoils system.
Le autonomie locali rappresentano una fetta rilevante dello spoils system italiano ed attraverso la gestione dei servizi pubblici locali e di altre attività rivestono notevole valore per l’economia locale e per la qualità della vita dei cittadini.
Ad oggi non vi è alcuna legge che disciplini la materia delle nomine effettuate dagli enti locali e, quindi, molto spesso si ricorre a criteri non condivisibili che sono la conseguenza di accordi nascosti che non corrispondono al requisito della trasparenza e delle competenze. Tale metodologia restringe gli spazi di democrazia e mortifica la domanda di partecipazione dei cittadini utenti.
Gustavo Ghidini in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 12 ottobre 2009 afferma che “per affermarsi attraverso le istituzioni contano fedeltà, scambio di favori, appartenenze e altro …… facilita la penetrazione nell’amministrazione della cosa pubblica di personaggi legati a centri di corruzione e persino a poteri criminali”.
Vi sono Comuni che hanno adottato un regolamento per le nomine dei membri dei consigli di amministrazione delle società partecipate che disciplina la trasparenza, la valutazione, le competenze, le incompatibilità ed il controllo esercitato dalla Giunta e dal Consiglio comunale.
In molti casi i Comuni presentano una disciplina inadeguata che permette ai consiglieri comunali di scegliere i candidati senza entrare nel merito delle competenze possedute dalle persone interessate all’incarico. Si procede, quindi, alla pura e semplice nomina dei rappresentanti nelle società, realizzando una mera spartizione delle nomine tra maggioranza e minoranza ed all’interno di ciascun partito tra le componenti di esso. In questo caso non si applicano i fattori della trasparenza, della valutazione e delle competenze con il risultato che i cittadini stanno a guardare senza poter far nulla e subiscono la lottizzazione del potere.
Questa metodologia allontana sempre di più le comunità locali dal sistema politico ed amplia la sfiducia dei cittadini nei partiti e non è un caso che alle ultime elezioni regionali ha vinto il partito delle astensioni. Nonostante questo si persevera nell’errore e non si intravvede un piccolo segno di cambiamento.
In assenza di una legge che disciplini le nomine occorre adeguare i regolamenti degli enti locali, prendendo ad esempio i contenuti della legge n. 15 del 2009 e del decreto legislativo n. 150 del 2009, le cui disposizioni prevedono per gli organi sopra indicati dei requisiti di professionalità e di competenze rilevanti.
Il regolamento comunale potrebbe prevedere i seguenti elementi:
- Trasparenza. Avviso pubblico del Sindaco che informa le posizioni da coprire nelle società al fine di raccogliere le candidature di coloro che intendono ricoprire i ruoli indicati. Nel sito web del comune viene istituito un apposito spazio nel quale sono pubblicati tutti i documenti, le relazioni, le valutazioni, gli obiettivi da perseguire ed i dati di performance delle società, i curriculum dei candidati ed ogni altro atto necessario a realizzare la trasparenza;
- Requisiti. Per essere nominati nei consigli di Amministrazione delle società bisogna possedere i seguenti requisiti:
a) Laurea in economia e ingegneria gestionale o attinente l'azienda ed il settore di riferimento;
b) Conoscenza del settore specifico di mercato;
c) Conoscenza della strategia del settore;
d) Competenze finanziarie ed economiche;
e) Competenze in analisi di bilancio;
f) Valutazione curricula e nota illustrativa del lavoro svolto e degli obiettivi che la società a parere del candidato dovrebbe conseguire. I candidati sostengono un colloquio sui punti indicati.
- Valutazione. Una apposita commissione consiliare nella quale sono rappresentati tutti i gruppi consiliari ha il compito di selezionare e valutare le candidature e sottoporre al consiglio comunale i candidati selezionati. Le candidature selezionate con motivazione scritta sono sottoposti alla scelta del consiglio comunale.
- Incompatibilità. Occorre stabilire le incompatibilità delle candidature con il ruolo da ricoprire. Non è candidabile chi ha avuto una condanna in qualsiasi grado di giudizio, chi ha in corso un procedimento giudiziario per fatti gravi e per illeciti con attinenza alla attività svolta dalla società e dall’organo per il quale è espressa la candidatura e chi ha avuto rapporti di affari negli anni immediatamente precedenti con la società per la quale si candida. Per ristabilire un giusto rapporto tra politica e management è necessario prevedere delle incompatibilità per coloro che rivestono incarichi politici o siano stati candidati per le elezioni politiche ed amministrative negli anni precedenti al bando.
I gruppi consiliari dovrebbero presentare una proposta di regolamento comunale che disciplini i criteri ed i requisiti per le nomine nei consigli di amministrazione delle società di gestione dei servizi pubblici locali, introducendo la trasparenza, la valutazione e le competenze.
Nei comuni in cui non si procede alla approvazione di un nuovo regolamento nel senso indicato il Partito Democratico provinciale, compreso quello di Verona, deve fare propria la cultura della trasparenza e delle competenze. Tale cultura, introdotta dal PD nazionale in occasione della legge sulla PA, permette che le nomine “si basino su criteri di competenza oggettivamente verificabili” (Ichino).
“Queste imprese svolgono un ruolo importante per i cittadini e le collettività, e le persone che vengono candidate devono possedere, al di là della buona volontà, le competenze minime per poter svolgere adeguatamente il loro ruolo” (Testa).
Come procedere? Il PD informa tutti gli iscritti delle nomine e li invita se interessati a presentare curriculum e nota illustrativa. Le candidature possono essere valutate e selezionate da una commissione o comitato o altro organismo. Le candidature selezionate con motivazione scritta sono sottoposti all’approvazione degli organi competenti (direzione del PD provinciale e gruppi consiliari). Le candidature approvate vengono sostenute dai gruppi consiliari nelle sedi competenti alla nomina. Dopo la nomina occorre pubblicare nel sito del PD curriculum e motivazione della persona nominata.
La trasparenza è uno strumento necessario per realizzare un rapporto di fiducia con gli iscritti e gli elettori. Mentre la valutazione delle competenze permette di proporre delle persone che siano in grado di migliorare la performance dei servizi pubblici locali.
Occorre considerare che il bene del PD e dei cittadini ha moralmente la precedenza sulle necessità dei leader.

