giovedì 22 novembre 2012

Servizi pubblici locali: liberalizzazioni e nuove competenze

Articolo di Antonio Alizzi e Federico Testa pubblicato su Management delle utilities n. 3 2012
Il settore dei servizi pubblici locali in Italia pare infine avviato a un processo di liberalizzazione, superando le difficoltà che in questi anni sono state frapposte ad una reale apertura alla concorrenza ed al mercato. La recente disciplina, contenuta da ultimo nel c.d. “decreto liberalizzazioni”, porta infatti a compimento un percorso lungo e travagliato, che ora riserva al “pubblico decisore” un ruo¬lo nuovo e diverso, volto sia alla regolazione che all’organizzazio¬ne delle fasi iniziali del processo, quali quella della circoscrizione dell’attività da mettere a gara, l’individuazione dei criteri di aggiu¬dicazione, la definizione delle modalità di “modificazione contrat¬tuale” di patti che hanno durata pluriennale e che pertanto sono esposti a mutamenti normativi, evoluzioni tecnologiche, cambia¬menti culturali e quant’altro può risentire dello scorrere del tem¬po. Tutto questo richiede ad una Pubblica Amministrazione, trop¬po spesso abituata a confinare il proprio ruolo a meri controlli di legittimità e conformità normativa, la capacità di individuare e de¬finire i bisogni della comunità, trasferirli in specifiche di servizio e norme contrattuali, con una logica di adattamento continuo al mu¬tamento. Una sfida difficile, ma che può rappresentare la chiave di volta per la riqualificazione e la rimotivazione del settore pubblico.
1. Introduzione. Il servizio pubblico locale, un concetto relativo
La nozione di bisogno pubblico necessariamente comporta il riferimento al livello di qualità della vita considerato adeguato da una determinata colletti¬vità in un ben definito momento storico. La categoria del servizio pubbli¬co si presenta pertanto estremamente mutevole, nel senso che “il tipo ed il contenuto delle prestazioni richieste ed offerte sono alquanto variabili, dipendendo assai dalla natura dei vinco¬li o/e delle regole o/e delle consuetudini, in base ai quali si svolgono le re¬lazioni fra individui”1 all’interno di un contesto civile2.
Da questo punto di vista, è eviden¬te come in contesti economicamente e socialmente sviluppati quali quelli che caratterizzano la “società del be¬nessere”, dove possono ritenersi so¬stanzialmente soddisfatti i bisogni pri¬mari “da consumo” di beni materiali, acquisiscano un ruolo fondamentale ai fini della determinazione della “quali¬tà della vita”3 servizi quali l’assistenza sanitaria e previdenziale, l’istruzione, i trasporti, la sicurezza, l’approvvigiona¬mento energetico, lo smaltimento dei rifiuti, la conservazione dell’ambien¬te fisico-naturale. Elencazione, que¬sta, non certo da assumere in chiave prescrittiva, ma al contrario in termi¬ni evolutivi, nel senso che il livello di crescita economica4, culturale e socia¬le di una collettività determina conse¬guentemente il maturare di consape¬volezze e bisogni5 che, in quanto av¬vertiti diffusamente ed in misura pro¬fonda, acquisiscono la natura di biso¬gni pubblici.
Questo tipo di approccio, che ha il pregio di essere dinamico, valido pro-tempore6, e quindi di richiedere un’o¬pera di costante “monitoraggio” del contesto ambientale e sociale, è quel¬lo che meglio si presta ai fini di una lettura economico-aziendale del problema.
L’ulteriore qualificazione del servizio pubblico quale locale indica il lega¬me stretto intercorrente con il territo¬rio su cui insiste la collettività di riferimento7.
Il contenuto della “località” si comprende nella contrapposizione fra servizio pubblico locale e servizio pub¬blico nazionale. Il carattere locale del servizio deriva sostanzialmente da due fattori: dalla convenienza economica all’organizzazione su scala minore op¬pure dal carattere particolare, legato alle caratteristiche della comunità lo¬cale, del bisogno. Si pensi alla raccol¬ta dei rifiuti solidi urbani, all’illumina¬zione pubblica, alla gestione degli im¬pianti semaforici. La distinzione, pe¬raltro, non sempre è agevole, poiché il servizio può presentare contempora¬neamente caratteri che lo qualificano sia come nazionale, sia come locale, e quindi il connotato della “località” fi¬nisce anch’esso per dipendere, alme¬no in parte, dalle vicende storiche, po¬litiche e sociali che hanno contraddi¬stinto l’evoluzione di una determina¬ta comunità.
2. I servizi pubblici locali tra “riserva al pubblico” e mercato
L’aver adottato un concetto di servizio pubblico quale quello sopra delineato, che prescinde dalla natura giuridica8 – pubblica o privata – del soggetto ero¬gatore, non esime peraltro il ricercato¬re dal riflettere sulle motivazioni che hanno portato, storicamente, ad affi¬dare a soggetti pubblici le attività pro¬duttive e di erogazione necessarie al soddisfacimento di “bisogni pubblici”.
Se si guarda alla produzione pubbli¬ca di beni e servizi, il fenomeno ha assunto una notevole rilevanza quanti¬tativa ed una consistente varietà qualitativa a partire dalla seconda me¬tà dell’Ottocento. Di certo all’origine “dell’intervento governativo fu il dirit¬to di passaggio su terra e spazi privati scarsi e frammentati. I costi di transa¬zione per accaparrarsi tali spazi e ter¬ra per le ferrovie, i sistemi di distribu¬zione dell’acqua (…) sembrano essere stati ovunque tali da indurre le com¬pagnie private a richiedere quella che era considerata una grave infrazione dei diritti di proprietà privata: l’espro¬priazione obbligatoria da parte del¬lo Stato”9. Ciò richiedeva l’intervento del pubblico, ma non ancora la pro¬prietà statale o municipale dei servizi pubblici: in tal senso, diventano deter¬minanti motivazioni quali la necessi¬tà di connettere, in tempi brevi, regio¬ni lontane con legami culturali e fisici, promuovendo in tal modo l’integrazio¬ne politica e sociale, nonché la preoc¬cupazione di risolvere il problema del¬la logistica militare. Ma l’espansione del ruolo attivo dello Stato va correlata soprattutto al consolidamento ed alla diffusione degli effetti della rivoluzio¬ne industriale, ovvero all’affermazione di nuovi bisogni dell’economia e delle popolazioni e all’avvento di nuove ide¬ologie. In questo senso il ruolo supple¬tivo e correttivo dello Stato nei con¬fronti del mercato era quello di elimi¬nare, o ridurre, il rischio che una de¬terminata attività, lasciata all’inizia¬tiva privata, non venisse svolta o ve¬nisse trascurata, a discapito della col¬lettività, giacché non soddisfacente¬mente remunerativa; oppure divenisse oggetto di monopolio, per cui i prez¬zi dei beni prodotti sarebbero diven¬tati più alti di quelli economicamente giustificabili”10. In questo senso è illu¬minante l’espressione del Montemarti¬ni, il maggiore teorico della prima mu¬nicipalizzazione dei servizi, che affer¬ma: “nasce quasi come pubblica fun¬zione del Municipio questa di combat¬tere il monopolio, d’aiutare il consu¬matore alle prese collo sfruttamento di un privato imprenditore … talché ogni cittadino sarà tutelato contro i perico¬li del monopolio, come ogni cittadino ha l’eguale protezione, da parte dello Stato, contro gli assassini od i ladri”11. Dinanzi all’urgenza dei nuovi bisogni la teoria economica elaborava una vi¬sione dello Stato quale forma di co¬operazione sociale e riconosceva che “vi sono bisogni collettivi al cui sod¬disfacimento non possono mai adem¬piere gli individui da se stessi” per cui “l’azione dello Stato e dei minori enti di diritto pubblico subentra… all’azio¬ne individuale”12: in questa direzione, forte fu la pressione proveniente dalle organizzazioni degli strati economica¬mente deboli della società, che riven¬dicavano una maggiore produzione di beni e servizi pubblici come strumento di redistribuzione e di miglioramento delle condizioni di vita13.
