domenica 27 luglio 2014

Verona e Udine approvano Al lavoro in bicicletta

La mozione a sostegno della proposta di legge, presentata da Diego Zardini e da altri 30 deputati del Partito Democratico, Sinistra Ecologia e Libertà e Scelta Civica per l’Italia, allarga i consensi grazie all’approvazione unanime della mozione da parte dei consigli comunali di Verona e Udine.
La proposta di legge prevede di liberare dall’uso necessitato della bicicletta per recarsi al lavoro al fine di riconoscere in modo completo l’infortunio in itinere nel caso in cui si verificassero incidenti. Al momento l’infortunio in itinere e la conseguente erogazione della relativa indennità sono  soggetti a tanti e tali condizionamenti  di carattere normativo che non consentono nel caso di incidente il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Inail a favore di coloro che percorrono il tragitto casa-lavoro in bicicletta.
“Anche Verona, dichiara Damiano Fermo primo firmatario della mozione, approva il sostegno al disegno di legge che vuole riconoscere la copertura assicurativa per i cittadini nei casi di incidente in itinere in bici. Se il Parlamento, sollecitato da ormai tantissimi Comuni italiani, approverà la legge, significherà eliminare uno dei grandi ostacoli che stanno impedendo il più ampio sviluppo della mobilità ciclabile in Italia”.
“Ad oggi i ciclisti, continua Fermo, che si recano al lavoro non sono coperti dalla previdenza sociale in caso di incidente, cosa invece prevista per chi si reca al lavoro su mezzi pubblici o auto propria. Questa “discriminazione” è un evidente ostacolo per chi volontariamente  vorrebbe usare la bicicletta per un tragitto frequentissimo, quello casa-lavoro appunto”.
“Le ricadute positive di questa proposta di legge, conclude Damiano Fermo, sono dunque importanti, sia per la persona (risparmio, salute, benessere) che per la collettività e la pubblica amministrazione (decongestionamento traffico, abbattimento spese sanitarie). Questa, da Verona, è quindi una bella notizia per chi, sulla promozione della ciclabilità, ha speso parte della propria vita. Un grazie a tutti loro”.
“L'approvazione all’unanimità della mozione"Adesione e sostegno alla proposta di legge per il riconoscimento dell'infortunio in itinere per i lavoratori che usano la bicicletta durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro”, dichiara Michele Bertucco capo gruppo del PD in consiglio comunale, da parte del consiglio comunale di Verona rappresenta un importante riconoscimento della bicicletta come mezzo di trasporto”.
“L’utilizzo della bicicletta per recarsi al lavoro è una buona abitudine da diffondere quanto più possibile a Verona. Perché rende meno caotici i nostri quartieri, alleggerisce il problema del traffico e riduce i livelli di inquinamento. E, in un ambiente più sano, aiuta chi la utilizza a mantenersi in salute, afferma Michele Bertucco”.
Michele Bertucco entra nel merito della questione: “La mozione approvata nasce da una proposta di Legge che vede come primo firmatario il deputato veronese Diego Zardini ed affronta un problema vero. In Italia, la legislazione attuale consente il riconoscimento dell’infortunio in itinere e di conseguenza la corresponsione del relativo indennizzo solo nei seguenti casi: assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto; – non percorribilità a piedi del tragitto casa e lavoro e viceversa: – incidente avvenuto solo all’interno di piste ciclabili o di zone interdette al traffico”.
“Le condizioni sono talmente restrittive, conclude Michele Bertucco, che disincentivano l’utilizzo della bicicletta per raggiungere il luogo di lavoro in quanto solo in pochissimi casi viene riconosciuto l’infortunio in itinere e la relativa indennità, penalizzando proprio il mezzo che non inquina, non congestiona i centri abitati e non rappresenta quasi alcun pericolo per gli altri utenti della strada. Ci auguriamo, ora, una rapida approvazione della proposta di Legge che consenta il riconoscimento della bicicletta come mezzo di trasporto”.
Anche il consiglio comunale di Udine su proposta del consigliere Marilena Motta ha approvato all’unanimità la mozione Zardini, sottoscritta anche da Mario Canciano Canciani.
Si segnala che Massimiliano Montagnini ha depositato la mozione a sostegno della proposta di legge a prima firma dell’on. Diego Zardini per promuovere l'uso della bicicletta per recarsi al lavoro.
“Esprimo grandissima soddisfazione, ha dichiarato Diego Zardini, per l'approvazione unanime in consiglio comunale di Verona della mozione che sostiene la mia proposta di legge per estendere la copertura assicurativa per l'infortunio in itinere a chi si reca al lavoro in bicicletta. Il sostegno degli enti locali e degli amministratori è fondamentale per portare a compimento l'approvazione della legge, un grazie a tutti coloro che hanno consentito questo risultato”. Grazie anche a Marilena Motta che si è prodigata a presentare la mozione nel consiglio comunale di Udine che è stata approvata all’unanimità”.
Occorre proseguire nell’impegno perché con una piccola modifica normativa, rappresentata dalla proposta Zardini, rivoluziona la mobilità urbana a vantaggio dell’ambiente e della salute dei cittadini.

