martedì 30 settembre 2008

Interrogazione di Ichino sui premi incentivanti

Si riporta l'interrogazione dei senatori Pietro Ichino e Paolo Nerozzi al Ministro per la Funzione pubblica e l’Innovazione tecnologica sul taglio dei premi incentivanti ai dipendenti dell'INPS e dell'Agenzia delle Entrate.
"Considerato che
‑ negli ultimi mesi il Ministro stesso ha ripetutamente enunciato con vigore il proprio intendimento di attivare nelle amministrazioni pubbliche un sistema retributivo capace di commisurare significativamente le retribuzioni alla quantità e qualità del lavoro svolto dai singoli uffici e dai singoli dipendenti;
‑ in sconcertante contrasto con tale intendimento, l’articolo 67 del d.-l. n. 112/2008, come modificato dalla legge di conversione n. 133/2008, ha drasticamente ridotto gli incentivi speciali destinati ai dipendenti dell’Inps e delle Agenzie delle Entrate: si tratta di incentivi legati alla produzione e in particolare a obiettivi via via sempre più avanzati e impegnativi, finanziati mediante un fondo alimentato in riferimento al recupero dell’evasione contributiva per l’Inps, al recupero dell’evasione fiscale per le Agenzie delle Entrate;
‑ ancora in contrasto con l’intendimento enunciato dal Ministro, l’articolo 61-bis, comma 8°, del citato d.-l. n. 112/2008, come modificato dalla legge di conversione n. 133/2008, ha ridotto drasticamente l’incentivo per l’attività di progettazione e direzione lavori dal già assai ridotto valore del 2% lordo allo 0,50%, col risultato di scoraggiare la disponibilità per tali attività dei dipendenti pubblici con professionalità elevate, costringendo le amministrazioni a fare ricorso ad assai più costose collaborazioni di liberi professionisti esterni;
si chiede al Ministro come si spieghi la contraddizione tra gli intendimenti enunciati e le misure adottate; si chiede inoltre se egli non ritenga, viceversa, necessario intervenire per ripristinare e semmai potenziare le suddette forme di retribuzione incentivante".
E' facile per il Ministro Brunetta tagliare i premi incentivanti anzichè entrare nel merito delle questioni. Ripristinare i premi di produzione per il 2009 significa intanto conoscere il sistema incentivante applicato degli enti interessati e realizzare un rapporto partecipativo e democratico finalizzato all'applicazione del merito ed al miglioramento della qualità e della produttività dei servizi pubblici.

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mercoledì 24 settembre 2008

Alessia Mosca sul potere d’acquisto delle famiglie

Si riporta l’intervento dell’on.le Alessia Mosca effettuato alla Camera dei Deputati sul potere d’acquisto delle famiglie. La mozione è stata pubblicata nel post “Il potere d’acquisto delle famiglie”.
“La mozione che presentiamo oggi è un’altra delle forme con cui da mesi cerchiamo di richiamare il Governo a una maggiore attenzione e responsabilità rispetto alla drammatica situazione che sempre più famiglie, lavoratori e lavoratrici, pensionate e pensionati si trovano a vivere.
Una situazione che nel corso dei mesi è andata via via peggiorando fino a raggiungere un livello di allarme rispetto al quale non si può rimanere indifferenti o distratti: la situazione dell’aumento della povertà e della perdita del potere d’acquisto dei salari.
La responsabilità primaria di chi gestisce la «cosa pubblica» è di occuparsi del bene comune, che con accenti diversi a seconda dell’orientamento politico, dei valori di riferimento e del momento storico si declina come competitività e crescita del sistema e come attenzione e sostegno ai cittadini più deboli.
Il Governo sta fallendo sull’uno e sull’altro fronte, che poi sono due facce della medesima medaglia. Non si intravedono infatti misure di vero incentivo al sistema Paese nel suo complesso né tantomeno si scorgono interventi a favore di quanti, e sono sempre di più, stanno pericolosamente scivolando al di sotto della soglia di povertà.
Tutto orientato a ciò che è marketing, fiction, comunicazione, propaganda, questo esecutivo non ha smentito la sua caratteristica di rappresentarsi e rappresentarci una immagine sempre distorta della realtà, modellata in base alle proprie convenienze politiche. Come nei film, si costruisce una storia enfatizzando solo alcuni aspetti della realtà, e intorno a essa si solleticano paure e si orientano i bisogni in base a ciò che conviene di più al Governo, non al Paese.
La realtà è però tutta un’altra. E’ una realtà di recessione, che è certo non solo del nostro Paese, ma che da noi si fa sentire più pesantemente che altrove. Ed è una realtà in cui il potere d’acquisto delle famiglie, di tutti i lavoratori e le lavoratrici, dei pensionati e delle pensionate si sta drasticamente riducendo.Di questa distorsione perpetuata dal Governo è sia il sistema Paese che i cittadini che pagano le conseguenze.Stiamo diventando un Paese con molti parametri ben al di sotto di quelli dei Paesi in via di sviluppo. A livello internazionale stiamo perdendo posizioni. Un autorevole conoscitore dell’economia italiana qualche giorno fa, descrivendo il decadimento del nostro Paese nello scenario globale, osservava con preoccupazione che se oggi uno tsunami facesse scomparire l’Italia nessuno se ne accorgerebbe quanto a impatto sul mercato e sulle politiche internazionali.
Ma è l’allargamento della forbice tra i ricchi e i poveri che deve preoccupare più di ogni altra cosa. La cosiddetta «classe media» si sta estinguendo e sta diventando sempre più ampia la base di coloro che letteralmente faticano ad arrivare a fine mese.
Questo è storicamente il terreno in cui scaturiscono disagi sociali e conflittualità che un Paese come il nostro, con la sua cultura, la sua civiltà, i suoi valori di coesione e solidarietà oggi non si può permettere.Non si può permettere di affrontare il tema dell’estrema povertà con misure assistenzialiste e poco rispettose della dignità umana.
Non si può permettere che si vada allargando la schiera dei cosiddetti working poors, cioè di coloro che pur lavorando si trovano al di sotto o poco sopra la soglia di povertà, perché magari unici percettori di reddito in una famiglia di tre o quattro persone.
Non si può permettere infine che la contrazione dei consumi acuisca una situazione economica complessiva di già forte stagnazione.
Governi stranieri di qualsiasi schieramento in questi mesi stanno proponendo piani straordinari per ridare ossigeno a economie in affanno e per sostenere i consumi delle famiglie. Perché è giusto e perché è necessario.
Il Governo Prodi, nelle settimane precedenti alla sua caduta, aveva istituito un tavolo di confronto con tutte le parti sociali per affrontare seriamente la questione salariale.
Il governo attuale fa proclami, crea aspettative, lancia slogan, ma i fatti né si sono visti né si vedono all’orizzonte. E di quel confronto con le parti sociali non c’è traccia. Da un lato, anzi, l’esecutivo taglia laddove non dovrebbe tagliare. Come nella scuola, che rappresenta il fondamentale motore di mobilità sociale, parametro essenziale per lo sviluppo e la competitività di un Paese. Dall’altro, vara misure che chiama di sostegno alle famiglie – come la detassazione degli straordinari – ma che sono insufficienti, inique e inefficienti.
E’ urgente invece intervenire concretamente e subito, se non si vuole che questo Paese sprofondi in una crisi irreversibile. Ci sono ancora i margini per farlo. E’ per questo che oggi, con questa mozione, facciamo appello al Governo perché non aspetti altro tempo. Perché è giusto e perché è necessario più in Italia che in qualsiasi altro Paese. Perché siamo più in affanno di altri e perché invece, più di altri, meritiamo di essere punto di riferimento, per la nostra ricchezza umana e culturale, per le nostre eccellenze e per la nostra capacità di affrontare con caparbia i momenti di crisi”.
Speriamo che la coscienza dei cittadini verso i problemi delle famiglie sia più forte della propaganda di Berlusconi e del suo Governo.