A queste considerazioni più generali sul ruolo dell’intervento pubblico in economia, altre più specifiche se ne affiancano in relazione alle caratteri¬stiche di “produzione ed esercizio” di buona parte dei servizi pubblici14, ed in particolare:
– alla necessità di dimensionamento della capacità produttiva alla pun¬ta della domanda15, con il conse¬guente aggravio dei costi di gestio¬ne16, in forza della “impraticabilità sociale” dell’indisponibilità di de¬terminati servizi;
– ai vincoli di carattere naturale rela¬tivi all’utilizzo di determinate risorse ambientali scarse;
– alle difficoltà tecniche afferenti al¬la gestione di pluralità di reti, ad esempio nel sottosuolo cittadino.
L’intervento del “pubblico” nell’erogazione di servizi pubblici è parso così trovare giustificazione – al di là del¬le considerazioni di ordine “politico-sociale”, per cui si può legittimamente ritenere che lo strumento più idoneo all’erogazione di servizi pubblici sia quello dell’impresa a soggetto giu¬ridico pubblico, che “per sua natura” si prefigge uno scopo diverso dalla pura e semplice remunerazione del capitale investito17 – nell’inadeguatezza dei meccanismi di mercato nell’allocazione delle risorse produttive18, che si riteneva caratterizzassero la produzione e/o l’erogazione dei servizi pubbli¬ci e rappresentassero il denominatore comune di beni e servizi che, da un punto di vista merceologico, potevano considerarsi del tutto diversi. Di qui la scelta che ha contraddistinto la storia economica e sociale recente, in mol¬ti Paesi, tra cui l’Italia, di dare vita ad una “riserva per il pubblico” ad opera¬re nel campo dei servizi che presenti¬no le caratteristiche sopra richiamate, così da poter godere dei vantaggi tipi¬ci delle situazioni di monopolio natu¬rale19 (che caratterizzano le distribu¬zioni attraverso reti), nelle quali si as¬siste a fenomeni di market failure at¬tribuibili20 principalmente:
– all’esistenza di economie di scala, per cui un monopolista riesce a ser¬vire tutto il mercato a costi minori di quanto potrebbero fare due o più imprese21;
– al manifestarsi di economie di inte¬grazione verticale, per cui la grande impresa presente in tutte le fasi del processo gode di vantaggi in termi¬ni di costi22;
– all’emergere di problemi di ordine tecnico inerenti al coordinamento delle reti23;
– alla presenza di costi di transizio¬ne che invece verrebbero a generarsi in situazioni di concorrenza nel passaggio da un operatore all’altro24.
L’assetto di mercato determinatosi sul¬la base delle motivazioni sopra illu¬strate, dopo aver improntato al model¬lo del servizio pubblico gestito da sog¬getti aventi natura giuridica pubblica ed operanti in condizioni di monopolio il mondo dei pubblici servizi per buo¬na parte del secolo scorso, negli anni più recenti è stato messo pesantemen¬te in discussione in forza di significa¬tivi mutamenti prodottisi nel contesto ambientale.
La tendenza a privilegiare “un orientamento alla produzione piuttosto che al mercato” spiega l’incapacità delle imprese municipalizzate di percepire e quindi di rispondere prontamente a tutte quelle sollecitazioni che, soprattutto a partire dai primi anni Ottanta, hanno complicato e destabilizzato il contesto ambientale25; fra queste si ricordano prioritariamente26 la progressiva emancipazione dell’utente, che ha generato pressanti richieste di qualità, i cambiamenti intervenuti in forza del progresso tecnologico che ha inve¬stito anche alcuni dei processi di pro¬duzione dei pubblici servizi, la spinta verso l’apertura dei mercati derivante dalle iniziative comunitarie, associata al mutamento delle logiche che informavano la finanza pubblica e, di con¬seguenza, la politica tariffaria e di finanziamento delle imprese.
La difficoltà e la rigidità27 dimostra¬te dalle aziende pubbliche nel “met¬tersi al passo” con le mutate esigen¬ze dei consumatori28 hanno poi finito per essere enfatizzate dal “conti¬nuo confronto con altre aree dell’attività economica, con altri settori di ser¬vizi, specie privati, nei quali si è avu¬to, si ha, o comunque si ritiene vi sia, un migliore e più rapido adattamen¬to dell’offerta alle caratteristiche del¬la domanda”29.
Se a ciò si aggiunge il fatto che la ne¬cessità di soddisfare esigenze di socia¬lità30, in qualche modo implicitamen¬te e “naturalmente” correlata alla na¬tura pubblica del soggetto erogatore dei servizi, ha sovente finito per “fare da velo” a fenomeni diffusi di ineffi¬cienza31, o comunque al perseguimen¬to, da parte di manager e amministra¬tori di nomina politica, di obiettivi im¬propri e “privati” piuttosto che del be¬nessere pubblico32, ci si rende conto di come fosse in qualche modo ine¬vitabile che si ponesse la questione dell’adeguatezza stessa del modello della gestione dei servizi pubblici attraverso soggetti imprenditoriali aven¬ti natura pubblica, di cui viene messa in discussione la legittimazione so¬ciale. Infine, il consolidamento e l’estensione dell’ordinamento comunita¬rio e del suo principio fondante della concorrenza come elemento costituti¬vo del mercato unico europeo33 hanno certamente contribuito ad avviare grandi processi di trasformazione nel settore dei servizi pubblici.
Si tratta di regole dirette a sostene¬re lo sviluppo dei meccanismi concor¬renziali e ad evitare che l’impatto at¬teso dalla loro introduzione sia ridot¬to a causa di un uso distorsivo del po¬tere di mercato detenuto dalle impre¬se in posizione dominante (c.d. in¬cumbent), e che hanno interessato progressivamente l’insieme dei set¬tori coinvolti nell’erogazione di servizi pubblici.
Di qui, pertanto, la spinta34 all’ade¬guamento delle legislazioni nazionali dei singoli Paesi europei, soprattutto di quelli meno naturalmente disposti a superare assetti strutturali ed equilibri di potere ormai consolidati, nella dire¬zione di intraprendere la via della libe¬ralizzazione dei mercati e della priva¬tizzazione delle imprese. Se a tutto ciò si aggiungono i crescenti vincoli di bi¬lancio a livello centrale (cui non è sta¬ta certo estranea la necessità di rag¬giungere i parametri di Maastricht) e di conseguenza a livello locale, si può capire da un lato come nella dismis¬sione dal patrimonio pubblico di quo¬te delle aziende di servizi pubblici sia stata intravista una possibilità per cre¬are flussi di cassa aggiuntivi, dall’altro come diventi sempre più impraticabi¬le la strada del finanziamento diretto della spesa in conto capitale relativa ai servizi, da parte delle amministra¬zioni locali, con ciò aprendo la via al¬la logica dell’autofinanziamento attra¬verso la politica tariffaria.
3. Dal “pubblico” erogatore al “pubblico regolatore”
Si va quindi, per il complesso di moti¬vazioni sin qui illustrate, verso model¬li organizzativi dell’intervento pubbli¬co nei servizi pubblici diversi da quel¬li del passato, che prevedono l’apertu¬ra del mercato a forme di concorren¬za (liberalizzazione) e la trasformazione proprietaria degli enti di gestione e delle infrastrutture (privatizzazione).
In ogni caso, i processi di trasformazione non significano certo che il pub¬blico decisore “batta in ritirata” dal settore delle public utilities. Signi¬fica piuttosto che i soggetti pubblici hanno a disposizione una “tastie¬ra” di strumenti ben più ampia e ricca del passato, e che “le forme più efficaci ed efficienti sono quelle che sfruttano le capacità auto-regolative del mercato, piuttosto che sostituirle con meccanismi di tipo amministrativo e burocratico”35. Di qui un ruolo del pubblico decisore che non neces¬sariamente si depotenzia, ma cambia connotati, assumendo i caratteri pre¬valenti dell’intervento regolatorio, per il quale dovranno essere trovati di vol¬ta in volta “punti di equilibrio” che ga¬rantiscano una corretta ed equa con¬temperazione tra interessi della col¬lettività e tutela della libertà economi¬ca e di impresa36, e quindi anche dei vantaggi competitivi acquisiti o degli eventuali “costi sociali” da sostene¬re. Si pensi, a puro titolo di esempio, all’esigenza – tipica del servizio pub¬blico – di garantire un servizio univer¬sale, tale che ciascun individuo pos¬sa goderne a prezzi e livelli di quali¬tà ragionevoli: ciò implica la necessità di definire regole e modalità di riparti¬zione dell’onere del servizio universa¬le tra i diversi operatori, al fine di evi¬tare che i nuovi entranti collochino la loro offerta solo sui segmenti più re¬munerativi, lasciando all’ex monopoli¬sta il compito di coprire i costi relati¬vi all’universalità del servizio. Per altro verso, per garantire l’effettivo svilup¬po della competizione occorre evitare abusi o comportamenti anticompetiti¬vi, sia in termini di prezzi che di quali¬tà del servizio, da parte dell’ex-mono¬polista, che in generale risulta proprie¬tario o gestore della rete ed allo stesso tempo concorrente: di qui, ad esem¬pio, l’importanza assunta dalle tarif¬fe di interconnessione alla rete ai fi¬ni della competitività dell’offerta del nuovo entrante.
