venerdì 26 aprile 2013

Più qualità e meno costi per lo Stato

Articolo di Lucrezia Reichlin pubblicato sul Corriere della Sera  il 26 aprile 2013
La sfida chiave per il nuovo governo sarà, ancora una volta, l'economia. L'esecutivo guidato da Mario Monti era nato debole, pur avendo avuto, non troppo diversamente da quello in via di formazione, il sostegno di un ampio schieramento parlamentare. Aveva promesso austerità di bilancio e riforme. L'austerità non è mancata, le riforme, ben più complesso obbiettivo, meno. Tuttavia molti tra coloro che promettono oggi di sostenere l'esecutivo Letta hanno condotto la campagna elettorale contestando l'agenda Monti, largamente riproposta nel documento dei saggi. Ci muoviamo, dunque, su un terreno pericolosamente accidentato, anzi minato.
Il prossimo governo non nasce con la coesione di un fronte nazionale che possa ricomporre l'Italia su un programma ambizioso di riforma. Non c'è una piattaforma condivisa nella Grande coalizione che lo sosterrà mentre si consolida la diffidenza dei cittadini.
Qualcosa però si può fare, aggirando le asperità politiche maggiori. Io credo che si debba iniziare un'opera coraggiosa, unendo lo sforzo di più ministeri, per semplificare drasticamente la macchina statale, tagliandone i costi, migliorandone il servizio al pubblico anche attraverso un mutato rapporto tra l'amministrazione centrale e quella locale. Questa dovrebbe essere la bandiera del nuovo esecutivo.
È un terreno pericoloso perché nelle pieghe dello Stato si annidano privilegi e rapporti di scambio che hanno distrutto il nostro bene comune più caro: la fiducia dei cittadini nei confronti dello Stato. È un percorso che richiede coraggio e alleanze anche trasversali. Va fatto con un'attenzione minuziosa alla trasparenza e alla comunicazione che dovrà essere chiara e dettagliata nell'illustrare quanto si sta provando a fare. La spinta al cambiamento e alla partecipazione che si è manifestata in queste ultime elezioni va sfruttata per dare forza a questo progetto. Per soddisfare una domanda che si leva con forza dalla base del Paese non basta che i ministri vadano al lavoro in bicicletta. Le dosi omeopatiche di trasparenza non sono più sufficienti. I nuovi ministri dovranno spiegare con evidenza cristallina il proprio operato, e strutturare un'efficace comunicazione per ricucire il rapporto con gli elettori. La scatola nera del governo nazionale e locale dovrà essere aperta, tutti dovranno poter comprendere quali sono gli ostacoli, le ragioni di successi e fallimenti. Per questo è cruciale che i cittadini non siano solo spettatori, ma che possano partecipare in modo innovativo al cambiamento e alla gestione della cosa pubblica. Esperienze simili sono state fatte in altri Paesi. Comportano l'adozione di misure politiche che, in linea di principio, non hanno colore. Misure trasversali capaci di unire invece che dividere.
Il principio è semplice, ma la realizzazione pratica richiede cambiamenti importanti. Il governo che verrà, pur nascendo intrinsecamente debole, potrebbe, in realtà, avere la forza per avviare un processo radicale perché per poter sopravvivere dovrà instaurare un rapporto diretto con gli elettori oltre che con partiti quanto mai discreditati.
Ovviamente tutto questo non potrà ridare fiato immediato all'economia. Nel breve periodo vanno diminuite le tasse sul lavoro e va dato sostegno al reddito di chi, il lavoro, non ce l'ha. Le proposte ci sono, anche suggerite nei documenti della Banca d'Italia, ma costano care. I soldi vanno recuperati con tagli aggressivi ai costi dello Stato, lungo le linee prima accennate.
C'è anche qualche margine per ottenere più flessibilità da Bruxelles sul rigore dei conti pubblici. Il negoziato va dunque aperto, ma non deve dare adito a eccessive illusioni. Il margine esiste, ma è limitato e si basa su tre elementi. Il più importante - spunto di utile riflessione - è che l'Italia, non avendo sforato il limite del 3% del deficit pubblico nel 2012 ha acquisito credibilità. In secondo luogo le previsioni indicano un rallentamento per tutta l'Europa, compresa la Germania, scenario che potrebbe indurre Berlino a considerare una maggiore flessibilità. In terzo luogo esistono fattori specifici che si potranno far valere in sede negoziale. Mi riferisco, per esempio, al peso sul nostro debito del contributo che versiamo al Fondo salva Stati europeo, oppure all'eccezionalità dei debiti dello Stato verso le imprese. È dunque essenziale che l'Italia imbocchi la via del negoziato, ma senza mettere in discussione gli impegni di medio periodo. La politica antiausterità può essere fatta solo su queste basi, con una contrattazione realistica e consapevole delle dinamiche europee. Sarebbe velleitario invocare improbabili battaglie senza quartiere, generiche e irrealistiche tenzoni contro un'Europa che ci affama.
Puntiamo invece a riprendere il controllo di ciò che possiamo controllare noi, del nostro bene comune, cioè, lo Stato. Facciamone, ripeto, la bandiera di questo governo, affrontando l'anomalia di una macchina statale vetusta, costosa e inefficiente che ci rende molto diversi anche da Paesi a noi vicini come la Spagna.
Un altro governo, con le spalle più larghe, se un giorno arriverà, potrà imbarcarsi su un progetto ancora più ambizioso, capace di ripensare globalmente il modello del capitalismo italiano. Ma gli obbiettivi qui illustrati, sebbene più limitati, sono già molto ambiziosi e potrebbero essere le basi per una riflessione costruttiva e soprattutto collettiva sul nostro futuro.

Leggi tutto...