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mercoledì 21 aprile 2010

Enti locali: trasparenza e competenze nelle nomine

Dichiarazioni di Pietro Ichino e Federico Testa

Il post su “Spesa pubblica, servizi locali e nomine” e la proposta indicata su “PD: è ora di cambiare” hanno destato l’interesse del senatore Pietro Ichino e del deputato Federico Testa, i quali hanno rilasciato una dichiarazione.
Il senatore Ichino con le sue proposte relative alla valutazione, trasparenza, competenza e benchmarking ha migliorato il testo del governo sulle Pubbliche Amministrazioni e creato le prospettive per un reale cambiamento che si fonda sui pilastri indicati.
“Oggi disponiamo di tecniche sofisticate, afferma Pietro Ichino, che consentono di quantificare con buona approssimazione efficienza ed efficacia di qualsiasi servizio o attività amministrativa; ma di fatto nelle nostre amministrazioni non si applicano neppure forme di valutazione assai più elementari, che pure consentirebbero di individuare sofferenze gravi e rami secchi, e fornirebbero indicazioni attendibili per una utilizzazione molto migliore delle scarse risorse disponibili. Ogni Comune, Provincia e Regione, così come ogni altro ente pubblico deve far propria fino in fondo la cultura della valutazione, stabilendo in modo trasparente i criteri di competenza e affidabilità per la nomina dei membri degli Organismi indipendenti di valutazione; e deve far propria fino in fondo la cultura della trasparenza, impegnandosi a far sì che le nomine nei consigli di amministrazione delle società che gestiscono servizi pubblici locali siano basate su criteri di competenza oggettivamente verificabili. Il Partito Democratico deve per primo attivarsi su questo terreno, impegnando tutti i propri amministratori locali”.
L’on. le Testa, responsabile di energia e servizi pubblici locali e docente di Economia e gestione dell’impresa, conosce molto bene quanto sia importante la competenza degli amministratori delle società di gestione dei servizi pubblici locali per realizzare una performance efficace.
“Credo il tema posto sia importante, afferma Federico Testa. La presenza in Enti o Società pubbliche è certamente la via attraverso la quale si riconosce il lavoro svolto all'interno del Partito. Ma non può essere solo questo. Non si può infatti dimenticare che queste imprese svolgono un ruolo importante per i cittadini e le collettività, e le persone che vengono candidate devono possedere, al di là della buona volontà, le competenze minime per poter svolgere adeguatamente il loro ruolo. E ciò a maggior ragione là dove si prefigura un ruolo di minoranza, proprio perché in tal caso ai compiti di gestione si affianca la necessità di vigilare con attenzione sulle scelte strategiche ed operative dell'Ente, mantenendo poi adeguatamente il collegamento con i gruppi consiliari ed il partito".
Penso che la nomina dei membri dei consigli di amministrazione non debba trasformarsi in una mera lottizzazione di potere tra maggioranza e minoranza e nel Partito Democratico in quanto i cittadini veronesi sono abbastanza attenti ai comportamenti dei partiti e, quindi, non si deve rischiare ancora una volta di perdere credibilità in un momento in cui dobbiamo riacquistarla.
Pertanto, ritengo che le nomine nei consigli di amministrazione delle società veronesi di gestione dei servizi pubblici si basino su criteri di conoscenza e competenza. Questa è la linea che il PD deve portare avanti nei consigli ed all’interno del partito sia nel caso in cui non si arrivi a nessun accordo con la maggioranza sia nel caso contrario.
Inoltre, occorre stare attenti a non nominare persone condannate in passato per tangentopoli.
Non è accettabile proseguire con i vecchi criteri e condividere le proposte e pensare di realizzarle dopo le nomine. Questa è una grossa contraddizione il cui prezzo verrà pagato dal PD in termini di serietà e credibilità.

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PD: è ora di cambiare

Cara Democratica, Caro Democratico,
scorre molta voglia di cambiamento nelle vene del nostro partito, a tratti originale, a tratti pretestuosa; alcuni si inventano innovatori e “ricambisti” senza averne i requisiti minimi, altri ci provano sul serio. Sicuri di interpretare una diffusa, reale e sincera volontà di cambiare passo, proponiamo a te, al segretario provinciale e a tutto il partito di iniziare sin da subito realizzando un’azione concreta che possa effettivamente, veramente, dimostrare alla collettività che il Partito Democratico di Verona intende avviare una profonda fase di cambiamento.
A brevissimo, il partito sarà chiamato a rinnovare i suoi rappresentanti nei consigli di amministrazione di alcuni importanti enti partecipati. E’ noto, ed è una piaga su cui il Partito Democratico tutto dovrebbe assumere una posizione netta, che questo strumento è utilizzato dalla maggior parte delle forze politiche per radicare relazioni clientelari, che nulla hanno di sano e che sono ben distanti dagli interessi generali della collettività e dalla missione per cui quegli enti sono in essere. Riteniamo indispensabile affiancare ai discorsi sulla meritocrazia e al rifiuto dei manuali cencelli una pratica concreta ed effettiva fin dalle prossime scelte rendendo chiaro a tutti che le persone designate dal nostro partito sono state individuate in base alla loro competenza.
Siamo sicuri che anche tu vorrai personalmente impegnarti per evitare che l’appuntamento di oggi si trasformi per il Partito Democratico in un grande mercato dove le nomine si trasformino in moneta di scambio per addomesticare le sorti del congresso provinciale alle porte.
Pertanto avanziamo 4 proposte che siamo convinti tu, e chi come te dice di condividere la necessità di innovare, possa sottoscrivere:
1. Immediata istituzione da parte del segretario provinciale di una commissione tecnica, a tempo determinato, sopra le parti e composta da un numero limitato di persone con le competenze necessarie, che provveda a raccogliere in due settimane le candidature di tutti coloro che ritengono avere i meriti e le competenze adeguate.
Incaricare a tale commissione di (A) effettuare le necessarie valutazioni guidate dall’obiettivo primario di garantire un livello di competenza elevato ed adeguato alle nomine in discussione; (B) formulare una rosa di candidati da proporre al segretario provinciale che, accompagnandola alle proprie considerazioni, la sottoporrà per approvazione alla direzione provinciale appositamente convocata.
2. Introduzione della logica attraverso la quale coloro che accettano un incarico a nomina siano interdetti per 360 giorni dallo scadere della stessa dal candidarsi a cariche pubbliche elettive. E’ necessario limitare la cattiva pratica di approfittare della propria posizione di vantaggio per elargire finanziamenti o favori atti alla costruzione di consenso individuale o di fazione.
3. Assoluto impegno affinché tutto il processo sia reso pubblico e il più limpido possibile anche delineando per il futuro un codice di autoregolamentazione e costruendo una proposta per un quadro normativo ponendosi con ciò all’avanguardia in Veneto e in Italia.
4. Richiesta alle persone individuate di rispondere e rendicontare puntualmente del loro lavoro, a testimonianza concreta di responsabilità e di politica come servizio per il bene comune.

Maurizio CARBOGNIN, Chiara CHIAPPA, Damiano FERMO, Michele FIORILLO, Carmelo FURNARI, Antonino LEONE, Francesco MAGAGNINO

Tutti coloro che intendono sottoscrivere queste proposte lo possono fare  alla pagina
http://www.entitrasparenti.it/ o mail EntiTrasparENTI@gmail.com indicando nome, cognome, città ed email

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lunedì 19 aprile 2010

Nomine: lettera del Circolo PD Ottava Circoscrizione

E’ stata inviata una lettera dagli iscritti del Circolo PD dell’Ottava Circoscrizione al Coordinatore cittadino, ai consiglieri comunali, ai coordinatori dei circoli territoriali comunali ed al coordinatore provinciale del Partito Democratico di Verona tramite la quale viene posta attenzione al rinnovo dei consigli di amministrazione delle aziende partecipate o controllate dal Comune di Verona.