L’attività di regolazione nel campo dei servizi di pubblica utilità mira quin¬di a perseguire un duplice obiettivo: da un lato evitare che le ragioni di ti¬po economico-gestionale che sovente consigliano una certa limitazione del¬la concorrenza nell’ambito dell’eroga¬zione di pubblici servizi, comportino l’insorgere di quelle situazioni di inef¬ficienza o abuso che si ritiene siano di norma evitati dall’operare di un re¬gime di concorrenza tra gli operatori, dall’altro porre precise garanzie a tu¬tela della collettività nei casi in cui i servizi in esame siano invece gestiti da privati37. Si affida pertanto alla re¬golazione un ruolo di “supplenza” ri¬spetto all’assenza dei meccanismi di mercato, con riferimento agli opera¬tori pubblici e privati che in forza di concessioni o contratti di programma operano nel campo dei pubblici servi¬zi. Gli ambiti di intervento della rego¬lazione38 sono quelli della sfera socia¬le, attinente alle problematiche lega¬te all’equità dei servizi, nonché quel¬li relativi agli aspetti più propriamen¬te economici.
In sostanza ci si propone da un lato di ristrutturare l’offerta al fine di ottene¬re servizi in quantità e qualità superio¬re e ad un costo più basso, e dall’al¬tro di mantenere comunque la centra¬lità della funzione sociale e di suppor¬to allo sviluppo economico attribuita ai servizi pubblici locali. Per giunge¬re a questo risultato, si punta all’in¬troduzione di forme di competizione nella erogazione di servizi pubblici: ove possibile, obiettivo del legislatore è la creazione di forme di concorren¬za nel mercato attraverso la presenza di una molteplicità di operatori. Qua¬lora le particolari condizioni tecniche ed economiche di fornitura del ser¬vizio non rendano possibile la simul¬tanea presenza di più operatori sul¬lo stesso mercato, vengono introdotte forme di concorrenza per il mercato, cioè per l’acquisizione della conces¬sione del servizio: si viene così a sta¬bilire un confronto fra le imprese, in termini di quantità, qualità e costi dei servizi, al momento dello svolgimento della gara per l’attribuzione del diritto ad operare ad esclusione di ogni altro su di un certo ambito territoriale.
L’insieme delle motivazioni sopra esposte ha fatto si che anche nel no¬stro Paese, così come in altri, venis¬sero adottati, negli anni recenti, im¬portanti provvedimenti di riforma del mercato di alcuni servizi (segnatamen¬te energia elettrica e gas), nonché si procedesse alla elaborazione di organi¬ci progetti di riforma dell’intero siste¬ma dei servizi pubblici locali, con l’in¬tenzione di introdurre nei mercati dei servizi pubblici dinamiche di competizione tra gli operatori.
In questo quadro, un cambiamento importante è richiesto alle pubbliche amministrazioni locali, che hanno visto mutare le proprie responsabilità nelle fasi di:
– assetto/regolazione del processo di assegnazione delle concessioni (la circoscrizione dell’attività da mettere a gara, l’individuazione dei criteri di aggiudicazione, la definizione delle modalità di “modificazione contrattuale” dei patti pluriennali, ecc.);
– avvio e gestione concreta della relazione;
– monitoraggio e controlli post-gara.
In questa seconda parte del lavoro, quindi, appare utile e conseguente proporre una riflessione concettuale più ampia – economica e manageriale in primo luogo, ma anche di teoria organizzativa, politica e sociale – che consenta di identificare più nitida¬mente quali siano le competenze ma¬nageriali che il processo di liberalizza¬zione, avviato dal legislatore e tutt’o¬ra in essere in tema di servizi pubbli¬ci locali, richiede di sviluppare qualo¬ra già presenti, o che incoraggia ad in¬cludere nella “cassetta degli attrezzi” del buon governo, nel caso non anco¬ra individuate.
Isolare tali competenze manageriali potrebbe generare un doppio beneficio pratico per il sistema della pubblica amministrazione:
• per un verso essa, dotandosene, ri¬uscirebbe a estendere il proprio raggio di azione di là dall’esercizio dei meri controlli di legittimità e conformità normativa in cui spesso si è auto-confinata e si continua ad auto-confinare anche adesso, resistendo al cambiamento, in una logica di inerzia e di mantenimento dello status quo;
• per altro verso e allo stesso tempo, essa sarebbe in grado di individuare e definire in maniera corretta e tempestiva gli effettivi bisogni del¬la comunità, di trasferirli in specifiche di servizio e norme contrattuali, in una logica di adattamento continuo al mutamento.
Più che un punto di partenza della rilessione, tuttavia, le key-competences rappresentano il punto di arrivo di un ragionamento che parte da una considerazione di ordine generale, in¬dagata estesamente e trasversalmente in letteratura, secondo cui c’è un legame evidente tra regole di qualità e performance efficienti ed effica¬ci, sia nei processi decisionali sia in quelli attuativi39. Le regole però – det¬to brutalmente – non sono di “qualità” solo quando vengono rispettate larga¬mente ma anche e soprattutto se sono fatte bene. Che cosa vuol dire che devono essere “fatte bene”? Significa che, per parlare di qualità di una rego¬la, occorre soffermarsi su tutte le sue fasi, da quella in cui la regola non c’è ancora, ma se ne comincia a sentire la necessità, a quando viene affermata. E questo vale non solo per una singo¬la regola ma anche per i sistemi com¬plessi di regole.
Le diverse fasi possono essere organiz¬zate in un processo che chiameremo “la sequenza della regola”.
4. La sequenza della regola
Si tratta di una sequenza generale riguardante l’adozione di una regola, applicabile in più contesti economici e socio-culturali.
1) Una regola, o un sistema di regole, agisce a posteriori in uno spazio sociale ben definito.
È fondamentale operare un’analisi ex ante dell’ambiente da norma¬re al fine di mappare i bisogni che non vi trovano una risposta. Occor¬re ordinare i bisogni per storicità e per l’impatto esercitato sul processo da organizzare. Quali sono i bisogni più vecchi e quali quelli recenti? Sono in essere trend socio-cul¬turali che pongono nuove attese? Sono state tentate delle soluzio¬ni in passato o si è dinanzi a questioni trascurate/ignorate? Quali tra questi bisogni non-soddisfatti compromettono più direttamente o con maggiore forza le sfera economica, sociale, culturale su cui si intende agire?
Con riferimento a questo primo as¬sunto, la legislazione italiana in ma¬teria di servizi pubblici locali – sul versante dei cittadini – è andata in¬tonando il “canto” del libero merca¬to lungo gli anni, ha sviluppato una certa attenzione verso la qualità del¬le dinamiche concorrenziali, ha ini¬ziato da un lato a familiarizzare con indici di soddisfazione e meccanismi/ strumenti di misurazione della quali¬tà, e dall’altro, sta tuttora elaborando una sensibilità più matura nei con¬fronti della valutazione dei servizi ri¬cevuti, servizi che – a tutti gli effet¬ti – sono destinati “a soddisfare biso¬gni pubblici”40.
2) La definizione di una regola consta di più momenti, sequenziali ma distinti.