Contrastare la povertà

Articolo di Maurizio Ferrera pubblicato sul Corriere della Sera il 23 aprile 2013
Secondo gli indicatori Ue, l'impatto sociale della crisi è stato in Italia un po' meno forte che negli altri Paesi ad alto debito. Rispetto a Grecia e Portogallo, è stato anche meno regressivo: tutte le fasce di reddito hanno sofferto, non solo (o soprattutto) quelle più basse. Vi è però un'eccezione, costituita dalle famiglie povere con figli a carico e con persona di riferimento disoccupata. E' su questi nuclei che la scure ha colpito con particolare intensità, relegando il nostro Paese agli ultimissimi posti nelle graduatorie Ue, vicino a Bulgaria e Romania.
Questa vera e propria emergenza dovrà costituire la priorità sociale numero uno del nuovo governo. L'agenda predisposta dai saggi nominati da Napolitano riconosce il problema della povertà, ma resta sorprendentemente timida e conservatrice in merito alle possibili soluzioni. I suoi piatti forti per sostenere il reddito delle famiglie sono il rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga e la salvaguardia dei cosiddetti esodati. Siamo sicuri che convenga congelare l'occupazione esistente tramite deroghe automatiche, anche quando le imprese interessate non hanno alcuna possibilità di riprendersi?
La tutela del reddito potrebbe essere affidata alla nuova Assicurazione per l'impiego (Aspi) introdotta dalla riforma Fornero: è con questo tipo di schemi che gli altri Paesi stanno fronteggiando la crisi occupazionale. Si eviterebbero erogazioni a perdere, da un lato, e si allargherebbe la platea dei potenziali beneficiari, dall'altro lato. Per quanto riguarda gli esodati, fatto salvo il principio generale che non si lascia nessun dipendente senza reddito e senza pensione, non sarebbe meglio astenersi da sanatorie automatiche (tutti in pensione con le vecchie regole) e procedere invece con salvaguardie incrementali e calibrate sulle situazioni concrete di «esodo»? Il rischio da evitare è quello di sempre: aiutare solo gli insider e abbandonare a se stessi tutti gli outsider, in particolare i minori in povertà.
Il Movimento Cinque Stelle vorrebbe, come è noto, il reddito di cittadinanza. Diamo per scontato che la proposta sia quella di un trasferimento minimo garantito, in base a una valutazione delle condizioni di bisogno economico e alla disponibilità all'impiego (o ad altre forme di "attivazione"). La Commissione dei saggi riconosce che schemi di questo genere hanno dato buona prova di sé in molti Paesi. Aggiunge però subito che nelle attuali condizioni di bilancio il reddito minimo è irrealizzabile, a meno di una «decisa redistribuzione delle risorse disponibili». Perché arrendersi così in fretta? Innanzitutto, limitando inizialmente la misura ai nuclei con minori, i costi non sarebbero così proibitivi: poco più dello 0,25% del Pil, quanto si spende per le pensioni sociali.
In secondo luogo, l'obiettivo di una decisa redistribuzione delle risorse disponibili a favore di chi ha veramente bisogno non è più rinviabile. Se ne parla dai tempi della Commissione Onofri (era il 1997); è stato esplicitamente indicato dalla riforma dell'assistenza varata nel 2000; sono state fatte e rifatte varie sperimentazioni; importanti istituti per le ricerche sociali come l'Irs hanno elaborato progetti molto articolati. Possibile che non si possa chiedere a un governo «di larghe intese» di passare dalle parole ai fatti? Anche molti Paesi dell'America Latina ormai dispongono di schemi nazionali di reddito minimo: volendo si può fare anche in Italia. Naturalmente la precondizione è che funzioni uno strumento affidabile di verifica dei redditi. Il varo del nuovo Isee (Indicatore della situazione economica equivalente), lasciato in sospeso dal governo Monti per l'opposizione della regione Lombardia, va dunque anch'esso inserito nel paniere delle priorità (anche i saggi qui concordano).
Come raccomandato dall'Unione europea, le politiche di contrasto alla povertà non devono poggiare soltanto sui trasferimenti, ma anche su servizi: formazione, tirocini, sostegno al reinserimento lavorativo e sociale. È quella logica di «inclusione attiva» che ispira la strategia Europa 2020. Dove trovare le risorse per tutto questo? Un Isee più mirato ed esteso a tutte le prestazioni collegate al reddito genererebbe da solo un notevole flusso di risparmi, a cui potrebbero aggiungersi una parte di quelli provenienti dalla revisione delle detrazioni e deduzioni fiscali. Almeno per la componente servizi, bisogna inoltre sfruttare i margini che si stanno aprendo a livello europeo.
L'Italia potrebbe essere fra i primi Paesi a chiedere e ottenere un «accordo contrattuale» con Bruxelles, che consenta di allentare temporaneamente i vincoli sul deficit e/o di ricevere maggiori risorse dal bilancio Ue. Se si vuole seguire questa strada, è però necessario un progetto serio, presentato da un governo serio. In questo Paese, purtroppo, di questi tempi né l'uno né l'altro possono essere dati per scontati.

