venerdì 23 novembre 2012

R. Speranza, A. Moretti e T. Giuntella per Bersani

Siamo arrivati agli ultimi giorni e le primarie del centrosinistra hanno preso il volo e coinvolto tante persone: un milione di preiscrizioni e 100mila volontari. Questi dati, i quali non sono poca cosa, dimostrano in modo univoco che le persone hanno voglia di partecipare, di mettersi al servizio delle primarie e rappresentano la vitalità del Pd e del centrosinistra che dimostra di essere propulsivo con una proposta chiara e responsabile. Spesso si guarda il partito dall'alto commettendo l'errore di sottovalutare il territorio dove vi sono tante energie e capacità che vanno liberate. I ragionamenti devono avere un approccio con la realtà e vanno semplificati in rapporto alle esigenze dei cittadini. I grandi processi teorici se non hanno un contatto con la realtà sono una elucubrazione sterile che non interessano i cittadini.
Il coordinatore del team di Pierluigi Bersani, Roberto Speranza, pone la sua attenzione all’evento con la seguente dichiarazione: “Siamo ormai a pochi giorni dal voto del 25 Novembre. Le primarie si stanno rivelando un grandissimo successo di partecipazione che ha riavvicinato tanti italiani alla politica e al Partito Democratico. La proposta di Pier Luigi Bersani appare, giorno dopo giorno, come la più forte ed autorevole. Con la sua affermazione il centrosinistra sarà in grado di aprire realmente una nuova stagione di governo per l'Italia”. Rivolgendosi agli elettori Speranza afferma: “Nel ringraziarvi per quanto avete fatto fino ad oggi, vi chiedo un ulteriore sforzo di mobilitazione per convincere gli ultimi indecisi. Come sapete, fino a domenica, è possibile iscriversi all'albo degli elettori e lavorare per portare il più significativo consenso a Bersani e al nostro progetto.
Il 25 Novembre sarà una vera e propria festa della democrazia. Circa 100.000 volontari permetteranno il funzionamento dei seggi e degli uffici elettorali in tutto il Paese. Si tratta di uno straordinario patrimonio civico di cui dobbiamo andare orgogliosi. Impegniamoci in queste ore affinché tutto si svolga in un clima di grande serenità, dimostrando quanto forte e bella è la nostra partecipazione democratica. Buon lavoro e buon voto”.
“La sfida che l'Italia deve affrontare é difficile e faticosa. La prossima sarà una legislatura di ricostruzione e costituente dove dovremo coniugare una politica del rigore con lo sviluppo economico, la crescita, il lavoro. Ritorneremo ad investire nella scuola, nella formazione, nella ricerca; settori su cui si sono abbattute le politiche del centro destra, determinando un impoverimento culturale, formativo e professionale disastroso, oltre che causare la fuga dei cervelli e dei talenti: troppi giovani italiani, capaci e competenti, lasciano il Paese per trovare all'estero condizioni migliori di lavoro, salariali e di progressione di carriera”. Dichiara Alessandra Moretti, portavoce del team di Pierluigi Bersani.
“Sarà indispensabile, continua Moretti, una forte sburocratizzazione della Pubblica Amministrazione che troppo spesso rappresenta un vincolo pesante allo sviluppo e agli investimenti nel nostro Paese. Una forte riduzione degli sprechi nella PA e degli apparati burocratici e i costi connessi. Saremo chiamati a rendere più civile questo Paese, riconoscendo, per esempio, ai bambini nati in Italia da genitori stranieri la cittadinanza”.
“Per affrontare tutto questo, conclude Alessandra Moretti, abbiamo bisogno di un Presidente del Consiglio serio, capace, autorevole, che sappia governare con una buona dose di spirito di innovazione e di cambiamento. Non quindi un uomo solo al comando, ma una persona in grado di guidare una squadra e che sappia mettere sempre davanti non la propria ambizione personale ma il bene del Paese e degli italiani. Sono tra le ragioni che mi convincono a votare Pierluigi Bersani ed a invitare tutti voi a votarlo alle primarie di giorno 25”.
Tommaso Giuntella, membro del team di Pierluigi Bersani, dichiara: “Abbiamo percorso insieme una strada che viene da lontano. In questi anni abbiamo costruito un'alternativa di governo solida, fresca e inclusiva. Pierluigi Bersani presta il suo volto a questo nostro cammino comune, iniziato con le democratiche e i democratici e che ci ha portato ad incontrare tanti compagni di strada, di altri partiti, di movimenti, di associazioni, di persone e comunità impegnate per il bene comune. “Lasciamoci davvero alle spalle, conclude Giuntella, gli anni delle soluzioni semplici, delle favole a buon mercato e degli uomini soli al comando. Abbiamo bisogno di mettere insieme l'esigenza di cambiamento radicale e la necessità che questo cambiamento si traduca in un'azione di governo efficace e duratura. Ecco perché mi appello a tutti voi perché partecipiate a questo momento storico. Perché con Pierluigi Bersani siamo tutti candidati al governo di questo Paese. E' una squadra, che ha bisogno di una figura in grado di unire, di coordinare e di portarci in Europa, di fronte ai leader dei Paesi con i quali è necessario riprendere a costruire un'Unione Europea che sappia parlare di cittadinanza, di solidarietà, di diritti, di lavoro, di giustizia ed equità. La ricorrenza del cinquantenario del Concilio ci porti alla mente il fatto che abbiamo bisogno di recuperare quelle parole perdute: dialogo, speranza, uguaglianza. Con Bersani ci candidiamo a scrivere una nuova pagina, un Paese moderno, competitivo, alleggerito da sprechi e lungaggini, ma che sia in grado di occuparsi prima delle sue criticità e delle sue parti più deboli. Perché nessuna catena è più forte del suo anello più debole”.
Il team di Bersani ha compiuto un ottimo lavoro, incontrando gli elettori in ogni parte d'Italia e ponendo attenzione ai problemi ed alle proposte delle persone.In questo periodo Alessandra, Roberto e Tommaso hanno tralasciato i loro problemi per dedicarsi esclusivamente alle primarie ed al sostegno di Bersani. Bersani è stato fortunato ha scegliere una squadra efficace ed affidabile.