Si riporta la lettera. 

“Considerata la necessità di provvedere al rinnovo dei Consigli di Amministrazione, già scaduti o in scadenza, di AGSM, AMT, VERONAMERCATO e AMIA, i cui Statuti societari prevedono la nomina da parte del Sindaco di Verona di parte dei componenti;

Rilevato che, ai sensi dell’art. 26 dello Statuto Comunale, dovrà essere assicurato in seno ad essi la rappresentanza della minoranza;

Osservato che i candidati proposti, oltre ad essere in possesso dei requisiti necessari per essere eletti Consiglieri Comunali, devono avere una qualificata e comprovata competenza per studi compiuti, per funzioni svolte ed esperienza acquisita presso aziende pubbliche e/o private, per qualifiche professionali e attività di lavoro;

Chiediamo sia possibile confrontarsi su quali criteri si intendono utilizzare per l’individuazione dei candidati che dovranno rappresentare il Partito Democratico di Verona negli organismi in oggetto, in considerazione degli importanti riflessi che il ruolo da essi svolto può avere in termini di azione politica, di recupero di credibilità e di ricerca del consenso in un momento così difficile per il nostro partito”.

Si registra un interesse da parte degli iscritti a procedere alle nomine nelle società pubbliche dopo aver stabilito i criteri di designazione (competenze e conoscenze) per garantire una presenza professionalmente qualificata e valida nella gestione dei servizi pubblici locali.

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Spesa pubblica, servizi locali e nomine

Si registra in particolar modo nei momenti di crisi un aumento della spesa pubblica e con essa del disavanzo pubblico che in Italia nel 2009 si è attestato al 115,80% sul Pil. Il Pil è crollato  del 5,3%  nel 2009  e nel 2010 si prevede una crescita del Pil dello 0,9% . Inoltre, si percepisce che le risorse indirizzate ai ceti più deboli per alleviare gli effetti della crisi sono sempre insufficienti.
Si pone il problema della spesa pubblica in termini di quantità e di qualità. Una spesa pubblica improduttiva che non crea valore fa aumentare complessivamente i costi della macchina pubblica e nello stesso tempo toglie risorse da destinare ai costi sociali della recessione.
Su la Repubblica è riportata una inchiesta sugli Enti inutili, problema che si trascina da molto tempo, che garantiscono le poltrone ad un migliaio di amministratori con un costo complessivo di un miliardo di euro. Tali risorse potevano essere utilizzate in modo più proficuo per contrastare gli effetti della recessione. La Repubblica 16 aprile 2010
Nel caso degli enti e dei servizi pubblici la cui mission è superata dal tempo occorre adottare la politica dell’abbandono ed indirizzare le risorse finanziarie verso quelle attività che presentano una mission giusta ed adeguata ai tempi. I tagli indiscriminati non risolvono il problema delle spese improduttive.
Il Corriere della Sera riporta lo studio di Confartigianato sui servizi pubblici locali in Italia dal quale emerge la mappa degli sprechi. Inoltre, si evidenzia, oltre alle differenze tra Nord e Sud, la frammentazione della gestione, delle tariffe, dei compensi agli amministratori e dei risultati di gestione anche nelle medesime aree del paese. Corriere della Sera 13 ottobre 2009
Ritengo che in buona parte i risultati di gestione ed i livelli di tariffe dipendono dalla cattiva gestione dei servizi pubblici locali, la quale viene affidata a persone che non sempre possiedono i requisiti di merito, capacità e serietà. Di solito si eludono tali criteri che vengono sostituiti con la fedeltà, l’appartenenza, scambio di favori e altro. Corriere della Sera 12 ottobre 2009
Una lezione in materia di nomine è data dall’approvazione bipartisan da parte delle Commissioni parlamentari competenti dei membri della Commissione Centrale per la valutazione e la trasparenza delle amministrazioni pubbliche nel rispetto dei requisiti previsti dal decreto legislativo n. 150 del 2009. Inoltre, la commissione centrale con delibera n. 4 del 2010 ha deliberato i requisiti per la nomina dei componenti dell’Organismo indipendente di valutazione. Tali requisiti sono elevati e finalizzati a gestire al meglio i compiti assegnati agli organismi.
Tale delibera prescrive i seguenti requisiti: generali (cittadinanza, età, equilibrio di genere, divieto di nomina, interni ed esterni all’amministrazione, lingue, conoscenze informatiche, esclusività del rapporto), attinenti all’area di conoscenze (titolo di studio, tipologia del percorso formativo, titoli valutabili, studi e stage all’estero), esperienze professionali, capacità e trasparenza delle nomine. Inoltre, è prevista la presentazione del curriculum, di una nota illustrativa del lavoro svolto e degli obiettivi che l’Ente dovrebbe conseguire ed un colloquio. Come si può notare la nomina del membro nell’O.I.V. è molto impegnativa e richiede livelli di professionalità molto alti. CiVIT delibera n. 4/2010
Tutto questo nelle nomine effettuate dagli enti locali nelle società controllate o di proprietà non avviene e, pertanto, si procede molto spesso a designare persone per motivi diversi dalle competenze e conoscenze. I fattori che prevalgono nelle nomine sono la fedeltà verso chi ha proposto la nomina, l’appartenenza ad un partito o ad una componente di un partito. Tali regole sono prevalenti nella maggioranza e nell’opposizione ed ogni parte politica non entra in merito alla rappresentanza designata dalla parte avversa.
In definitiva è un gioco al massacro che non tiene conto delle qualità professionali di cui l’ente ha bisogno.
Questo stato di cose porta, oltre ad una cattiva gestione, a svuotare i consigli di amministrazione delle proprie competenze e a delegarle a persone che non fanno parte dell’organo di governo della società (assenza di un amministratore delegato componente del consiglio di amministrazione e deleghe conferite al direttore generale).
Le inefficienze e gli sprechi delle società di gestione dei servizi pubblici locali sono coperte dall’aumento delle tariffe a danno degli utenti ed in particolar modo dei ceti più deboli (pensionati, disoccupati, cassintegrati, lavoratori dipendenti con redditi bassi, lavoratori autonomi in crisi).
In assenza di una legislazione che disciplini le nomine a livello locale è necessario che i partiti prendano coscienza del problema, cambino percorso e si assumano la responsabilità di nominare persone professionalmente valide.
Per essere nominati in un consiglio di Amministrazione bisogna possedere i requisiti, adattati alla fattispecie, indicati dalla delibera n. 4 del 2010 del CiVIT.
Tra i requisiti da richiedere se ne indicano alcuni:
- Laurea in economia e ingegneria gestionale o attinente l'azienda ed il settore di riferimento;
- Conoscenza del settore specifico di mercato;
- Strategia del settore;
- Competenze finanziarie ed economiche;
- Competenze in analisi di bilancio;
- Valutazione curricula e nota illustrativa degli obiettivi che la società dovrebbe conseguire anche attraverso un colloquio.
La proposta descritta presenta un duplice effetto:
1) Migliorare e qualificare la presenza dei partiti nelle istituzioni pubbliche;
2) Nominare persone competenti che siano utili a migliorare la performance delle società di gestione dei servizi pubblici locali.
Si ricorda che nelle ultime elezioni regionali ha vinto il partito delle astensioni in quanto i partiti politici non godono di un’ampia fiducia nell’elettorato e per tale motivo occorre cambiare il modo di fare politica attraverso l’occupazione del potere per recuperare immagine e credibilità.
L’occasione delle nomine nei consigli di amministrazione delle società di gestione dei servizi pubblici locali è una occasione da non perdere per qualificare la presenza dei partiti e migliorare la performance dei servizi.
Da alcune settimane i giornali riportano l’impegno del centro destra di Verona a riequilibrare la mappa del potere della città tra gli alleati e credo che una proposta di approvare un regolamento comunale che regolamentasse i criteri ed i requisiti per le nomine negli enti non verrebbe accolto.
A questo punto il Partito Democratico di Verona dovrebbe tagliare i ponti con il passato ed introdurre un codice di regolamentazione per le nomine finalizzato a privilegiare le capacità, le competenze e le professionalità. Inoltre, i rappresentanti scelti dovrebbero assumersi l’onere della politica aziendale da perseguire e della trasparenza del loro operato nei confronti degli utenti.