Leggi tutto...

martedì 23 aprile 2013

Il messaggio di Giorgio Napolitano

Leggi tutto...

domenica 21 aprile 2013

Alessia Rotta, così si esce dalla crisi

Intervista a Alessia Rotta, neoparlamentare del Partito Democratico a cura di Antonino Leone pubblicata su SistemieImpresa N. 3 - aprile 2013 - 13
Alessia Rotta è neoparlamentare del Partito Democratico, giornalista e ricercatrice presso l’Università degli Studi di Verona in Economia aziendale.
Appassionata del ‘modello Olivetti’, difende un’idea di sviluppo economico che sia sostenibile -prima di tutto - per il territorio.
Si ispira ad Hannah Arendt quando dice che nella relazione donne e uomini trovano la loro libertà per la creazione di uno ‘spazio comune’.
Dopo gli studi classici a Verona mi sono trasferita a Bologna e poi in Francia per gli studi in comunicazione. Mai avrei pensato di diventare giornalista, come è accaduto, per una televisione locale,Telearena, di Verona. E’ qui che mi sono appassionata per alcuni dei temi che sono e rimangono per me domande centrali di vita e della società: il benessere, il lavoro, le questioni femminili. Così risalendo la china, alla ricerca di risposte alle domande che venivano dalla strada, dai servizi televisivi di tutti i giorni, sono approdata, da un lato all’Università, in un dottorato di ricerca dove sto studiando il modello di Adriano Olivetti, dall’altro ho osservato e interrogato la politica, mi sono incuriosita, ho visto un mondo autoreferenziale, da un lato, un mondo che stava incrinandosi d’altro canto. E quando poi ho pensato che ero stanca, come molti, di stare a guardare dall’oblò, criticando, mi sono data da fare. Ed ora eccomi qua, a cercare di mettere in connessione persone e palazzi, a trovare soluzioni percorribili, tra le resistenze inevitabili di modi di agire e procedere consolidati.
Nella sua città, Verona, ha sostenuto e partecipato a manifestazioni delle donne. Può descrivere tali manifestazioni e gli obiettivi che vi siete poste?
Il pensiero femminile ha radici profonde in riva all’Adige, basti pensare alla scuola di filosofia dell’Università di Verona, ma anche alla consulta delle associazioni femminili che conta quasi un centinaio di associazioni. Non stupisce perciò che qui il grande movimento che ha fatto irruzione sulla scena italiana, Se non ora quando, abbia trovato grande eco. La semplicità degli obiettivi che ci poniamo, mette in luce quanto la situazione attuale sia anomala: ci battiamo contro il femminicidio e contro qualsiasi forma di violenza e privazione nei confronti della donna, a questo proposito sta per nascere un’associazione. E, per tutte noi, vorremmo che le donne non dovessero vedere delle opzioni tra essere madri, lavoratrici, politiche. Ci sono volute le quote in alcuni casi, ci sono volute leggi, come quella sulla rappresentanza di genere nei Cda degli istituti bancari, come quella sulla doppia preferenza di genere nelle consultazioni elettorali. Ma la parità, o meglio il riconoscimento di pari diritti è una conquista lenta e lunga che richiede un impegno costante.
Quali obiettivi intende perseguire attraverso il suo impegno politico anche con riferimento alla partità di genere?
Oggi la questione sociale e la crisi economica minano la tenuta del Paese, da sempre, in situazioni analoghe, come nel dopoguerra, le donne hanno contribuito moltissimo ad uscire dall’impasse.Non voglio citare i singoli provvedimenti da prendere per incentivare l’assunzione femminile, detassandola, ad esempio, ma vorrei che il lavoro, lo sguardo fosse complessivo. Un welfare a misura di donna significa benessere per la società, di questo sono convinta, come sono convinta, sulla scorta di ricerche europee, che i Paesi dove più donne lavorano siano Paesi che aumentano il proprio Pil. Non sono accettabili differenze salariali che non hanno motivi di esistere, non è accettabile il tetto di cristallo sulle posizioni apicali a fronte di maggiori e migliori risultati, nel merito, da parte delle lavoratrici. Il potere, questo potere, così esercitato, credo non sia più attuale.
Sembra affermato che il mondo abbia bisogno dei talenti naturali delle donne dopo un lungo periodo di sottovalutazione del loro apporto innovativo. Quali sono le capacità specifiche delle donne a differenza di quelle degli uomini?
A questa domanda troppo spesso abbiamo risposto elencando le differenze, le propensioni naturali della donna, la cura, l’ascolto e via discorrendo. E certo le differenze ci sono e sono una ricchezza, ma credo che sia maturo il momento del riconoscimento reciproco delle identità di donne e uomini come risorsa per la società intera. Mutuerò le parole di Hannah Arendt «La donna (l’uomo) può essere in armonia con se stesso se esiste un accordo di due o più suoni; per essere uno ella/egli ha bisogno degli altri. Solo nel rapporto con gli altri ella/egli può vivere l'esperienza della libertà». E sempre seguendo la grande pensatrice penso che il ruolo delle donne nella società sia da conquistare a partire dalla pluralità e dalla differenza. E’ solo dal confronto tra maschi e femmine che nasce e può nascere la totalità: nello spazio politico esistono persone con valori diversi e linguaggi differenti che si possono confrontare per creare uno spazio comune.Non dimentichiamoci poi che la propensione alla generazione, al rinnovamento è proprio della donna, da cui nasciamo.
Le donne che rivestono ruoli di comando sono meno simpatiche rispetto agli uomini?