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mercoledì 9 luglio 2014

Codice Semplificato e contratto a protezione crescente

Intervista a Pietro Ichino a cura di Roberto Giovannini, pubblicata su La Stampa il 6 luglio 2014
Professor Pietro Ichino, senatore di Scelta Civica, il suo emendamento al Jobs Act sta mettendo in crisi la maggioranza?
«L’avevo preparato nella convinzione che potesse essere appoggiato da tutti: non fa altro che attuare, alla lettera, ciò su cui si era impegnata tutta la maggioranza con la “premessa” al decreto Poletti, frutto di un preciso accordo tradotto dal governo in un emendamento. A meno di due mesi da quell’accordo il PD non può rinnegarlo».
Ci spiega a cosa mira la sua proposta?
L’emendamento mira ad adempiere i due impegni che avevano preso a suo tempo Letta e Renzi: Codice semplificato del lavoro e contratto a protezione crescente. Su entrambi i punti la formulazione lascia larga discrezionalità al governo. D’altra parte, oggi nel testo del disegno di legge la delega per il Codice semplificato non c’è; ed è un punto molto importante per rendere il Paese più attrattivo per gli investimenti stranieri. Quanto al contratto a protezione crescente, in occasione della discussione del decreto Poletti abbiamo raggiunto un accordo politico preciso: non deve essere il contratto unico che elimina tutti gli altri, ma neanche un tipo di contratto aggiuntivo rispetto a quelli già esistenti».
E che cosa deve essere, dunque?
«È il contratto ordinario a tempo indeterminato, ridisciplinato. Il fulcro centrale di una vera riforma del mercato del lavoro sta qui, nel voltar pagina, dopo mezzo secolo, rispetto al regime dijob property. L’emendamento serve anche a eliminare una contraddizione, perché l’attuale testo parla di uno sfrondamento dei contratti esistenti, allude a una riduzione, ma poi aggiunge un nuovo tipo di contratto».
E di conseguenza, in pratica l’articolo 18, come lo conosciamo, per i nuovi contratti non si applicherà più. Ma se invece fosse un contratto aggiuntivo?
«Se il contratto a protezione crescenti si aggiunge al contratto ordinario a tempo indeterminato, non c’è la riforma annunciata del mercato del lavoro, ma solo un ennesimo intervento “al margine”, come ne abbiamo fatti tanti negli ultimi vent’anni, proprio per non toccare il contratto a tempo indeterminato. Col solo risultato di comprimere l’area del tempo indeterminato ed allargare quella del lavoro a termine. In contrasto anche con la direttiva europea 70/99, che dice che il contratto a tempo indeterminato dev’essere la norma e non l’eccezione. Ma oggi su 100 nuove assunzioni in Italia solo 16 sono a tempo indeterminato, 68 sono a termine e altre 15 in forme ulteriori variamente precarie. Insomma, dopo il decreto Poletti, se vogliamo dare competitività nuova al tempo indeterminato non possiamo non intervenire proprio qui. Il mio emendamento, del resto, lascia al Governo una amplissima discrezionalità nella scelta tra i possibili modelli di contratto “a protezione crescente”, tra il modello Boeri-Garibaldi, che flessibilizza solo il primo triennio, e il modello proposto da me, che lascia la flessibilità anche dopo il primo triennio coniugandola con misure per dare maggiore sicurezza economica e professionale al lavoratore nel mercato. Il ministro del Lavoro è uomo del Pd: sarà lui a interpretare la delega; il Pd non ha motivo di opporsi».
E se la sua proposta non passasse?
«Sarebbe il venir meno dell’Italia a uno degli impegni presi e ribaditi, anche di recente, dal presidente del Consiglio nei confronti dei suoi interlocutori a Bruxelles. L’Italia perderà il potere negoziale che ha acquisito negli ultimi mesi in Europa; e sarà molto più difficile ottenere la flessibilità sui conti che ci serve».