Questo secondo assunto è, a sua vol¬ta, costituito da quattro sotto-fasi.
a. La definizione degli obiettivi da raggiungere o, seguendo l’assunto 1, l’esplicitazione del bi¬sogno (o dei bisogni) a cui si desidera fornire una risposta.
b. Una valutazione concreta delle alternative, tenendo in conside¬razione gli attori e le risorse a di¬sposizione nel momento dell’a¬nalisi.
c. Una scelta consapevole e condi¬visa – nel senso che ne percepi¬sca largamente il senso di utilità e opportunità – della best option per intervenire in quel dato contesto.
d. La traduzione formale, alias la formulazione vera e propria del¬la regola.
Un’osservazione immediata, che sarà recuperata più avanti, è legata alla di¬versa natura dei punti a. e c., rispetto ai punti b. e d. La prima coppia (a. e c.) richiede un approccio e competenze tipicamente manageriali da parte delle risorse umane coinvolte: la vera sfida, infatti, consiste nel sintetizzare istanze e contributi talora molto eterogenei. La coppia b. e d., al contrario, viene ge¬stita da profili umani altamente tecnici che, facendo ricorso a saperi speciali¬stici e codificati, sanno entrare nel me¬rito delle questioni e prospettano ipote¬si di intervento e conseguenze (b. e d.).
3) Una volta implementata, la regola non può essere sottratta a due ul¬teriori processi: il controllo e la ma¬nutenzione.
Sulla questione del controllo la te¬oria organizzativa e quella manage¬riale hanno fondato una buona par¬te della loro ragion d’essere. Non essendo oggetto del presente lavoro è sufficiente notare, in questa se¬de, come presupposto e contralta¬re del principio del controllo sia il principio del comando. L’esigenza del monitoraggio, in effetti, poggia sul riconoscimento di una qualche fonte di potere alle cui disposizioni ci si conforma.
Last but not least, occorre accen¬nare al problema della “manuten¬zione” della regola. Poiché la rego¬la non è che una “soluzione” a un bisogno, è fondamentale verificare di tanto in tanto se:
• il bisogno viene soddisfatto;
• il bisogno sussiste ancora o è mutato;
• le soluzioni possibili sono aumentate/diminuite;
• pur permanendo il bisogno, la regola adottata, per qualche ragio¬ne, non sortisce gli effetti sperati o, addirittura, compromette ulteriormente la situazione.
In questi casi, porsi il problema del¬la “manutenzione” implica due azio¬ni precise:
i) unitamente all’adozione della rego¬la implementare un sistema di regi¬strazione degli effetti che va gene¬rando, quindi organizzare i dati rac¬colti in database. Prevedere dei va¬lori-soglia di performance che, nel caso non vengano raggiunti, lancino un warning.
ii) In presenza di warning, applicare “la sequenza della regola” ripartendo dalla lettera b) dell’assunto nume¬ro 2 (“una valutazione concreta delle alternative, tenendo in considera¬zione gli attori e le risorse a disposizione nel momento dell’analisi”).
5. Dalle aree di tensione alle competenze-chiave manageriali
È stato osservato in più passaggi come l’apertura alla concorrenza abbia tra¬sformato in profondità l’universo dei servizi pubblici in Italia. La transizio¬ne al mercato nelle public utilities locali tuttavia, sebbene non fosse un’e¬sperienza pionieristica a livello europeo, non è stata sempre lineare o indo¬lore in Italia. Paralleli e differenti in¬terventi di riordino legislativo, una geo¬grafia del territorio articolata e variega¬ta, contingenti equilibri politici e isti¬tuzionali da preservare, un’evoluzione tecnologica impetuosa e imprevedibi¬le, un quadro macroeconomico e geo¬politico denso di incertezze e insidie, una molteplicità di attori (locali e cen¬trali), ecc. sono solo alcuni tra i fatto¬ri di complessità che, in modo diretto o indiretto, e con un coefficiente spe¬cifico di impatto, hanno costantemen¬te condizionato: la rapidità degli inter¬venti, l’implementazione di processi efficienti, l’affermazione della centra¬lità dei diritti della collettività sugli in¬teressi dei singoli e cosi via.
Provando ad aggregare secondo una logica di omogeneità la gran parte di questi fattori di complessità, è possibile isolare – in via analitica e provvisoria – alcuni temi rilevanti.
Più che tematiche, in realtà, si può parlare di questioni aperte particolar¬mente sensibili alla regolazione che qui definiamo “aree di tensione”. Su queste aree, in altre parole, non agiscono solo gli obblighi di-fare o di-non-fare della regola, ma scaturiscono, di solito, delle riflessioni più am¬pie sul senso di utilità e di opportu¬nità che ha messo in moto il proces¬so di regolazione. Se il processo di regolazione ha osservato “la sequenza della regola” descritta sopra, allora le aree di tensione tendono a distendersi e normalizzarsi. Se, viceversa, l’attivi¬tà di regolazione non è completa, non attraversa cioè tutte e tre le fasi della sequenza, allora le aree di tensione di¬vengono “aree di conflitto” che metto¬no a rischio l’accettazione e la stessa osservanza delle regole adottate.
Il contesto italiano, rispetto alla regolazione dei servizi pubblici locali, sembra evidenziare quattro “aree di tensione”:
1. Area di tensione istituzionale
Quest’area registra una tensione tra livelli istituzionali differenti: quelli che decidono centralmente (Organiz¬zazioni internazionali, Unione Euro¬pea e Governo Centrale) e quelli am¬ministrativi (Regioni, Province, Comuni) che decidono localmente. Il pro¬cesso regolatorio, in molti casi, è condiviso e c’è bisogno che i vari livelli si allineino nella “lettura” del proble¬ma, nella condivisione degli obiettivi, nell’assegnazione delle funzioni di re¬golazione. Vi sono già, in Italia, orga¬ni di collegamento di tipo consultivo e di coordinamento41 tra il livello cen¬trale (Consiglio dei Ministri, Ministeri, ecc.) e quelli locali (Regioni, Provin¬ce, ecc.) come la Conferenza perma¬nente per i rapporti tra lo Stato, le Re¬gioni42, e a cascata, ad esempio, l’U¬nione delle Province Venete43. In tema di public utilities potrebbe essere uti¬le rivedere la natura delle relazioni tra i vari livelli. Per riorganizzarle in modo più lineare si dovrebbe ricorrere al¬la “sequenza delle regola”.
2. Area di tensione legale
La modalità con cui un’impresa ottie¬ne la concessione a erogare un servizio consiste nel prendere parte a una gara e vincerla. La gara viene indetta attra¬verso un bando che, da un lato, sinte¬tizza le condizioni e le modalità di par¬tecipazione alla competizione, dall’al¬tro contiene le condizioni e le modali¬tà con cui si aggiudica la gara e i crite¬ri attorno ai quali si svilupperà la suc¬cessiva relazione.
La predisposizione del bando e la sua pubblicazione rappresentano un’area di tensione che, data la prevalenza delle disposizioni giuridiche, qui definia¬mo “area di tensione legale”. Formu¬lare correttamente i requisiti di parte¬cipazione alla gara, ad esempio, che è un aspetto che può apparire piuttosto agevole, ha evidenziato di recente tutta la propria criticità nella più grande con¬cessione italiana, quella di Roma Capi¬tale44. Altrettanto complesso è tradurre linguisticamente i restanti aspetti del bando. I meccanismi di normalizzazio¬ne dell’area di tensione legale consisto¬no, anche in questo caso, nell’applica¬re “la sequenza delle regola”.
3. Area di tensione della sostenibilità politico-economica
Quest’area registra una tensione tra gli attori economici che erogano il servi¬zio pubblico, quelli che potrebbero po¬tenzialmente sostituirli e i decisori isti¬tuzionali che stabiliscono le regole del gioco. Nella gran parte dei casi, al di là delle specificità territoriali, la domanda a cui bisogna dare una risposta è: quali sono le condizioni economiche più sostenibili, in termini di generazio¬ne di valore, per le imprese da una parte e per i cittadini dall’altra? Gli aspet¬ti da valutare sono più d’uno. Sceglien¬do di prediligere il criterio della massi¬ma efficienza, ad esempio, le imprese espresse dal territorio, spesso già ero¬gatrici del servizio, essendo di dimen¬sioni medio-piccole potrebbero temere la competizione (impari) con le grandi imprese esterne e resistere al cambia¬mento. In questo senso il tema della sostenibilità, oltre che economico, di¬venta politico: ha a che vedere con il consenso, con la necessità di coinvol¬gere e far partecipare più risorse loca¬li possibili, in definitiva con lo sviluppo economico del territorio stesso. Anche per quest’area di tensione, il meccani¬smo di distensione da attuare è “la se¬quenza della regola”.