Vorrei rispondere a questa domanda con una battuta: la caratteristica simpatia è forse attinente al ruolo dirigenziale? Ci chiediamo se i capi maschi sono simpatici? Non voglio certo polemizzare, quanto piuttosto mettere a soqquadro i nostri schemi mentali, i discorsi che facciamo in molti contesti, dal più alto alle chiacchiere al caffè. Magari le donne in posizione apicale sorridono meno per non essere fraintese o per esigere maggiore rispetto, magari la scorza si è indurita sulla strada della rivendicazione di diritti che la donna si è sudata di più di un uomo, nel senso che per arrivare in cima ha dovuto portare sulle spalle uno zaino più pesante e lo ha dovuto portare senza voler, giustamente, rinunciare a tacchi e gonna. Credo che l’essere donna al vertice possa contribuire al benessere dell’azienda, ma magari dirlo non è molto simpatico?
Quali interventi urgenti potrebbero essere adottati per sostenere le imprese particolarmente le Pmi che si trovano in difficoltà e contrastare le condizioni di povertà? 
Gli interventi urgenti per la Pmi sono tutti noti e scritti neri su bianco: ci vuole meno burocrazia, che se è onerosa per le grandi imprese lo è di più per le piccole e medie, stesso discorso per la tassazione iniqua e insostenibile, non ultima quella sulla Tares. L’altro grande tema è l’accesso al credito: negarlo rende impossibile la stessa sopravvivenza delle aziende. E ancora penso alla trasparenza della Pubblica amministrazione, all’accesso totale e trasparente agli atti, alla lotta alla corruzione per una corretta competizione.
In questo Paese non bastano neppure i suicidi degli imprenditori a dare segnali: anche la politica deve cambiare i suoi tempi per l’urgenza che il Paese vive. E’ necessario introdurre il reddito minimo di cittadinanza, come chiesto con migliaia di firme in una legge di iniziativa popolare, per contrastare le condizioni di povertà nel nostro Paese e razionalizzare i molti strumenti esistenti circa il sostegno sociale. Mentre altre misure, a partire da un’analisi accurata, sono da trovare per risolvere l’anomalia italiana: la forbice larghissima tra poveri e ricchi, un divario che è cresciuto di sette volte dal 1960 ad oggi.
Di recente è stato sottoscritto un accordo dal Ministero del Lavoro e dello Sviluppo economico per la costituzione di una sezione speciale del Fondo Centrale di Garanzia dello Stato per sostenere l’imprenditoria femminile. Ritiene utile tale intervento e per quali motivi?
Lo saluto come uno dei provvedimenti che vanno nella giusta direzione, per due motivi, primo perché sappiamo che l’inaccessibilità al credito è una delle note dolenti del fare impresa, secondo perché è una misura a favore dell’imprenditoria femminile e quindi coglie nel segno l’indicazione: se le donne lavorano il Pil cresce. Nel 2012 sono nate 7 mila nuova imprese, a farle nascere sono state donne: nel turismo,in agricoltura, nella sanità e nell’assistenza sociale.
Immediatamente dopo la parificazione dell’età pensionabile delle donne a quella degli uomini nel settore pubblico sono state presentate proposte e disegni di legge finalizzati ad utilizzare tali risparmi a favore delle donne senza pervenire ad alcuna approvazione. L’attuazione di provvedimenti di detassazione del lavoro femminile può incrementare l’occupazione delle donne?
Non rubo le parole di nessuno, ma nel disegno di legge presentato al Senato, primo firmatario il giuslavorista Pietro Ichino, proprio a favore della detassazione del lavoro femminile, ci sono le prove scientifiche, un esperimento che dimostra come la detassazione del lavoro femminile, favorisca l’offerta e quindi l’occupazione delle donne, tanto da riuscirne a dimostrare con precisione gli effetti dell’incentivo economico. Anche perché molti studi dimostrano che detassando il lavoro femminile le donne, a differenza degli uomini, che si dimostrano meno sensibili su questo punto, lavorano di più e più volentieri quando la loro retribuzione aumenta.
In Italia vi sono imprese che, nonostante la crisi economica accompagnata dalla recessione, sono rimaste competitive nel mercato globale. Altre invece incontrano difficoltà. Quali fattori e quali capacità distintive le imprese devono possedere per avere successo?
I fattori del successo delle imprese oggi sono l’internazionalizzazione e l’innovazione, spesso due facce della stessa medaglia. ma ancor più direi, ciò che mi interessa maggiormente, sono le imprese che hanno allargato lo sguardo. Non solo fuori da sé ma dentro alle proprie mura. Mi piace ricordare quanto ha fatto recentemente Mario Cucinelli che ha ripartito l’utile dell’impresa tra i lavoratori. Credo che il benessere aziendale, la ricerca pervicace di questo costituisca un fattore di sviluppo sostenibile fondamentale.
Considerate le condizioni economiche e finanziarie del paese, è possibile conseguire un interesse comune tra gli imprenditori e i lavoratori?
Il mio mito è e rimane Adriano Olivetti: oggi manager e sindacati parlano di patti territoriali e di condivisione di gestione aziendale tra lavoratori e dirigenti o titolari. Negli anni ‘50 non solo Olivetti studiò e cercò di portare il modello della svizzera Zeiss alla Olivetti di Ivrea,con una partecipazione piena da parte dei lavoratori, ma promosse, come noto, a tutti i livelli il benessere, la crescita prima che economica umana dei propri dipendenti, delle loro famiglie e del territorio tutto.