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sabato 5 luglio 2014

Grillo arriva fuori tempo massimo

Articolo di Roberto D’Alimonte pubblicato su il Sole 24 Ore il 4 luglio 2014
Non sarà Grillo l'interlocutore di Renzi sulle riforme istituzionali. Almeno non per ora. È questo il senso dell'incontro di ieri tra Renzi e Berlusconi. Il patto del Nazareno tiene. Il M5S è arrivato tardi. A gennaio avrebbe forse potuto essere un interlocutore influente.
Dopo tutto il modello di riforma elettorale proposto ora dal M5S non è lontano da uno dei tre modelli indicati da Renzi. Ma a gennaio è stata fatta una scelta diversa che ieri è stata confermata. Ricominciare da capo non ha senso. Per la riforma elettorale si andrà avanti con l'Italicum. Ed è bene che sia così. La proposta del M5S non è campata per aria ma, oltre ad essere arrivata tardi, ha dei limiti che la rendono meno preferibile dell'Italicum. L'obiettivo principale del nuovo sistema elettorale deve essere quello di garantire che la sera delle elezioni si sappia chi ha vinto. Quello che in gergo si chiama la "decisività" del voto degli elettori. Sono i cittadini a scegliere il governo. Su questo pare che anche il M5S sia d'accordo. Quanto meno immaginiamo che lo sia. Bene, questo obiettivo si potrebbe certamente realizzare anche con il grillinum, ma al costo di sacrificare con il grillinum, ma al costo di sacrificare eccessivamente la rappresentatività. Infatti per ottenere questo risultato si dovrebbero fare circoscrizioni elettorali molto piccole, cioè con pochi seggi da assegnare. Solo in questo modo il sistema elettorale potrebbe produrre un livello di disproporzionalità – vale a dire una distorsione voti-seggi – tale da assicurare che il partito o la coalizione con la maggioranza relativa dei voti ottenga la maggioranza assoluta dei seggi. Però, battendo questa strada, si finisce col penalizzare fortemente la rappresentanza delle formazioni minori.
Lo stesso obiettivo si può ottenere con l'Italicum in maniera più semplice e più trasparente. Infatti con questo sistema di voto se un partito supera una certa soglia – che sia parte di una coalizione o no – avrà comunque un certo numero di seggi. Così anche le formazioni minori sono rappresentate. L'importante è che la soglia non sia troppo elevata. E soprattutto che sia unica per tutti i partiti. E in questo l'Italicum, come abbiamo scritto più volte, andrebbe rivisto. Le soglie attualmente previste sono troppe, troppo elevate e troppo distorsive.
Il vero vantaggio dell'Italicum sul grillinum però è un altro. Si chiama ballottaggio. Nel nostro paese sono in tanti quelli che ancora pensano che proporzionalità e democrazia siano la stessa cosa. E allora è bene che se un partito o una coalizione non ha i voti per ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in base alle prime preferenze degli elettori ci sia un secondo turno in cui contino anche le seconde preferenze. Dopodiché alla maggioranza dei voti corrisponderà necessariamente la maggioranza dei seggi. Detto altrimenti: il meccanismo del ballottaggio legittima meglio la disproporzionalità rispetto a quello delle piccole circoscrizioni. Nella attuale versione dell'Italicum il ballottaggio è previsto solo se un partito o una coalizione non arriva al 37% dei voti al primo turno.
In questo caso sono gli elettori che vanno a votare al secondo turno a scegliere il vincitore tra i primi due competitori. Se invece un partito o una coalizione arrivano al 37% al posto del ballottaggio c'è un premio pari al 15% dei seggi che si aggiungono a quelli naturalmente ottenuti da chi arriva primo in termini di voti. È un altro modo di produrre disproporzionalità, ma è peggio del ballottaggio. Per questo sarebbe più funzionale che la soglia del 37% sia alzata. Non si sa se questo sia stato un argomento discusso ieri. Si sa invece che tra Renzi e Berlusconi si è parlato di preferenze. Per il premier è un argomento ostico. Berlusconi è da sempre contrario. Il M5S ne ha fatto un cavallo di battaglia e la stessa cosa si appresta a fare una parte del Pd. Dare la possibilità agli elettori di scegliere i candidati suona bene. E lo stesso si può dire del Senato eletto direttamente dal popolo anziché dai consigli regionali. Il fatto che le preferenze e l'elezione diretta dei membri della seconda camera siano istituti rarissimi nelle altre democrazie non conta. Ma questo è un dettaglio che si perde nel vortice della retorica politica che caratterizza la discussione su questi temi. Alla fine, se fosse per il premier le preferenze si potrebbero anche introdurre ma è difficile che Berlusconi faccia marcia indietro. E allora vale la pena di far saltare tutto? Una buona riforma elettorale val bene una lista bloccata.