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Intervento di Pietro Ichino alla Direzione del PD

Nella riunione della Direzione del Pd di sabato numerosi interventi hanno avuto per oggetto principale la politica del lavoro: tra i più esplicitamente favorevoli a una svolta decisa per il superamento del dualismo del nostro mercato del lavoro, oltre al mio intervento, quelli di Franco Marini, Ivan Scalfarotto e Ignazio Marino.
Quello che mi impressiona non è tanto lo scarto nel numero assoluto o nelle percentuali dei voti tra noi e l’attuale maggioranza: i consensi elettorali sono diventati sempre più volatili e, quando il vento come è probabile cambierà, potremo recuperare in fretta anche distacchi grossi come questi, se nel frattempo avremo curato la chiarezza e riconoscibilità della linea politica del partito, delle sue idee-forza. Mi impressiona di più il contrasto fra la ricchezza del nostro dibattito interno, del patrimonio di idee e di competenze di cui disponiamo (che a me sembra complessivamente superiore a quello del centro-destra), e l’incapacità del partito di compiere l’ultimo miglio indispensabile: estrarre da questo dibattito, da questo grande patrimonio le tre o quattro idee-forza sulle quali rendersi chiaro e riconoscibile per decine di milioni di elettori. Questa incapacità è dovuta solo in parte a un difetto di mezzi o tecniche di comunicazione: per la parte maggiore il difetto sta nell’incapacità del Pd di convincere se stesso delle proprie intuizioni migliori; quindi, a maggior ragione, di convincerne la maggioranza del Paese.
Faccio soltanto tre esempi, tratti tutti dalle poche materie in cui ho qualche competenza ed esperienza.
Sul terreno del miglioramento dell’efficienza delle amministrazioni pubbliche, all’inizio della legislatura abbiamo condotto una bella battaglia in Senato, precedendo il ministro Brunetta con il nostro disegno di legge e ottenendo che i tre principi cardine della nostra proposta – trasparenza totale, valutazione indipendente e benchmarking, tutti e tre assenti nel disegno di legge originario del ministro – diventassero i cardini della nuova legge, con l’istituzione della nuova autorità indipendente per la trasparenza e la valutazione. Avremmo potuto e dovuto fare di questi temi, tutti popolarissimi nel Paese, le idee-forza di una grande campagna volta a far conoscere ed esercitare dal maggior numero possibile di persone il nuovo diritto di accesso incondizionato ai dati e documenti delle amministrazioni, a sviluppare la cultura della valutazione indipendente, del confronto pragmatico tra gli indici di performance di tutti i comparti delle amministrazioni pubbliche. Certo, avremmo dovuto mettere in evidenza anche i punti di dissenso, di critica anche dura alla legge Brunetta, per le sue parti sbagliate. Ma avremmo dovuto soprattutto mettere in evidenza le spaccature interne alla maggioranza proprio su questi temi (una conseguenza dello scontro fra Tremonti e Brunetta è che a quasi cinque mesi dal suo insediamento la nuova autorità indipendente non ha ancora gli strumenti economici per operare effettivamente). Perché non lo abbiamo fatto? Perché i sindacati della funzione pubblica sparavano a zero su questa legge; e il Pd non se l’è sentita di compiere la scelta veramente clamorosa, quella che la maggior parte dell’opinione pubblica avrebbe capito e apprezzato di più: quella cioè di fare della parte buona di quella legge la sua bandiera, di diventare il partito dell’opinione pubblica che mette il proprio fiato sul collo della dirigenza pubblica e dei politici al di sopra di essa, esigendo la fissazione di obbiettivi chiari e misurabili, la verifica del loro raggiungimento, la rimozione dei dirigenti incapaci, il riconoscimento e la premiazione di quelli capaci di realizzarli.
Per non saper scegliere tra il sindacato della funzione pubblica e l’opinione pubblica, abbiamo fatto il pesce in barile. Brunetta si è preso il merito della parte migliore della sua legge, che era originariamente roba nostra. E gli italiani non hanno identificato affatto il Pd come il partito della svolta nelle amministrazioni pubbliche.
Sul terreno della riforma delle libere professioni avremmo avuto addirittura un compito più facile, avendo alle spalle l’ottimo lavoro svolto da Pierluigi Bersani come ministro sul terreno delle liberalizzazioni, per la promozione di una sana concorrenza che abbassi il costo dei servizi, della costruzione di una società aperta alle nuove generazioni e al meglio che ci si offre nello scenario internazionale. Su questa linea avremmo avuto dalla nostra l’Unione Europea, l’Antitrust e tutte le associazioni imprenditoriali. Invece, per non saperci dare una linea chiara, finiamo per apparire tiepidamente incerti di fronte al Governo Berlusconi che punta decisamente sulla marcia indietro, sul ripristino delle barriere corporative.
Infine il tema caldissimo del dualismo del mercato del lavoro. Qui potremmo quanto meno valorizzare il risultato positivo – niente affatto irrilevante – di un biennio di dibattito interno al partito: l’individuazione e definizione precisa della figura del lavoratore “economicamente dipendente” come nuovo riferimento di un diritto del lavoro universale, capace veramente di applicarsi a tutta la forza-lavoro e non soltanto a metà di essa, come accade oggi. Tutti e quattro i progetti presentati in Parlamento (in ordine cronologico, Ichino, Madia, Nerozzi, Bobba) fanno propria questa idea: cioè che si debba scrivere un nuovo diritto del lavoro capace di applicarsi davvero in modo universale a tutta questa grande area, di cui oggi solo metà è coperta dallo Statuto dei lavoratori: quella del lavoro subordinato regolare a tempo indeterminato. Non siamo ancora riusciti a raggiungere un accordo tra tutti noi sui contenuti del diritto che a questa grande area deve applicarsi; ma non sarà difficile compiere in tempi brevi anche questo passo ulteriore, mettendo a confronto al nostro interno gli esponenti del mondo sindacale con quelli del mondo delle imprese. Ora, invece di accelerare in questa direzione, assistiamo all’ennesima frenata.
Sull’Unità di oggi leggiamo che il Pd opta non per il “contratto unico”, ma per un “diritto del lavoro unico”, capace di applicarsi a tutti, ai giovani come ai vecchi; ma leggiamo, al tempo stesso, che “l’articolo 18 non si tocca”. Le due affermazioni, lette insieme, possono avere un solo significato: cioè che promettiamo a tutti i giovani un rapporto a tempo indeterminato regolato dallo Statuto dei Lavoratori di quaranta anni fa. Se questo è il nostro messaggio, i giovani non ci crederanno. E faranno bene a non crederci, perché avremo promesso loro una cosa impossibile: alla rigida stabilità di una metà dei rapporti di lavoro dipendente il sistema risponderà necessariamente collocando tutta la flessibilità sull’altra metà. I giovani continueranno a percepire quel che percepiscono oggi: cioè che dell’assetto attuale del diritto del lavoro non vogliamo un profondo mutamento e che quindi ciò che attende la maggior parte di loro è un lavoro di serie B o di serie C.
Chi beneficerà della nostra rinuncia a riscrivere il diritto del lavoro per i nuovi rapporti di lavoro sarà soprattutto il ministro del Lavoro in carica, che potrà tranquillamente proseguire nella sua politica di accentuazione del regime di apartheid tra protetti e non protetti, rinfrancato nella sua inerzia dalla nostra su questo terreno. Intanto, le nuove generazioni possono attendere.
A chi obietta che Cgil e Cisl (ma non la Uil) oggi ci chiedono di “non toccare l’articolo 18” dobbiamo rispondere che non lo toccheremo per i lavoratori che esse rappresentano: quelli che un lavoro stabile già lo hanno nelle imprese medio-grandi o nel settore pubblico; ma che almeno nei rapporti di lavoro destinati a costituirsi da oggi in poi ci preoccupiamo anche di superare l’apartheid tra protetti e non protetti. Non ce lo chiedono i loro iscritti di oggi, ma ce lo chiedono i giovani, le nuove generazioni che oggi sono escluse dalla cittadella del lavoro regolare, i lavoratori di domani.
Sia chiaro: non mi nascondo affatto la difficoltà di cambiare linea, dopo un decennio in cui la vecchia sinistra ha indicato nell’articolo 18 un baluardo intoccabile di civiltà (e pazienza se di quel baluardo beneficiavano soltanto metà dei lavoratori dipendenti italiani). Osservo soltanto che un grande partito moderno, quale il Partito Democratico si propone di essere, deve saper anche condurre le battaglie necessarie per superare le incrostazioni culturali, per sgomberare il campo dai tabù, per invertire la rotta quando quella che si sta seguendo rischia di portare in un vicolo cieco.