Leggi tutto...

giovedì 18 aprile 2013

Disastro annunciato per il PD

L’accordo tra Bersani e Berlusconi con la conseguente proposta di Franco Marini al Quirinale ha causato degli effetti devastanti nel centro sinistra:
1) Spaccatura del Pd;
2) Rottura del centrosinistra;
3) Oscuramento della figura di Franco Marini;
4) Incertezza nella gestione dell’evento.
Dopo che si è predicato per lungo tempo che il PDL e il PD sono incompatibili ed alternativi non si può addivenire ad un accordo oscuro e presentarlo ai grandi elettori senza aver ricevuto prima un mandato specifico.
La cosa impossibile è quella di rieducare la base ad una scelta condivisa con il PDL dopo tante testimonianze e dichiarazioni in senso contrario.
L’area degli ex popolari, collaborati dagli ex DS, hanno contribuito a creare questa situazione nel momento in cui hanno proposto un Presidente della Repubblica di area cattolica, scelta questa non condivisa per evidenti motivi di laicità delle opzioni politiche. Le barriere e gli ostacoli non dovrebbero esistere. Nel momento in cui il termine cattolico viene utilizzato per operazioni di potere salta tutto. Io sono un cattolico che ha militato nella Democrazia Cristiana e specificatamente nella sinistra sociale di Carlo Donat-Cattin, Guido Bodrato ed anche Franco Marini. Per tale motivo mi dispiace per Franco Marini ma è stata messa in atto una operazione di bassa democrazia e cattiva interpretazione della volontà dei grandi elettori e dei cittadini.
La gestione del PD non può limitarsi ad una divisione del potere tra ex Popolari ed ex DS anche perché le ultime primarie per la premiership hanno registrato un consenso del 60% a favore di Bersani (ex ds, giovani turchi ed ex popolari) e del 40% a favore di Renzi, il quale non è rappresentato negli organi del partito in rapporto ai consensi ricevuti. Da qui nasce la disfunzione nella gestione del PD. Inoltre, la politica di sopravvivenza perseguita dagli ex popolari in accordo con gli ex DS porta inesorabilmente ad intraprendere politiche non condivise e lontane dalle persone.
Cosa fare adesso? Secondo me Franco Marini dovrebbe ritirare la sua candidatura al fine di ricompattare il PD ed il centro sinistra. Inoltre, occorre proporre nuovi candidati come Prodi e Rodotà senza subire i veti del PDL.
Bisogna considerare che i parlamentari non hanno vincolo di mandato e, pertanto, non è facile condurre ad unità il centro sinistra. Intanto alla prima votazione la candidatura di Franco Marini non è passata e, pertanto, l’accordo con il PDL si potrebbe considerare superato.
Non è difficile trovare candidature all’altezza del momento difficile ed incomprensibile che viviamo con l’elezione del Capo dello Stato. Tra i candidati possibili vi sono: Prodi e Rodotà.
Occorre riunire al più presto l’assemblea dei grandi elettori del centro sinistra e cambiare strategia al fine di condurre ad unità il popolo democratico che si sente abbandonato e perso.
In questo ultimo periodo sono stati pubblicati alcuni libri sui partiti con valutazioni interessanti e proposte nuove, ultimo il documento di Fabrizio Barca. I contenuti di tali pubblicazioni sono utili non per fare sfoggio culturale ma per indirizzare gli esponenti politici a non fare i soliti errori ed intraprendere una strada di rinnovamento e di cambiamento. Purtroppo le testimonianze concrete si contrappongono alle cose giuste da fare.

Leggi tutto...