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lunedì 22 settembre 2008

Alitalia e relazioni industriali di Pietro Ichino

Articolo pubblicato sul Corriere della Sera il 21 settembre 2008
L’applauso dei piloti e degli assistenti di volo, a Fiumicino, alla notizia della rottura della trattativa con la nuova compagnia Cai, col conseguente probabile fallimento di Alitalia, non è un “episodio paradossale”, come qualcuno ha detto: in realtà lo si può spiegare facilmente. Quelli che hanno applaudito fanno conto sull’intervento di una Cassa integrazione guadagni o su di un trattamento di disoccupazione speciale erogato proprio per consentire loro di attendere con calma il nuovo lavoro. Qualcuno dovrà pure, prima o poi, far volare gli aerei sulle nostre rotte al posto di Alitalia; e piloti e personale di volo non si sostituiscono così facilmente.
Logico? No, per nulla. Perché in nessun Paese serio si erogano trattamenti di disoccupazione o integrazione salariale, neppure per pochi mesi, a chi rifiuta l’offerta di un rapporto di lavoro regolare, confacente alla sua professionalità, come certamente era l’offerta di Cai. Se anche in Italia sapessimo gestire in modo serio questi “ammortizzatori sociali”, a Fiumicino giovedì scorso non ci sarebbe stato alcun applauso; e probabilmente la trattativa non sarebbe stata rotta, perché il rifiuto dell’offerta Cai avrebbe precluso il godimento delle misure di sostegno. Chiediamoci: quanto ci costa e ci è costata, anche in passato, questa incapacità di gestione appropriata del sostegno del reddito dei disoccupati?
Questo è solo uno dei nodi cruciali del funzionamento del nostro ordinamento del lavoro e del nostro sistema di relazioni industriali che la crisi Alitalia ha fatto venire al pettine, addirittura portandolo sul teleschermo in prima serata. E fornendoci così un’occasione unica di riflessione pubblica di massa su questi temi.
Nei giorni precedenti, si era vista la Cgil subordinare la propria firma dell’accordo alla firma dei sindacati autonomi. Se non sono d’accordo tutti e nove i sindacati operanti in azienda, non se ne fa nulla. È il principio non scritto che regola le relazioni industriali nella maggior parte dei settori dei nostri servizi pubblici, dove anche il sindacato più piccolo può esercitare un diritto di veto, proclamando uno sciopero ben congegnato, capace di bloccare l’intera azienda e talvolta intere parti del Paese. L’applicazione di fatto di questo principio, nei decenni passati, ha svenato le confederazioni maggiori nel settore dei servizi pubblici, consentendo ai sindacati autonomi di ridicolizzare, paralizzandoli, gli accordi più importanti e impegnativi che esse avevano stipulato per ridare efficienza ed economicità alle aziende. Occorrono invece regole chiare sulla misurazione della rappresentanza nei luoghi di lavoro, che favoriscano il pluralismo sindacale, cioè il confronto aperto fra visioni diverse, ma non la frammentazione. E che, come in quasi tutti i maggiori Paesi europei, consentano ai lavoratori di scegliere a maggioranza la coalizione sindacale legittimata a proclamare uno sciopero e quella legittimata a negoziare con efficacia estesa a tutti i dipendenti dell’azienda. Che fine ha fatto questo tema della riforma della rappresentanza nella grande trattativa in corso tra Confindustria e sindacati?
Un altro nodo che è venuto al pettine nella crisi Alitalia è l’incapacità totale del sindacato di operare come intelligenza collettiva che consente ai lavoratori di valutare i piani industriali disponibili, l’affidabilità di chi li propone, e scegliere il migliore tra quelli realisticamente praticabili. Questa incapacità ha portato la Cisl, nel marzo scorso, a guidare il fronte del “no” pregiudiziale alla proposta Air France-KLM (“no” cui si è improvvidamente associato Berlusconi), salvo poi passare a guidare il fronte del “sì” alla proposta di una compagnia incomparabilmente più debole sotto tutti i punti di vista, e che offre condizioni di lavoro per diversi aspetti meno vantaggiose. Il collettivo dei lavoratori Alitalia avrebbe dovuto porsi in grado di scegliere il meglio dell’imprenditoria mondiale in questo settore; ma questo non è possibile quando il leader sindacale che guida le danze, Raffaele Bonanni, dichiara come criterio di preferenza decisivo che dall’altra parte del tavolo ci siano imprenditori “che parlano italiano”!
Lo stesso può dirsi dell’altro leader sindacale maggiore quando egli chiede a gran voce una “trattativa vera”, chiarendo che tale non può considerarsi una trattativa che dura soltanto quattro giorni o una settimana. “Trattativa vera”, dunque, sono soltanto i vetusti riti nostrani delle defatiganti negoziazioni notturne che durano mesi? Epifani dovrebbe sapere, ormai, che quei riti nulla hanno a che vedere con i tempi dell’economia attuale, con i modi nei quali comunemente si tratta e si decide un investimento nella grande platea globale.
Finché questa sarà la nostra cultura sindacale dominante, sarà molto difficile per l’Italia proporsi di guadagnare posizioni nella graduatoria dei Paesi d’Europa più capaci di intercettare investimenti nel mercato planetario dei capitali: una graduatoria che la vede oggi fanalino di coda.