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giovedì 22 novembre 2012

Servizi pubblici locali: liberalizzazioni e nuove competenze

Articolo di Antonio Alizzi e Federico Testa pubblicato su Management delle utilities n. 3 2012
Il settore dei servizi pubblici locali in Italia pare infine avviato a un processo di liberalizzazione, superando le difficoltà che in questi anni sono state frapposte ad una reale apertura alla concorrenza ed al mercato. La recente disciplina, contenuta da ultimo nel c.d. “decreto liberalizzazioni”, porta infatti a compimento un percorso lungo e travagliato, che ora riserva al “pubblico decisore” un ruo¬lo nuovo e diverso, volto sia alla regolazione che all’organizzazio¬ne delle fasi iniziali del processo, quali quella della circoscrizione dell’attività da mettere a gara, l’individuazione dei criteri di aggiu¬dicazione, la definizione delle modalità di “modificazione contrat¬tuale” di patti che hanno durata pluriennale e che pertanto sono esposti a mutamenti normativi, evoluzioni tecnologiche, cambia¬menti culturali e quant’altro può risentire dello scorrere del tem¬po. Tutto questo richiede ad una Pubblica Amministrazione, trop¬po spesso abituata a confinare il proprio ruolo a meri controlli di legittimità e conformità normativa, la capacità di individuare e de¬finire i bisogni della comunità, trasferirli in specifiche di servizio e norme contrattuali, con una logica di adattamento continuo al mu¬tamento. Una sfida difficile, ma che può rappresentare la chiave di volta per la riqualificazione e la rimotivazione del settore pubblico.
1. Introduzione. Il servizio pubblico locale, un concetto relativo
La nozione di bisogno pubblico necessariamente comporta il riferimento al livello di qualità della vita considerato adeguato da una determinata colletti¬vità in un ben definito momento storico. La categoria del servizio pubbli¬co si presenta pertanto estremamente mutevole, nel senso che “il tipo ed il contenuto delle prestazioni richieste ed offerte sono alquanto variabili, dipendendo assai dalla natura dei vinco¬li o/e delle regole o/e delle consuetudini, in base ai quali si svolgono le re¬lazioni fra individui”1 all’interno di un contesto civile2.
Da questo punto di vista, è eviden¬te come in contesti economicamente e socialmente sviluppati quali quelli che caratterizzano la “società del be¬nessere”, dove possono ritenersi so¬stanzialmente soddisfatti i bisogni pri¬mari “da consumo” di beni materiali, acquisiscano un ruolo fondamentale ai fini della determinazione della “quali¬tà della vita”3 servizi quali l’assistenza sanitaria e previdenziale, l’istruzione, i trasporti, la sicurezza, l’approvvigiona¬mento energetico, lo smaltimento dei rifiuti, la conservazione dell’ambien¬te fisico-naturale. Elencazione, que¬sta, non certo da assumere in chiave prescrittiva, ma al contrario in termi¬ni evolutivi, nel senso che il livello di crescita economica4, culturale e socia¬le di una collettività determina conse¬guentemente il maturare di consape¬volezze e bisogni5 che, in quanto av¬vertiti diffusamente ed in misura pro¬fonda, acquisiscono la natura di biso¬gni pubblici.
Questo tipo di approccio, che ha il pregio di essere dinamico, valido pro-tempore6, e quindi di richiedere un’o¬pera di costante “monitoraggio” del contesto ambientale e sociale, è quel¬lo che meglio si presta ai fini di una lettura economico-aziendale del problema.
L’ulteriore qualificazione del servizio pubblico quale locale indica il lega¬me stretto intercorrente con il territo¬rio su cui insiste la collettività di riferimento7.
Il contenuto della “località” si comprende nella contrapposizione fra servizio pubblico locale e servizio pub¬blico nazionale. Il carattere locale del servizio deriva sostanzialmente da due fattori: dalla convenienza economica all’organizzazione su scala minore op¬pure dal carattere particolare, legato alle caratteristiche della comunità lo¬cale, del bisogno. Si pensi alla raccol¬ta dei rifiuti solidi urbani, all’illumina¬zione pubblica, alla gestione degli im¬pianti semaforici. La distinzione, pe¬raltro, non sempre è agevole, poiché il servizio può presentare contempora¬neamente caratteri che lo qualificano sia come nazionale, sia come locale, e quindi il connotato della “località” fi¬nisce anch’esso per dipendere, alme¬no in parte, dalle vicende storiche, po¬litiche e sociali che hanno contraddi¬stinto l’evoluzione di una determina¬ta comunità.
2. I servizi pubblici locali tra “riserva al pubblico” e mercato
L’aver adottato un concetto di servizio pubblico quale quello sopra delineato, che prescinde dalla natura giuridica8 – pubblica o privata – del soggetto ero¬gatore, non esime peraltro il ricercato¬re dal riflettere sulle motivazioni che hanno portato, storicamente, ad affi¬dare a soggetti pubblici le attività pro¬duttive e di erogazione necessarie al soddisfacimento di “bisogni pubblici”.
Se si guarda alla produzione pubbli¬ca di beni e servizi, il fenomeno ha assunto una notevole rilevanza quanti¬tativa ed una consistente varietà qualitativa a partire dalla seconda me¬tà dell’Ottocento. Di certo all’origine “dell’intervento governativo fu il dirit¬to di passaggio su terra e spazi privati scarsi e frammentati. I costi di transa¬zione per accaparrarsi tali spazi e ter¬ra per le ferrovie, i sistemi di distribu¬zione dell’acqua (…) sembrano essere stati ovunque tali da indurre le com¬pagnie private a richiedere quella che era considerata una grave infrazione dei diritti di proprietà privata: l’espro¬priazione obbligatoria da parte del¬lo Stato”9. Ciò richiedeva l’intervento del pubblico, ma non ancora la pro¬prietà statale o municipale dei servizi pubblici: in tal senso, diventano deter¬minanti motivazioni quali la necessi¬tà di connettere, in tempi brevi, regio¬ni lontane con legami culturali e fisici, promuovendo in tal modo l’integrazio¬ne politica e sociale, nonché la preoc¬cupazione di risolvere il problema del¬la logistica militare. Ma l’espansione del ruolo attivo dello Stato va correlata soprattutto al consolidamento ed alla diffusione degli effetti della rivoluzio¬ne industriale, ovvero all’affermazione di nuovi bisogni dell’economia e delle popolazioni e all’avvento di nuove ide¬ologie. In questo senso il ruolo supple¬tivo e correttivo dello Stato nei con¬fronti del mercato era quello di elimi¬nare, o ridurre, il rischio che una de¬terminata attività, lasciata all’inizia¬tiva privata, non venisse svolta o ve¬nisse trascurata, a discapito della col¬lettività, giacché non soddisfacente¬mente remunerativa; oppure divenisse oggetto di monopolio, per cui i prez¬zi dei beni prodotti sarebbero diven¬tati più alti di quelli economicamente giustificabili”10. In questo senso è illu¬minante l’espressione del Montemarti¬ni, il maggiore teorico della prima mu¬nicipalizzazione dei servizi, che affer¬ma: “nasce quasi come pubblica fun¬zione del Municipio questa di combat¬tere il monopolio, d’aiutare il consu¬matore alle prese collo sfruttamento di un privato imprenditore … talché ogni cittadino sarà tutelato contro i perico¬li del monopolio, come ogni cittadino ha l’eguale protezione, da parte dello Stato, contro gli assassini od i ladri”11. Dinanzi all’urgenza dei nuovi bisogni la teoria economica elaborava una vi¬sione dello Stato quale forma di co¬operazione sociale e riconosceva che “vi sono bisogni collettivi al cui sod¬disfacimento non possono mai adem¬piere gli individui da se stessi” per cui “l’azione dello Stato e dei minori enti di diritto pubblico subentra… all’azio¬ne individuale”12: in questa direzione, forte fu la pressione proveniente dalle organizzazioni degli strati economica¬mente deboli della società, che riven¬dicavano una maggiore produzione di beni e servizi pubblici come strumento di redistribuzione e di miglioramento delle condizioni di vita13.
A queste considerazioni più generali sul ruolo dell’intervento pubblico in economia, altre più specifiche se ne affiancano in relazione alle caratteri¬stiche di “produzione ed esercizio” di buona parte dei servizi pubblici14, ed in particolare:
– alla necessità di dimensionamento della capacità produttiva alla pun¬ta della domanda15, con il conse¬guente aggravio dei costi di gestio¬ne16, in forza della “impraticabilità sociale” dell’indisponibilità di de¬terminati servizi;
– ai vincoli di carattere naturale rela¬tivi all’utilizzo di determinate risorse ambientali scarse;
– alle difficoltà tecniche afferenti al¬la gestione di pluralità di reti, ad esempio nel sottosuolo cittadino.
L’intervento del “pubblico” nell’erogazione di servizi pubblici è parso così trovare giustificazione – al di là del¬le considerazioni di ordine “politico-sociale”, per cui si può legittimamente ritenere che lo strumento più idoneo all’erogazione di servizi pubblici sia quello dell’impresa a soggetto giu¬ridico pubblico, che “per sua natura” si prefigge uno scopo diverso dalla pura e semplice remunerazione del capitale investito17 – nell’inadeguatezza dei meccanismi di mercato nell’allocazione delle risorse produttive18, che si riteneva caratterizzassero la produzione e/o l’erogazione dei servizi pubbli¬ci e rappresentassero il denominatore comune di beni e servizi che, da un punto di vista merceologico, potevano considerarsi del tutto diversi. Di qui la scelta che ha contraddistinto la storia economica e sociale recente, in mol¬ti Paesi, tra cui l’Italia, di dare vita ad una “riserva per il pubblico” ad opera¬re nel campo dei servizi che presenti¬no le caratteristiche sopra richiamate, così da poter godere dei vantaggi tipi¬ci delle situazioni di monopolio natu¬rale19 (che caratterizzano le distribu¬zioni attraverso reti), nelle quali si as¬siste a fenomeni di market failure at¬tribuibili20 principalmente:
– all’esistenza di economie di scala, per cui un monopolista riesce a ser¬vire tutto il mercato a costi minori di quanto potrebbero fare due o più imprese21;
– al manifestarsi di economie di inte¬grazione verticale, per cui la grande impresa presente in tutte le fasi del processo gode di vantaggi in termi¬ni di costi22;
– all’emergere di problemi di ordine tecnico inerenti al coordinamento delle reti23;
– alla presenza di costi di transizio¬ne che invece verrebbero a generarsi in situazioni di concorrenza nel passaggio da un operatore all’altro24.
L’assetto di mercato determinatosi sul¬la base delle motivazioni sopra illu¬strate, dopo aver improntato al model¬lo del servizio pubblico gestito da sog¬getti aventi natura giuridica pubblica ed operanti in condizioni di monopolio il mondo dei pubblici servizi per buo¬na parte del secolo scorso, negli anni più recenti è stato messo pesantemen¬te in discussione in forza di significa¬tivi mutamenti prodottisi nel contesto ambientale.
La tendenza a privilegiare “un orientamento alla produzione piuttosto che al mercato” spiega l’incapacità delle imprese municipalizzate di percepire e quindi di rispondere prontamente a tutte quelle sollecitazioni che, soprattutto a partire dai primi anni Ottanta, hanno complicato e destabilizzato il contesto ambientale25; fra queste si ricordano prioritariamente26 la progressiva emancipazione dell’utente, che ha generato pressanti richieste di qualità, i cambiamenti intervenuti in forza del progresso tecnologico che ha inve¬stito anche alcuni dei processi di pro¬duzione dei pubblici servizi, la spinta verso l’apertura dei mercati derivante dalle iniziative comunitarie, associata al mutamento delle logiche che informavano la finanza pubblica e, di con¬seguenza, la politica tariffaria e di finanziamento delle imprese.
La difficoltà e la rigidità27 dimostra¬te dalle aziende pubbliche nel “met¬tersi al passo” con le mutate esigen¬ze dei consumatori28 hanno poi finito per essere enfatizzate dal “conti¬nuo confronto con altre aree dell’attività economica, con altri settori di ser¬vizi, specie privati, nei quali si è avu¬to, si ha, o comunque si ritiene vi sia, un migliore e più rapido adattamen¬to dell’offerta alle caratteristiche del¬la domanda”29.
Se a ciò si aggiunge il fatto che la ne¬cessità di soddisfare esigenze di socia¬lità30, in qualche modo implicitamen¬te e “naturalmente” correlata alla na¬tura pubblica del soggetto erogatore dei servizi, ha sovente finito per “fare da velo” a fenomeni diffusi di ineffi¬cienza31, o comunque al perseguimen¬to, da parte di manager e amministra¬tori di nomina politica, di obiettivi im¬propri e “privati” piuttosto che del be¬nessere pubblico32, ci si rende conto di come fosse in qualche modo ine¬vitabile che si ponesse la questione dell’adeguatezza stessa del modello della gestione dei servizi pubblici attraverso soggetti imprenditoriali aven¬ti natura pubblica, di cui viene messa in discussione la legittimazione so¬ciale. Infine, il consolidamento e l’estensione dell’ordinamento comunita¬rio e del suo principio fondante della concorrenza come elemento costituti¬vo del mercato unico europeo33 hanno certamente contribuito ad avviare grandi processi di trasformazione nel settore dei servizi pubblici.
Si tratta di regole dirette a sostene¬re lo sviluppo dei meccanismi concor¬renziali e ad evitare che l’impatto at¬teso dalla loro introduzione sia ridot¬to a causa di un uso distorsivo del po¬tere di mercato detenuto dalle impre¬se in posizione dominante (c.d. in¬cumbent), e che hanno interessato progressivamente l’insieme dei set¬tori coinvolti nell’erogazione di servizi pubblici.