lunedì 15 aprile 2013

Piero Fassino si esprime sui problemi attuali

Intervista a Piero Fassino a cura di Aldo Cazzullo pubblicata sul Corriere della Sera il 14 aprile 2013
Piero Fassino, lei come segretario Ds fu cofondatore del partito democratico. Ora teme per la sua sopravvivenza?
«Qui non è in gioco solo il destino di un partito, e neppure solo del Quirinale e del governo, ma della democrazia. Il voto del 24 febbraio ha segnato la conclusione di una lunghissima era politica, la Prima Repubblica. Dopo tanto blaterare di Seconda Repubblica, in realtà l’assetto seguito alla guerra finisce adesso».
Perché dice questo?
«Perché l’Italia in cui siamo cresciuti non c’è più. Siamo cresciuti in una democrazia rappresentativa che aveva come pilastro i grandi corpi intermedi: partiti, sindacati, associazioni di categoria; soggetti di rappresentanza, mediatori di conflitti, elaboratori di proposte. Oggi un quarto del Paese non solo non si riconosce nei partiti, ma si organizza contestando la funzione di quei corpi intermedi. Come siamo mortali noi, sono mortali le forme della politica; e la democrazia del 2000 non può essere la stessa del ’900. Del resto, è normale che sia così. Ogni secolo è segnato dall’evoluzione delle forme della politica. Il ’700 con l’Illuminismo vide la fine dell’assolutismo feudale, e con la Rivoluzione francese l’eguaglianza dei cittadini. L’800 vide la fine degli imperi, la nascita degli Stati nazionali, l’egemonia della borghesia liberale. Il ’900 fu il secolo del suffragio universale, della democrazia parlamentare, dei grandi soggetti politici di massa».
Il nostro sarà il secolo della democrazia online?
«Noi oggi dobbiamo pensare le nuove forme e modalità della democrazia, nell’era del web, della globalizzazione, della società flessibile. Dal ’45 a oggi tutti siamo cresciuti in una democrazia rappresentativa il cui cuore era il Parlamento. Oggi se il Parlamento restasse chiuso sei mesi, c’è il rischio che nessuno ne chieda la riapertura. Questo è il vero tema. E nessuno lo affronta. Eppure è un tema affascinante: reinventare la democrazia. Non è un fenomeno solo italiano. Lo ritrovi in Francia, in Spagna, in tanti Paesi. Lo ritrovi in Europa».
L’Europa da sogno è diventata bersaglio.
«Appunto. La politica era forte quando mercato, nazione e Stato coincidevano e la sovranità della politica era piena. Oggi, di fronte alla globalizzazione, quante cose che investono la nostra vita non passano più per la sovranità di chi governa un Paese? Il primo scossone fu Chernobyl, che ha cambiato l’agenda ambientale mondiale. Il crollo delle banche americane e del sistema finanziario internazionale ha evidenziato l’impotenza dei governi nazionali. Fare l’Europa è più che mai necessario. Ma non puoi riuscirci se non hai con te i cittadini. Ovunque emergono forme di ripiegamento nazionale o territoriale; perché l’Europa non ha individuato ancora i modi che consentano ai cittadini di riconoscersi in essa. Il deficit non riguarda solo i bilanci, ma anche la democrazia. Che va ripensata su scala europea».
Torniamo al Pd. Lei teme una scissione?
«No, e in ogni caso va evitata qualsiasi nostalgia del passato. All’epoca dissi che doveva essere un partito nuovo per un secolo nuovo. Non era il prolungamento di ciò che c’era prima; era lo sforzo di mettere in campo una forza in grado di interpretare una società che stava cambiando tutte le sue forme di organizzazione. Se il Pd ha una missione, è questa. La sua tenuta e la sua riuscita dipendono dalla capacità di compierla, reinventando la democrazia».
All’interno del partito molte voci indicano il rischio di una rottura.
«Io credo invece che ci siano tutte le condizioni per discutere senza spaccarci, senza dividerci. Renzi, o Barca, o qualunque di noi: il problema non è il destino personale, è la responsabilità verso la nostra gente e il Paese. Ridisegnare democrazia e futuro dell’Italia, questa è la discussione vera da fare all’indomani dell’elezione del capo dello Stato e della nascita di un governo. Sono passaggi importantissimi, che però non risolvono la questione di fondo».
Già si parla di Renzi candidato a Palazzo Chigi per prendere voti al centro e di Barca segretario per rassicurare la sinistra del partito. Ma può funzionare lo schema?
«Se affrontiamo il tema in questi termini, partiamo dalla coda e non dalla testa. Dobbiamo ricostruire forme e modalità della politica: linguaggio, ruolo delle istituzioni, rapporto con gli italiani, che oggi non hanno fiducia in noi; se gli proponiamo di passare dai partiti così come sono, non ci vengono. Renzi per un verso e Barca per un altro, ognuno di noi con la sua storia e il suo lessico, hanno già aperto la discussione. Il Pd deve avere coraggio e spronare tutto il sistema politico ad avviare la fase costituente di una nuova democrazia. Non sono cose che si decidono con una direzione di partito o con un referendum tra due leader; è il momento di alzare il tono. Va ripensato tutto, anche il rapporto tra partecipazione e tecnologia. Per mezzo secolo, i partiti si sono organizzati in forme fisiche: sezioni, convegni, congressi. Radunavi gente in una stanza, un teatro, un palasport, e discutevi. Oggi i luoghi della discussione sono anche altri: il web, twitter, facebook».
Quindi è sbagliato irridere i grillini per le consultazioni online per il Quirinale?
«Io non irrido, anzi la rete ci dà un’enorme potenzialità. Ma è uno strumento, non un fine. Può essere un metodo straordinario di socializzazione, ma può anche essere usato come un luogo di stalking politico».
Lei al Quirinale chi vede?
«I nomi deve farli chi ne ha la responsabilità. Io nel 2006 fui il regista dell’elezione di Giorgio Napolitano, e ne sono molto orgoglioso».
Quali caratteristiche deve avere il suo successore?
«Deve essere frutto di una scelta condivisa. E deve essere una personalità riconosciuta nel Paese e anche fuori. La riconoscibilità internazionale del presidente della Repubblica è decisiva. In questi anni di crisi acutissime, se non avessimo avuto Ciampi e Napolitano il mondo non avrebbe saputo con chi parlare. Quando Obama chiuse il suo primo incontro con Napolitano, che doveva durare mezz’ora e durò un’ora e 40 minuti senza interprete, disse che non aveva mai conosciuto un uomo politico così…».
Napolitano però non ebbe i voti del centrodestra.
«È vero. Quando feci il suo nome a Berlusconi, lui mi disse: “Noi non lo votiamo, però posso conviverci”. Era una forma di condivisione, per quanto minima».
Meglio un’intesa con il Pdl o con i Cinque Stelle?
«L’importante è che sia una personalità in cui la società italiana possa riconoscersi e avere fiducia».
E per il governo, si può pensare a un accordo con Berlusconi?
«Guardi, intanto cerchiamo di evitare un nuovo ricorso alle urne. Da sindaco incontro ogni giorno centinaia di persone. Nessuno mi dice: torniamo alle elezioni. Il voto anticipato aggraverebbe la credibilità di tutti i partiti e del sistema. Le ipotesi sono due: un governo Bersani, espressione del centrosinistra; o un governo del Presidente, che assuma la piattaforma indicata dai saggi. Saranno decisivi l’elezione del capo dello Stato e il clima che creerà nel Paese».

Leggi tutto...

martedì 9 aprile 2013

Quale Governo?