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venerdì 19 settembre 2008

Potere d'acquisto delle famiglie

Ho ricevuto dall'on.le Alessia Mosca la mozione sul potere di acquisto delle famiglie presentata da Cesare Damiano, Alessia Mosca ed altri deputati che verrà discussa martedì e mercoledi prossimo alla Camera dei Deputati. Su questo argomento, redditi e pensioni basse, abbiamo richiamato l'attenzione con la pubblicazione di alcuni post sulla necessità urgente di varare delle misure a favore delle famiglie che si trovano in difficoltà. Si riporta la mozione presentata alla Camera.
Premesso che:
- dall'inizio degli anni 2000, le dinamiche relative alla crescita delle retribuzioni, delle pensioni, della produttività e la stessa distribuzione della ricchezza prodotta in Italia, evidenziano che siamo in presenza di un grave problema di decrescente e insufficiente potere d'acquisto delle famiglie;
-tale situazione è determinata, in primo luogo, dal rallentamento degli incrementi delle retribuzioni e delle pensioni reali, sia contrattuali che «di fatto», sia lorde che nette, soprattutto se confrontate con quello dei maggiori paesi europei. Oggi il nostro paese è in una situazione di crescita zero, di aumento dell'utilizzo della cassa integrazione e di un vistoso calo dei consumi;
- i dati Istat, relativi all'andamento del prodotto interno lordo italiano nel secondo trimestre, rilevano una diminuzione dello 0,3 per cento, rispetto al trimestre precedente, e dello 0,1 per cento, rispetto al corrispondente trimestre 2007; - oltre 14 milioni di lavoratori, secondo recenti indagini, guadagnano meno di 1.300 euro netti al mese.
Nei dati dell'ultima indagine dell'Istat sulla condizione economica delle famiglie si evidenzia che:
- il 14,6 per cento arriva con grande difficoltà a fine mese;
- il 28,4 per cento non riesce a far fronte a una spesa imprevista;
- il 9,3 per cento è in arretrato nel pagamento delle bollette;
- il 10,4 per cento non riscalda adeguatamente la casa; - il 4,2 per cento non ha soldi per le spese alimentari; - il 10,4 per cento non ha soldi per le spese mediche;
- il 16,4 per cento non ha soldi per le spese per l'abbigliamento;
- le cause di questa situazione sono molteplici: lo scarto tra inflazione programmata e inflazione effettiva; il ritardo nel rinnovo dei contratti di lavoro, che mediamente sì attesta oltre i 12 mesi, ed è causa di una mancata crescita delle retribuzioni di uno/due punti percentuali; la mancata restituzione del drenaggio fiscale e l'assenza di una politica fiscale a sostegno dei redditi;
- l'inadeguata ridistribuzione della produttività attraverso la contrattazione di azienda e di territorio; l'aumento dell'incidenza percentuale del numero dei lavoratori con contratti atipici, precari e ad orario ridotto;
- tra il 1992 e il 2007, in Italia, su una crescita complessiva, pur modesta, di 17 punti percentuali, soltanto due sono andati a vantaggio del lavoro. Questa emergenza salariale ha richiamato più volte l'esigenza di una nuova politica dei redditi che impegnasse governo e parti sociali. Nel DPEF 2009-2013 e nel decreto-legge n. 112 sulla manovra economica, l'attuale governo non ha preso in considerazione, nonostante le promesse elettorali, il problema dell'innalzamento del potere d'acquisto delle retribuzioni e delle pensioni, che potrebbe contribuire ad una ripresa dei consumi e di conseguenza, allo sviluppo del paese;
- negli ultimi due decenni, il crescente divario sociale, frutto di un sempre più accentuato squilibrio nella distribuzione della ricchezza a tutto scapito del fattore lavoro e dei percettori di redditi fissi - così come evidenziato dalle più serie e circostanziate analisi, quali quelle della Banca d'Italia - oltre a rappresentare un inaccettabile elemento di iniquità, costituisce una delle cause della intrinseca debolezza del sistema economico e produttivo, stante l'ormai conclamata e prolungata debolezza della domanda interna;
- la ripresa e la competitività dell'economia italiana non potrà non poggiare che sul recupero di valore del fattore lavoro, sotto il profilo economico, sociale, giuridico e culturale, e pertanto sarà necessario imprimere una decisa inversione di tendenza nell'azione di governo, rispetto alla filosofia che ha caratterizzato i primi provvedimenti di questa legislatura.
Impegna il Governo:
- ad aprire con le parti sociali un tavolo di concertazione volto in particolare a superare l'irrealistico tasso di inflazione programmata, fissato all'1,7 per cento, che rappresenta la pianificazione della perdita del potere d'acquisto delle retribuzioni a fronte di un'inflazione media reale del 4 per cento in Italia, (contro una stima per la zona euro pari al 3,6 per cento) mentre questo tasso andrebbe innalzato al livello che verrà definito dalle parti sociali, al termine della trattativa in corso sul rinnovo del modello contrattuale, anche al fine di evitare che si determinino due livelli di inflazione, una per il pubblico impiego e l'altra per il lavoro privato;
- ad avviare una progressiva e incisiva diminuzione della pressione fiscale sulle retribuzioni medio basse (fino a 30 mila euro lordi annui), attraverso detrazioni fiscali, revisioni delle aliquote o restituzione del drenaggio fiscale, prevedendo il conseguimento dell'obiettivo di una riduzione del prelievo fino a 100 euro mensili, nell'arco del prossimo triennio 2009-2011;
- a incentivare la contrattazione decentrata, continuando l'azione prevista dal protocollo del 23 luglio 2007, attraverso: la decontribuzione del salario di produttività, aumentando la dotazione dell'apposito fondo, su cui sono attualmente stanziati 650 milioni di euro all'anno, e che consente una diminuzione dei contributi del 25 per cento e la pensionabilità di tale retribuzione; la sua detassazione a vantaggio dei lavoratori, rendendo strutturale l'attuale fondo di 150 milioni, stanziati dal governo Prodi per il 2008, e prevedendone il suo raddoppio;
- a rivedere la norma varata dall'attuale governo in materia di straordinari e di incrementi di produttività, eliminando la possibilità di incentivare le erogazioni unilaterali delle aziende;
- ad avviare un confronto con le parti sociali, così come previsto dal decreto del Governo Prodi emanato nel dicembre del 2007, per l'estensione progressiva della quattordicesima (già erogata nell'ottobre 2007 e nel luglio 2008 ad oltre 3 milioni di pensionati che hanno un assegno pensionistico fino a 700 euro mensili) alle pensioni di importo fino a 1.000-1.200 euro mensili;
- a procedere, entro il 31 dicembre 2008, all'emanazione delle misure che rendano esercibile il diritto al pensionamento anticipato per il lavoratori impegnati in attività usuranti, in conformità a quanto previsto dal Protocollo del 23/7/2007.
Si spera in un dibattito positivo che porti a riconsiderare la redistribuzione della ricchezza in quanto vi sono delle famiglie con redditi bassi (retribuzioni e pensioni) che sono posizionati al di sotto del livello di sopravvivenza che vanno sostenute.