4. Area di tensione della stabilità sociale e del welfare
Quest’area di tensione è vicina all’area di tensione della sostenibilità politico-economica nella misura in cui, pur in¬sistendo sulle medesime questioni, ne osserva non i riflessi economici ma gli effetti sociali: la coesione sociale e le conseguenze sul sistema di welfa¬re. Come garantire: l’accesso ai servizi sociali indispensabili a ogni membro della comunità, al lavoro e alle oppor¬tunità di crescita professionali, mante¬nere la coesione e stimolare la mobili¬tà sociale, la crescita e l’offerta cultu¬rale e, più in generale, il grado di civil¬tà e la qualità della vita nel suo com¬plesso? Monitorare la stabilità socia¬le e i vari aspetti del welfare, solleci¬ta anche un’intensa attività di comuni¬cazione sul territorio; di motivazione, controllo, manutenzione e sensibiliz¬zazione. Ancora una volta, attuare “la sequenza della regola” può contribuire a normalizzare quest’area di tensione.
L’ultimo passaggio di questa riflessione risponde alla domanda: di quali competenze manageriali dovrebbe dotarsi la pubblica amministrazione alla luce delle quattro aree di tensione?
Per “costruire” una risposta – provvi¬soria e aperta a future ricerche – si è operato su un’attenta revisione di ana¬lisi e studi disponibili, incrociando la letteratura di stampo manageriale con quella più tecnica. Il punto di arrivo di quest’indagine teorica è che l’ap¬plicazione ottimale alle singole aree di tensione del processo della sequenza della regola possa essere ottimizzata dal possesso, tra le altre, di una pre¬cisa competenza-chiave di tipo mana¬geriale. È però utile, a questo riguar¬do, operare una premessa metodologi¬ca. Non è questa la sede per elenca¬re le numerose management skills tra¬dizionali o emergenti esistenti45, non è la sede per classificarle in base ad un qualche criterio di preponderanza o per minimizzare il valore delle compe¬tenze manageriali non citate rispetto a quelle richiamate. E con riferimento a quelle citate, non è neanche la se¬de per presentarne le numerose defini¬zioni o dar conto delle eventuali dispu¬te di cui è piena la letteratura di riferi¬mento. Per ciascuna competenza, in¬vece, si proporrà una definizione sem¬plice e condivisibile per poi, breve¬mente, motivarne l’importanza all’in¬terno della relativa area di tensione.
1) La negoziazione è la competenza-chiave manageriale per l’area di tensione istituzionale.
Def.: la negoziazione è “the process of making joint decisions when the parties involved have difference preferences”46.
Gli elementi che rendono questa competenza centrale nel distende¬re l’area di tensione istituzionale sono: la presenza di rappresentanti istituzionali di livello diverso, l’esi¬genza di giungere ad una decisione condivisa, la logica diversa con cui le parti coinvolte si muovono e, di conseguenza, generano le loro pre¬ferenze.
A proposito della produzione normativa e della gestione dei servi¬zi pubblici locali non bisognereb¬be in alcun modo mettere da par¬te la competenza della negoziazio¬ne lungo tutta la sequenza della re¬gola. Se lo Stato è in parte coin¬volto perché legifera, anche gli enti locali lo sono perché sono respon¬sabili della gestione47. Rispetto ai servizi pubblici locali48, poi, biso¬gna tener conto della peculiarità dei cosiddetti servizi pubblici na¬zionali49 che presentano filiere pro¬duttive e meccaniche economiche diverse; soggetti economici pecu¬liari che producono ed erogano il servizio; uno specifico ordinamen¬to giuridico di riferimento; un potere regolatorio che ha impattato e impatta sul modello organizzativo e sull’evoluzione delle politiche di li¬beralizzazione e privatizzazione.
2) Recrutare/formare specialisti all’in¬terno dell’organizzazione è la com¬petenza-chiave manageriale per l’a¬rea di tensione legale.
Def.: “Specialization is the antithe¬sis of synthesis and integration”50.
L’area di tensione legale è quella che, per essere normalizzata ed evi¬tare il caos, necessita anzitutto di personale specializzato in grado di tradurre in modo adeguato le deci¬sioni condivise in documenti ufficia¬li che regolino, in modo particolare, le concessioni. Gli enti locali han¬no bisogno di attraversare le varie fasi della sequenza della regola con le persone giuste. Il documento for¬male più delicato è il bando di gara. Non predisporlo correttamente de¬termina inefficienze (di tempo e di risorse) e genera un clima di incertezza del diritto che compromette l’adozione delle regole migliori e la stessa credibilità della pubblica am¬ministrazione. Questi professionisti, inoltre, devono essere il più possibi¬le interni all’organizzazione. Affidandosi a società esterne di consulenza, infatti, oltre a incrementare il nume¬ro delle parti in gioco (aggravando il processo), il pubblico decisore accetta di cedere una parte cospicua della sua responsabilità ad altri soggetti. Il rischio della deresponsabilizzazione è notevole e, inoltre, nel momento in cui è il consulente a definire e interpretare il know how, an¬che l’imparzialità viene messa a rischio.
3) L’accountability è la competenza-chiave manageriale per l’area di tensione della sostenibilità politi¬co-economica.
Def.: “The concept of accounta¬bility involves two distinct stages: answerability and enforcement. Answerability refers to the obliga¬tion of the government, its agencies and public officials to provide infor¬mation about their decision and ac¬tions and to justify them (…). En¬forcement suggests that the public or the institution (…) can sanction the offending party or remedy the contravening behavior”51.
Come per l’area di tensione lega¬le, il legame tra questa competenza e la possibilità di gestire efficace¬mente ed efficientemente l’area di tensione della sostenibilità politico-economica è auto-evidente. Julia Steets ha osservato in modo acu¬to che l’accountability può essere espressa anche con una domanda: “Who is accountable, to whom, for what, how and why?”52.
La pubblica amministrazione ha bi¬sogno di questa competenza in ge¬nerale, e ancora di più quando me¬dia tra interessi, persone, istituzio¬ni e compie valutazioni di opportu¬nità, come nel caso dei servizi pub¬blici locali. E dell’accountability non può essere trascurato nessuno dei suoi due aspetti: quello dell’answerability e quello dell’enforcement. Dall’answerability segue il principio del dar conto di quello che si fa, mentre dall’enforcement discende il principio della responsabilità.
Oltre che dichiarata, la competen¬za dell’accountability deve essere attuata: servono sistemi di raccolta dati, monitoraggio e rendicontazio¬ne sempre più raffinati e tempestivi nei confronti degli erogatori del ser¬vizio. È necessario, allo stesso tem¬po, sviluppare un’attività struttura¬le d’informazione, comunicazione, sensibilizzazione e dialogo con la comunità. Strumenti di democra¬zia partecipativa – iniziative refe¬rendarie di tipo territoriale o altre simili forme di scambio con i citta¬dini – possono catalizzare l’atten¬zione, coagulare l’interesse su cer¬ti temi, far passare messaggi posi¬tivi. Una pubblica amministrazione che possiede ed esprime la compe¬tenza dell’accountability, infine, si apre all’innovazione: migliora i pro¬pri processi, sviluppa una naturale predisposizione all’adattamento e al cambiamento. Ne beneficia an¬che la “sequenza della regola” che acquista fluidità e qualità.
4) L’integrazione è la competenza-chiave manageriale per l’area di tensione della stabilità sociale e il welfare.
Def.: “To Integrate means to make entire or complete, and integration represents creating the whole by adding together or combining sepa¬rate parts”53.
Il grado di accesso a un servizio pubblico, la sua distribuzione sul territorio, i criteri mediante cui vie¬ne organizzato e offerto alle perso¬ne oppure, qualora necessario, si giunga a limitarne i livelli di fruizione esercitano decise ripercussio¬ni su valori fondanti quali la coesio¬ne sociale, lo sviluppo professiona¬le, la crescita civile, la mobilità so¬ciale, e così via. A differenze dell’a¬rea di tensione legale, dove la com¬petenza-chiave manageriale è quel¬la della specializzazione, qui occor¬re invece integrare.