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Le prospettive di garanzia giovani

Articolo di Maurizio Ferrera pubblicato sul Corriere della Sera il 3 luglio 2014
La disoccupazione giovanile continua a crescere, soprattutto fra le donne. Due mesi fa ha preso avvio il programma «Garanzia giovani», cofinanziato dall’Unione Europea, il cui obiettivo è proprio quello di aiutare chi ha meno di 29 anni a inserirsi nel mondo del lavoro. Otto settimane non bastano certo a produrre risultati concreti. È però lecito chiedersi a che punto siamo e che cosa possiamo aspettarci da questa ambiziosa iniziativa.
Quasi 100 mila giovani si sono già iscritti al portale Internet e molti sono stati anche intervistati dai servizi per l’impiego. La vera sfida comincia adesso. La «Garanzia» prevede infatti che entro quattro mesi il disoccupato riceva una proposta concreta di inserimento. Sul portale si legge che le aziende per ora hanno segnalato circa 2 mila occasioni di lavoro: un numero davvero esiguo, anche tenendo conto della crisi. Bisogna migliorare con urgenza i flussi informativi sulle posizioni vacanti in tutti i settori dell’economia.
Il compito di attuare la «Garanzia» spetta alle Regioni. Quelle del Centro-Nord (in parte anche la Puglia) sembrano sulla buona strada. Lombardia, Toscana e Lazio hanno già incontrato più di un terzo dei loro iscritti. Le Regioni del Mezzogiorno sono invece quasi ferme. E ciò che sta accadendo solleva, purtroppo, più di una preoccupazione. Nel piano di spesa della Sicilia, ad esempio, quasi due terzi dei 178 milioni di euro disponibili verranno destinati all’«accoglienza» e alla formazione, solo il 6 per cento ad attività concrete come l’apprendistato. Per quest’ultima voce («già incentivata da altre leggi») la Sardegna non prevede neppure un euro, mentre abbonda in sussidi a formatori e mediatori. La Calabria dal canto suo ha appena chiuso un bando per 500 tirocini con modalità di selezione che rischiano di riprodurre sotto nuove spoglie le tradizionali logiche clientelari. Dati questi segnali, vi è un’alta probabilità che la «Garanzia» fallisca proprio nelle aree del Paese dove è più necessaria. Invece di innescare dinamiche virtuose nei mercati del lavoro del Mezzogiorno, le risorse europee rischiano di alimentare, come in passato, il sottosviluppo assistito. Bruxelles è preoccupata e non ha ancora formalmente approvato il piano italiano: non una bella figura per il Paese che più aveva insistito per mobilitare i fondi Ue e che ora detiene la presidenza di turno.
Per evitare il fallimento, il governo deve attivarsi subito su almeno due fronti. Innanzitutto imponendo alle Regioni il rispetto di criteri minimi di trasparenza ed efficacia nella fornitura dei servizi (costi standard, pagamento sulla base dei risultati, apertura alle agenzie del lavoro private e così via). In secondo luogo, collegando la «Garanzia giovani» in modo più diretto al mondo delle imprese. Occorrono incentivi, accordi, politiche di livello nazionale. Nel Mezzogiorno ciò significa attrarre investimenti, avviare una seria politica per il turismo e per i servizi, in modo da facilitare anche iniziative dal basso di autoimpiego e di start-up. Un’opportunità concreta di mettersi in gioco nel mercato, in base alle proprie capacità e ai propri talenti: questa è la vera «garanzia» che dobbiamo offrire ai giovani italiani. Iniziando da quelli (troppi) che oggi non riescono a uscire con le proprie gambe dalle trappole dell’inattività, della disoccupazione e dell’assistenzialismo.

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