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SOS P.A.

Si avverte in modo chiaro e visibile l’evoluzione rapida dell’ambiente sociale ed economico del pianeta e l’esigenza urgente di una gestione più efficiente ed efficace dei servizi pubblici in Italia che promuova la competitività dell’impresa e, quindi, lo sviluppo del nostro paese e dia risposta alle attese e ai bisogni sempre più urgenti dei cittadini e delle imprese.
Per tale valutazione Lucio Scarpa, coordinatore del circolo on line PD Barack Obama, ed io, iscritto al medesimo circolo, abbiamo lanciato l’idea di costituire un gruppo che si interessi di tale problematica che riteniamo essenziale per aumentare la competitività del paese ed offrire servizi di qualità ai cittadini.
Il Gruppo SOS P. A. si pone i seguenti obiettivi:
- Trattazione dei problemi della P. A.;
- Ricerca, valutazione ed aggiornamento sulle problematiche della P. A.;
- Interviste ai parlamentari e senatori del PD che partecipano alla Commissione Lavoro;
- Pubblicazione di post e commenti sulla P. A.;
- Elaborazioni proposte di miglioramento della P. A.;
- Raccolta di testimonianze sul funzionamento della P. A.;
- Eventuali altre attività proposte dai membri del gruppo.
Questo è un gruppo aperto. Chiunque può iscriversi, invitare altre persone e partecipare esprimendo opinioni, commenti e raccontando la propria esperienza nei rapporti con la Pubblica amministrazione.
Al gruppo fino ad oggi hanno aderito circa 50 persone di città diverse. Vi aspettiamo per occupare uno spazio politico riformista e democratico che attualmente sembra essere occupato dal qualunquismo e dai messaggi mediatici che non intervengono fino a questo momento sul cambiamento strutturale ed organizzativo della P. A.. Per partecipare al gruppo occorre iscriversi su Facebook http://www.facebook.com/. Sul sito del circolo PD Obama è stata aperta una discussione alla quale tutti possono partecipare. SOS P.A.

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lunedì 15 settembre 2008

L’assenza dal lavoro di Donata Gottardi

Con l’intervento di Donata Gottardi, parlamentare europeo e docente di diritto del lavoro presso l’Università di Verona, si arricchisce la valutazione sul fenomeno dell’assenteismo, il quale viene trattato dal parlamentare europeo in relazione alla normativa vigente che tutela alcuni eventi che si verificano durante la vita lavorativa e che rappresentano delle conquiste per i lavoratori in Italia e nel mondo.
“Assenteismo. Se ne parla tanto e da tanto tempo. Non esiste una nozione precisa. Che cosa distingue l’assenteismo dalle assenze dal lavoro previste dalla disciplina legislativa e contrattuale? Provo a proporre questa semplificazione: l’assenteismo è l’abuso, l’utilizzo non fondato e non giustificato della normativa che consente di astenersi dal lavoro. Ma chi stabilisce il confine? E, ancora prima, quali sono le assenze che vengono valutate ai fini dell’assenteismo?
Dipende. In alcuni casi le assenze sono addirittura obbligatorie (vedi il congedo di maternità). In altri casi sono un diritto per la persona che lavora che può scegliere se e come esercitarle (vedi il congedo parentale). In altri viene in campo la salute della persona (vedi le assenze per malattia, ma anche quelle per infortunio o malattia professionale, fino a quelle per la malattia dei figli).
Il dibattito attuale sembra incanalato soprattutto sulle assenze per malattia. Ma mi pare evidente che se parliamo di diritto dell’utente al servizio vengono in gioco anche tutte le altre tipologie di congedi e permessi. Abbiamo intenzione di accettare che venga rimesso in discussione tutto? D’altro canto è così. Se quello che conta è la presenza al lavoro, allora tutte le assenze vanno considerate.
Mi sembra che parliamo di questioni vecchie spacciate per nuove. Il primo momento in cui si è discusso di assenteismo corrisponde agli anni successivi all’emanazione dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Anni ’70. L’accusa? Aver tutelato la salute e previsto un sistema pubblico di visite mediche di controllo che avrebbe consentito di utilizzare senza freni la possibilità di dichiararsi malati. La seconda fase ha coinciso, negli anni ’80, con le fasce orarie di reperibilità. Ora si passa a prendere in considerazione il lavoro nelle amministrazioni pubbliche, con la riduzione della copertura economica e la minaccia di visite di accertamento costanti. Insomma, da un lato nulla di nuovo sotto il sole, ma spacciato per una idea innovativa e geniale, dall’altro evidente spinta a presentarsi al lavoro anche se malati. Pensiamo davvero che quest’inverno, il servizio all’utenza migliorerà se si presenteranno al lavoro persone febbricitanti e coperte da sciarpe e berretti? Gli abusi vanno combattuti, ma gli strumenti già erano disponibili. Ma forse siamo un Paese in cui servono proclami!
L’altro lato della medaglia sono le lodi alle amministrazioni pubbliche che premiano con i fondi della produttività la presenza dei dipendenti. Anche qui, ma qualcuno può davvero spacciare per novità quello che si fa da tanto tempo? Quasi tutte le amministrazioni pubbliche – e non solo, spesso anche le imprese private – utilizzano i fondi destinati a incrementare la produttività per erogare premi legati alla presenza. Perché? Anche per pigrizia. Perché è più complicato valutare davvero l’apporto del lavoratore o della lavoratrice.
Ma chi come me si è occupato delle discriminazioni sa che opporsi è una vecchia battaglia che avevamo già perso. E’ noto ed evidente che per le donne è più complicato garantire la presenza. Sono le donne a farsi carico del doppio e, a volte anche, del triplo ruolo. I congedi per la cura di figli e di famigliari sono misure di conciliazione tra vita familiare e vita professionale. Ovviamente dipende dal lavoro che si presta. Se si tratta di sportello, certo la presenza garantisce la continuità del servizio. Ma se si tratta del cosiddetto back office, forse è più utile valutare l’apporto complessivamente fornito, non quante ore si sono passate nei luoghi di lavoro.
E se il nostro Paese è agli ultimi posti nell’Unione europea quanto a produttività del lavoro, dove sta il vero nodo? Nessuno in Europa pensa di collegare il tempo e la presenza con la produttività. Ma sembra che da noi si possa, nella acquiescenza generale. E chi dice il contrario, diventa automaticamente il difensore dei fannulloni.
Insomma, frittatine riscaldate spacciate per deliziose omelettes che diventano slogans efficaci perché semplificati, semplificanti, in un’epoca che non sembra consentire più riflessioni, distinzioni, approcci problematici”.
Donata Gottardi
Condivido l'intervento di Donata Gottardi che pone alla nostra attenzione la problematica dell'assenza dal lavoro in modo particolare ed interessante e della presenza, la quale non è sempre produttiva per definizione come afferma il Ministro Brunetta. Una delle contraddizioni è rappresentata dalle forme di incentivazioni legate alle presenze e non al merito ed alla produttività. Pietro Ichino afferma che "avere i dipendenti regolarmente presenti in ufficio serve a poco, se lì non c'è chi organizza il lavoro, lo motiva e incentiva adeguatamente, ne controlla i risultati e ne rende conto alla cittadinanza". Ancora una volta sono convinto che bisogna intervenire sulle cause: - Il management pubblico deve assumersi in modo completo le responsabilità gestionali ed organizzative delle unità operative; - L'assenza o l'inadeguatezza di piani di produzione; la mancata trasparenza dei risultati conseguiti; - L'assenza di controllo dei cittadini utenti.