Della definizione di “integrazione” spicca nitidamente l’atto dell’aggiungere, dell’arricchire, del com¬binare parti separate. Integrare è, in sostanza, l’opposto di ridurre, escludere, emarginare.
Gestire un’area di tensione sociale richiede di tener conto delle richieste di tutte le parti in gioco e, per quanto possibile, “creating the whole”.
Anche per questa competenza è la dimensione dello sviluppo concreto a renderla fruttuosa: la pubblica amministrazione comincia a integrare quando conosce, quando incontra, quando risponde, quando spiega, quando propone soluzioni nuove in grado di creare valore per tutti anche se qualcuno, all’inizio, rinuncia a qualcosa.
Agire con efficacia su tutte e quattro le aree di tensione individuate espri¬mendo al meglio le competenze-chia¬ve manageriali che si sono affrontate, non è un processo indolore, non è un processo rapido per la pubblica ammi¬nistrazione. Prenderne tuttavia consa¬pevolezza, per quanto semplice pos¬sa sembrare, rappresenta un notevole passo in avanti per fronteggiare la dif¬ficile sfida del cambiamento: la chiave di volta per la riqualificazione e la ri¬motivazione del settore pubblico.

Antonio Alizzi è Dottore di Ricerca in Scienze Organizzative e Direzionali e Professore a contratto di Management per l’Editoria all’Università degli Studi di Verona.
Federico Testa è Professore di Economia e gestione delle imprese all’Università degli Studi di Verona, deputato e membro della Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati.

Note
* Pur essendo il presente lavoro frutto delle riflessioni comuni dei due autori, i paragrafi 1, 2 e 3 sono da attribuire a Federico Testa, i paragrafi 4 e 5 ad Antonio Alizzi.
(1) R. Normann, La gestione strategica dei servi¬zi, Etas Libri, Milano, 1985, 35, dove sottolinea co¬me “la maggior parte dei servizi consiste in azioni e interazioni che sono tipicamente eventi sociali”.
(2) In questo senso C. Baccarani, Mutamenti am¬bientali e condotta strategica delle imprese munici¬palizzate, Cedam, Padova, 1988, 30.
(3) Per un approfondimento K. Galbraith, L’eco¬nomia e la qualità della vita, Mondadori, Milano, 1971.
(4) G. Cozzi, A. Massarutto, Dalla municipalizzata all’impresa pubblica locale, in S. Vaccà, a cura di, Problemi e prospettive dei servi locali di pubblica utilità in Italia, Franco Angeli, Milano, 2002, 36, ri¬cordano come “per moltissimi servizi (fra quelli lo¬cali, si pensi alle farmacie, o ai mercati ortofrutti¬coli) semplicemente il mutato contesto economico originatosi dopo il boom economico degli anni 50- 60 ha fatto scomparire, o comunque ridurre drasti¬camente, le esigenze di controllo pubblico, permet¬tendo che fosse il libero mercato a soddisfare la do¬manda anche di servizi essenziali”.
(5) Si pensi, per tutti, alla nascita e al consolida¬mento del movimento ambientalista, così “letti” da G. Panati, Interazioni tra ecologia e processi deci¬sionali economici, in Economia e ambiente, anno II, gennaio-giugno 1983, 20: “il conservazionismo ambientale nasce dalla richiesta delle classi medie superiori di maggiori beni e servizi di natura colletti¬va, cioè soddisfacibili soltanto collettivamente (…): all’aumentare del reddito ciascuno di noi sposta in avanti l’obiettivo delle richieste (…); quando il teno¬re di vita reale raggiunge livelli elevati, allora i bene¬ficiari di tali redditi inseriscono nella voce succes¬siva dell’elenco degli acquisti un ambiente più pu¬lito, dove poter meglio valorizzare e godere gli altri beni già conseguiti, e rivolgono la propria attenzio¬ne all’inquinamento ambientale”.
6) L. D’Alessandro, Imprese di pubblica utilità, Utet, Torino, 1967, 4, con riferimento alle imprese chiamate a erogare servizi di pubblica utilità, sotto¬linea come “tale categoria di imprese non può es¬sere definita una volta per sempre, in base a prin¬cipi economici astratti, ma è, per così dire, aperta: in altre parole, essa, in dipendenza dell’evoluzione dell’economia o della tecnica, o di particolari ne¬cessità locali, può essere ampliata”.
7) In questo senso M. Elefanti, La liberalizzazione dei servizi pubblici locali, Egea, Milano, 2003, 9.
(8) Per un approfondimento e una ricostruzione storica, L. Solimene, Servizio universale, liberalizza¬zione dei mercati e regolamentazione dei servizi di pubblica utilità, in Economia Pubblica, n. 2, 2002.
(9) R. Millward, La regolamentazione e la proprietà dei servizi pubblici in Europa: una prospettiva storica dal 1830 al 1950, in Economia Pubblica, n. 2, 2004, 28.
(10) P. Piras, Servizi pubblici, cit., 4.
(11) G. Montemartini, Municipalizzazione dei pub¬blici servigi, S.E.L., Milano, 1902, riprodotto ana¬staticamente dalla Sintesi Editrice di Brescia nel 1997. Non diversamente L. D’Alessandro, Imprese di pubblica utilità, Utet, Torino, 1967, 5, sottolinea come “l’intervento pubblico di disciplina e control¬lo per le imprese riconosciute di pubblica utilità è giustificato dal fatto che esse, mentre sono rivolte a fini interessanti in modo notevole vastissime ca¬tegorie di cittadini, sono d’altra parte caratterizzate da situazioni che non rendono praticamente possi¬bile la condotta aziendale in regime di concorren¬za; e ha lo scopo di evitare che la privata impresa, potendo in tali casi agevolmente godere di posizio¬ni privilegiate, volga a proprio vantaggio profitti di monopolio, con danno evidente del consumatore”.
(12) F.S. Nitti, Principi di scienza delle finanze, Pierro, Napoli, 1903, 26.
(13) In proposito G. Montemartini, Municipalizza¬zione cit. sostiene che gli obiettivi principali che si dovevano porre le Amministrazioni locali attraverso l’intervento nell’erogazione di servizi pubblici erano quelli della riduzione dei prezzi dei servizi che in¬vece il privato monopolista avrebbe fissato in mo¬do tale da ottenere extra-profitti), del miglioramen¬to della qualità dei servizi, dell’innalzamento delle condizioni dei lavoratori. L. Solimene, Servizio uni¬versale, liberalizzazione dei mercati e regolamen¬tazione dei servizi di pubblica utilità, in Economia Pubblica, n. 2, 2002, 7, ricorda che “una delle cer¬tezze che hanno caratterizzato il passato era rap¬presentata dall’idea che esistessero da una parte attività svolte in regime concorrenziale, o comun¬que attività per cui la concorrenza fosse la forma di mercato più efficiente, mentre dall’altra si collo¬cavano i servizi di pubblica utilità, che non poteva¬no essere aperti alla concorrenza, data l’esigenza di tutelare l’interesse generale”.
(14) Sull’argomento L. D’Alessandro, Imprese di pubblica utilità, Utet, Torino, 1967, 6.
(15) R. Arcangeli, Economia e gestione delle imprese di servizi pubblici, Cedam, Padova, 2000, 152.
(16) Per un approfondimento G. Panati, G.M. Golinelli, Tecnica economica industriale e commercia¬le, NIS, Roma, 1991, 292.
(17) “E nella quale le decisioni sono finalizzate all’ottimizzazione del servizio offerto, date le risor¬se disponibili”, R.N. Anthony, D.W. Young, Controllo di gestione per gli enti pubblici e le organizzazioni non profit, McGraw-Hill, Milano, 1992, 33. In pro¬posito, va ricordato con P. Saraceno, La produzione industriale, Leuv, Venezia, 1970, 63, che: “Massi¬mizzazione del reddito, che è l’obiettivo di un’im¬presa privata, massimizzazione dell’economicità di gestione, che è l’obiettivo dell’impresa pubblica, si risolvono ambedue nella massimizzazione del diva¬rio tra costi e ricavi; tali espressioni possono quin¬di considerarsi tutte equivalenti e la massimizzazio¬ne del reddito può, in conseguenza, essere assunta come la determinante fondamentale del comporta¬mento che il soggetto economico intende ottenere dall’impresa, sia essa pubblica o privata”.
