Con l’intervento di Donata Gottardi, parlamentare europeo e docente di diritto del lavoro presso l’Università di Verona, si arricchisce la valutazione sul fenomeno dell’assenteismo, il quale viene trattato dal parlamentare europeo in relazione alla normativa vigente che tutela alcuni eventi che si verificano durante la vita lavorativa e che rappresentano delle conquiste per i lavoratori in Italia e nel mondo.
“Assenteismo. Se ne parla tanto e da tanto tempo. Non esiste una nozione precisa. Che cosa distingue l’assenteismo dalle assenze dal lavoro previste dalla disciplina legislativa e contrattuale? Provo a proporre questa semplificazione: l’assenteismo è l’abuso, l’utilizzo non fondato e non giustificato della normativa che consente di astenersi dal lavoro. Ma chi stabilisce il confine? E, ancora prima, quali sono le assenze che vengono valutate ai fini dell’assenteismo?
Dipende. In alcuni casi le assenze sono addirittura obbligatorie (vedi il congedo di maternità). In altri casi sono un diritto per la persona che lavora che può scegliere se e come esercitarle (vedi il congedo parentale). In altri viene in campo la salute della persona (vedi le assenze per malattia, ma anche quelle per infortunio o malattia professionale, fino a quelle per la malattia dei figli).
Il dibattito attuale sembra incanalato soprattutto sulle assenze per malattia. Ma mi pare evidente che se parliamo di diritto dell’utente al servizio vengono in gioco anche tutte le altre tipologie di congedi e permessi. Abbiamo intenzione di accettare che venga rimesso in discussione tutto? D’altro canto è così. Se quello che conta è la presenza al lavoro, allora tutte le assenze vanno considerate.
Mi sembra che parliamo di questioni vecchie spacciate per nuove. Il primo momento in cui si è discusso di assenteismo corrisponde agli anni successivi all’emanazione dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Anni ’70. L’accusa? Aver tutelato la salute e previsto un sistema pubblico di visite mediche di controllo che avrebbe consentito di utilizzare senza freni la possibilità di dichiararsi malati. La seconda fase ha coinciso, negli anni ’80, con le fasce orarie di reperibilità. Ora si passa a prendere in considerazione il lavoro nelle amministrazioni pubbliche, con la riduzione della copertura economica e la minaccia di visite di accertamento costanti. Insomma, da un lato nulla di nuovo sotto il sole, ma spacciato per una idea innovativa e geniale, dall’altro evidente spinta a presentarsi al lavoro anche se malati. Pensiamo davvero che quest’inverno, il servizio all’utenza migliorerà se si presenteranno al lavoro persone febbricitanti e coperte da sciarpe e berretti? Gli abusi vanno combattuti, ma gli strumenti già erano disponibili. Ma forse siamo un Paese in cui servono proclami!
L’altro lato della medaglia sono le lodi alle amministrazioni pubbliche che premiano con i fondi della produttività la presenza dei dipendenti. Anche qui, ma qualcuno può davvero spacciare per novità quello che si fa da tanto tempo? Quasi tutte le amministrazioni pubbliche – e non solo, spesso anche le imprese private – utilizzano i fondi destinati a incrementare la produttività per erogare premi legati alla presenza. Perché? Anche per pigrizia. Perché è più complicato valutare davvero l’apporto del lavoratore o della lavoratrice.
Ma chi come me si è occupato delle discriminazioni sa che opporsi è una vecchia battaglia che avevamo già perso. E’ noto ed evidente che per le donne è più complicato garantire la presenza. Sono le donne a farsi carico del doppio e, a volte anche, del triplo ruolo. I congedi per la cura di figli e di famigliari sono misure di conciliazione tra vita familiare e vita professionale. Ovviamente dipende dal lavoro che si presta. Se si tratta di sportello, certo la presenza garantisce la continuità del servizio. Ma se si tratta del cosiddetto back office, forse è più utile valutare l’apporto complessivamente fornito, non quante ore si sono passate nei luoghi di lavoro.
E se il nostro Paese è agli ultimi posti nell’Unione europea quanto a produttività del lavoro, dove sta il vero nodo? Nessuno in Europa pensa di collegare il tempo e la presenza con la produttività. Ma sembra che da noi si possa, nella acquiescenza generale. E chi dice il contrario, diventa automaticamente il difensore dei fannulloni.
Insomma, frittatine riscaldate spacciate per deliziose omelettes che diventano slogans efficaci perché semplificati, semplificanti, in un’epoca che non sembra consentire più riflessioni, distinzioni, approcci problematici”.
