Intervista di Tonia Mastrobuoni all'on.le Pietro Ichino sulla P. A., pubblicata da il Riformista il 3 settembre 2008.
Le ‘indagini-pilota’ svolte dal ministero nei mesi estivi, dopo l’entrata in vigore del decreto 112, sostengono che l’assenteismo è crollato a luglio del 37% rispetto a un anno fa. Analizzando i dati, come abbiamo fatto su questo giornale, emergono tuttavia delle incongruenze che sembrano invalidare quelle rilevazioni. Brunetta oggi sostiene che alla fine il risultato sarà comunque lo stesso. Lei che ne pensa?
Le ‘indagini-pilota’ svolte dal ministero nei mesi estivi, dopo l’entrata in vigore del decreto 112, sostengono che l’assenteismo è crollato a luglio del 37% rispetto a un anno fa. Analizzando i dati, come abbiamo fatto su questo giornale, emergono tuttavia delle incongruenze che sembrano invalidare quelle rilevazioni. Brunetta oggi sostiene che alla fine il risultato sarà comunque lo stesso. Lei che ne pensa?
Concordo con il Riformista e con lei sul difetto di rigore dei confronti operati dal ministero. Però ci sono diverse esperienze dirette in amministrazioni pubbliche, che confermano il dato di una drastica riduzione delle assenze. Comunque, la discussione su questo punto non mi sembra di importanza cruciale.
Perché no?
Perché l’assenteismo abusivo costituisce soltanto un aspetto, e neanche il più importante, dell’inefficienza delle amministrazioni. Quelle prime misure del ministro Brunetta per contenere il tasso delle assenze, pur con qualche eccesso e qualche errore tecnico, hanno avuto il merito politico di lanciare un messaggio chiaro, aggredendo il problema da un versante sul quale l’opinione pubblica è particolarmente sensibile; ma introdurre la valutazione e la misurazione nel settore pubblico, il controllo sistematico e capillare di efficienza e produttività, è opera di lunga lena e di dimensioni molto maggiori che non ridurre il tasso delle assenze.
Lei crede, che le prime misure del ministro Brunetta e la dichiarata ‘guerra ai fannulloni’ della pubblica amministrazione abbiano già avuto, o no, un effetto sul comportamento degli Statali ‘lavativi’?
Per ora, un effetto vistoso sì, in termini di ridimensionamento di tassi di assenze che erano obiettivamente anomali. Ma, rispetto alla questione di fondo, è ancora un effetto marginale. Faccio un esempio estremo: se un ufficio è totalmente improduttivo, abbattere l’assenteismo abusivo e ottenere che siano presenti tutti gli addetti può essere del tutto irrilevante, dal punto di vista del cittadino-utente.
Lei è stato tra i primi a dichiarare guerra ai fannulloni della pubblica amministrazione. Come giudica le iniziative di Brunetta? Cosa suggerirebbe al governo per rendere quest’azione davvero incisiva?
Vedo nell’iniziativa del governo una certa improvvisazione, una smania di ottenere risultati immediatamente spendibili nel rapporto con l’opinione pubblica. Lo capisco, la politica è fatta anche di questo. Ma l’opera di cui c’è bisogno, cioè la costruzione di un sistema di valutazione e misurazione efficace e affidabile in ciascun comparto delle amministrazioni pubbliche, è un’opera complessa e lunga. Per esempio, un sistema moderno e ben congegnato di monitoraggio degli istituti scolastici non può andare a regime prima di cinque o sei anni.
Un orizzonte temporale che va oltre la legislatura.
Proprio così. Per questo dico che su questo terreno, se si vuole risolvere davvero il problema, occorre un accordo bi-partisan su di un progetto serio, con l’impegno per cui il progetto continuerà a essere portato avanti, quale che sia la parte politica al governo nella prossima legislatura.
Lei pensa che sia stato giusto tagliare i premi in busta paga agli Statali?
Sarebbe stato giusto se fosse già stato operativo un sistema di valutazione che avesse consentito di attribuire capillarmente gli stessi premi soltanto a chi li merita. Poiché questo sistema ancora non c’è, io mi sarei limitato ad azzerare i premi nelle sole situazioni di palese, conclamato e grave difetto di produttività: quelle situazioni che possono essere accertate immediatamente, anche senza sofisticati metodi di valutazione. E avrei subito destinato le risorse risparmiate in questo modo a premiare alcune situazioni di conclamata eccellenza.
L’Italia è uno dei paesi Ocse in cui è più difficile licenziare, non soltanto nella pubblica amministrazione. Lei ha sostenuto, in passato, che la rigidità in uscita non è tanto un problema dell’articolo 18, ma della sua interpretazione. Colpa dei giudici, insomma?
C’è un problema di interpretazione, di applicazione, che nasce da un circolo vizioso: in un sistema in cui il licenziamento è più difficile, essere licenziati costituisce una sanzione disciplinare più grave, comporta uno stigma negativo più pesante; e questo spinge di nuovo i giudici a definire in modo più restrittivo il giustificato motivo di licenziamento. Ma c’è anche un problema strutturale: il meccanismo della reintegrazione automatica fa sì che l’impresa di fatto “perde la causa”, e sopporta costi molto elevati, anche quando perde un solo grado iniziale o intermedio di giudizio, vincendo alla fine la causa. Questo fa sì che quello che conta in questa materia non è l’orientamento medio dei giudici, come in tutti gli altri Paesi, ma è sempre l’orientamento dei giudici più severi verso l’impresa.