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mercoledì 14 aprile 2010

Trasparenza e valutazione negli enti locali

Con l’approvazione del decreto legislativo n. 150 del 2009 il sistema di misurazione, valutazione e trasparenza della performance entra negli enti locali, nelle province e nelle regioni.
Il decreto legislativo indica il percorso da seguire per attuare nelle autonomie locali un sistema di miglioramento della qualità dei servizi attraverso la misurazione del lavoro, la predisposizione di piani con obiettivi prestabiliti, la valutazione dei risultati conseguiti, la trasparenza della performance e l’assegnazione di premi incentivanti.
Viene introdotto un nuovo sistema di misurazione e valutazione della performance nelle autonomie locali che sono tenute ad adeguare il proprio ordinamento entro il 31 dicembre 2010 ai principi contenuti nei seguenti articoli:
- articolo 3, Principi generali;
- articolo 4, Ciclo di gestione della performance;
- articolo 5, comma 2, Obiettivi e indicatori;
- articolo 7, Sistema di misurazione e valutazione della performance;
- articolo 9, Ambiti di misurazione e valutazione della performance individuale;
- articolo 15, comma 1, Responsabilità dell’organo di indirizzo politico-amministrativo.
Il mancato adeguamento ai principi generali indicati dal titolo 2 del decreto legislativo n. 150 del 2009 non consente l’erogazione di premi legati al merito ed alla performance.
L’art. 16, commi 1 e 3, contiene le norme di immediata applicazione che riguardano la trasparenza dell’attività amministrativa.
La funzione di misurazione e valutazione è svolta dai dirigenti di ciascuna amministrazione e dai seguenti nuovi organismi:
- Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche. La Commissione esercita le funzioni stabilite dall’art. 13, comma 6, e indirizza, coordina e sovrintende all’esercizio delle attività, indicate dall’art. 14, comma 4, degli Organismi indipendenti.
La commissione ha approvato la delibera n. 4 del 2010 tramite la quale indica i requisiti per la nomina dei componenti dell’Organismo indipendente che deve avvenire entro il 30 aprile per le aziende, le amministrazioni dello Stato e le agenzie di cui al decreto legislativo n. 300/1999, con esclusione dell'Agenzia del Demanio, e gli altri enti pubblici nazionali.
La Commissione centrale ha già espresso 20 pareri favorevoli alle proposte di nomina degli organismi di valutazione.
- Organismi indipendenti di valutazione della performance. Tale organismo esercita le funzioni stabilite dall’art. 14 ed è costituito da un organo monocratico o collegiale composto da tre componenti dotati dei requisiti di elevata esperienza e professionalità maturata nel campo del management, della valutazione delle performance e della valutazione delle amministrazioni pubbliche. Tale organismo sostituisce i servizi di controllo interno ed esercita le attività di controllo strategico. L’organismo è nominato dall’organo di indirizzo politico-amministrativo entro il 31 dicembre 2010 per un periodo di tre anni, previo parere della Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità, la quale stabilisce i requisiti per la nomina dei componenti dell’Organismo Indipendente.
- Sperimentazione ANCI. Per facilitare e sostenere l’attività degli enti locali l’ANCI ha sottoscritto un protocollo d’intesa con il Ministero per la pubblica amministrazione e l'innovazione, ha predisposto le prime linee guida per l’applicazione del decreto legislativo n. 150 del 2009 ed ha promosso la sperimentazione del sistema presso gli enti locali.
Gli enti locali che parteciperanno alla sperimentazione saranno assistiti in tutta la fase di adeguamento e saranno considerati adempienti rispetto alle previsioni del D. lgs n. 150/2009, secondo quanto previsto dal Protocollo di Intesa.
L’adesione alla Sperimentazione consentirà agli Enti di beneficiare dei seguenti vantaggi:
- “Possibilità di partecipare attivamente alla definizione del modello di valutazione delle performances organizzative degli Enti Locali ed alla validazione degli indicatori di performance adottati;
- Supporto qualificato da parte di un call center durante tutta la fase di sperimentazione per la misurazione ed il calcolo degli indicatori di performance del proprio Comune;
- Accesso al sito web riservato in cui vi sarà un costante aggiornamento sull’avanzamento della sperimentazione e le principali novità relative all’interpretazione del D. lgs n.150/2009 attuativo della legge delega n. 15/2009;
- Linea diretta con personale qualificato per le interpretazioni normative del D. lgs n.150/2009;
- Possibilità di avere un confronto preliminare delle proprie performance organizzative con i partecipanti alla sperimentazione;
- Utilizzo del sistema centralizzato di rilevazione della customer satiscfaction”.
Fino al 22 marzo hanno aderito alla Sperimentazione promossa dall’ANCI n. 380 comuni.
Il cambiamento avviato nelle Pubbliche Amministrazioni è complesso e se realizzato cambia il volto della macchina statale. Oltre alla complessità il nuovo sistema presenta alcuni problemi tra i quali si indicano i seguenti che riguardano le autonomie locali:
- La nomina dei componenti dell’organismo indipendente di valutazione è attribuita al Sindaco ed alla Giunta Comunale ed incide sulla indipendenza dell’organo stesso anche se i requisiti richiesti ai membri sono importanti ed elevati;
- La Commissione centrale, non essendo un’autorità, esercita poteri limitati nei confronti degli enti territoriali. Infatti, valuta a campione il Piano e la Relazione sulla Performance degli enti territoriali, formulando osservazioni e rilievi. La previsione di una Autorità indipendente regionale consentirebbe di realizzare per gli enti territoriali quanto è previsto per le amministrazioni centrali, superando i limiti previsti dall’art. 13, comma 5, lettera c);
- I protocolli di collaborazione tra la Commissione Centrale e la Conferenza delle Regioni e delle Provincie autonome, l’Anci, l’Upi per realizzare le attività previste dall’art. 13, commi 5, 6 e 8 sono utili ma non sufficienti. La presenza di un’Autorità indipendente regionale avrebbe potuto coordinare e sostenere la realizzazione del sistema previsto ed accorciare le distanza tra la Commissione Centrale e gli enti territoriali.
“Il progetto, dichiara Pietro Ichino, prevede che – sulla scorta delle migliori esperienze dei Paesi nord-europei – in tutti i comparti dell’amministrazione regionale e nelle amministrazioni locali, soprattutto dove non possono o non devono essere attivati meccanismi di mercato, la valutazione della performance dell’amministrazione stessa non sia più soggetta a un regime di monopolio pubblico; essa deve essere attribuita ad una Autorità indipendente regionale, costituita da una rete di valutatori indipendenti sia dalla dirigenza, sia dal potere politico, quindi non soggetta gerarchicamente né alla Giunta né al Consiglio regionale, e deve essere aperta al confronto con le valutazioni espresse dalla società civile”. Ritengo che le regioni possano con apposita legge istituire l’Autorità indipendente Regionale.
ANCI - Prime linee guida
ANCI – Performance e merito