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sabato 13 settembre 2008

Il fenomeno dell'assenteismo

Il fenomeno dell’assenteismo collegato all’esigenza sempre più attuale di migliorare i servizi pubblici continua ad assumere rilevanza tra l’opinione pubblica. Ho posto alcune domande a Silvano Del Lungo (psicologo del lavoro, pioniere della consulenza di direzione in Italia, presidente e fondatore nel 1967 della società Studio Staff) per capire tale fenomeno. Le riflessioni di Silvano Del Lungo si arricchiscono degli interventi di Massimo Gasparato, responsabile delle relazioni industriali e affari sociali della Confindustria di Verona, e di Sergio Facchinetti, segretario generale della Cisl di Verona.
Silvano Del Lungo ha studiato il fenomeno delle assenze e quello dell’assenteismo molti anni fa: - Negli anni ’60 in una azienda siderurgica; - Negli anni ’70 in una fabbrica di camicie; Negli anni ’90 nelle miniere di carbone del Sulcis.
Vuole spiegare il fenomeno dell'assenteismo?
Il fenomeno dell’assenteismo si cela, di solito, all’interno del fenomeno delle assenze dal lavoro. Questo ultimo fenomeno ha una molteplicità di cause personali, familiari e sociali che di solito sono normativamente regolate.
Dietro la dichiarazione di una causa di assenza (per esempio: malattia) da parte dell’assente se ne può celare un’altra normativamente inaccettabile per il datore di lavoro. E’ in questo tipo di assenze accompagnate da false dichiarazioni che si cela, di solito, il fenomeno dell’assenteismo.
Trattando il fenomeno assenze con metodi statistici, distinguendole per cause dichiarate, e analizzando la loro distribuzione e/o concentrazione temporale e locale si arriva a focalizzare con buona approssimazione il fenomeno dell’assenteismo: le caratteristiche peculiari delle assenze da assenteismo, la loro concentrazione stagionale, organizzativa (in certe sedi o reparti, cioè, e non in altri o anche in certi ruoli e non in altri) infine personale (su certe persone e non su altre). Di solito in una Organizzazione che funzioni e che controlli e regoli il fenomeno delle assenze, l’assenteismo si nasconde soprattutto tra le assenze per malattia di breve durata. L’assenteismo di riflesso accresce il tasso d’assenza generale dell’Organizzazione.
Quali sono le cause dell'assenteismo?
Le cause dell’assenteismo sono molteplici. La sociologia del lavoro considera l’assenteismo nel suo insieme come indice di un clima organizzativo cattivo e di una organizzazione disfunzionale e non motivante per le persone, la quale non chiede e non compensa equamente i lavoratori dipendenti. Altri segnali di tali disfunzioni sono, di solito la crescita dei piccoli infortuni, degli incidenti, dei litigi, delle controversie, delle lamentele, la scarsa coesione dei gruppi, il frazionismo sindacale, ecc.
Quali sono i rimedi e le tutele?
Quando l’assenteismo si concentra in una sede o in un reparto, è necessario analizzare il funzionamento di quella sede o reparto. Quando l’assenteismo è generalizzato e tende a diventare un fatto di costume (così come evidenziato dal ministro Brunetta in alcuni settori della P.A.) le cause sono più generali e profonde, sono collegate all’inefficienza organizzativa e più specificamente all’inefficienza e/o iniquità del sistema di inquadramento, retributivo promozionale e, più in generale, di premi e sanzioni: deboli o assenti differenze nei riconoscimenti, nei compensi e nelle sanzioni verso chi fa bene e verso chi fa male da parte dell’Amministrazione. Questo sembra essere il caso di larghe aree della Pubblica Amministrazione anche a detta dei dipendenti ed anche ciò che appare all’osservazione quando il comportamento del dipendente è pubblico. Che differenza di trattamento c’è tra un professore eccellente ed un professore mediocre, tra un vigile urbano di grande città che si impegna per ore nella regolazione del traffico ed un altro in assente presenza sulla strada o rifugiato in un ufficio?
Bene sta facendo Brunetta nella sua attività mediatica a passare, dalla prima fase dedicata ai fannulloni, alla seconda fase in cui chiede, anche ai cittadini, di raccontare sul forum della Funzione Pubblica storie di eccellenza concernenti la P.A..
Massimo Gasparato, responsabile delle relazioni industriali e affari sociali della Confindustria di Verona, afferma che “lavorando da più di vent'anni a fianco delle aziende veronesi, private e non, ho avuto modo di sentire infinite lamentele sulla burocrazia e sull'inefficienza di molte parti della macchina amministrativa. Spesso ho condiviso anche personalmente la loro frustrazione. Ciò nonostante, ritengo che le generalizzazioni mediatiche successive alla "cura Brunetta" non possano essere totalmente condivise”. “Dall'interno di un sistema produttivo, conclude Gasparato, come quello veronese, che presenta dati di assiduità al lavoro sicuramente incoraggianti e ben superiori alla media nazionale, ho dovuto comunque riscontrare infatti casi clamorosi di assenteismo, coperti da medici faciloni e da un garantismo peloso. La patente di fannulloni sia data, dunque, ma in maniera mirata, non per categorie: ho potuto lavorare con solerti impiegati e dirigenti pubblici che meritano un doppio plauso: per quello che fanno e per l'ambiente poco stimolante in cui lo fanno”.
Sergio Facchinetti, segretario generale della Cisl di Verona, dichiara che i provvedimenti del governo nei confronti del pubblico impiego sono “ingiusti e penalizzanti” ed alimentano “qualunquismo e denigrazione”, evitando così “di rispondere alle questioni vere sulle quali il pubblico impiego aspetta risposte, compresa quella dell’insufficienza delle risorse per il rinnovo dei contratti di lavoro”.
“La Cisl, sottolinea Facchinetti, esprime un forte dissenso rispetto all’uso del termine “fannulloni”, quando si parla di lavoratori. Il Sindacato non ha mai sostenuto chi non fa il proprio lavoro, mentre tante volte ha denunciato il lassismo di chi preposto a dirigere un servizio od una attività non controlla i suoi sottoposti e non reprime tutte le situazioni anomale. Pertanto la questione della Pubblica Amministrazione è tutta interna al sistema politico del nostro paese”.
“Vorrei ricordare, afferma Sergio Facchinetti, che mentre il lavoro pubblico per sua natura è sottoposto al giudizio della società, nel privato tale esposizione è totalmente assente, essendo i lavoratori soggetti alla disciplina aziendale e normalmente i responsabili delle aziende private fanno bene il loro dovere. Semmai bisognerebbe capire per ogni sito produttivo quali sono le ragioni che portano i lavoratori ad assumere atteggiamenti anomali (l’organizzazione del lavoro, l’ambiente del lavoro, i ritmi, i turni, i carichi di lavoro etc.)”.
Per Facchinetti occorre che “il Sindacato torni ad affrontare con più determinazione le questioni legate all’organizzazione del lavoro”.
Dalle riflessioni e valutazioni esposte dalle persone che vivono nel mondo del lavoro in ruoli e posizioni diverse si evince che:
- L’assenteismo non può essere combattuto solo come fenomeno a se stante perché è collegato ad una pluralità di cause e rappresenta uno dei sintomi dell’inefficienza;
- L’effetto Brunetta ha contratto l’assenteismo nella P. A. senza intervenire sulle cause del fenomeno (ambiente di lavoro, modello organizzativo, ruolo e responsabilità del management pubblico, merito) che incidono sull’efficienza della P. A.;
- L’esigenza di snellire la normativa per non offrire tutele indirette ai “fannulloni” e di responsabilizzare la categoria dei medici in sede di rilascio della certificazione di malattia e di effettuazione delle visite mediche di controllo sono questioni da non sottovalutare;
- I lavoratori privati e pubblici possono essere maggiormente tutelati se il sindacato conferma l’impegno di interessarsi dell’organizzazione e abbandoni nel sistema della P. A. di farsi carico di falsi problemi individuali che contrastano con un impegno coerente ed obiettivo.
La riduzione dell’assenteismo riempie gli uffici e non incide sui nulla-facenti, i quali hanno bisogno di essere guidati e organizzati dal management pubblico per svolgere l’attività di lavoro in modo da creare valore per i clienti.
La questione del management pubblico non è stata affrontata dal Ministro Brunetta. Al contrario la dirigenza è stata premiata con la eliminazione del tetto dei compensi di 300 mila euro introdotto dal Governo Prodi.
L’azione del Ministro Brunetta può essere valutata secondo tre aspetti:
- Intenzioni. Le intenzioni del Ministro sono valutate in un articolo dal senatore Pietro Ichino al quale faccio riferimento; Articolo
- Metodo. Il metodo adottato si è rilevato autoritario, facendo leva sul qualunquismo e sulle aspettative delle persone che da molto tempo desiderano ricevere servizi pubblici efficienti;
- Strumenti. Lo strumento mediatico per rendere trasparenti alcuni dati (retribuzioni, assenze, permessi sindacali ed altro) non è sufficiente per avviare un vero cambiamento nella P. A.. Occorre che la trasparenza venga realizzata in modo costante sui risultati, sul grado di conseguimento degli obiettivi e sui business plan. L’opinione pubblica va coinvolta in termini positivi affinché controlli in modo obiettivo e costante l’andamento della macchina amministrativa pubblica.
E’ necessario riflettere sull’articolo di Pietro Ichino, pubblicato sul Corriere della Sera il 9 agosto 2008, sulla opportunità “di delineare un impegno comune di lunga lena, in modo che l’opera possa proseguire negli anni prossimi senza soluzione di continuità”. Articolo