Di qui, pertanto, la spinta34 all’ade¬guamento delle legislazioni nazionali dei singoli Paesi europei, soprattutto di quelli meno naturalmente disposti a superare assetti strutturali ed equilibri di potere ormai consolidati, nella dire¬zione di intraprendere la via della libe¬ralizzazione dei mercati e della priva¬tizzazione delle imprese. Se a tutto ciò si aggiungono i crescenti vincoli di bi¬lancio a livello centrale (cui non è sta¬ta certo estranea la necessità di rag¬giungere i parametri di Maastricht) e di conseguenza a livello locale, si può capire da un lato come nella dismis¬sione dal patrimonio pubblico di quo¬te delle aziende di servizi pubblici sia stata intravista una possibilità per cre¬are flussi di cassa aggiuntivi, dall’altro come diventi sempre più impraticabi¬le la strada del finanziamento diretto della spesa in conto capitale relativa ai servizi, da parte delle amministra¬zioni locali, con ciò aprendo la via al¬la logica dell’autofinanziamento attra¬verso la politica tariffaria.
3. Dal “pubblico” erogatore al “pubblico regolatore”
Si va quindi, per il complesso di moti¬vazioni sin qui illustrate, verso model¬li organizzativi dell’intervento pubbli¬co nei servizi pubblici diversi da quel¬li del passato, che prevedono l’apertu¬ra del mercato a forme di concorren¬za (liberalizzazione) e la trasformazione proprietaria degli enti di gestione e delle infrastrutture (privatizzazione).
In ogni caso, i processi di trasformazione non significano certo che il pub¬blico decisore “batta in ritirata” dal settore delle public utilities. Signi¬fica piuttosto che i soggetti pubblici hanno a disposizione una “tastie¬ra” di strumenti ben più ampia e ricca del passato, e che “le forme più efficaci ed efficienti sono quelle che sfruttano le capacità auto-regolative del mercato, piuttosto che sostituirle con meccanismi di tipo amministrativo e burocratico”35. Di qui un ruolo del pubblico decisore che non neces¬sariamente si depotenzia, ma cambia connotati, assumendo i caratteri pre¬valenti dell’intervento regolatorio, per il quale dovranno essere trovati di vol¬ta in volta “punti di equilibrio” che ga¬rantiscano una corretta ed equa con¬temperazione tra interessi della col¬lettività e tutela della libertà economi¬ca e di impresa36, e quindi anche dei vantaggi competitivi acquisiti o degli eventuali “costi sociali” da sostene¬re. Si pensi, a puro titolo di esempio, all’esigenza – tipica del servizio pub¬blico – di garantire un servizio univer¬sale, tale che ciascun individuo pos¬sa goderne a prezzi e livelli di quali¬tà ragionevoli: ciò implica la necessità di definire regole e modalità di riparti¬zione dell’onere del servizio universa¬le tra i diversi operatori, al fine di evi¬tare che i nuovi entranti collochino la loro offerta solo sui segmenti più re¬munerativi, lasciando all’ex monopoli¬sta il compito di coprire i costi relati¬vi all’universalità del servizio. Per altro verso, per garantire l’effettivo svilup¬po della competizione occorre evitare abusi o comportamenti anticompetiti¬vi, sia in termini di prezzi che di quali¬tà del servizio, da parte dell’ex-mono¬polista, che in generale risulta proprie¬tario o gestore della rete ed allo stesso tempo concorrente: di qui, ad esem¬pio, l’importanza assunta dalle tarif¬fe di interconnessione alla rete ai fi¬ni della competitività dell’offerta del nuovo entrante.
L’attività di regolazione nel campo dei servizi di pubblica utilità mira quin¬di a perseguire un duplice obiettivo: da un lato evitare che le ragioni di ti¬po economico-gestionale che sovente consigliano una certa limitazione del¬la concorrenza nell’ambito dell’eroga¬zione di pubblici servizi, comportino l’insorgere di quelle situazioni di inef¬ficienza o abuso che si ritiene siano di norma evitati dall’operare di un re¬gime di concorrenza tra gli operatori, dall’altro porre precise garanzie a tu¬tela della collettività nei casi in cui i servizi in esame siano invece gestiti da privati37. Si affida pertanto alla re¬golazione un ruolo di “supplenza” ri¬spetto all’assenza dei meccanismi di mercato, con riferimento agli opera¬tori pubblici e privati che in forza di concessioni o contratti di programma operano nel campo dei pubblici servi¬zi. Gli ambiti di intervento della rego¬lazione38 sono quelli della sfera socia¬le, attinente alle problematiche lega¬te all’equità dei servizi, nonché quel¬li relativi agli aspetti più propriamen¬te economici.
In sostanza ci si propone da un lato di ristrutturare l’offerta al fine di ottene¬re servizi in quantità e qualità superio¬re e ad un costo più basso, e dall’al¬tro di mantenere comunque la centra¬lità della funzione sociale e di suppor¬to allo sviluppo economico attribuita ai servizi pubblici locali. Per giunge¬re a questo risultato, si punta all’in¬troduzione di forme di competizione nella erogazione di servizi pubblici: ove possibile, obiettivo del legislatore è la creazione di forme di concorren¬za nel mercato attraverso la presenza di una molteplicità di operatori. Qua¬lora le particolari condizioni tecniche ed economiche di fornitura del ser¬vizio non rendano possibile la simul¬tanea presenza di più operatori sul¬lo stesso mercato, vengono introdotte forme di concorrenza per il mercato, cioè per l’acquisizione della conces¬sione del servizio: si viene così a sta¬bilire un confronto fra le imprese, in termini di quantità, qualità e costi dei servizi, al momento dello svolgimento della gara per l’attribuzione del diritto ad operare ad esclusione di ogni altro su di un certo ambito territoriale.
L’insieme delle motivazioni sopra esposte ha fatto si che anche nel no¬stro Paese, così come in altri, venis¬sero adottati, negli anni recenti, im¬portanti provvedimenti di riforma del mercato di alcuni servizi (segnatamen¬te energia elettrica e gas), nonché si procedesse alla elaborazione di organi¬ci progetti di riforma dell’intero siste¬ma dei servizi pubblici locali, con l’in¬tenzione di introdurre nei mercati dei servizi pubblici dinamiche di competizione tra gli operatori.
In questo quadro, un cambiamento importante è richiesto alle pubbliche amministrazioni locali, che hanno visto mutare le proprie responsabilità nelle fasi di:
– assetto/regolazione del processo di assegnazione delle concessioni (la circoscrizione dell’attività da mettere a gara, l’individuazione dei criteri di aggiudicazione, la definizione delle modalità di “modificazione contrattuale” dei patti pluriennali, ecc.);
– avvio e gestione concreta della relazione;
– monitoraggio e controlli post-gara.
In questa seconda parte del lavoro, quindi, appare utile e conseguente proporre una riflessione concettuale più ampia – economica e manageriale in primo luogo, ma anche di teoria organizzativa, politica e sociale – che consenta di identificare più nitida¬mente quali siano le competenze ma¬nageriali che il processo di liberalizza¬zione, avviato dal legislatore e tutt’o¬ra in essere in tema di servizi pubbli¬ci locali, richiede di sviluppare qualo¬ra già presenti, o che incoraggia ad in¬cludere nella “cassetta degli attrezzi” del buon governo, nel caso non anco¬ra individuate.
Isolare tali competenze manageriali potrebbe generare un doppio beneficio pratico per il sistema della pubblica amministrazione:
• per un verso essa, dotandosene, ri¬uscirebbe a estendere il proprio raggio di azione di là dall’esercizio dei meri controlli di legittimità e conformità normativa in cui spesso si è auto-confinata e si continua ad auto-confinare anche adesso, resistendo al cambiamento, in una logica di inerzia e di mantenimento dello status quo;
• per altro verso e allo stesso tempo, essa sarebbe in grado di individuare e definire in maniera corretta e tempestiva gli effettivi bisogni del¬la comunità, di trasferirli in specifiche di servizio e norme contrattuali, in una logica di adattamento continuo al mutamento.
Più che un punto di partenza della rilessione, tuttavia, le key-competences rappresentano il punto di arrivo di un ragionamento che parte da una considerazione di ordine generale, in¬dagata estesamente e trasversalmente in letteratura, secondo cui c’è un legame evidente tra regole di qualità e performance efficienti ed effica¬ci, sia nei processi decisionali sia in quelli attuativi39. Le regole però – det¬to brutalmente – non sono di “qualità” solo quando vengono rispettate larga¬mente ma anche e soprattutto se sono fatte bene. Che cosa vuol dire che devono essere “fatte bene”? Significa che, per parlare di qualità di una rego¬la, occorre soffermarsi su tutte le sue fasi, da quella in cui la regola non c’è ancora, ma se ne comincia a sentire la necessità, a quando viene affermata. E questo vale non solo per una singo¬la regola ma anche per i sistemi com¬plessi di regole.
Le diverse fasi possono essere organiz¬zate in un processo che chiameremo “la sequenza della regola”.
4. La sequenza della regola
Si tratta di una sequenza generale riguardante l’adozione di una regola, applicabile in più contesti economici e socio-culturali.
1) Una regola, o un sistema di regole, agisce a posteriori in uno spazio sociale ben definito.
È fondamentale operare un’analisi ex ante dell’ambiente da norma¬re al fine di mappare i bisogni che non vi trovano una risposta. Occor¬re ordinare i bisogni per storicità e per l’impatto esercitato sul processo da organizzare. Quali sono i bisogni più vecchi e quali quelli recenti? Sono in essere trend socio-cul¬turali che pongono nuove attese? Sono state tentate delle soluzio¬ni in passato o si è dinanzi a questioni trascurate/ignorate? Quali tra questi bisogni non-soddisfatti compromettono più direttamente o con maggiore forza le sfera economica, sociale, culturale su cui si intende agire?
Con riferimento a questo primo as¬sunto, la legislazione italiana in ma¬teria di servizi pubblici locali – sul versante dei cittadini – è andata in¬tonando il “canto” del libero merca¬to lungo gli anni, ha sviluppato una certa attenzione verso la qualità del¬le dinamiche concorrenziali, ha ini¬ziato da un lato a familiarizzare con indici di soddisfazione e meccanismi/ strumenti di misurazione della quali¬tà, e dall’altro, sta tuttora elaborando una sensibilità più matura nei con¬fronti della valutazione dei servizi ri¬cevuti, servizi che – a tutti gli effet¬ti – sono destinati “a soddisfare biso¬gni pubblici”40.
2) La definizione di una regola consta di più momenti, sequenziali ma distinti.
Questo secondo assunto è, a sua vol¬ta, costituito da quattro sotto-fasi.
a. La definizione degli obiettivi da raggiungere o, seguendo l’assunto 1, l’esplicitazione del bi¬sogno (o dei bisogni) a cui si desidera fornire una risposta.
b. Una valutazione concreta delle alternative, tenendo in conside¬razione gli attori e le risorse a di¬sposizione nel momento dell’a¬nalisi.
c. Una scelta consapevole e condi¬visa – nel senso che ne percepi¬sca largamente il senso di utilità e opportunità – della best option per intervenire in quel dato contesto.
d. La traduzione formale, alias la formulazione vera e propria del¬la regola.
Un’osservazione immediata, che sarà recuperata più avanti, è legata alla di¬versa natura dei punti a. e c., rispetto ai punti b. e d. La prima coppia (a. e c.) richiede un approccio e competenze tipicamente manageriali da parte delle risorse umane coinvolte: la vera sfida, infatti, consiste nel sintetizzare istanze e contributi talora molto eterogenei. La coppia b. e d., al contrario, viene ge¬stita da profili umani altamente tecnici che, facendo ricorso a saperi speciali¬stici e codificati, sanno entrare nel me¬rito delle questioni e prospettano ipote¬si di intervento e conseguenze (b. e d.).
3) Una volta implementata, la regola non può essere sottratta a due ul¬teriori processi: il controllo e la ma¬nutenzione.
Sulla questione del controllo la te¬oria organizzativa e quella manage¬riale hanno fondato una buona par¬te della loro ragion d’essere. Non essendo oggetto del presente lavoro è sufficiente notare, in questa se¬de, come presupposto e contralta¬re del principio del controllo sia il principio del comando. L’esigenza del monitoraggio, in effetti, poggia sul riconoscimento di una qualche fonte di potere alle cui disposizioni ci si conforma.
Last but not least, occorre accen¬nare al problema della “manuten¬zione” della regola. Poiché la rego¬la non è che una “soluzione” a un bisogno, è fondamentale verificare di tanto in tanto se:
• il bisogno viene soddisfatto;
• il bisogno sussiste ancora o è mutato;
• le soluzioni possibili sono aumentate/diminuite;
• pur permanendo il bisogno, la regola adottata, per qualche ragio¬ne, non sortisce gli effetti sperati o, addirittura, compromette ulteriormente la situazione.
In questi casi, porsi il problema del¬la “manutenzione” implica due azio¬ni precise:
i) unitamente all’adozione della rego¬la implementare un sistema di regi¬strazione degli effetti che va gene¬rando, quindi organizzare i dati rac¬colti in database. Prevedere dei va¬lori-soglia di performance che, nel caso non vengano raggiunti, lancino un warning.
ii) In presenza di warning, applicare “la sequenza della regola” ripartendo dalla lettera b) dell’assunto nume¬ro 2 (“una valutazione concreta delle alternative, tenendo in considera¬zione gli attori e le risorse a disposizione nel momento dell’analisi”).
5. Dalle aree di tensione alle competenze-chiave manageriali
È stato osservato in più passaggi come l’apertura alla concorrenza abbia tra¬sformato in profondità l’universo dei servizi pubblici in Italia. La transizio¬ne al mercato nelle public utilities locali tuttavia, sebbene non fosse un’e¬sperienza pionieristica a livello europeo, non è stata sempre lineare o indo¬lore in Italia. Paralleli e differenti in¬terventi di riordino legislativo, una geo¬grafia del territorio articolata e variega¬ta, contingenti equilibri politici e isti¬tuzionali da preservare, un’evoluzione tecnologica impetuosa e imprevedibi¬le, un quadro macroeconomico e geo¬politico denso di incertezze e insidie, una molteplicità di attori (locali e cen¬trali), ecc. sono solo alcuni tra i fatto¬ri di complessità che, in modo diretto o indiretto, e con un coefficiente spe¬cifico di impatto, hanno costantemen¬te condizionato: la rapidità degli inter¬venti, l’implementazione di processi efficienti, l’affermazione della centra¬lità dei diritti della collettività sugli in¬teressi dei singoli e cosi via.