(18) In questo senso A. Garlatti, Il riordino delle forme di gestione dei servizi pubblici locali: opportunità e rischi emergenti, in Azienda Pubblica, n. 6, 2000, 691.
(19) Per un approfondimento del concetto, G. Croce, La regolazione dei servizi pubblici in condizio¬ne di informazione asimmetrica, in Economia e politica industriale, n. 99, 1993, 106. In proposito, F. Gulli, Economie di scala versus economie di den¬sità nella distribuzione elettrica: un’analisi quanti¬tativa, in Economia delle fonti di energia e dell’am¬biente, n. 2, 2000, ricorda come “il concetto di mo¬nopolio naturale ha avuto una sostanziale evoluzio¬ne formale: monopoli naturali sono quelle industrie la cui funzione di costo è subadditiva, per tutti i li¬velli di output rilevanti”.
(20) Per una rassegna, L. Prosperetti, Monopolio, concorrenza e regolazione: i pubblici servizi in un mercato che cambia, in Economia e politica industriale, n. 80, 1998, 226.
(21) “È il caso tipico dei servizi elettrici, telefonici, di gas, acqua, i quali richiedono reti di distribuzio¬ne collegate con gli impianti di produzione in virtù della connessione fisica tra azienda di produzione ed utente, necessaria affinché quest’ ultimo pos¬sa ricevere ed utilizzare il servizio. L’imponenza di questi impianti e il loro costo rappresentano un li¬mite alla molteplicità di imprese fornitrici dello stesso servizio”, R. Mele, Strategie e Politiche di Marketing nelle imprese di pubblici servizi, Cedam, Pa¬dova, 1993. C. Antonelli, Reti e regolazione: monopoli legali, benessere collettivo ed efficienza economica nelle industrie a rete, con particolare riferi¬mento alle telecomunicazioni, Autorità garante della Concorrenza e del mercato, 1991, sottolinea peraltro come ciò possa verificarsi anche in relazione ad economie di rete e di densità.
(22) Sull’argomento J. Vickers, G. Yarrow, Privatisa¬tion: an Economic Analysis, The MIT Press, Cam¬bridge, 1988.
(23) F. Bulckaen, C. Cambini, Assetti di mercato e problemi di regolazione nei servizi di pubblica uti¬lità, in F. Bulckaen, C. Cambini, a cura di, I servizi di pubblica utilità, Angeli, Milano, 2000.
(24) D. Archibugi, G. Ciccarone, M. Marè, B. Pizzet¬ti, F. Violati, Relazioni triangolari nell’economia dei servizi pubblici, in Economia Pubblica, n. 5, 2000, nonché B. Pizzetti, D. Archibugi, I costi di transizione nella concorrenza per il mercato, in L’Indu¬stria, n. 2, 2001.
(25) “Nulla è definitivo in economia; tanto meno lo è la tematica della regolazione dei mercati e del¬le attività produttive. Diversi sono i fattori che mo¬tivano la ciclicità e la ricorrenza di atteggiamenti di avvicinamento o di allontanamento da questi inter¬venti di politica economica e di politica industriale: alcuni, di natura metaeconomica, si radicano nella cultura dominante in un certo contesto storico; altri vanno posti in relazione ai cambiamenti tecnologici operanti in determinati settori produttivi; altri anco¬ra interpretano l’evoluzione… del manifestarsi della concorrenza nei vari comparti produttivi”, G. Zanetti, Corsi e ricorsi nella fiducia verso la regolazione, in L’Industria, n. 1, gennaio-marzo 1997, 5.
(26) In questo senso Vaccà, Presentazione, in S. Vaccà, a cura di, Problemi e prospettive dei ser¬vi locali di pubblica utilità in Italia, Franco Ange¬li, Milano, 2002, 13 e ss. laddove scrive “non vo¬gliamo, ovviamente, sottovalutare la rilevanza di provvedimenti legislativi (…) Ci sembra però uti¬le sottolineare che le riforme istituzionali o sono state definite articolatamente sulla carta ma han¬no finora prodotto ben poco in termini di adem¬pimenti concreti (…) o hanno fatto salvi i princi¬pi ormai da tempo acquisiti (…) ma hanno rein¬trodotto un’ampia discrezionalità per i comuni in materia di scelte riguardanti la privatizzazione di alcuni servizi locali di pubblica utilità (…) D’altro canto altri fattori di cambiamento, spesso sotto¬valutati nelle analisi correnti, hanno già avuto (e più ancora avranno nei prossimi anni, consisten¬ti effetti sulla trasformazione del settore. Ci riferia¬mo, in particolare, sia ai fattori di carattere finanziario (passaggio da una condizione di finanza derivata a una condizione di finanza diretta) (…) sia – specialmente – ai fattori derivanti dall’innovazione tecnologica e dall’evoluzione delle aspettative e dei comportamenti dei consumatori finali”.
(27) La rigidità è spesso aggravata dall’avversione al rischio dei soggetti che operano all’interno delle strutture, che tendono a liberarsi delle responsabi¬lità o mediante l’interpretazione restrittiva e penalizzante per l’interlocutore delle disposizioni normative o regolamentari, o attraverso l’approvazione di ogni azione intrapresa da parte di una pluralità di organi collegiali, con il conseguente rallentamento dei processi organizzativi.
(28) R. Cafferata, Cambiamento tecnologico e riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, in Economia Pubblica, suppl. al n. 3, 1999, ricorda come “il lavoro che si svolge nelle amministrazioni pubbliche ha prepotentemente assimilato tutti gli input statici della burocrazia e nessuno di quel¬li dinamici”.
(29) E. Borgonovi, Le nuove frontiere dei servizi pubblici tra soddisfazione dell’utente e tutela dell’interesse pubblico, in Sinergie, n. 40/41, 1996.
(30) Il riferimento è agli “oneri impropri”, cioè i co¬sti addizionali che la struttura sopporta per l’assun¬zione di obiettivi sociali, su cui si veda L. Casel¬li, Impresa pubblica e oneri impropri, in Bolletti¬no dell’economia pubblica, n. 12, 1969, nonché P. Saraceno, Il processo decisionale statale, in Econo¬mia e politica industriale, n. 9, 1975, 26, il quale a proposito del sistema delle imprese a partecipa¬zione statale precisa che: “la quantificazione degli oneri impropri dovrebbe effettuarsi due volte: in via preventiva, onde consentire all’Autorità di governo di rendersi conto del costo dei fini politici che ci si propone di perseguire e decidere con cognizione di causa sull’opportunità delle iniziative che, per con¬seguire quei fini, si vorrebbero prendere; la quan¬tificazione degli oneri impropri dovrebbe effettuarsi poi in via consuntiva onde identificare gli eventuali oneri derivanti da inefficienze delle imprese ed evi¬tare che essi siano invece attribuiti al perseguimento dei fini politici”.
(31) A. Quadrio Curzio, M. Fortis, Le liberalizzazioni e le privatizzazioni dei servizi pubblici locali, Il Mulino, Bologna, 2000, 33, dove viene rilevato come solo una gestione efficiente dei servizi pubblici rappresenti la grande occasione per riuscire a ristabi¬lire un sano e corretto rapporto fra la società civile e l’amministrazione.
(32) Al di là delle vicende nazionali della cosiddetta “tangentopoli”, per un inquadramento teorico del problema G. Stigler, The Theory of Economic Re¬gulation, in Bell Journal of Economics and Management Science, n. 1, 1971; A. Shleifer, R. Vishny, Politician and Firms, Quarterly, in Journal of Eco¬nomics, vol. 109, Issue 4, 1994, 995.