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mercoledì 10 settembre 2008

Cause dell’inefficienza della P. A.

Hanno partecpato al sondaggio n. 151 persone che si sono espressi sulle “cause dell’inefficienza della Pubblica Amministrazione” nel modo seguente:
- Dirigenti n. 69 voti 45,69%;
- Dipendenti n. 12 voti 7,94%;
- Organizzazione 60 voti 39,73%;
- Altro 10 voti 6,62%.
I partecipanti al sondaggio hanno individuato in modo chiaro che la causa principale del cattivo funzionamento della macchina della Pubblica Amministrazione è da attribuirsi ai dirigenti (45,69%). Questa scelta non è stata facile considerando che il periodo estivo è stato caratterizzato dai dati comunicati dal Ministero sul crollo dell’assenteismo e, quindi, da una particolare attenzione rivolta ai dipendenti pubblici ed ai fannulloni. La seconda causa è stata individuata nella organizzazione con il 39,73% che è strettamente correlata all’assunzione delle responsabilità piene da parte della dirigenza che in molti casi ha abdicato a questo ruolo.
In terza posizione troviamo i dipendenti pubblici con il 7,94%, i quali se non organizzati possono diventare nulla-facenti non sempre per propria responsabilità ma perché il lavoro è organizzato secondo principi ormai superati da molto tempo. Nella Pubblica Amministrazione sopravvive ancora una organizzazione del lavoro tayloristica, basata sugli adempimenti e non sulle attività del processo.
In ultima posizione è posizionata la causa “altro” che è stata scelta dai partecipanti per indicare che vi sono problemi diversi dall’organizzazione, dalla dirigenza e dai dipendenti che possono essere identificati nel comportamento degli utenti, nella mancata integrazione e collaborazione tra i settori della Pubblica Amministrazione.
Avendo trattato in precedenti post i provvedimenti del Governo sulla P. A., il problema del management pubblico e le responsabilità organizzative, ritengo importante offrire alcune riflessioni sulle prospettive di cambiamento del lavoro dei dipendenti pubblici.
Dagli anni ‘80 vi è stato un impegno continuo, non ancora concluso, a ricomporre le attività del processo, a superare la divisione del lavoro, ad arricchire le mansioni dei lavoratori ed a rendere semplice e fluido il processo. La gestione per processi non vede i singoli compiti come operazioni isolate ma considera tutte le attività che contribuiscono a un dato risultato.
La gestione del processo è finalizzata a fornire valore al cliente e, pertanto, l’organizzazione deve impegnarsi al massimo affinché il miglioramento delle attività organizzate in processo divenga una caratteristica costante del suo impegno.
L’impegno non si è concluso in quanto in ogni momento della vita aziendale si è portati ad assegnare (maggiore controllo del capo) ed a svolgere (minore coinvolgimento degli operatori) compiti semplici e isolati.
Per focalizzare l’impegno sul lavoro che crea valore per il cliente, per ridurre il lavoro che non aggiunge valore ma che è necessario e per eliminare il lavoro inutile occorre realizzare l’integrazione delle competenze tra gli operatori ed affidare ad ogni singolo operatore delle mansioni ampie e complesse.
E’ necessario che ogni singolo operatore conosca il processo nella sua globalità e possa focalizzarsi sul risultato finale e sugli obiettivi da perseguire.
Nell’era industriale vigeva il paradigma: compiti semplici per persone semplici e processi complessi con risultati deludenti. Oggi il rapporto si è invertito: complessità delle mansioni e processi semplici. Chi è coinvolto in un processo svolge attività complesse e contribuisce a far sì che queste si integrino e concorrano a soddisfare le esigenze del cliente.
Per operare in modo efficace è necessario che i dipendenti pubblici possiedano le seguenti competenze: conoscenza del processo, esigenze della clientela, integrazione delle competenze, obiettivi dell’organizzazione.
Per lavorare nell’ottica dei processi è essenziale che tutte le persone coinvolte si muovano in direzione di un obiettivo comune.
Gli obiettivi non rientrano soltanto nella sfera di competenza del management ma anche degli operatori di processo. Quest'ultimi lavorano in team, sono responsabili delle attività che svolgono e dei risultati e partecipano al processo di cambiamento dell’organizzazione con riflessioni e proposte.
I gruppi di processo potranno funzionare ed essere coesi se gli operatori condividono attività ed obiettivi.
Occorre che gli operatori si trasformino da lavoratore dipendente a professionista con la seguente visione: cliente, risultato, processo. Inoltre, è necessario dare spazio alla creatività, all’autonomia ed all’integrazione delle competenze tra gli operatori.
Nel sistema industriale con l’applicazione dell’organizzazione scientifica del lavoro e della conseguente divisione del lavoro, il tempo era utilizzato per cronometrare gli adempimenti ed i compiti ripetitivi della forza lavoro e per misurare l’efficienza al fine di produrre di più nell’unità di tempo.