Provando ad aggregare secondo una logica di omogeneità la gran parte di questi fattori di complessità, è possibile isolare – in via analitica e provvisoria – alcuni temi rilevanti.
Più che tematiche, in realtà, si può parlare di questioni aperte particolar¬mente sensibili alla regolazione che qui definiamo “aree di tensione”. Su queste aree, in altre parole, non agiscono solo gli obblighi di-fare o di-non-fare della regola, ma scaturiscono, di solito, delle riflessioni più am¬pie sul senso di utilità e di opportu¬nità che ha messo in moto il proces¬so di regolazione. Se il processo di regolazione ha osservato “la sequenza della regola” descritta sopra, allora le aree di tensione tendono a distendersi e normalizzarsi. Se, viceversa, l’attivi¬tà di regolazione non è completa, non attraversa cioè tutte e tre le fasi della sequenza, allora le aree di tensione di¬vengono “aree di conflitto” che metto¬no a rischio l’accettazione e la stessa osservanza delle regole adottate.
Il contesto italiano, rispetto alla regolazione dei servizi pubblici locali, sembra evidenziare quattro “aree di tensione”:
1. Area di tensione istituzionale
Quest’area registra una tensione tra livelli istituzionali differenti: quelli che decidono centralmente (Organiz¬zazioni internazionali, Unione Euro¬pea e Governo Centrale) e quelli am¬ministrativi (Regioni, Province, Comuni) che decidono localmente. Il pro¬cesso regolatorio, in molti casi, è condiviso e c’è bisogno che i vari livelli si allineino nella “lettura” del proble¬ma, nella condivisione degli obiettivi, nell’assegnazione delle funzioni di re¬golazione. Vi sono già, in Italia, orga¬ni di collegamento di tipo consultivo e di coordinamento41 tra il livello cen¬trale (Consiglio dei Ministri, Ministeri, ecc.) e quelli locali (Regioni, Provin¬ce, ecc.) come la Conferenza perma¬nente per i rapporti tra lo Stato, le Re¬gioni42, e a cascata, ad esempio, l’U¬nione delle Province Venete43. In tema di public utilities potrebbe essere uti¬le rivedere la natura delle relazioni tra i vari livelli. Per riorganizzarle in modo più lineare si dovrebbe ricorrere al¬la “sequenza delle regola”.
2. Area di tensione legale
La modalità con cui un’impresa ottie¬ne la concessione a erogare un servizio consiste nel prendere parte a una gara e vincerla. La gara viene indetta attra¬verso un bando che, da un lato, sinte¬tizza le condizioni e le modalità di par¬tecipazione alla competizione, dall’al¬tro contiene le condizioni e le modali¬tà con cui si aggiudica la gara e i crite¬ri attorno ai quali si svilupperà la suc¬cessiva relazione.
La predisposizione del bando e la sua pubblicazione rappresentano un’area di tensione che, data la prevalenza delle disposizioni giuridiche, qui definia¬mo “area di tensione legale”. Formu¬lare correttamente i requisiti di parte¬cipazione alla gara, ad esempio, che è un aspetto che può apparire piuttosto agevole, ha evidenziato di recente tutta la propria criticità nella più grande con¬cessione italiana, quella di Roma Capi¬tale44. Altrettanto complesso è tradurre linguisticamente i restanti aspetti del bando. I meccanismi di normalizzazio¬ne dell’area di tensione legale consisto¬no, anche in questo caso, nell’applica¬re “la sequenza delle regola”.
3. Area di tensione della sostenibilità politico-economica
Quest’area registra una tensione tra gli attori economici che erogano il servi¬zio pubblico, quelli che potrebbero po¬tenzialmente sostituirli e i decisori isti¬tuzionali che stabiliscono le regole del gioco. Nella gran parte dei casi, al di là delle specificità territoriali, la domanda a cui bisogna dare una risposta è: quali sono le condizioni economiche più sostenibili, in termini di generazio¬ne di valore, per le imprese da una parte e per i cittadini dall’altra? Gli aspet¬ti da valutare sono più d’uno. Sceglien¬do di prediligere il criterio della massi¬ma efficienza, ad esempio, le imprese espresse dal territorio, spesso già ero¬gatrici del servizio, essendo di dimen¬sioni medio-piccole potrebbero temere la competizione (impari) con le grandi imprese esterne e resistere al cambia¬mento. In questo senso il tema della sostenibilità, oltre che economico, di¬venta politico: ha a che vedere con il consenso, con la necessità di coinvol¬gere e far partecipare più risorse loca¬li possibili, in definitiva con lo sviluppo economico del territorio stesso. Anche per quest’area di tensione, il meccani¬smo di distensione da attuare è “la se¬quenza della regola”.
4. Area di tensione della stabilità sociale e del welfare
Quest’area di tensione è vicina all’area di tensione della sostenibilità politico-economica nella misura in cui, pur in¬sistendo sulle medesime questioni, ne osserva non i riflessi economici ma gli effetti sociali: la coesione sociale e le conseguenze sul sistema di welfa¬re. Come garantire: l’accesso ai servizi sociali indispensabili a ogni membro della comunità, al lavoro e alle oppor¬tunità di crescita professionali, mante¬nere la coesione e stimolare la mobili¬tà sociale, la crescita e l’offerta cultu¬rale e, più in generale, il grado di civil¬tà e la qualità della vita nel suo com¬plesso? Monitorare la stabilità socia¬le e i vari aspetti del welfare, solleci¬ta anche un’intensa attività di comuni¬cazione sul territorio; di motivazione, controllo, manutenzione e sensibiliz¬zazione. Ancora una volta, attuare “la sequenza della regola” può contribuire a normalizzare quest’area di tensione.
L’ultimo passaggio di questa riflessione risponde alla domanda: di quali competenze manageriali dovrebbe dotarsi la pubblica amministrazione alla luce delle quattro aree di tensione?
Per “costruire” una risposta – provvi¬soria e aperta a future ricerche – si è operato su un’attenta revisione di ana¬lisi e studi disponibili, incrociando la letteratura di stampo manageriale con quella più tecnica. Il punto di arrivo di quest’indagine teorica è che l’ap¬plicazione ottimale alle singole aree di tensione del processo della sequenza della regola possa essere ottimizzata dal possesso, tra le altre, di una pre¬cisa competenza-chiave di tipo mana¬geriale. È però utile, a questo riguar¬do, operare una premessa metodologi¬ca. Non è questa la sede per elenca¬re le numerose management skills tra¬dizionali o emergenti esistenti45, non è la sede per classificarle in base ad un qualche criterio di preponderanza o per minimizzare il valore delle compe¬tenze manageriali non citate rispetto a quelle richiamate. E con riferimento a quelle citate, non è neanche la se¬de per presentarne le numerose defini¬zioni o dar conto delle eventuali dispu¬te di cui è piena la letteratura di riferi¬mento. Per ciascuna competenza, in¬vece, si proporrà una definizione sem¬plice e condivisibile per poi, breve¬mente, motivarne l’importanza all’in¬terno della relativa area di tensione.
1) La negoziazione è la competenza-chiave manageriale per l’area di tensione istituzionale.
Def.: la negoziazione è “the process of making joint decisions when the parties involved have difference preferences”46.
Gli elementi che rendono questa competenza centrale nel distende¬re l’area di tensione istituzionale sono: la presenza di rappresentanti istituzionali di livello diverso, l’esi¬genza di giungere ad una decisione condivisa, la logica diversa con cui le parti coinvolte si muovono e, di conseguenza, generano le loro pre¬ferenze.
A proposito della produzione normativa e della gestione dei servi¬zi pubblici locali non bisognereb¬be in alcun modo mettere da par¬te la competenza della negoziazio¬ne lungo tutta la sequenza della re¬gola. Se lo Stato è in parte coin¬volto perché legifera, anche gli enti locali lo sono perché sono respon¬sabili della gestione47. Rispetto ai servizi pubblici locali48, poi, biso¬gna tener conto della peculiarità dei cosiddetti servizi pubblici na¬zionali49 che presentano filiere pro¬duttive e meccaniche economiche diverse; soggetti economici pecu¬liari che producono ed erogano il servizio; uno specifico ordinamen¬to giuridico di riferimento; un potere regolatorio che ha impattato e impatta sul modello organizzativo e sull’evoluzione delle politiche di li¬beralizzazione e privatizzazione.
2) Recrutare/formare specialisti all’in¬terno dell’organizzazione è la com¬petenza-chiave manageriale per l’a¬rea di tensione legale.
Def.: “Specialization is the antithe¬sis of synthesis and integration”50.
L’area di tensione legale è quella che, per essere normalizzata ed evi¬tare il caos, necessita anzitutto di personale specializzato in grado di tradurre in modo adeguato le deci¬sioni condivise in documenti ufficia¬li che regolino, in modo particolare, le concessioni. Gli enti locali han¬no bisogno di attraversare le varie fasi della sequenza della regola con le persone giuste. Il documento for¬male più delicato è il bando di gara. Non predisporlo correttamente de¬termina inefficienze (di tempo e di risorse) e genera un clima di incertezza del diritto che compromette l’adozione delle regole migliori e la stessa credibilità della pubblica am¬ministrazione. Questi professionisti, inoltre, devono essere il più possibi¬le interni all’organizzazione. Affidandosi a società esterne di consulenza, infatti, oltre a incrementare il nume¬ro delle parti in gioco (aggravando il processo), il pubblico decisore accetta di cedere una parte cospicua della sua responsabilità ad altri soggetti. Il rischio della deresponsabilizzazione è notevole e, inoltre, nel momento in cui è il consulente a definire e interpretare il know how, an¬che l’imparzialità viene messa a rischio.
3) L’accountability è la competenza-chiave manageriale per l’area di tensione della sostenibilità politi¬co-economica.
Def.: “The concept of accounta¬bility involves two distinct stages: answerability and enforcement. Answerability refers to the obliga¬tion of the government, its agencies and public officials to provide infor¬mation about their decision and ac¬tions and to justify them (…). En¬forcement suggests that the public or the institution (…) can sanction the offending party or remedy the contravening behavior”51.
Come per l’area di tensione lega¬le, il legame tra questa competenza e la possibilità di gestire efficace¬mente ed efficientemente l’area di tensione della sostenibilità politico-economica è auto-evidente. Julia Steets ha osservato in modo acu¬to che l’accountability può essere espressa anche con una domanda: “Who is accountable, to whom, for what, how and why?”52.
La pubblica amministrazione ha bi¬sogno di questa competenza in ge¬nerale, e ancora di più quando me¬dia tra interessi, persone, istituzio¬ni e compie valutazioni di opportu¬nità, come nel caso dei servizi pub¬blici locali. E dell’accountability non può essere trascurato nessuno dei suoi due aspetti: quello dell’answerability e quello dell’enforcement. Dall’answerability segue il principio del dar conto di quello che si fa, mentre dall’enforcement discende il principio della responsabilità.
Oltre che dichiarata, la competen¬za dell’accountability deve essere attuata: servono sistemi di raccolta dati, monitoraggio e rendicontazio¬ne sempre più raffinati e tempestivi nei confronti degli erogatori del ser¬vizio. È necessario, allo stesso tem¬po, sviluppare un’attività struttura¬le d’informazione, comunicazione, sensibilizzazione e dialogo con la comunità. Strumenti di democra¬zia partecipativa – iniziative refe¬rendarie di tipo territoriale o altre simili forme di scambio con i citta¬dini – possono catalizzare l’atten¬zione, coagulare l’interesse su cer¬ti temi, far passare messaggi posi¬tivi. Una pubblica amministrazione che possiede ed esprime la compe¬tenza dell’accountability, infine, si apre all’innovazione: migliora i pro¬pri processi, sviluppa una naturale predisposizione all’adattamento e al cambiamento. Ne beneficia an¬che la “sequenza della regola” che acquista fluidità e qualità.
4) L’integrazione è la competenza-chiave manageriale per l’area di tensione della stabilità sociale e il welfare.
Def.: “To Integrate means to make entire or complete, and integration represents creating the whole by adding together or combining sepa¬rate parts”53.
Il grado di accesso a un servizio pubblico, la sua distribuzione sul territorio, i criteri mediante cui vie¬ne organizzato e offerto alle perso¬ne oppure, qualora necessario, si giunga a limitarne i livelli di fruizione esercitano decise ripercussio¬ni su valori fondanti quali la coesio¬ne sociale, lo sviluppo professiona¬le, la crescita civile, la mobilità so¬ciale, e così via. A differenze dell’a¬rea di tensione legale, dove la com¬petenza-chiave manageriale è quel¬la della specializzazione, qui occor¬re invece integrare.
Della definizione di “integrazione” spicca nitidamente l’atto dell’aggiungere, dell’arricchire, del com¬binare parti separate. Integrare è, in sostanza, l’opposto di ridurre, escludere, emarginare.
Gestire un’area di tensione sociale richiede di tener conto delle richieste di tutte le parti in gioco e, per quanto possibile, “creating the whole”.
Anche per questa competenza è la dimensione dello sviluppo concreto a renderla fruttuosa: la pubblica amministrazione comincia a integrare quando conosce, quando incontra, quando risponde, quando spiega, quando propone soluzioni nuove in grado di creare valore per tutti anche se qualcuno, all’inizio, rinuncia a qualcosa.
Agire con efficacia su tutte e quattro le aree di tensione individuate espri¬mendo al meglio le competenze-chia¬ve manageriali che si sono affrontate, non è un processo indolore, non è un processo rapido per la pubblica ammi¬nistrazione. Prenderne tuttavia consa¬pevolezza, per quanto semplice pos¬sa sembrare, rappresenta un notevole passo in avanti per fronteggiare la dif¬ficile sfida del cambiamento: la chiave di volta per la riqualificazione e la ri¬motivazione del settore pubblico.