Il PD ed il PDL sono due partiti incompatibili ed alternativi tra l’altro per due motivi principali: - punti programmatici diversi in particolare sulla corruzione comprensiva del falso in bilancio e del voto di scambio, conflitto di interesse ed altro; - performance di costume di Berlusconi che non si addice ad un uomo politico e delle istituzioni. Per tali motivi è impossibile far nascere un Governo formato da PD e PDL.
Il richiamo alle larghe intese espresso da Napolitano nella giornata di ieri, ripercorrendo quello che è stato il 1976, potrebbe essere realizzato in rapporto alla sensibilità istituzionale del PDL e del M5S non inferiore a quella che fu all’epoca del Pci, il quale consentì con l’astensione la nascita del Governo monocolore della DC guidato da Giulio Andreotti. L’intesa tra DC e PCI si era posta l’obiettivo di contrastare il terrorismo e, quindi, rafforzare le istituzioni democratiche dello stato e affrontare la crisi finanziaria del paese.
Mi ricordo che la base del PCI era contraria a tale scelta perché era cresciuta con l’obiettivo di essere alternativa alla DC e, quindi, era frastornata da tale proposta. Tuttavia il PCI riuscì a far capire l’importanza della scelta per la difesa delle istituzioni ed il risanamento dell’economia.
Ritornando ad oggi, il PDL ed il M5S potrebbero effettuare la scelta istituzionale, contraria alla scelta di parte,e consentire la nascita di un monocolore PD, guidato da Bersani, che si propone il cambiamento. Purtroppo tali partiti non sono in grado di effettuare una scelta di responsabilità per il bene del paese e, pertanto, si rischia di andare direttamente alle elezioni senza affrontare l’emergenza italiana (crisi economica e finanziaria, problemi sociali, eguaglianza,giustizia).
Le posizioni dei partiti sono queste: - Il PDL propone un governo organico con il PD ma quest’ultimo partito non condivide la proposta; - Il M5S si pone in alternativa a qualunque Governo formato dai vecchi partiti; Il PD continua a proporre un Governo di Cambiamento.Tali proposte non riscuotono il consenso della maggioranza delle forze politiche e, pertanto, non sono di difficile attuazione.
Forse l’unica strada percorribile può essere quella di formare un Governo monocolore PD non tecnico, guidato da Bersani, senza una maggioranza organica che nasce con l’astensione del PDL e M5S che si assumono la responsabilità istituzionale di affrontare le emergenze nazionali.
A differenza del 1976 la base del PDL non pone problemi in quanto è scarsamente politicizzata ed il M5S inizia così ad utilizzare responsabilmente i consensi ricevuti.
La Scelta civica di Monti potrebbe essere rappresentata con una presenza nel Governo.
In tale Governo potrebbero trovare posto personalità forti ed indiscusse per la loro onesta e credibilità.
La garanzia per il PDL ed il M5S è data dal fatto che in qualsiasi momento possono esprimere liberamente le proprie posizioni sui singoli provvedimenti in parlamento senza essere vincolati da una maggioranza stabile ed organica. Si tratta di far nascere un Governo con una maggioranza variabile che si forma di volta in volta sui singoli problemi emergenziali del paese.
Il Governo dovrà operare in piena autonomia per il bene comune e l’interesse dei cittadini per disattivare compromessi ed accordi tra i Partiti stessi che potrebbero incidere al ribasso sulla capacità riformatrice del Governo così come è avvenuto con il Governo Monti.
Il Governo così formato dovrebbe essere sottoposto a verifica subito dopo l’approvazione della finanziaria del 2014.
Non si può ritornare senza indugio alle consultazioni elettorali con in mano le carte truccate, rappresentate dall’attuale legge elettorale e dalla incompleta legge anticorruzione, e senza aver affrontato i problemi più urgenti dell’economia (crescita e recessione).
Inoltre, le elezioni subito aggraverebbero l’ingovernabilità e le disuguaglianze del paese.
Sono in grado il PDL ed il M5S ad assumersi una così gravosa responsabilità istituzionale per il bene del paese?
Sono capaci e maturi PDL e M5S di uscire dal recinto e dai confini di partito per assumere un ruolo istituzionale importante per il paese?

Leggi tutto...

sabato 6 aprile 2013

I partiti e il tempo

I partiti italiani sono molto lontani dai cambiamenti avvenuti nelle organizzazioni, nell’economia e nelle imprese. I partiti hanno assunto una organizzazione non più attuale che può essere classificata nel modo seguente: novecenteschi che sono quei partiti legati all’organizzazione tayloristica e fordista del novecento (Pd) con caratteristiche democratiche, personali (Pdl e M5S) con una leadership autoritaria e centralizzata e territoriali a difesa di interessi specifici (Lega).
I partiti non presentano le caratteristiche delle organizzazioni post fordista del terzo millennio:  organizzazione snella e piatta, valorizzazione delle risorse umane, piramide rovesciata, struttura organizzativa decentrata, gestione da top-down a bottom-up.
Tra i fattori di cambiamento delle organizzazioni vi è il fattore tempo: la velocità, indicata da diversi studiosi di management (Kevin Kelly, Stan Davis, Christopher Meyer)  tra i fattori di cambiamento e di trasformazione dell’economia.
In questi ultimi giorni vi è stata una grossa polemica tra Renzi e le persone a lui vicine da una parte ed i Bersaniani dall’altra. Renzi ha dichiarato: “Il pianeta corre. L’Italia è totalmente ferma”.
La polemica aperta incentrata sul tempo di costituzione del Governo rispetto ai bisogni della società e dell’economia non ha valutato la velocità del sistema dei partiti e come al solito nelle risposte sono stati introdotti altri elementi che non hanno a che vedere con il fattore tempo correlato alla crisi del paese.
Occorre secondo me realizzare un rapporto tra i gravi problemi sociali del paese ed il tempo dei partiti. Da questa valutazione scaturisce che le persone che vivono sulla propria pelle gli effetti della crisi non hanno più tempo e, quindi, la politica dovrebbe intervenire con velocità per superare l’incertezza e risolvere i problemi drammatici della crisi e del non governo.
La velocità del processo dipende da tutti i soggetti che partecipano al processo stesso e, pertanto, addebitare la responsabilità ad un unico soggetto è sbagliato. Purtroppo il sistema dei partiti è lento e non tiene in considerazione i fattori di cambiamento tra i quali vi è la velocità.
Porto ad esempio il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni verso le imprese. La direttiva 2011/7/UE del 16 febbraio del 2011 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali è stata recepita all’inizio di novembre 2012 dal Governo Monti (D. Lgs 9 novembre 2012 n.192) con molto ritardo rispetto alle esigenze delle imprese che si trovano in enorme difficoltà per la mancanza di liquidità e per le difficoltà a ricevere credito. Il Governo Berlusconi fino a quando è rimasto in carica non aveva recepito tale direttiva. Solo oggi il Governo Monti ha approvato il decreto sul pagamento dei debiti delle Pubbliche Amministrazioni.
Il tempo di definizione del processo di pagamento dei debiti delle P.A. alle imprese è stato molto lungo rispetto alla crisi ed alla domanda delle imprese.
Non dovrebbe risultare difficile valutare il fattore tempo nei processi politici senza strumentalizzazioni e posizioni di parte che non aiutano ad assumere posizioni oggettive e confrontare la velocità con gli obiettivi che si vogliono conseguire ed i bisogni della società civile.
Rispetto alla crisi ed ai bisogni del paese occorre un Governo subito ed al momento attuale vi sono difficoltà insormontabili per realizzare tale obiettivo.
Di chi è la colpa se non si riesce a formare immediatamente il Governo? Non certamente di un unico soggetto. Tra i responsabili vi sono sicuramente: i soggetti politici che privilegiano le posizioni di parte, il risultato delle elezioni conseguenza di una legge elettorale che non garantisce una maggioranza chiara e tutti coloro che assumono posizioni di parte che non aiutano a risolvere il problema e che non includono il fattore tempo tra i fattori di cambiamento del sistema politico.
Il tempo è un fattore che non può essere risparmiato o recuperato. Pertanto, quando viene utilizzato senza conseguire gli obiettivi programmati è consumato inutilmente.
Il fattore che oggi deve essere tenuto in considerazione è la velocità altrimenti si rimane indietro rispetto ai cambiamenti del pianeta che avvengono in modo veloce e a prescindere dalla nostra volontà.
L'attuale situazione politica è di stallo e, pertanto, il tempo viene utilizzato male.