Oggi nell’economia della conoscenza il tempo ha perso la sua originaria importanza (quantità di output e risorse umane non motivate) ed in particolare nell’ambito dei servizi è la velocità che rappresenta uno dei parametri per valutare l’efficienza di un processo e l’efficacia nell’erogazione dei servizi. Pertanto, la velocità è legata alla qualità del servizio, all’erogazione delle prestazioni sociali ed ai bisogni degli utenti sempre più urgenti.
La visione del lavoro delineata concorre certamente a migliorare la gestione dei servizi pubblici ed ha bisogno per essere realizzata di un management pubblico che svolga il proprio ruolo in modo completo, che abbandoni la difesa dello status quo e della sua sopravvivenza.
E’ necessario che il Ministro Brunetta passi dall’effetto annuncio (assenteismo, fannulloni, certificazione di malattia) alla realizzazione di una politica di rinnovamento della P. A. attraverso la misurazione dei risultati, la predisposizione di business plan, la trasparenza del grado di conseguimento degli obiettivi, il coinvolgimento dei cittadini e dei dipendenti e la competitività nella P. A. attraverso operazioni di bechmarking. Inoltre, si ritiene importante predisporre piani di produttività che premiano l'impegno ed il merito dei dipendenti pubblici. L'eliminazione generalizzata dei premi di incentivazione per il 2009 in assenza di un sistema di valutazione della produttività efficace è scorretto ed ingiusto. Occorreva intervenire e sospendere tali premi soltanto nei soli casi di chiara improduttività e per quei settori della P. A. che ancora non si sono dotati di strumenti validi per misurare il grado di conseguimento dei risultati stabiliti nel business plan. Ancora una volta si colpiscono le persone oneste e capaci che lavorano in modo efficace per la P. A. e per i cittadini.

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Sicurezza e libertà religiosa

Ho pensato di pubblicare le riflessioni di Sergio Paronetto che interessano particolarmente la comunità e gli amministratori veronesi. Vi sono dei valori universali che non possono essere calpestati in nome di una politica amministrativa che fa emergere tra i cittadini posizioni discriminanti e tal volta violente nei confronti delle persone cosiddette “diverse”. Verona che esprime solidarietà e fratellanza attraverso l’impegno del volontariato ha bisogno di guardare il futuro e non di ritornare al passato. Un futuro ricco di amore verso il prossimo.
“Il dibattito sui luoghi di culto per gli islamici ad Oppeano e a Verona sta diventando logorante e pericoloso. A mio parere, alcuni amministratori e cittadini, afferma Sergio Paronetto, sembrano spinti da una sorta di "ipergarantismo unilaterale compulsivo", orientato a limitare l'esercizio di diritti fondamentali "non negoziabili", che non possono essere subordinati alla percezione (instabile) di una comunità impaurita e mobilitata spesso ad arte”.
“Il rispetto dei diritti e dei doveri vale per tutti. La sicurezza è un "bene comune". Non può diventare un' ossessione controproducente, continua Paronetto, che apre ferite non solo tra noi e gli "stranieri" ma tra gli stessi veronesi (in molti casi stranieri a se stessi) e alimenta proprio l'insicurezza che si vorrebbe evitare. Nel rispetto dei diritti-doveri di tutti e nella prospettiva di "una sicurezza comune", vorrei precisare che la libertà religiosa non può essere trattata come questione di ordine pubblico, come se il diversamente credente fosse un nemico con cui trattare, come se non esistesse la Costituzione italiana o il diritto internazionale dei diritti umani contenuto nella Dichiarazione Universale del 1948, nel cosiddetto Codice internazionale dei diritti umani, nella Convenzione europea dei diritti. Vorrei anche ricordare agli amministratori locali e a tutti i veronesi il mai citato Statuto del Comune di Verona, esecutivo dal 1992 (era sindaco Aldo Sala), in particolare il bel "Titolo I, Principi fondamentali", ricco di umanità”.
“E' impensabile proporre normative "all'egiziana" o alla "saudita", ribadisce Paronetto, imitare regimi illiberali che si vorrebbe combattere, adottare pratiche fondamentaliste ripugnanti. Alcune proposte di legge (o normative) in cantiere oggi in Italia sembrano risuscitare il vecchio principio del 1555 ("cuius regio eius religio") che può essere tradotto con l'obbligo di adottare la religione del territorio dove si abita e di adeguarsi alla confessione della maggioranza (mai pienamente credente), pena la restrizione di diritti inalienabili e fondamentali.
“Saremmo in piena contraddizione coi principi liberali oltre che con il messaggio di Cristo, continua Paronetto. Nel preparare anche a Verona la VII edizione della "Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico", a conclusione del Ramadan, dedicata alla "gioia del dialogo", penso sia importante riscoprire assieme, nelle difficoltà dell'incontro, la intelligente speranza di una serena operosa convivenza. Per costruire una cittadinanza plurale, responsabile e solidale. Per affermare la civiltà del diritto. Per vivere il bene comune della sicurezza comune”.
Sergio Paronetto sarà presente alla Festa di Generazione Democratica a Montorio e parteciperà al dibattito su “Guerre per le risorse, la pace possibile, i diritti dei popoli” che si terrà il 13 settembre alle ore 18,30. All’incontro perteciperanno, inoltre, Vittorio Prodi, parlamentare europeo, ed il Movimento federalista europeo.