Antonio Alizzi è Dottore di Ricerca in Scienze Organizzative e Direzionali e Professore a contratto di Management per l’Editoria all’Università degli Studi di Verona.
Federico Testa è Professore di Economia e gestione delle imprese all’Università degli Studi di Verona, deputato e membro della Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati.

Note
* Pur essendo il presente lavoro frutto delle riflessioni comuni dei due autori, i paragrafi 1, 2 e 3 sono da attribuire a Federico Testa, i paragrafi 4 e 5 ad Antonio Alizzi.
(1) R. Normann, La gestione strategica dei servi¬zi, Etas Libri, Milano, 1985, 35, dove sottolinea co¬me “la maggior parte dei servizi consiste in azioni e interazioni che sono tipicamente eventi sociali”.
(2) In questo senso C. Baccarani, Mutamenti am¬bientali e condotta strategica delle imprese munici¬palizzate, Cedam, Padova, 1988, 30.
(3) Per un approfondimento K. Galbraith, L’eco¬nomia e la qualità della vita, Mondadori, Milano, 1971.
(4) G. Cozzi, A. Massarutto, Dalla municipalizzata all’impresa pubblica locale, in S. Vaccà, a cura di, Problemi e prospettive dei servi locali di pubblica utilità in Italia, Franco Angeli, Milano, 2002, 36, ri¬cordano come “per moltissimi servizi (fra quelli lo¬cali, si pensi alle farmacie, o ai mercati ortofrutti¬coli) semplicemente il mutato contesto economico originatosi dopo il boom economico degli anni 50- 60 ha fatto scomparire, o comunque ridurre drasti¬camente, le esigenze di controllo pubblico, permet¬tendo che fosse il libero mercato a soddisfare la do¬manda anche di servizi essenziali”.
(5) Si pensi, per tutti, alla nascita e al consolida¬mento del movimento ambientalista, così “letti” da G. Panati, Interazioni tra ecologia e processi deci¬sionali economici, in Economia e ambiente, anno II, gennaio-giugno 1983, 20: “il conservazionismo ambientale nasce dalla richiesta delle classi medie superiori di maggiori beni e servizi di natura colletti¬va, cioè soddisfacibili soltanto collettivamente (…): all’aumentare del reddito ciascuno di noi sposta in avanti l’obiettivo delle richieste (…); quando il teno¬re di vita reale raggiunge livelli elevati, allora i bene¬ficiari di tali redditi inseriscono nella voce succes¬siva dell’elenco degli acquisti un ambiente più pu¬lito, dove poter meglio valorizzare e godere gli altri beni già conseguiti, e rivolgono la propria attenzio¬ne all’inquinamento ambientale”.
6) L. D’Alessandro, Imprese di pubblica utilità, Utet, Torino, 1967, 4, con riferimento alle imprese chiamate a erogare servizi di pubblica utilità, sotto¬linea come “tale categoria di imprese non può es¬sere definita una volta per sempre, in base a prin¬cipi economici astratti, ma è, per così dire, aperta: in altre parole, essa, in dipendenza dell’evoluzione dell’economia o della tecnica, o di particolari ne¬cessità locali, può essere ampliata”.
7) In questo senso M. Elefanti, La liberalizzazione dei servizi pubblici locali, Egea, Milano, 2003, 9.
(8) Per un approfondimento e una ricostruzione storica, L. Solimene, Servizio universale, liberalizza¬zione dei mercati e regolamentazione dei servizi di pubblica utilità, in Economia Pubblica, n. 2, 2002.
(9) R. Millward, La regolamentazione e la proprietà dei servizi pubblici in Europa: una prospettiva storica dal 1830 al 1950, in Economia Pubblica, n. 2, 2004, 28.
(10) P. Piras, Servizi pubblici, cit., 4.
(11) G. Montemartini, Municipalizzazione dei pub¬blici servigi, S.E.L., Milano, 1902, riprodotto ana¬staticamente dalla Sintesi Editrice di Brescia nel 1997. Non diversamente L. D’Alessandro, Imprese di pubblica utilità, Utet, Torino, 1967, 5, sottolinea come “l’intervento pubblico di disciplina e control¬lo per le imprese riconosciute di pubblica utilità è giustificato dal fatto che esse, mentre sono rivolte a fini interessanti in modo notevole vastissime ca¬tegorie di cittadini, sono d’altra parte caratterizzate da situazioni che non rendono praticamente possi¬bile la condotta aziendale in regime di concorren¬za; e ha lo scopo di evitare che la privata impresa, potendo in tali casi agevolmente godere di posizio¬ni privilegiate, volga a proprio vantaggio profitti di monopolio, con danno evidente del consumatore”.
(12) F.S. Nitti, Principi di scienza delle finanze, Pierro, Napoli, 1903, 26.
(13) In proposito G. Montemartini, Municipalizza¬zione cit. sostiene che gli obiettivi principali che si dovevano porre le Amministrazioni locali attraverso l’intervento nell’erogazione di servizi pubblici erano quelli della riduzione dei prezzi dei servizi che in¬vece il privato monopolista avrebbe fissato in mo¬do tale da ottenere extra-profitti), del miglioramen¬to della qualità dei servizi, dell’innalzamento delle condizioni dei lavoratori. L. Solimene, Servizio uni¬versale, liberalizzazione dei mercati e regolamen¬tazione dei servizi di pubblica utilità, in Economia Pubblica, n. 2, 2002, 7, ricorda che “una delle cer¬tezze che hanno caratterizzato il passato era rap¬presentata dall’idea che esistessero da una parte attività svolte in regime concorrenziale, o comun¬que attività per cui la concorrenza fosse la forma di mercato più efficiente, mentre dall’altra si collo¬cavano i servizi di pubblica utilità, che non poteva¬no essere aperti alla concorrenza, data l’esigenza di tutelare l’interesse generale”.
(14) Sull’argomento L. D’Alessandro, Imprese di pubblica utilità, Utet, Torino, 1967, 6.
(15) R. Arcangeli, Economia e gestione delle imprese di servizi pubblici, Cedam, Padova, 2000, 152.
(16) Per un approfondimento G. Panati, G.M. Golinelli, Tecnica economica industriale e commercia¬le, NIS, Roma, 1991, 292.
(17) “E nella quale le decisioni sono finalizzate all’ottimizzazione del servizio offerto, date le risor¬se disponibili”, R.N. Anthony, D.W. Young, Controllo di gestione per gli enti pubblici e le organizzazioni non profit, McGraw-Hill, Milano, 1992, 33. In pro¬posito, va ricordato con P. Saraceno, La produzione industriale, Leuv, Venezia, 1970, 63, che: “Massi¬mizzazione del reddito, che è l’obiettivo di un’im¬presa privata, massimizzazione dell’economicità di gestione, che è l’obiettivo dell’impresa pubblica, si risolvono ambedue nella massimizzazione del diva¬rio tra costi e ricavi; tali espressioni possono quin¬di considerarsi tutte equivalenti e la massimizzazio¬ne del reddito può, in conseguenza, essere assunta come la determinante fondamentale del comporta¬mento che il soggetto economico intende ottenere dall’impresa, sia essa pubblica o privata”.
(18) In questo senso A. Garlatti, Il riordino delle forme di gestione dei servizi pubblici locali: opportunità e rischi emergenti, in Azienda Pubblica, n. 6, 2000, 691.
(19) Per un approfondimento del concetto, G. Croce, La regolazione dei servizi pubblici in condizio¬ne di informazione asimmetrica, in Economia e politica industriale, n. 99, 1993, 106. In proposito, F. Gulli, Economie di scala versus economie di den¬sità nella distribuzione elettrica: un’analisi quanti¬tativa, in Economia delle fonti di energia e dell’am¬biente, n. 2, 2000, ricorda come “il concetto di mo¬nopolio naturale ha avuto una sostanziale evoluzio¬ne formale: monopoli naturali sono quelle industrie la cui funzione di costo è subadditiva, per tutti i li¬velli di output rilevanti”.
(20) Per una rassegna, L. Prosperetti, Monopolio, concorrenza e regolazione: i pubblici servizi in un mercato che cambia, in Economia e politica industriale, n. 80, 1998, 226.
(21) “È il caso tipico dei servizi elettrici, telefonici, di gas, acqua, i quali richiedono reti di distribuzio¬ne collegate con gli impianti di produzione in virtù della connessione fisica tra azienda di produzione ed utente, necessaria affinché quest’ ultimo pos¬sa ricevere ed utilizzare il servizio. L’imponenza di questi impianti e il loro costo rappresentano un li¬mite alla molteplicità di imprese fornitrici dello stesso servizio”, R. Mele, Strategie e Politiche di Marketing nelle imprese di pubblici servizi, Cedam, Pa¬dova, 1993. C. Antonelli, Reti e regolazione: monopoli legali, benessere collettivo ed efficienza economica nelle industrie a rete, con particolare riferi¬mento alle telecomunicazioni, Autorità garante della Concorrenza e del mercato, 1991, sottolinea peraltro come ciò possa verificarsi anche in relazione ad economie di rete e di densità.
(22) Sull’argomento J. Vickers, G. Yarrow, Privatisa¬tion: an Economic Analysis, The MIT Press, Cam¬bridge, 1988.
(23) F. Bulckaen, C. Cambini, Assetti di mercato e problemi di regolazione nei servizi di pubblica uti¬lità, in F. Bulckaen, C. Cambini, a cura di, I servizi di pubblica utilità, Angeli, Milano, 2000.
(24) D. Archibugi, G. Ciccarone, M. Marè, B. Pizzet¬ti, F. Violati, Relazioni triangolari nell’economia dei servizi pubblici, in Economia Pubblica, n. 5, 2000, nonché B. Pizzetti, D. Archibugi, I costi di transizione nella concorrenza per il mercato, in L’Indu¬stria, n. 2, 2001.
(25) “Nulla è definitivo in economia; tanto meno lo è la tematica della regolazione dei mercati e del¬le attività produttive. Diversi sono i fattori che mo¬tivano la ciclicità e la ricorrenza di atteggiamenti di avvicinamento o di allontanamento da questi inter¬venti di politica economica e di politica industriale: alcuni, di natura metaeconomica, si radicano nella cultura dominante in un certo contesto storico; altri vanno posti in relazione ai cambiamenti tecnologici operanti in determinati settori produttivi; altri anco¬ra interpretano l’evoluzione… del manifestarsi della concorrenza nei vari comparti produttivi”, G. Zanetti, Corsi e ricorsi nella fiducia verso la regolazione, in L’Industria, n. 1, gennaio-marzo 1997, 5.
(26) In questo senso Vaccà, Presentazione, in S. Vaccà, a cura di, Problemi e prospettive dei ser¬vi locali di pubblica utilità in Italia, Franco Ange¬li, Milano, 2002, 13 e ss. laddove scrive “non vo¬gliamo, ovviamente, sottovalutare la rilevanza di provvedimenti legislativi (…) Ci sembra però uti¬le sottolineare che le riforme istituzionali o sono state definite articolatamente sulla carta ma han¬no finora prodotto ben poco in termini di adem¬pimenti concreti (…) o hanno fatto salvi i princi¬pi ormai da tempo acquisiti (…) ma hanno rein¬trodotto un’ampia discrezionalità per i comuni in materia di scelte riguardanti la privatizzazione di alcuni servizi locali di pubblica utilità (…) D’altro canto altri fattori di cambiamento, spesso sotto¬valutati nelle analisi correnti, hanno già avuto (e più ancora avranno nei prossimi anni, consisten¬ti effetti sulla trasformazione del settore. Ci riferia¬mo, in particolare, sia ai fattori di carattere finanziario (passaggio da una condizione di finanza derivata a una condizione di finanza diretta) (…) sia – specialmente – ai fattori derivanti dall’innovazione tecnologica e dall’evoluzione delle aspettative e dei comportamenti dei consumatori finali”.
(27) La rigidità è spesso aggravata dall’avversione al rischio dei soggetti che operano all’interno delle strutture, che tendono a liberarsi delle responsabi¬lità o mediante l’interpretazione restrittiva e penalizzante per l’interlocutore delle disposizioni normative o regolamentari, o attraverso l’approvazione di ogni azione intrapresa da parte di una pluralità di organi collegiali, con il conseguente rallentamento dei processi organizzativi.
(28) R. Cafferata, Cambiamento tecnologico e riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, in Economia Pubblica, suppl. al n. 3, 1999, ricorda come “il lavoro che si svolge nelle amministrazioni pubbliche ha prepotentemente assimilato tutti gli input statici della burocrazia e nessuno di quel¬li dinamici”.
(29) E. Borgonovi, Le nuove frontiere dei servizi pubblici tra soddisfazione dell’utente e tutela dell’interesse pubblico, in Sinergie, n. 40/41, 1996.