Donata Gottardi
Condivido l'intervento di Donata Gottardi che pone alla nostra attenzione la problematica dell'assenza dal lavoro in modo particolare ed interessante e della presenza, la quale non è sempre produttiva per definizione come afferma il Ministro Brunetta. Una delle contraddizioni è rappresentata dalle forme di incentivazioni legate alle presenze e non al merito ed alla produttività. Pietro Ichino afferma che "avere i dipendenti regolarmente presenti in ufficio serve a poco, se lì non c'è chi organizza il lavoro, lo motiva e incentiva adeguatamente, ne controlla i risultati e ne rende conto alla cittadinanza". Ancora una volta sono convinto che bisogna intervenire sulle cause: - Il management pubblico deve assumersi in modo completo le responsabilità gestionali ed organizzative delle unità operative; - L'assenza o l'inadeguatezza di piani di produzione; la mancata trasparenza dei risultati conseguiti; - L'assenza di controllo dei cittadini utenti.
“Assenteismo. Se ne parla tanto e da tanto tempo. Non esiste una nozione precisa. Che cosa distingue l’assenteismo dalle assenze dal lavoro previste dalla disciplina legislativa e contrattuale? Provo a proporre questa semplificazione: l’assenteismo è l’abuso, l’utilizzo non fondato e non giustificato della normativa che consente di astenersi dal lavoro. Ma chi stabilisce il confine? E, ancora prima, quali sono le assenze che vengono valutate ai fini dell’assenteismo?
Dipende. In alcuni casi le assenze sono addirittura obbligatorie (vedi il congedo di maternità). In altri casi sono un diritto per la persona che lavora che può scegliere se e come esercitarle (vedi il congedo parentale). In altri viene in campo la salute della persona (vedi le assenze per malattia, ma anche quelle per infortunio o malattia professionale, fino a quelle per la malattia dei figli).
Il dibattito attuale sembra incanalato soprattutto sulle assenze per malattia. Ma mi pare evidente che se parliamo di diritto dell’utente al servizio vengono in gioco anche tutte le altre tipologie di congedi e permessi. Abbiamo intenzione di accettare che venga rimesso in discussione tutto? D’altro canto è così. Se quello che conta è la presenza al lavoro, allora tutte le assenze vanno considerate.
Mi sembra che parliamo di questioni vecchie spacciate per nuove. Il primo momento in cui si è discusso di assenteismo corrisponde agli anni successivi all’emanazione dello Statuto dei diritti dei lavoratori. Anni ’70. L’accusa? Aver tutelato la salute e previsto un sistema pubblico di visite mediche di controllo che avrebbe consentito di utilizzare senza freni la possibilità di dichiararsi malati. La seconda fase ha coinciso, negli anni ’80, con le fasce orarie di reperibilità. Ora si passa a prendere in considerazione il lavoro nelle amministrazioni pubbliche, con la riduzione della copertura economica e la minaccia di visite di accertamento costanti. Insomma, da un lato nulla di nuovo sotto il sole, ma spacciato per una idea innovativa e geniale, dall’altro evidente spinta a presentarsi al lavoro anche se malati. Pensiamo davvero che quest’inverno, il servizio all’utenza migliorerà se si presenteranno al lavoro persone febbricitanti e coperte da sciarpe e berretti? Gli abusi vanno combattuti, ma gli strumenti già erano disponibili. Ma forse siamo un Paese in cui servono proclami!
L’altro lato della medaglia sono le lodi alle amministrazioni pubbliche che premiano con i fondi della produttività la presenza dei dipendenti. Anche qui, ma qualcuno può davvero spacciare per novità quello che si fa da tanto tempo? Quasi tutte le amministrazioni pubbliche – e non solo, spesso anche le imprese private – utilizzano i fondi destinati a incrementare la produttività per erogare premi legati alla presenza. Perché? Anche per pigrizia. Perché è più complicato valutare davvero l’apporto del lavoratore o della lavoratrice.
Ma chi come me si è occupato delle discriminazioni sa che opporsi è una vecchia battaglia che avevamo già perso. E’ noto ed evidente che per le donne è più complicato garantire la presenza. Sono le donne a farsi carico del doppio e, a volte anche, del triplo ruolo. I congedi per la cura di figli e di famigliari sono misure di conciliazione tra vita familiare e vita professionale. Ovviamente dipende dal lavoro che si presta. Se si tratta di sportello, certo la presenza garantisce la continuità del servizio. Ma se si tratta del cosiddetto back office, forse è più utile valutare l’apporto complessivamente fornito, non quante ore si sono passate nei luoghi di lavoro.
E se il nostro Paese è agli ultimi posti nell’Unione europea quanto a produttività del lavoro, dove sta il vero nodo? Nessuno in Europa pensa di collegare il tempo e la presenza con la produttività. Ma sembra che da noi si possa, nella acquiescenza generale. E chi dice il contrario, diventa automaticamente il difensore dei fannulloni.
Insomma, frittatine riscaldate spacciate per deliziose omelettes che diventano slogans efficaci perché semplificati, semplificanti, in un’epoca che non sembra consentire più riflessioni, distinzioni, approcci problematici”.