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giovedì 8 aprile 2010

Sprechi nei trasporti pubblici locali a Verona

Dichiarazione dell'on.le Federico Testa
Nel 2007 ha iniziato la sua attività l’azienda ATV creata da AMT (azienda trasporti del comune di Verona) e da APTV (azienda trasporti della provincia di Verona) con l’obiettivo di integrare il trasporto urbano ed extraurbano nella provincia di Verona con benefici a vantaggio degli utenti. Infatti si prevedeva un risparmio nella gestione dei servizi di trasporto con l’eliminazione delle sovrapposizioni che ammontavano all’epoca a circa 500 mila chilometri e con l’integrazione tariffaria che avrebbe permesso di utilizzare un solo titolo di viaggio valido sui mezzi di trasporto urbano ed extraurbano.
Inoltre, occorre tenere presente che dalla collaborazione e riaggregazione dei servizi di trasporto sarebbe stato avviato un miglioramento della qualità dei servizi e della efficienza degli stessi.
Grande soddisfazione era stata espressa da Elio Mosele e da Paolo Zanotto all’epoca rispettivamente presidente della provincia e sindaco del comune di Verona.
Sono passati tre anni e la prospettiva di fusione delle tre aziende si allontana sempre di più. Nessuno ne parla e non vengono considerati i costi burocratici che attualmente AMT e APTV sostengono senza gestire direttamente il servizio di trasporto locale nella provincia di Verona.
Con la fusione delle tre aziende verrebbero eliminati i costi inutili che non producono valore, rappresentati dai compensi che ammontano a 403.088 euro (vedi tabella) senza considerare i risparmi che da tale aggregazione ne deriverebbero in termini di semplificazione dei processi e di riorganizzazione dei servizi di trasporto su base provinciale.
Federico Testa, deputato del PD e responsabile di energia e servizi pubblici locali, afferma che “la giunta Zanotto, d'intesa con la Mosele, aveva portato avanti un processo di razionalizzazione e, in prospettiva, contenimento dei costi. Spiace dover constatare come tale orientamento sia totalmente disatteso dai successori, che paiono più attenti al mantenimento ed anzi alla moltiplicazione delle "poltrone" (come testimoniato ampiamente dalla vicenda AGSM che ha visto crescere a dismisura i consigli di amministrazione, con seri rischi anche di governance unitaria) che non ai bisogni dei cittadini, che chiedono servizi di qualità e costi più bassi".
Purtroppo il centro destra a Verona non si pone contro gli sprechi e le inefficienze con comportamenti coerenti e concreti. Al contrario a parole si posiziona sempre contro gli sprechi degli altri.
Nella gestione dei servizi pubblici locali occorre operare considerando i seguenti fattori:
- Economicità della gestione;
- Efficienza ed efficacia dei servizi;
- Qualità dei servizi.
La cattiva gestione dei servizi, che non considera i fattori indicati, si ripercuote automaticamente sul livello delle tariffe, le quali devono coprire le inefficienze ed i costi senza valore, e di conseguenza su coloro che utilizzano il servizio a prezzi più alti e non equi.
In un momento di grave crisi economica occorre eliminare gli sprechi nei servizi pubblici locali per sostenere la crescita economica e ridurre la spesa pubblica e migliorare la fruibilità dei servizi nei confronti delle fasce più deboli che vivono gli effetti della crisi.