(30) Il riferimento è agli “oneri impropri”, cioè i co¬sti addizionali che la struttura sopporta per l’assun¬zione di obiettivi sociali, su cui si veda L. Casel¬li, Impresa pubblica e oneri impropri, in Bolletti¬no dell’economia pubblica, n. 12, 1969, nonché P. Saraceno, Il processo decisionale statale, in Econo¬mia e politica industriale, n. 9, 1975, 26, il quale a proposito del sistema delle imprese a partecipa¬zione statale precisa che: “la quantificazione degli oneri impropri dovrebbe effettuarsi due volte: in via preventiva, onde consentire all’Autorità di governo di rendersi conto del costo dei fini politici che ci si propone di perseguire e decidere con cognizione di causa sull’opportunità delle iniziative che, per con¬seguire quei fini, si vorrebbero prendere; la quan¬tificazione degli oneri impropri dovrebbe effettuarsi poi in via consuntiva onde identificare gli eventuali oneri derivanti da inefficienze delle imprese ed evi¬tare che essi siano invece attribuiti al perseguimento dei fini politici”.
(31) A. Quadrio Curzio, M. Fortis, Le liberalizzazioni e le privatizzazioni dei servizi pubblici locali, Il Mulino, Bologna, 2000, 33, dove viene rilevato come solo una gestione efficiente dei servizi pubblici rappresenti la grande occasione per riuscire a ristabi¬lire un sano e corretto rapporto fra la società civile e l’amministrazione.
(32) Al di là delle vicende nazionali della cosiddetta “tangentopoli”, per un inquadramento teorico del problema G. Stigler, The Theory of Economic Re¬gulation, in Bell Journal of Economics and Management Science, n. 1, 1971; A. Shleifer, R. Vishny, Politician and Firms, Quarterly, in Journal of Eco¬nomics, vol. 109, Issue 4, 1994, 995.
(33) A. Quadrio Curzio, M. Fortis, Le liberalizzazioni e le privatizzazioni dei servizi pubblici locali, Il Mulino, Bologna, 2000, 39, dove si afferma che “l’adeguamento del nostro sistema politico-amministrati¬vo all’ordinamento comunitario delinea un model¬lo di Stato «forte ma neutrale» nell’economia. Forte, vale a dire in grado di garantire il regolare funzionamento dell’ordinamento economico; neutrale, in quanto non pretende di dirigere le forze di mercato. Il nuovo stato neutrale è in grado di riequilibrare i meccanismi del mercato, senza assumere direttamente la gestione di imprese, dettando regole di comportamento, e vigilando sull’osservanza delle stesse”. Si veda anche L. Vasques, I servizi pubblici locali nella prospettiva di libera concorrenza, Giappichelli, Torino, 1999, 26, dove si eviden¬zia che, proprio al fine di salvaguardare il principio fondamentale della concorrenza, gli organi comu¬nitari hanno adottato un atteggiamento sempre più vigile e critico su forme di aiuto statale a favore delle imprese che, come è noto, provocano un’altera¬zione delle dinamiche di mercato.
(34) Per un approfondimento, E. Bertero, Fa differenza un cambiamento, da pubblico a privato, dell’assetto proprietario?, in Economia Pubblica, n. 2, 2003, in particolare il par. 3, Pressione finanziaria e istituzioni sopranazionali.
(35) Secondo l’efficace espressione di A. Massarutto, La regolazione del settore dei servizi idrici: le ragioni per l’istituzione di un’Authority, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n. 1, 1998, 50. In proposito L. Prosperetti, G. Marzi, “Come funziona la liberalizzazione dei servizi pubblici: un’analisi di alcune esperienze internazionali”, Working Paper Series, Istituto di Economia Politica Università degli Studi di Milano, aprile 1998, affermano: “(…) la concorrenza non serve solo a tenere i prezzi vicini ai costi medi. Nella realtà di un mercato competitivo, la concorrenza influenza l’efficienza della struttura dei prezzi spingendo le imprese:
– a coprire i costi congiunti in modo creativo e flessibile;
- ad ottimizzare l’uso delle reti e delle risorse con schemi articolati di tariffe multiorarie, connesse al traffico (o al carico, a seconda dei casi) delle reti;
– a correlare strettamente prezzi e qualità, segmentando adeguatamente il mercato.
Tutto ciò che realisticamente una buona regolazione può sperare di ottenere è invece di mantenere i prezzi dei servizi a un livello vicino ai costi di lungo periodo. Quest’obiettivo è corretto e non deve certamente essere sottovalutato. Confrontato con i punti che precedono è però poca cosa, e dunque esso deve essere perseguito quando non vi siano percorsi alternativi che consentono di raggiungere – tramite la liberalizzazione – gli effetti positivi più generali generati da un mercato competitivo. Una visione dell’intervento pubblico che ponga la rego¬lazione (e non la liberalizzazione) al primo posto non tiene poi conto degli effetti che la tecnologia e lo sviluppo della domanda possono avere nell’indebolire, fino ad eliminarle, le condizioni tecnologiche e di mercato che avevano dato luogo inizialmente al market failure”.
(36) L. Vasques, I servizi, cit., 32, ricorda “(…) come la concorrenza rappresenti uno strumento umano, e come tale non perfetto per definizione. È opportuno dunque non utilizzare quest’ultimo con atteggiamento ideologico, presupponendo che le leggi di mercato siano la panacea di tutti i mali. Le leggi di mercato vanno usate con grande accor¬tezza, tenendo comunque conto che i servizi pubblici di qualunque specie coinvolgono anche diritti ed interessi dell’individuo, e che le regole di concorrenza assai di rado tutelano ex se diritti, quando questi ultimi non hanno rilevanza economica immediata. Ciò premesso, ne deriva che allo Stato de¬vono almeno residuare, per quei servizi che coinvolgono diritti soggettivi del cittadino, poteri di mo¬nitoraggio e controllo sulle modalità di svolgimento dei servizi, e, talvolta, anche sulle tariffe adottate”.
(37) In proposito, M. Passarelli, P. Peruzzi, A. Petretto, Una semplice guida, cit., ricordano come “la separazione tra gestione ed indirizzo e il ricorso ad Autorità indipendenti è un modello organizzativo che consente di dividere le informazioni a disposizione dei politici e, conseguentemente, limitare la loro discrezionalità nell’intraprendere azioni non conformi al benessere sociale (…). Nel caso particolare dell’organizzazione dei SPL, con la “separazione”, invece di avere un’unica struttura politica che nell’amministrare un servizio pubblico mette in atto le sue offerte collusive con i gruppi di pressione, si genera un comportamento strategico tra agenzie parzialmente informate (politici, gruppi di pressione, burocrati) che aumenta i costi di transazione delle loro attività collusive, rendendole meno convenienti”.
(38) La regolamentazione, intesa in senso lato, “riguarda l’uso del potere legittimo di coercizione da parte dello Stato per disciplinare alcune attivi¬tà aventi per oggetto la produzione di beni e servizi destinati alla vendita”. La regolamentazione si manifesta in una pluralità di forme: dal “controllo dei prezzi”, a “l’obbligo di messa a disposizione del servizio”, alle “norme che disciplinano la qualità”, alla “imposizione di barriere all’entrata, cioè le limitazioni imposte alla libertà di esercizio di una certa attività”. Solitamente tali barriere all’entrata (sia per i settori energetici sia per altri settori, fra i quali le telecomunicazioni) sono state imposte mediante “l’attribuzione per legge di una riserva esclusiva allo stato, alle regioni o ai comuni. Tale riserva è stata utilizzata dal titolare o per gestire direttamente l’attività in esame o più spesso per concederne l’esercizio a un altro soggetto mediante un rapporto di tipo contrattuale (di solito la concessione). Il risultato netto dell’esercizio di tale diritto attribuito per legge è dunque quello di restringere la concorrenza ed anzi spesso di creare un monopolio legale territoriale. Non di rado poi… il soggetto a cui viene delegata la gestione del servizio in esclusiva è un’impresa pubblica”; L. De Paoli, La regola¬mentazione dei servizi energetici di pubblica utilità in cambiamento, in L. De Paoli, a cura di, Regolamentazione e mercato unico dell’energia, Angeli, Milano, 1993, 3.
(39) Sul punto si veda: M. De Benedetto, M. Martarelli, N. Rangone, La qualità delle regole, Il Mulino, Bologna, 2011.
(40) Sia consentito, in proposito, citare il ns. F. Testa, Aspetti manageriali della transizione al mercato nelle public utilities locali, Cedam, Padova, 2001, 2.
(41) Sul punto si vedano: T.G. Cummings, C.G. Worley, Organization Development and Change, Orga¬nization Theory and Design, Cengace Learning, An¬dover-Hampshire, 2008; R.L. Daft, J. Murphy, H. Willmott, Organization Theory and Design, Cen¬gace Learning, Andover-Hampshire, 2010; J.D. Thompson, Organization in Action, Transaction Pub¬lishers, Piscataway-New Jersey, 1967; W.W. Pow¬ell, The New Institutionalism in Organization¬al Analysis, University of Chicago Press, Chicago, 1991.
(42) http://www.statoregioni.it/
(43) http://www.upinet.it/2823/news/unione_delle_ province_venete/
(44) Che il bando per la più importante concessione di distribuzione del gas del Paese venga pro¬mulgato, ritirato, cambiato e poi ri-promulgato dà efficacemente l’idea di come un’amministrazione locale non di secondo piano (la Capitale d’Italia) stia messa quanto a competenze e professionalità in materia.
(45) Tra le competenze manageriali, a titolo esemplificativo, vi sono le seguenti: valutare le persone e le loro performance, disciplinare e guidare le persone, ascoltare le persone e organizzare in processi, formulare degli obiettivi e degli standard, pensare in modo chiaro e secondo direttrici analitiche, istruire chiaramente le persone; identificare e risolvere i problemi; assumere decisioni e valutare i rischi, lavorare e insieme addestrare; supportare e delegare, gestione del tempo e delle priorità.
(46) “Il processo di assumere decisioni condivise quando le parti coinvolte esprimono preferenze differenti”, M. Mehnert, Negotiation: Definition and Types, Manager’s Issues in Negotiation, Cultural Differences and the Negotiation Process, (Seminar Paper) Grin Verlag, Munich, October 2008, 2.
(47) “Gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di be¬ni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a pro¬muovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”. Art. 112 t.u.e.l. (d.lgs. 267/2000).
(48) Tra i servizi pubblici locali ci sono: la distri¬buzione e la vendita finale dell’energia elettrica; la distribuzione e la vendita finale del gas metano; i servizi idrici; le fognature e la depurazione; il tra¬sporto pubblico locale; la raccolta e lo smaltimen¬to dei rifiuti.
(49) Tra i servizi pubblici nazionali ci sono: la tra¬smissione su grandi linee dell’energia elettrica; la gestione dei gasdotti su scala nazionale; i traspor¬ti ferroviari, i trasporti aeroportuali; le autostrade; le telecomunicazioni.
(50) “La specializzazione è l’antitesi della sintesi e dell’integrazione”, R.D. Phair, Why and How to ex¬pnd the Role of Systems Biology in Pharmaceutical Research and Development, in Igor Goryanin, Ad¬vances in Systems Biology, Springer, Jan 1, 2012.
(51) “Il concetto di accountability coinvolge due fa¬si distinte: answerability ed enforcement. L’answe¬rability si riferisce all’obbligo in capo al governo, al¬le sue agenize e pubblici ufficiali di fornire infor¬mazioni sulle decisioni assunte ed essere in gra¬do di giustificarle (…). L’enforcement indica che il pubblico o le istituzioni (…) possono sanzionare la parte offendente o porre rimedio a un comporta¬mento contrario alle regole”, http://siteresources. worldbank.org/PUBLICSECTORANDGOVERNAN¬CE/Resources/Accountability Governance.pdf. E qualche riga sopra: “accountability exists when there is a relationship where and individual or body, and performance of tasks or functions by that in¬dividual or body, are subject to another’s oversight, direction or request that they provide information or justification for their actions”.
(52) “Chi è responsabile, verso chi, di che cosa, come e per quali ragioni?”, J. Steets, Accountability in Public Policy Partnerships, Palgrave Macmillan, New York, 2010, 14.