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lunedì 8 settembre 2008

Intervista a Pietro Ichino

Intervista di Tonia Mastrobuoni all'on.le Pietro Ichino sulla P. A., pubblicata da il Riformista il 3 settembre 2008.
Le ‘indagini-pilota’ svolte dal ministero nei mesi estivi, dopo l’entrata in vigore del decreto 112, sostengono che l’assenteismo è crollato a luglio del 37% rispetto a un anno fa. Analizzando i dati, come abbiamo fatto su questo giornale, emergono tuttavia delle incongruenze che sembrano invalidare quelle rilevazioni. Brunetta oggi sostiene che alla fine il risultato sarà comunque lo stesso. Lei che ne pensa?
Concordo con il Riformista e con lei sul difetto di rigore dei confronti operati dal ministero. Però ci sono diverse esperienze dirette in amministrazioni pubbliche, che confermano il dato di una drastica riduzione delle assenze. Comunque, la discussione su questo punto non mi sembra di importanza cruciale.
Perché no?
Perché l’assenteismo abusivo costituisce soltanto un aspetto, e neanche il più importante, dell’inefficienza delle amministrazioni. Quelle prime misure del ministro Brunetta per contenere il tasso delle assenze, pur con qualche eccesso e qualche errore tecnico, hanno avuto il merito politico di lanciare un messaggio chiaro, aggredendo il problema da un versante sul quale l’opinione pubblica è particolarmente sensibile; ma introdurre la valutazione e la misurazione nel settore pubblico, il controllo sistematico e capillare di efficienza e produttività, è opera di lunga lena e di dimensioni molto maggiori che non ridurre il tasso delle assenze.
Lei crede, che le prime misure del ministro Brunetta e la dichiarata ‘guerra ai fannulloni’ della pubblica amministrazione abbiano già avuto, o no, un effetto sul comportamento degli Statali ‘lavativi’?
Per ora, un effetto vistoso sì, in termini di ridimensionamento di tassi di assenze che erano obiettivamente anomali. Ma, rispetto alla questione di fondo, è ancora un effetto marginale. Faccio un esempio estremo: se un ufficio è totalmente improduttivo, abbattere l’assenteismo abusivo e ottenere che siano presenti tutti gli addetti può essere del tutto irrilevante, dal punto di vista del cittadino-utente.
Lei è stato tra i primi a dichiarare guerra ai fannulloni della pubblica amministrazione. Come giudica le iniziative di Brunetta? Cosa suggerirebbe al governo per rendere quest’azione davvero incisiva?
Vedo nell’iniziativa del governo una certa improvvisazione, una smania di ottenere risultati immediatamente spendibili nel rapporto con l’opinione pubblica. Lo capisco, la politica è fatta anche di questo. Ma l’opera di cui c’è bisogno, cioè la costruzione di un sistema di valutazione e misurazione efficace e affidabile in ciascun comparto delle amministrazioni pubbliche, è un’opera complessa e lunga. Per esempio, un sistema moderno e ben congegnato di monitoraggio degli istituti scolastici non può andare a regime prima di cinque o sei anni.
Un orizzonte temporale che va oltre la legislatura.
Proprio così. Per questo dico che su questo terreno, se si vuole risolvere davvero il problema, occorre un accordo bi-partisan su di un progetto serio, con l’impegno per cui il progetto continuerà a essere portato avanti, quale che sia la parte politica al governo nella prossima legislatura.
Lei pensa che sia stato giusto tagliare i premi in busta paga agli Statali?
Sarebbe stato giusto se fosse già stato operativo un sistema di valutazione che avesse consentito di attribuire capillarmente gli stessi premi soltanto a chi li merita. Poiché questo sistema ancora non c’è, io mi sarei limitato ad azzerare i premi nelle sole situazioni di palese, conclamato e grave difetto di produttività: quelle situazioni che possono essere accertate immediatamente, anche senza sofisticati metodi di valutazione. E avrei subito destinato le risorse risparmiate in questo modo a premiare alcune situazioni di conclamata eccellenza.
L’Italia è uno dei paesi Ocse in cui è più difficile licenziare, non soltanto nella pubblica amministrazione. Lei ha sostenuto, in passato, che la rigidità in uscita non è tanto un problema dell’articolo 18, ma della sua interpretazione. Colpa dei giudici, insomma?
C’è un problema di interpretazione, di applicazione, che nasce da un circolo vizioso: in un sistema in cui il licenziamento è più difficile, essere licenziati costituisce una sanzione disciplinare più grave, comporta uno stigma negativo più pesante; e questo spinge di nuovo i giudici a definire in modo più restrittivo il giustificato motivo di licenziamento. Ma c’è anche un problema strutturale: il meccanismo della reintegrazione automatica fa sì che l’impresa di fatto “perde la causa”, e sopporta costi molto elevati, anche quando perde un solo grado iniziale o intermedio di giudizio, vincendo alla fine la causa. Questo fa sì che quello che conta in questa materia non è l’orientamento medio dei giudici, come in tutti gli altri Paesi, ma è sempre l’orientamento dei giudici più severi verso l’impresa.
Di ritorno dalla convention di Denver Guglielmo Epifani ha detto che il Pd dovrebbe rimettere il tema del lavoro al centro dell’agenda, come hanno fatto i democratici americani. Lei che ne pensa? E a quali temi del lavoro va data priorità?
Su questo punto concordo pienamente con Epifani. Il Pd deve darsi una strategia molto incisiva in materia di lavoro, con l’obiettivo di un superamento drastico del dualismo che caratterizza il nostro tessuto produttivo, di una garanzia effettiva di eguaglianza di opportunità per tutti e di un forte apparato di assistenza ai più deboli nel mercato del lavoro. Stiamo lavorando intensamente per questo, che costituirà uno dei temi centrali della conferenza programmatica di autunno.

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