Donata Gottardi
Condivido l'intervento di Donata Gottardi che pone alla nostra attenzione la problematica dell'assenza dal lavoro in modo particolare ed interessante e della presenza, la quale non è sempre produttiva per definizione come afferma il Ministro Brunetta. Una delle contraddizioni è rappresentata dalle forme di incentivazioni legate alle presenze e non al merito ed alla produttività. Pietro Ichino afferma che "avere i dipendenti regolarmente presenti in ufficio serve a poco, se lì non c'è chi organizza il lavoro, lo motiva e incentiva adeguatamente, ne controlla i risultati e ne rende conto alla cittadinanza". Ancora una volta sono convinto che bisogna intervenire sulle cause: - Il management pubblico deve assumersi in modo completo le responsabilità gestionali ed organizzative delle unità operative; - L'assenza o l'inadeguatezza di piani di produzione; la mancata trasparenza dei risultati conseguiti; - L'assenza di controllo dei cittadini utenti.
2 commenti:
Anche questa volta si vuole mistificare la realtà, trasformando la normalità in novità. Le visite fiscali sono una giustificazione all'assenteismo, il governo vuole aumentere le prime riducendo il secondo. Quale ossimoro!
Federico Benini.
Ciao Antonino, intanto ti ringrazio dell'approvazione del mio commento tanto che l'hai pubblicato. Io vivo a Roma, quartiere San Giovanni, vicino la basilica , quando ci sono comizi o concerti da casa mia sento sia la musica che le voci dal palco (ma non li vedo), ero molto piccolo e mi ricordo Togliatti, poi Berlinguer ….
Sulla questione P.A., come ho visto mi sono lasciato prendere prima da uno sfogo sulla situazione emergenza democrazia, (il mio contributo sul net del 4/5/08 già dava un segnale di allarme, non so se l'hai letto, è tra i più commentati n° 246, ma allora non esisteva la "classifica").
Poi ho dato un giudizio sul sistema P.A. indicandolo come responsabile dell'inefficienza, cioè tutte le componenti dello stesso.
Ti spiego nella vita sono un mezzo artigiano, mi occupo di infissi in alluminio e arredamento negozi. Dico mezzo perché per me l'artigiano può essere un "soffiatore di vetro" di Murano, un falegname vecchia maniera, un costruttore di "gondole" o un "liutaio" insomma dove "il mestiere e i segreti" tramandati la fanno da padrone.
Ma durante il militare (Marina) ho avuto l'occasione di lavorare al ministero della stessa per 2 anni circa, dove ho potuto fare una esperienza di lavoro ministeriale.
Intanto il fatto di dover percepire uno "stipendio sicuro" a fine mese ti porta ad essere un po’ blando nel lavoro, al contrario del mio attuale frenetico ed insicuro tutti i mesi, con un giro di soldi maggiore ma con dirette responsabilità sia di lavoro che investimento diretto dei propri soldi. che non è poco, comunque non voglio dire che non dovrebbe essere sicuro lo stipendio, ma che la sicurezza non sia un deterrente sulla professionalità, la produttività e il risultato finale.
E qui mi rivolgo a tutti dal dirigente all'impiegato, l'argomento assenteismo tu lo hai spiegato precedentemente con un contributo in maniera esauriente e dettagliata e condivisibile da parte mia. Sull'argomento "darsi malati per una scusa qualsiasi" e non esserlo entra in gioco un sistema abitudinario dove dal dirigente all'impiegato ci si copre l'uno con l'altro, perché la cosa fa comodo a tutti, ma come ripeto le conquiste sindacali non devono diventare motivi per approfittarne perché poi si da la possibilità ad un qualsiasi “Brunetta” di prendere iniziative contro magari gli impiegati e non contro per i dirigenti per i quali non cambia niente. Il consenso dell'opinione pubblica offre l’alibi a l ministro Brunetta di varare altri provvedimenti anche più drastici come i 25 euro in meno al giorno mi sembra in caso di malattia (non sono sicuro se ho capito bene perché poi le notizie in TV sono date come sai, anche in fretta perché magari dopo c'è "l'oroscopo" o 100 volte al giorno "le previsioni del tempo").
Io penso a questo punto che la responsabilità e l'onestà di ogni impiegato della P.A. debba venir fuori, senza però dimenticare di adeguare i loro stipendi al costo della vita attuale, altrimenti si va incontro all’insoddisfazione ed al conseguente menefreghismo generale. L'adeguamento serve a tutti per riavviare un'economia allo stallo che sta portando verso la recessione, nostra, non di Berlusconi che è entrato in Mediobanca!
PS.:Vedo che abiti a Verona, bellissima città, rovinata da un sindaco un po’ esibizionista e maldestro.
Un saluto
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