Di ritorno dalla convention di Denver Guglielmo Epifani ha detto che il Pd dovrebbe rimettere il tema del lavoro al centro dell’agenda, come hanno fatto i democratici americani. Lei che ne pensa? E a quali temi del lavoro va data priorità?
Su questo punto concordo pienamente con Epifani. Il Pd deve darsi una strategia molto incisiva in materia di lavoro, con l’obiettivo di un superamento drastico del dualismo che caratterizza il nostro tessuto produttivo, di una garanzia effettiva di eguaglianza di opportunità per tutti e di un forte apparato di assistenza ai più deboli nel mercato del lavoro. Stiamo lavorando intensamente per questo, che costituirà uno dei temi centrali della conferenza programmatica di autunno.
Perché no?
Perché l’assenteismo abusivo costituisce soltanto un aspetto, e neanche il più importante, dell’inefficienza delle amministrazioni. Quelle prime misure del ministro Brunetta per contenere il tasso delle assenze, pur con qualche eccesso e qualche errore tecnico, hanno avuto il merito politico di lanciare un messaggio chiaro, aggredendo il problema da un versante sul quale l’opinione pubblica è particolarmente sensibile; ma introdurre la valutazione e la misurazione nel settore pubblico, il controllo sistematico e capillare di efficienza e produttività, è opera di lunga lena e di dimensioni molto maggiori che non ridurre il tasso delle assenze.
Lei crede, che le prime misure del ministro Brunetta e la dichiarata ‘guerra ai fannulloni’ della pubblica amministrazione abbiano già avuto, o no, un effetto sul comportamento degli Statali ‘lavativi’?
Per ora, un effetto vistoso sì, in termini di ridimensionamento di tassi di assenze che erano obiettivamente anomali. Ma, rispetto alla questione di fondo, è ancora un effetto marginale. Faccio un esempio estremo: se un ufficio è totalmente improduttivo, abbattere l’assenteismo abusivo e ottenere che siano presenti tutti gli addetti può essere del tutto irrilevante, dal punto di vista del cittadino-utente.
Lei è stato tra i primi a dichiarare guerra ai fannulloni della pubblica amministrazione. Come giudica le iniziative di Brunetta? Cosa suggerirebbe al governo per rendere quest’azione davvero incisiva?
Vedo nell’iniziativa del governo una certa improvvisazione, una smania di ottenere risultati immediatamente spendibili nel rapporto con l’opinione pubblica. Lo capisco, la politica è fatta anche di questo. Ma l’opera di cui c’è bisogno, cioè la costruzione di un sistema di valutazione e misurazione efficace e affidabile in ciascun comparto delle amministrazioni pubbliche, è un’opera complessa e lunga. Per esempio, un sistema moderno e ben congegnato di monitoraggio degli istituti scolastici non può andare a regime prima di cinque o sei anni.
Un orizzonte temporale che va oltre la legislatura.
Proprio così. Per questo dico che su questo terreno, se si vuole risolvere davvero il problema, occorre un accordo bi-partisan su di un progetto serio, con l’impegno per cui il progetto continuerà a essere portato avanti, quale che sia la parte politica al governo nella prossima legislatura.
Lei pensa che sia stato giusto tagliare i premi in busta paga agli Statali?
Sarebbe stato giusto se fosse già stato operativo un sistema di valutazione che avesse consentito di attribuire capillarmente gli stessi premi soltanto a chi li merita. Poiché questo sistema ancora non c’è, io mi sarei limitato ad azzerare i premi nelle sole situazioni di palese, conclamato e grave difetto di produttività: quelle situazioni che possono essere accertate immediatamente, anche senza sofisticati metodi di valutazione. E avrei subito destinato le risorse risparmiate in questo modo a premiare alcune situazioni di conclamata eccellenza.
L’Italia è uno dei paesi Ocse in cui è più difficile licenziare, non soltanto nella pubblica amministrazione. Lei ha sostenuto, in passato, che la rigidità in uscita non è tanto un problema dell’articolo 18, ma della sua interpretazione. Colpa dei giudici, insomma?
C’è un problema di interpretazione, di applicazione, che nasce da un circolo vizioso: in un sistema in cui il licenziamento è più difficile, essere licenziati costituisce una sanzione disciplinare più grave, comporta uno stigma negativo più pesante; e questo spinge di nuovo i giudici a definire in modo più restrittivo il giustificato motivo di licenziamento. Ma c’è anche un problema strutturale: il meccanismo della reintegrazione automatica fa sì che l’impresa di fatto “perde la causa”, e sopporta costi molto elevati, anche quando perde un solo grado iniziale o intermedio di giudizio, vincendo alla fine la causa. Questo fa sì che quello che conta in questa materia non è l’orientamento medio dei giudici, come in tutti gli altri Paesi, ma è sempre l’orientamento dei giudici più severi verso l’impresa.
Di ritorno dalla convention di Denver Guglielmo Epifani ha detto che il Pd dovrebbe rimettere il tema del lavoro al centro dell’agenda, come hanno fatto i democratici americani. Lei che ne pensa? E a quali temi del lavoro va data priorità?
Su questo punto concordo pienamente con Epifani. Il Pd deve darsi una strategia molto incisiva in materia di lavoro, con l’obiettivo di un superamento drastico del dualismo che caratterizza il nostro tessuto produttivo, di una garanzia effettiva di eguaglianza di opportunità per tutti e di un forte apparato di assistenza ai più deboli nel mercato del lavoro. Stiamo lavorando intensamente per questo, che costituirà uno dei temi centrali della conferenza programmatica di autunno.
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