Leggi tutto...

venerdì 5 aprile 2013

Alessia Rotta e Diego Zardini per la trasparenza nell’AOUI di Verona

Tutto nasce da una lettera inviata da Sonia Todesco, segretaria della Funzione Pubblica Cgil, al direttore generale dell’azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona nella quale viene affermato che l’Ente non provvede alla pubblicazione completa delle determinazioni e delle delibere dell’Ente. Il direttore generale nella sua risposta afferma che la posizione dell’Ente è corretta e coerente alle disposizioni di legge vigente ed al testo unico della privacy. Una lunga risposta che lascia dubbi e perplessità sul piano giuridico e sociale.
I deputati veronesi del Partito Democratico Alessia Rotta e Diego Zardini, non condividendo la posizione di estrema chiusura assunta dal direttore  generale ed essendo convinti che la trasparenza è un grande strumento di lotta alla corruzione e di diffusione della cultura della legalità, hanno presentato una interrogazione  al Ministro per la Pubblica amministrazione e la semplificazione.
Si tratta della prima interrogazione presentata dai deputati scaligeri in questa legislatura.
Gli interroganti hanno espresso le loro valutazioni sulla trasparenza e sul caso concreto:
“il CPI 2012 di Trasparency International che misura la percezione della corruzione nel settore pubblico e politico a livello globale posiziona l’Italia al 72° posto su 174 paesi nel mondo con un punteggio di 42 su 100. Tale posizionamento comporta corruzione,opacità, debole sistema di controllo e valutazione che comportano un impatto negativo sull’economia, sull’attrazione degli investimenti esteri e la credibilità del Paese;
le autonomie locali, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, pubblicano sul proprio sito istituzionale  le delibere ed i provvedimenti adottati dall’Ente per assicurare i valori costituzionali dell’imparzialità e del buon andamento delle pubbliche amministrazioni (art. 97 della Cost.), per favorire il controllo sociale sull’azione amministrativa e per promuovere la diffusione della cultura della legalità e dell’integrità nel settore pubblico;
la normativa vigente esclude dalla pubblicazione le notizie concernenti la natura delle infermità degli impedimenti personali o familiari che causino l’astensione dal lavoro, nonché le componenti della valutazione o le notizie concernenti il rapporto di lavoro tra il predetto dipendente e l’amministrazione, idonee a rivelare taluna delle informazioni [quelle c.d. sensibili] di cui all’articolo 4, comma 1, lettera d, del D. Lgs. n. 196/2003;
l’art 11, comma 1 e 3, del D. Lgs n. 150/2009 disciplina la trasparenza, intesa come accessibilità totale, e prevede la pubblicazione sui siti istituzionali delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione e la fasi del ciclo di gestione della performance.
considerato che la volontà degli Enti si manifesta attraverso le deliberazioni e le determinazioni assunte in materia di organizzazione e di gestione della performance, si ritiene necessario garantire la pubblicazione di tali atti al fine di attuare la trasparenza;
la Cgil Funzione Pubblica dopo aver verificato che l’Azienda Ospedaliera Universitaria Integrata di Verona provvede soltanto alla pubblicazione del solo elenco degli oggetti delle deliberazioni e determinazioni sul proprio sito istituzionale, ha richiesto al Direttore Generale di provvedere alla pubblicazione completa dei contenuti degli atti e provvedimenti adottati dall’Ente sul sito Istituzionale;
il Direttore Generale dell’azienda ospedaliera universitaria Integrata di Verona nella risposta inviata alla Cgil di Verona conferma la scelta di non pubblicare per intero le deliberazioni e le determinazioni dell’Ente, ribadisce che l’art. 32 della Legge n. 69/2009 si occupa di pubblicazione di atti e provvedimenti non a fini di trasparenza dell’attività amministrativa, ma a fini del tutto diversi, ossia di pubblicità legale e sottolinea il rispetto dei dati personali, diversi da quelli cosiddetti sensibili, che vanno diffusi, solo in caso di necessità, e solo in presenza di una norma che espressamente lo ammetta”.
Alessia Rotta e Diego Zardini hanno chiesto al Ministro di sapere “se non ritenga opportuno e urgente assumere ogni iniziativa di competenza, anche di carattere normativo finalizzata a chiarire la disciplina applicabile alle fattispecie di cui in premessa al fine di conseguire la pubblicazione completa degli atti e delle deliberazioni sul sito istituzionale dell’ente e realizzare così la trasparenza intesa come accessibilità totale ai sensi delle vigenti disposizioni di legge”.
Si fa presente che l’attuale disciplina legislativa sulla trasparenza garantisce il rispetto della privacy e la conoscenza da parte dei cittadini di tutte le informazioni che riguardano la gestione dell’Ente.
L’errore del direttore generale consiste nell’impegno affannoso di esprimere giustificazioni giuridiche da anteporre alla cultura della trasparenza che si sta affermando sempre di più nel nostro paese e di privilegiare strumentalmente la privacy.

Leggi tutto...