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mercoledì 7 aprile 2010

Intervento di Federico Testa sui servizi pubblici locali

Si riporta l’intervento di Federico Testa, parlamentare del PD e responsabile di energia e servizi pubblici locali, effettuato durante la campagna elettorale per le elezioni regionali.
Il tema dei servizi pubblici locali in un momento di crisi economica è rilevante per gli effetti sulla crescita economica e sulla qualità della vita dei cittadini.
“L’assetto dei Servizi Pubblici Locali (SPL) è da anni al centro della discussione economica e politica del nostro Paese. Ciò è dovuto certamente alla loro rilevanza, ai fini del potere d’acquisto delle famiglie (i costi tariffari di tali servizi, infatti, incidono fra il 10 e il 20 per cento sul reddito disponibile, a seconda dell’ampiezza della famiglia e della zona geografica di residenza), della qualità della vita dei cittadini e della competitività delle imprese italiane. È indubbio, inoltre, che la necessità di interventi riformatori su questo comparto, che racchiude al suo interno numerosi settori anche fortemente eterogenei fra di loro, abbia assunto un valore simbolico ai fini dell’affermazione di una cultura pro concorrenziale, di apertura del mercato e di trasparenza da parte di gestioni che in ogni caso ricadono sotto la sfera della regolazione pubblica e che assorbono ingenti risorse a carico dei bilanci pubblici, delle famiglie e delle imprese;
non sempre, tuttavia, a tale valore simbolico e politico è corrisposto un approccio coerente. È il caso degli interventi legislativi proposti dal Governo e approvati dal Parlamento nella presente legislatura, in particolare dell’articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito nella legge 6 agosto 2008 n. 133: presentato come un intervento innovativo, evidenzia invece tutti i rischi di una ulteriore chiusura del mercato e di limitazione della concorrenza, con conseguenze negative sulle famiglie, sui cittadini e sulle imprese, che si troveranno a pagare il conto di questa mancata riforma, la quale, anzi, ha il sapore di una vera e propria controriforma. Analogo giudizio va dato in merito all’articolo 61 della legge 23 luglio 2009, n. 99, in tema di trasporto pubblico locale, che ha segnato un arretramento rispetto alla normativa previgente;
le conseguenze di questa situazione sono gravi per i cittadini, per gli enti locali, per le imprese e, complessivamente, per il sistema economico italiano. I cittadini vedono svanire la speranza di godere di servizi di migliore qualità e con costi più bassi che consentano di ridurre le tariffe e/o i contributi alle aziende (e quindi l’assorbimento di risorse dai bilanci pubblici locali). Gli enti locali non possono usufruire dei vantaggi di un mercato aperto nella scelta del gestore cui affidare il servizio. Le imprese restano chiuse nei loro confini municipalistici senza possibilità di crescita industriale, e ciò aggrava il problema del “nanismo” della grande industria italiana, poiché è documentato nell’esperienza di tanti altri paesi che proprio dai processi di aggregazione e crescita industriale e tecnologica collegati ai servizi di interesse economico generale sono scaturiti stimoli forti all’innovazione, alla ricerca, all’adeguato flusso di investimenti in reti e infrastrutture che hanno importanti effetti esterni positivi sull’ambiente sociale ed economico. Il sistema economico italiano subisce le conseguenze delle irrisolte carenze infrastrutturali, nonché della scarsa qualità e dei prezzi più alti di servizi che costituiscono importanti input produttivi per le imprese esposte alla concorrenza internazionale;
il dettato costituzionale, che attribuisce allo Stato il compito di promuovere la concorrenza, impone invece la costruzione di una cornice coerente affinché gli enti locali possano dotarsi di forme di gestione dei servizi più vicine ai cittadini e le iniziative imprenditoriali in questo comparto si collochino sulla frontiera dell’innovazione. La definizione di un assetto effettivamente concorrenziale del mercato potrebbe altresì essere di supporto alle politiche necessarie ad aiutare l’economia del nostro Paese ad uscire dalla situazione di crisi economica: ciò riguarda non solo i servizi pubblici locali ma anche quelli regolamentati e gestiti a livello nazionale, che non meno dei primi possono contribuire ad una riduzione delle posizioni di rendita e ad un recupero della produttività globale del sistema (si pensi ad esempio ai servizi aeroportuali);
il processo di apertura del mercato non può e non deve significare la scomparsa o la messa “fuori gioco” delle imprese pubbliche che erogano servizi pubblici locali, che un ruolo certamente significativo hanno svolto nel garantire negli anni l’effettiva universalità del servizio e l’infrastrutturazione locale del Paese, quanto piuttosto l’affermazione che il patrimonio di competenze e professionalità che esse possiedono va sottoposto alla sfida competitiva; così che istituzioni, cittadini e imprese possano liberamente scegliere l’offerta migliore in termini economici e di qualità del servizio nei settori in cui è possibile la concorrenza “nel” mercato, ovvero che tali imprese pubbliche possano concorrere con altre imprese per l’aggiudicazione temporanea dei servizi nei settori in cui è necessaria la concorrenza “per il” mercato; in questa sfida le imprese pubbliche locali non partono necessariamente svantaggiate, e anzi sono portatrici di importanti vantaggi competitivi, a condizione tuttavia di superare alcune pesantezze e inerzie di comportamento, e comunque fatta salva l’applicazione di adeguate clausole sociali a tutela del lavoro;
particolare attenzione deve essere posta affinché i processi di privatizzazione non conducano al passaggio dal monopolio pubblico a quello privato, sia nel caso di infrastrutture che abbiano le caratteristiche del monopolio naturale, per le quali va garantita una reale gestione terza, sia nel caso di concessioni di servizio, per le quali il confronto competitivo deve sempre prevalere, fatta esclusione per casi eccezionali;
in ogni caso, il collocamento sul mercato di quote azionarie delle imprese pubbliche locali deve avvenire con procedure improntate alla massima trasparenza e imparzialità;
il grado di concorrenza, ed i relativi benefici per i consumatori, dipendono altresì dalla struttura del mercato di approvvigionamento, per cui è essenziale intervenire anche su quei monopoli di fatto che impediscono l’accesso economico alle fonti primarie ed alle infrastrutture essenziali di trasporto;
per affrontare le nuove sfide aperte dalla più elevata maturità dei consumatori, dalla globalizzazione dei mercati upstream e dal progresso delle tecnologie, che rende possibile ridefinire le modalità produttive dei servizi tradizionali, è necessario affrontare questa tematica affiancando al prevalente approccio giuridico-formale (cosa è servizio pubblico, come lo si definisce e regolamenta in modo trasversale) un approccio di tipo industriale e di mercato, che abbia a riferimento le filiere – tra loro molto diverse - dei singoli servizi, da cui far poi discendere normative settoriali specifiche, che riescano a cogliere le peculiarità dei processi di “produzione ed erogazione” con riferimento sia alla dimensione prettamente industriale, che a quella di “legame” con il territorio;
in sostanza, una vera politica di liberalizzazione dei settori appartenenti al comparto dei servizi pubblici locali non può procedere indipendentemente da una avanzata politica di regolazione degli stessi. I primi importanti passi avanti furono compiuti negli anni ’90, e soprattutto nella seconda metà di quel decennio, attraverso una serie di normative innovative e modernizzatrici che hanno coinvolto l’elettricità, il gas, i trasporti, l’acqua, i servizi ambientali. È urgente oggi che il processo di riforma assuma su di sé la priorità di una robusta manutenzione di quegli apparati regolativi, mantenendo naturalmente tutto ciò che ha funzionato e modificando invece ciò che, dopo dieci e più anni di esperienza, mostra limiti e inadeguatezze. Assumere tale priorità è essenziale per evitare che il processo di riforma resti ancorato al solo valore simbolico poco sopra segnalato, ma anche per garantire gli amministratori locali, chiamati quotidianamente a garantire i servizi essenziali alle popolazioni amministrate, un solido quadro di riferimento e per evitare che la riforma sia frenata da un aumento del già considerevole contenzioso che si è accumulato negli ultimi anni, anche in conseguenza di una ipertrofica ed inefficiente produzione normativa;
le nuove normative, generali e settoriali, dovranno avere per oggetto la specifica definizione del regime proprietario nelle infrastrutture di rete, delle modalità di aggiudicazione, delle modalità di aggregazione territoriale della domanda, della durata delle concessioni, dell’introduzione di bandi tipo che possano uniformare i criteri di aggiudicazione, della creazione di strutture che possano essere di supporto alle Amministrazioni nella gestione delle procedure e nella determinazione delle tariffe, dei requisiti minimi dei contratti di servizio, dell’affermazione di meccanismi di valutazione terza della qualità del servizio offerto a cittadini ed imprese, nonché l’istituzione – là dove non ancora previste - di Autorità indipendenti di regolazione anche di tipo federale, in modo da superare tante e diffuse situazioni di conflitto di interesse e di confusione fra ruolo di indirizzo politico, ruolo regolatorio e ruolo gestionale. In particolare, potrebbe essere utile ragionare su di un ruolo forte delle Regioni al fine di sostenere ed assistere le Amministrazioni Locali nell’affrontare le problematiche relative alla predisposizione dei bandi di gara ed alla corretta valutazione delle offerte. Tali competenze, infatti, assai raramente sono presenti a livello territoriale, e tale assenza corre il rischio di inficiare completamente il meccanismo delle procedure competitive e dell’apertura del mercato.
si dovrà, in particolare, porre a carico dei gestori l’obbligo di rendere pubblica e aggiornare periodicamente una carta dei servizi offerti all’utenza, la quale deve contenere tutti gli impegni del gestore nei confronti degli utenti, così come determinati nel contratto di servizio e nello stesso sanzionati in caso di inottemperanza. E si dovranno sperimentare nuove forme di coinvolgimento degli utenti, nonché di loro tutela;
tale approccio consentirà di modellare la regolazione sulle specifiche necessità di ciascun settore, tenendo conto delle problematiche di settori che devono percorrere le strade dell’efficienza e della capacità competitiva risalendo la filiera fino all’approvvigionamento della materia prima in Paesi lontani (gas ed energia, visto che spesso l’energia elettrica si produce con i cicli combinati alimentati a metano); tenendo altresì conto dei settori per i quali, accanto a problematiche di gestione industriale, sono presenti e prioritarie anche quelle relative all’uso attento del territorio circostante (rifiuti) e alla valorizzazione e preservazione di una risorsa primaria e fondamentale a forte legame territoriale (l’acqua); e tenendo poi conto di altri settori in cui l’efficienza del servizio dipende da una buona infrastrutturazione di livello locale abbinata ad una efficiente gestione industriale (trasporto pubblico locale e regionale);
un approccio di questo genere consentirà di affrontare in maniera corretta e trasparente, con scelte politiche chiare, il tema dei costi dei servizi e del loro finanziamento. La storia più recente dice, infatti, che in alcuni casi i servizi energetici hanno finito per sussidiare indirettamente i servizi a minor valore aggiunto, mentre in altri casi l’inefficienza della regolazione ha condotto all’insufficiente copertura dei servizi minimi universali e alla incompleta valutazione dei loro costi;
procedere nella direzione indicata consentirà quindi di affermare e dare consapevolezza del valore vero, di lungo periodo delle risorse in gioco, facilitando un percorso indispensabile quando si affrontano temi che hanno a che fare con i beni comuni e la qualità della vita di una comunità”.
Federico Testa