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martedì 20 novembre 2012

Alessandra Moretti e le primarie del centro sinistra

Alessandra Moretti, vice sindaco di Vicenza e portavoce del team di Bersani, è impegnata a sostenere Pierluigi Bersani nelle primarie del centro sinistra e, quindi, si sposta da una località all’altra per incontrare i militanti e gli elettori del PD ed i cittadini interessati a questa nuova esperienza democratica. Alessandra in questo tour non risparmia energie e non si concede riposi tranne quelli necessari.
Le primarie del centrosinistra coinvolgono sempre di più le persone (volontari ed elettori) e rappresentano un bagno di democrazia. Quelle del centro destra sono confuse e dipendenti dagli obiettivi di Berlusconi. Vuole tracciare le diversità di questo strumento nel centro sinistra e nel centro destra?
Le primarie del centro sinistra sono il frutto di un confronto vero sui temi e i programmi per l'Italia tra candidati non solo del Pd, ma anche di Sel e Api (Vendola e Tabacci). La carta di intenti Italia Bene Comune mette al centro della nostra agenda politica questioni importanti quali: lavoro, equità, giustizia, uguaglianza, sapere, diritti, ambiente, responsabilità. Principi che si ispirano alla Carta Costituzionale e che purtroppo in questi anni sono stati trascurati a discapito di uno Stato Sociale che via via é stato indebolito dai governi di centro destra.
Vuole descrivere un elemento positivo dei candidati alle primarie del centro sinistra e quali valori o patrimonio rappresentano insieme?
Rappresentano i valori di un centro sinistra che ha ritrovato unità, spirito di collaborazione e rispetto reciproco.
Perché ha scelto Bersani, il quale non ha completato le tre legislature ma si trova al limite della sua carriera politica?
Pierluigi Bersani sa ben coniugare la capacità di governo con l'attitudine al cambiamento e all'innovazione. Lo dimostra la sua storia di Ministro e prima quella di Presidente della Regione Emilia Romagna. Credo che la sfida che abbiamo di fronte é molto impegnativa e difficile e richiede le migliori competenze ed esperienze di cui questo paese dispone. Bersani é la persona giusta che avrà il coraggio e l'autorevolezza di guidare l'Italia fuori dalla crisi.
Questa ondata di entusiasmo nei confronti delle primarie del centro sinistra è vera e per quali motivi si è imposta?
Il paese aveva bisogno di ritrovare fiducia nella politica e queste primarie sono una grande occasione per riavvicinare i cittadini alla buona politica, quella che sa stare tra le persone, capire i problemi, ascoltare le istanze dei territori e trovare le soluzioni più adeguate.
Un vero leader é quello che sa rimettersi in gioco e in discussione non tanto per una propria ambizione personale, quanto per il bene del partito e del paese.
Lei in questa esperienza unica delle primarie cosa ha colto di importante in relazione al cambiamento sostenuto dagli elettori?
Girando l'Italia ho trovato entusiasmo e voglia di ritornare a fare politica. i nostri militanti sono la parte migliore del Pd e del paese. Sono persone che si mettono a disposizione del partito e della propria comunità con grande senso civico e spirito di appartenenza. Il cambiamento di cui ha bisogno l'Italia richiederà lo sforzo di tutti: niente uomini soli al comando ma una squadra di persone perbene e capaci che si mettono al servizio del Paese.

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lunedì 19 novembre 2012

Confusione al Centro

Articolo di Luca Ricolfi pubblicato su La Stampa il 19 novembre 2012
Sì, pare proprio che il centro stia tornando ad essere di moda, come lo era stato per quasi mezzo secolo, ai tempi in cui governava la Dc. Allora votare centro significava soprattutto una cosa: tenere i fascisti e i comunisti lontani dalle stanze del potere. Ma bastarono 5 anni per disfarne quasi 50. Fra il 1989 e il 1994 tutto cambiò, nel mondo e in Italia. Nel 1989 cadde il muro di Berlino, e la paura del comunismo si sciolse come neve al sole. Il resto, in Italia, lo fecero Mario Segni con i referendum sulla legge elettorale e Di Pietro con l’inchiesta Mani pulite. In un pugno di anni, fra il 1991 e il 1994, democristiani e socialisti furono affondati per sempre. Al loro posto si fecero avanti i reietti di ieri, fascisti e comunisti, che per rendersi accettabili provvidero lestamente a riverniciare le loro insegne, cambiando nome, modernizzando programmi, stabilendo alleanze con il nuovo o presunto nuovo che stava avanzando, dalla Lega alla Rete, da Forza Italia al Patto Segni.
È così che è nato il bipolarismo all’italiana, e il centro è stato emarginato dalla scena politica.
Oggi che quel bipolarismo appare fallito, si ritorna a parlare di centro. Della necessità di ricostituire qualcosa che non sia né di destra né di sinistra. Lo fanno un po’ tutti. I centristi di sempre, alla Casini. I centristi dell’ultima ora, tipo Fini e Rutelli. I sostenitori di un Monti-bis, che ultimamente spuntano come funghi. I riformisti duri e puri, delusi dal riformismo zoppo di destra e sinistra.
Ma che cosa è il centro oggi?
E’ questa, a mio parere, la domanda che non ha ancora ricevuto una risposta completa e chiara. Non dico che non abbia ricevuto nessuna risposta, perché alcuni valori dei centristi sono nitidamente riconoscibili: competenza, serietà, rispetto per le istituzioni, coesione sociale, volontà di ricostruire. Non è poco, ma solo perché ne abbiamo davvero tanto bisogno dopo esserne stati così tanto privati negli ultimi vent’anni, da tutti i governi della seconda Repubblica. Ma un minimo comun denominatore non fa ancora un programma politico. E anzi, il fatto che sia questo il nucleo, il nocciolo condiviso che unisce i centristi, è un segno di debolezza politica, una conferma – e non un superamento – dello stato di eccezione dell’Italia: solo in un paese in cui manca una vera offerta politica si può pensare che quel minimo comune denominatore di nobili principi sia già un programma, o che basti parlare di «agenda Monti» e di Monti-bis per persuadere gli elettori di possederne uno.
Perché quello del centro riuscisse a diventare un vero programma politico occorrerebbe che i suoi leader completassero la risposta. Va bene il minimo comune denominatore, ma il cuore di un programma politico sono le scelte difficili, le scelte tragiche, come già trent’anni fa ebbero a chiamarle Guido Calabresi e Philip Bobbitt in un celebre libro – Tragic choices – dedicato a «i conflitti che la società deve affrontare nella allocazione di risorse tragicamente scarse». In un’era di risorse decrescenti il punto non è chi vogliamo sostenere, ma è a spese di chi vogliamo farlo. Qui quasi tutti i protagonisti della competizione al centro sono reticenti, evasivi, o dimentichi della propria storia.
Il centro che già c’è, quello dell’Udc di Casini, è stato – almeno in passato – una colonna portante del «partito della spesa pubblica», ha le sue radici elettorali soprattutto in Sicilia e nel resto del Mezzogiorno, possiede una lunga storia di clientele e guai giudiziari. Con il suo leader Pier Ferdinando Casini ha difeso fino all’ultimo un politico come Totò Cuffaro, ora in carcere con una condanna definitiva per favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra. Prima di ascoltare ogni sorta di lodevoli intenzioni per il futuro, ci piacerebbe ascoltare dall’Udc due parole chiare sul proprio passato, e magari sentir pronunciare – oltre al consueto omaggio a Monti – quelle scuse agli elettori che Casini aveva preannunciato in caso di condanna di Cuffaro (Annozero, 31 marzo 2008).
Il centro che ancora non c’è, quello che sta prendendo forma in questi mesi sotto le insegne più varie (cattolici di Todi, Italia Futura, Fermare il declino) è una creatura strana. Per alcuni dei suoi protagonisti la stella polare è il sostegno alle famiglie, per altri sono gli sgravi ai produttori. Due obiettivi che è facile conciliare in un bel discorso, ma che si mettono immediatamente a stridere appena si tratta di decidere la destinazione di qualche miliardo di euro. Ridurre l’Irpef o ridurre l’Irap? Alleggerire le tasse alle famiglie in cui la madre non lavora (il cosiddetto quoziente familiare), o aiutare quella medesima madre a trovar lavoro, riducendo il cuneo fiscale sul lavoro femminile? Usare i soldi di tutti i contribuenti per salvare le amministrazioni in default (ormai diffuse anche al centro-nord), o costringerle a salvarsi da sé, vendendo patrimonio pubblico e tassando i propri cittadini?
Sono solo esempi, ma si potrebbero moltiplicare. Su tutte queste cose il centro tace. E quando prova a rispondere non risponde alla domanda giusta, perché è affetto da «ma-anchismo», il tic per cui prendevamo in giro Veltroni qualche anno fa, ogni volta che proclamava di volere una cosa «ma anche» un’altra, diversa e spesso contraria. Il problema è che, arrivati al punto in cui siamo, le risorse sono così scarse, e lo resteranno così a lungo, che non è più assolutamente possibile sottrarsi alle domande fondamentali. Non possono sottrarsi il Pd di Bersani e il Pdl di Alfano, ma ancor meno possono farlo i leader del centro. E questo per una ragione molto semplice: quello che destra e sinistra potrebbero fare è prevedibile sulla base del passato, e spesso è stato la medesima cosa, ovvero più deficit e più spesa pubblica politicamente redditizia. Mentre quel che potrebbero fare le forze politiche di centro non solo è meno facilmente prevedibile, ma è diversissimo a seconda di chi stiamo parlando. Se per centro intendiamo quelle formazioni che rifiutano sia il (presunto) populismo anti-politico di Grillo, sia le politiche della destra e della sinistra, non possiamo non notare che – dentro quello che oggi è il calderone del centro – convivono visioni opposte, molto più polarizzate di quanto lo siano quelle della destra e della sinistra. A un estremo il moderatismo cattolico, tradizionalmente attratto dalle politiche di sostegno del reddito delle famiglie, all’altro estremo il radicalismo riformista e liberale, che ritiene di poter far dimagrire lo Stato di molti chili (punti di Pil) e in pochi anni. Provate, per credere, a organizzare un dibattito pubblico serio, con domande scomode, fra Pier Ferdinando Casini e un qualsiasi rappresentante dell’Istituto Bruno Leoni, la cittadella dei liberali oscillante fra Italia Futura (Montezemolo) e Fermare il declino (Oscar Giannino). E vedrete che è più facile mettere d’accordo un Pier Luigi Bersani e un Angelino Alfano che un vero cattolico e un vero liberale.