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giovedì 1 aprile 2010

Il Presidente della Repubblica blocca la legge sul lavoro

Vengono al pettine i nodi di una legge confusa e illeggibile, imposta dal governo con una chiusura ermetica alle critiche e proposte dell’opposizione
Il Presidente della Repubblica censura una legge confusa e illeggibile, presentata originariamente con un testo di 9 articoli e 39 commi, poi via via gonfiata nel corso di quattro lettura parlamentari fino a una quintuplicazione del suo volume: “Ho già avuto altre volte occasione - scrive il Capo dello Stato - di sottolineare gli effetti negativi di questo modo di legiferare sulla conoscibilità e comprensibilità delle disposizioni, sulla organicità del sistema normativo e quindi sulla certezza del diritto”: è esattamente la stessa critica che ho più volte mosso a questa legge, sia in Parlamento, sia sul Corriere della Sera.
Egli invita poi, più specificamente, il Governo e la maggioranza a una riflessione più attenta su di una norma in materia di sicurezza per il personale marittimo del naviglio di Stato e sulla riforma dell’arbitrato nelle controversie di lavoro: norma, quest’ultima, che interviene su di una materia delicatissima, introdotta in modo affrettato nel disegno di legge n. 1167 in seconda lettura, al Senato, e altrettanto affrettatamente modificata in terza lettura, alla Camera. Nel corso del dibattito parlamentare abbiamo ripetutamente denunciato i numerosi profili di grave inopportunità, e anche incostituzionalità di questa norma. E abbiamo anche denunciato la chiusura ermetica (e arrogante) della maggioranza alle nostre proposte di emendamento.
Ciò che è in discussione non è la necessità del rilancio dell’arbitrato, come strumento per la soluzione delle controversie di lavoro, e in particolare di quelle relative a diritto nascenti dal contratto collettivo: il Pd ha ripetutamente presentato un emendamento tendente proprio a fare dell’arbitrato “la voce del contratto collettivo”. Il Governo ha respinto questa soluzione, che avrebbe consentito di decongestionare drasticamente il contenzioso giudiziale (il 43% delle controversie di lavoro verte su questioni retributive, il 18% su questioni di inquadramento professionale, entrambe materie di competenza esclusiva della contrattazione collettiva); e ha invece preferito ampliare la possibilità dell’arbitrato nella direzione sbagliata, consentendo che - dove il contratto collettivo non disponga altrimenti - la clausola arbitrale possa essere riferita anche a diritti indisponibili nascenti da legge dello Stato e possa essere inserita nel contratto individuale con cui si costituisce il rapporto di lavoro.
L’emendamento Ichino Treu respinto dal Governo
Sostituire l’articolo 31 con il seguente:
Articolo 31 - Il contratto collettivo può disporre la soluzione arbitrale di tutte le controversie su diritti nascenti da norme poste dal contratto collettivo stesso o comunque riguardanti istituti posti e disciplinati esclusivamente dal contratto collettivo stesso, disciplinandone liberamente la procedura, con il solo vincolo della corretta instaurazione del contraddittorio tra le parti.
Intervista a Pietro Ichino
Confronto tra Pietro Ichino e Michele Tiraboschi
Dichiarazione di voto
Interventi e denunce

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