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venerdì 16 novembre 2012

Pietro Ichino: ripensare la sinistra



Per approfondire l’argomento si consiglia di leggere:
- P. Reichlin – A. Rustichini, Pensare la sinistra, Laterza, 2012
“Troppe volte si sente dire, a sinistra, che bisogna difendere i diritti acquisiti e le istituzioni che abbiamo ereditato dal passato. Vorremmo che si dicesse invece come dobbiamo cambiarle, anche a costo di scontentare qualcuno”;
- L’intervento scritto di Pietro Ichino 

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giovedì 15 novembre 2012

Franco Bonfante, perché ho scelto Bersani

Articolo di Franco Bonfante pubblicato su http://www.francobonfante.it/ 
I leaders veri si giudicano dai fatti, dalle loro idee, dalla coerenza nel portarle avanti, dal coraggio di fare delle scelte che all’inizio possono apparire velleitarie, ma che con il tempo si dimostrano lungimiranti.
Renzi e Bersani sono due leader veri: il primo ha avuto l’intuizione di dire certe cose sul rinnovamento (con lo sgradevole, ma efficace termine di “rottamazione”) quando poteva essere per lui molto rischioso politicamente: ha avuto coraggio, ha insistito, ha recuperato una linea che si potrebbe definire, con qualche semplificazione, liberaldemocratica: non è la giovane età, la pronta battuta toscana o la buona, anche se un po’ retorica oratoria, a farne un leader: è la sua capacità di entrare in sintonia con un sentimento comune in una larga fascia di opinione pubblica che chiedeva il rinnovamento e questo ben prima del crollo del governo Berlusconi, dei casi Lazio e Lombardia, dello spread sopra i 500 punti.
Si può dire che oggi Renzi ha già vinto la sua battaglia: in soli due anni ha spazzato via (in senso politico) i capi dell’ala “liberal” del PD, divenendone lui il capo incontrastato, si è creato una fortissima rete nazionale, ha costretto all’uscita di scena o comunque alla ritirata personalità di rilievo, ha posto il rinnovamento come tema centrale della politica nazionale, ha ravvivato le primarie, rendendole vere e credibili, ha portato il PD all’attenzione anche di elettori che ne erano pregiudizialmente lontani o disinteressati.
I punti deboli di Renzi sono un’eccessiva inclinazione a ricette neoliberiste, che invece sono la prima causa della crisi internazionale che stiamo attraversando ed una mai chiarita fino in fondo politica delle alleanze, pur necessarie se si vuole governare l’Italia.
Bersani: da tutti considerato bravo, onesto, corretto, viene a volte erroneamente sottovalutato dai suoi critici.. Anche qui occorre guardare ai fatti: ha preso per mano il PD, nel suo momento più difficile, nel 2009, quando la popolarità di Berlusconi e del suo governo erano ai massimi storici, e lo ha tenuto unito (cosa non del tutto scontata, poichè la gran parte dei commentatori davano finito il nostro partito), incominciando inoltre a tessere i rapporti sia a sinistra, con SEL e IDV, sia con il mondo moderato rappresentato sopratutto dall’UDC. Ha seguito questa linea con determinazione e coerenza ed oggi vediamo che l’accordo fra progressisti e moderati è l’unica strada seriamente praticabile per governare l’Italia nei prossimi 5 anni. Ha avuto il coraggio di appoggiare il governo Monti, quando le elezioni anticipate avrebbero decretato una vittoria quasi certa: ma avremmo governato sulle macerie, non avremmo fatto il bene dell’Italia e nemmeno del PD, poichè oggi ci troveremmo nelle condizioni dei socialisti greci (travolti dalla crisi creata per colpa principale della Destra) o del centrosinistra argentino (andato al potere dopo i disastri economici dei peronisti, ma anch’esso travolto poi dall’impossibilità di risolvere la crisi in tempi brevi, tanto che dopo un anno i peronisti sono tornati al potere).
Ha avuto il coraggio di abbandonare Di Pietro al suo destino di inaffidabilità, stringendo invece l’accordo con SEL di Vendola ( e all’epoca non si sapeva che Vendola sarebbe stato assolto e Di Pietro sarebbe affogato nell’inchiesta di Report). Ha avuto il coraggio di appoggiare Monti, certo, ma anche di contrastarne alcune scelte con forza, facendo modificare le norme sul lavoro, quelle sugli esodati, sulla scuola, sulla tassazione.
Ha avuto il coraggio di fare le primarie con più candidati del PD, modificando lo Statuto affinché anche Renzi potesse parteciparvi, ancora una volta dimostrando nei fatti quello che ama ripetere spesso: prima arriva l’Italia, poi il partito, poi le ambizioni personali. Lì c’è tutto: il senso della misura, la sua storia, l’integrità morale e politica.
Ora si guardi all’essenziale: Bersani deve avere il maggior numero di voti possibile per presentarsi con credibilità a candidato primo ministro e far vincere il PD.
Il mio commento:
Condivido pienamente le riflessioni fatte da Franco. Ho qualche perplessità nel definire neoliberiste politiche che sono state adottate con successo nei paesi del Nord Europa (per esempio la riforma del lavoro). Spesso la sinistra ha adottato nel passato strumenti che non risolvono i problemi e non creano uguaglianza. E’ vero anche che le politiche neoliberiste quelle vere associate ad una gestione disinvolta della finanza ci hanno portato alla crisi internazionale. Le cause della crisi finanziaria non si sono verificate in Italia anche se hanno inciso in modo enorme in quanto il nostro paese, senza riforme ed adeguamento ai cambiamenti planetari, non ha saputo reagire. Credo che Bersani avvierà un profondo rinnovamento nella compagine governativa. Sostengo Bersani e condivido quanto da lui dichiarato che le prime cose da affrontare sono il lavoro e la moralità.

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martedì 13 novembre 2012

Mafie: adeguare strumenti di lotta

Articolo di Raffele Cantone pubblicato sul Corriere della Sera il 12 novembre 2012
Le mafie sono decisamente cambiate negli ultimi anni. L'ala militare appare oggi meno forte, anche se vi sono segnali di recrudescenza da non sottovalutare (vedi nuova faida di Scampia); il livello, invece, di inquinamento dell'economia e delle istituzioni è elevatissimo e non riguarda più piccoli centri della Locride, delle Madonie o dei Mazzoni, ma arriva ai principali mercati, enti e comuni non solo più del Mezzogiorno d'Italia.
Le indagini della magistratura e la coraggiosa attività di un ministro dell'Interno poco sensibile alle «logiche» politiche lo dimostrano in modo inconfutabile. Se per la repressione della mafia militare la normativa appare abbastanza all'altezza delle necessità, non allo stesso modo si può dire per quella che deve bloccare le scorribande dei clan nell'economia e nella politica. E' qui che servono certamente nuovi strumenti che sarebbe auspicabile trovassero spazio nelle «agende» di chi governerà in futuro. In primo luogo occorre impedire che le mafie condizionino la vita politica a tutti i livelli, ma soprattutto a quello locale, dove si giocano le partite che a loro più interessano. Sarebbe utile, in tal senso, che tutti i movimenti politici si dotassero di codici di autoregolamentazione a maglie molto strette, che prevedano l'incandidabilità per ogni tipo di elezione non solo dei condannati in primo grado per alcuni specifici reati ma anche dei semplici rinviati a giudizio per reati connessi alle mafie e di quegli amministratori citati nei provvedimenti di scioglimento dei consigli comunali come contigui ai clan. Si dirà che a poco varranno questi codici, non cogenti; e invece la loro violazione potrebbe almeno rappresentare un argomento «politicamente» spendibile.
Sul piano normativo, a maggior ragione nel caso di ripristino delle preferenze, bisognerebbe rendere effettivo il reato di voto di scambio politico mafioso (416 ter) prevedendo la punibilità non solo quando ci sia l'erogazione di denaro, ma di qualsivoglia altra utilità. In questa stessa ottica andrebbe modificato il delitto di voto di scambio «ordinario», previsto dalle leggi elettorali, che è accompagnato da una norma in materia di prescrizione che lo rende inefficace: bastano appena due anni, infatti, e il reato si estingue.
È ineludibile, poi, completare la troppo frettolosa riforma della legge sullo scioglimento dei consigli comunali, inserita nel 2009 in uno dei tanti pacchetti sicurezza. In particolare, occorrerebbe rafforzare ed estendere le cause di ineleggibilità per gli amministratori collusi, modificare i criteri di scelta dei commissari (da individuarsi fra soggetti esperti di gestione), consentire loro di operare anche in deroga alle regole del patto di stabilità per rilanciare l'attività di governo degli enti sciolti, includere nel procedimento le società private o partecipate che svolgono servizi in house. Infine andrebbe introdotto lo scioglimento anche per i consigli regionali inquinati dalle mafie: le indagini (non solo sulla Lombardia) dimostrano quanto le cosche siano interessate a quelli che sono i più importanti centri di spesa oggi esistenti. Non è un ostacolo su questa strada la Costituzione, che anzi prevede già all'articolo 126 un'ipotesi di scioglimento (per motivi di sicurezza nazionale o per atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge), da rendere cogente anche per questa specifica tipologia.
Con riferimento alle infiltrazioni nel mondo dell'economia, è urgente la regolamentazione dell'auto-riciclaggio. Oggi si assiste alla situazione paradossale per cui un mafioso che ripulisca, anche reinvestendolo, il suo stesso denaro illecito non può essere per questo punito. Anche in questa prospettiva sarebbe utile rivedere l'attuale inutile delitto di falso in bilancio, rendendolo effettivo e idoneo anche a verificare preventive «strane» iniezioni di denaro nelle società. E sarebbe necessario emendare la parte del codice antimafia - strumento varato con un gran battage ma nei fatti apparso molto meno utile - per rafforzare la disciplina delle certificazioni antimafia (che ancora oggi sono un mero controllo formale) e prevedere la stazione unica appaltante, da utilizzarsi obbligatoriamente da parte degli enti locali infiltrati, con la presenza di esperti delle forze dell'ordine (finanza e Dia) che monitorino gli appalti anche nella fase esecutiva.
Per finire, il capitolo sui beni confiscati. Non basta più l'idea di una destinazione meramente simbolica a fini sociali, devono trasformarsi in occasioni vere di lavoro. Meno ludoteche e centri per gli anziani, quindi, e più cooperative di giovani di produzione e lavoro. Non deve essere un tabù neanche la vendita (con le necessarie garanzie per evitare riacquisti indebiti) di beni non utili allo scopo; per far ciò bisogna rivitalizzare l'Agenzia, che funziona poco e male, dando a essa disponibilità economiche e materiali e creando altre sedi sui territori; e bisogna garantire provvidenze temporanee a favore di imprese avviate su beni confiscati alla mafia o per imprese tolte alle mafie; il fallimento di queste è una sconfitta pericolosissima anche sul piano dell'immagine e della credibilità delle istituzioni, perché dà l'impressione che dove la mafia porta lavoro, lo Stato lo toglie.
Al di là delle modeste proposte fatte, l'augurio vero è che il contrasto alle mafie possa essere una priorità vera; è inutile girarci intorno, se non ci liberiamo di questa zavorra sarà davvero difficile sperare di svoltare e metterci al pari con gli altri stati occidentali.

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Primarie: confronto tra i candidati

Il confronto tra i candidati alle primarie del centrosinistra è stato interessante e personalmente mi ha soddisfatto. Finalmente un confronto serio e responsabile senza polemiche sterile che esprime la ricchezza del centrosinistra. Ritengo che vi siano buone prospettive per migliorare il paese se vince il centrosinistra guidato da Bersani.
Bersani ha dimostrato con i suoi interventi di poter rappresentare unitariamente l’alleanza di centrosinistra nell’interesse del paese. Vi sono alcune cose che dividono ma che sicuramente non rappresenteranno un ostacolo insormontabile per la maturità delle forse politiche del centrosinistra. Le competenze e la visione democratica di Bersani aiuta il centrosinistra a governare con rigore morale e per il lavoro e la crescita.
"Il confronto tra i candidati del centrosinistra è stato franco, serio e rispettoso”. Lo afferma la portavoce del Comitato Bersani Alessandra Moretti, commentando a caldo il dibattito tra i cinque candidati alle primarie di centrosinistra andato in onda su Sky.
"Sono stati affrontati, afferma Alessandra Moretti, tutti i temi più stringenti dell'agenda Italia e Pier Luigi Bersani ha saputo interpretare al meglio quella leadership affidabile e competente di cui il Paese ha bisogno", conclude Moretti.
"Credo, continua Moretti, che chiudersi a Casini e ai moderati sia chiudersi alla governabilità del paese". La prossima legislatura sarà di ricostruzione costituente, con le politiche del 2013 noi arriveremo ad un buon risultato, ma non a quel livello previsto per una governabilità piena. Per questo rivolgiamo lo sguardo verso le forze responsabili e moderate del Paese, che vorranno siglare insieme a noi un patto di legislatura con il quale fare determinate riforme strutturali”.
"I lusinghieri risultati di ascolto del confronto televisivo, dichiara Alessandra Moretti, dimostrano che c’è voglia di buona politica. E’ stata un’occasione preziosa per dire all'Italia che c’è un centrosinistra che ha idee concrete per il futuro del paese". Lo dichiara Alessandra Moretti, portavoce nazionale del Comitato Bersani 2013”. Ma è stata anche premiata la scelta coraggiosa di Bersani, conclude Moretti, per primarie aperte e per un confronto televisivo che contribuirà a dare una spinta decisiva alla partecipazione dell’appuntamento del 25 novembre".
Bersani, dichiara Roberto Speranza coordinatore del team di Bersani, è il candidato che unisce il centrosinistra, parla al paese, ne conosce i problemi e ha la forza di una proposta che può risollevarlo. Dopo il confronto di questa sera il segretario del Pd esce rafforzato dalla scelta delle primarie. Ora pancia a terra per farne una grande festa della democrazia.

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