(33) A. Quadrio Curzio, M. Fortis, Le liberalizzazioni e le privatizzazioni dei servizi pubblici locali, Il Mulino, Bologna, 2000, 39, dove si afferma che “l’adeguamento del nostro sistema politico-amministrati¬vo all’ordinamento comunitario delinea un model¬lo di Stato «forte ma neutrale» nell’economia. Forte, vale a dire in grado di garantire il regolare funzionamento dell’ordinamento economico; neutrale, in quanto non pretende di dirigere le forze di mercato. Il nuovo stato neutrale è in grado di riequilibrare i meccanismi del mercato, senza assumere direttamente la gestione di imprese, dettando regole di comportamento, e vigilando sull’osservanza delle stesse”. Si veda anche L. Vasques, I servizi pubblici locali nella prospettiva di libera concorrenza, Giappichelli, Torino, 1999, 26, dove si eviden¬zia che, proprio al fine di salvaguardare il principio fondamentale della concorrenza, gli organi comu¬nitari hanno adottato un atteggiamento sempre più vigile e critico su forme di aiuto statale a favore delle imprese che, come è noto, provocano un’altera¬zione delle dinamiche di mercato.
(34) Per un approfondimento, E. Bertero, Fa differenza un cambiamento, da pubblico a privato, dell’assetto proprietario?, in Economia Pubblica, n. 2, 2003, in particolare il par. 3, Pressione finanziaria e istituzioni sopranazionali.
(35) Secondo l’efficace espressione di A. Massarutto, La regolazione del settore dei servizi idrici: le ragioni per l’istituzione di un’Authority, in Economia delle fonti di energia e dell’ambiente, n. 1, 1998, 50. In proposito L. Prosperetti, G. Marzi, “Come funziona la liberalizzazione dei servizi pubblici: un’analisi di alcune esperienze internazionali”, Working Paper Series, Istituto di Economia Politica Università degli Studi di Milano, aprile 1998, affermano: “(…) la concorrenza non serve solo a tenere i prezzi vicini ai costi medi. Nella realtà di un mercato competitivo, la concorrenza influenza l’efficienza della struttura dei prezzi spingendo le imprese:
– a coprire i costi congiunti in modo creativo e flessibile;
- ad ottimizzare l’uso delle reti e delle risorse con schemi articolati di tariffe multiorarie, connesse al traffico (o al carico, a seconda dei casi) delle reti;
– a correlare strettamente prezzi e qualità, segmentando adeguatamente il mercato.
Tutto ciò che realisticamente una buona regolazione può sperare di ottenere è invece di mantenere i prezzi dei servizi a un livello vicino ai costi di lungo periodo. Quest’obiettivo è corretto e non deve certamente essere sottovalutato. Confrontato con i punti che precedono è però poca cosa, e dunque esso deve essere perseguito quando non vi siano percorsi alternativi che consentono di raggiungere – tramite la liberalizzazione – gli effetti positivi più generali generati da un mercato competitivo. Una visione dell’intervento pubblico che ponga la rego¬lazione (e non la liberalizzazione) al primo posto non tiene poi conto degli effetti che la tecnologia e lo sviluppo della domanda possono avere nell’indebolire, fino ad eliminarle, le condizioni tecnologiche e di mercato che avevano dato luogo inizialmente al market failure”.
(36) L. Vasques, I servizi, cit., 32, ricorda “(…) come la concorrenza rappresenti uno strumento umano, e come tale non perfetto per definizione. È opportuno dunque non utilizzare quest’ultimo con atteggiamento ideologico, presupponendo che le leggi di mercato siano la panacea di tutti i mali. Le leggi di mercato vanno usate con grande accor¬tezza, tenendo comunque conto che i servizi pubblici di qualunque specie coinvolgono anche diritti ed interessi dell’individuo, e che le regole di concorrenza assai di rado tutelano ex se diritti, quando questi ultimi non hanno rilevanza economica immediata. Ciò premesso, ne deriva che allo Stato de¬vono almeno residuare, per quei servizi che coinvolgono diritti soggettivi del cittadino, poteri di mo¬nitoraggio e controllo sulle modalità di svolgimento dei servizi, e, talvolta, anche sulle tariffe adottate”.
(37) In proposito, M. Passarelli, P. Peruzzi, A. Petretto, Una semplice guida, cit., ricordano come “la separazione tra gestione ed indirizzo e il ricorso ad Autorità indipendenti è un modello organizzativo che consente di dividere le informazioni a disposizione dei politici e, conseguentemente, limitare la loro discrezionalità nell’intraprendere azioni non conformi al benessere sociale (…). Nel caso particolare dell’organizzazione dei SPL, con la “separazione”, invece di avere un’unica struttura politica che nell’amministrare un servizio pubblico mette in atto le sue offerte collusive con i gruppi di pressione, si genera un comportamento strategico tra agenzie parzialmente informate (politici, gruppi di pressione, burocrati) che aumenta i costi di transazione delle loro attività collusive, rendendole meno convenienti”.
(38) La regolamentazione, intesa in senso lato, “riguarda l’uso del potere legittimo di coercizione da parte dello Stato per disciplinare alcune attivi¬tà aventi per oggetto la produzione di beni e servizi destinati alla vendita”. La regolamentazione si manifesta in una pluralità di forme: dal “controllo dei prezzi”, a “l’obbligo di messa a disposizione del servizio”, alle “norme che disciplinano la qualità”, alla “imposizione di barriere all’entrata, cioè le limitazioni imposte alla libertà di esercizio di una certa attività”. Solitamente tali barriere all’entrata (sia per i settori energetici sia per altri settori, fra i quali le telecomunicazioni) sono state imposte mediante “l’attribuzione per legge di una riserva esclusiva allo stato, alle regioni o ai comuni. Tale riserva è stata utilizzata dal titolare o per gestire direttamente l’attività in esame o più spesso per concederne l’esercizio a un altro soggetto mediante un rapporto di tipo contrattuale (di solito la concessione). Il risultato netto dell’esercizio di tale diritto attribuito per legge è dunque quello di restringere la concorrenza ed anzi spesso di creare un monopolio legale territoriale. Non di rado poi… il soggetto a cui viene delegata la gestione del servizio in esclusiva è un’impresa pubblica”; L. De Paoli, La regola¬mentazione dei servizi energetici di pubblica utilità in cambiamento, in L. De Paoli, a cura di, Regolamentazione e mercato unico dell’energia, Angeli, Milano, 1993, 3.
(39) Sul punto si veda: M. De Benedetto, M. Martarelli, N. Rangone, La qualità delle regole, Il Mulino, Bologna, 2011.
(40) Sia consentito, in proposito, citare il ns. F. Testa, Aspetti manageriali della transizione al mercato nelle public utilities locali, Cedam, Padova, 2001, 2.
(41) Sul punto si vedano: T.G. Cummings, C.G. Worley, Organization Development and Change, Orga¬nization Theory and Design, Cengace Learning, An¬dover-Hampshire, 2008; R.L. Daft, J. Murphy, H. Willmott, Organization Theory and Design, Cen¬gace Learning, Andover-Hampshire, 2010; J.D. Thompson, Organization in Action, Transaction Pub¬lishers, Piscataway-New Jersey, 1967; W.W. Pow¬ell, The New Institutionalism in Organization¬al Analysis, University of Chicago Press, Chicago, 1991.
(42) http://www.statoregioni.it/
(43) http://www.upinet.it/2823/news/unione_delle_ province_venete/
(44) Che il bando per la più importante concessione di distribuzione del gas del Paese venga pro¬mulgato, ritirato, cambiato e poi ri-promulgato dà efficacemente l’idea di come un’amministrazione locale non di secondo piano (la Capitale d’Italia) stia messa quanto a competenze e professionalità in materia.
(45) Tra le competenze manageriali, a titolo esemplificativo, vi sono le seguenti: valutare le persone e le loro performance, disciplinare e guidare le persone, ascoltare le persone e organizzare in processi, formulare degli obiettivi e degli standard, pensare in modo chiaro e secondo direttrici analitiche, istruire chiaramente le persone; identificare e risolvere i problemi; assumere decisioni e valutare i rischi, lavorare e insieme addestrare; supportare e delegare, gestione del tempo e delle priorità.
(46) “Il processo di assumere decisioni condivise quando le parti coinvolte esprimono preferenze differenti”, M. Mehnert, Negotiation: Definition and Types, Manager’s Issues in Negotiation, Cultural Differences and the Negotiation Process, (Seminar Paper) Grin Verlag, Munich, October 2008, 2.
(47) “Gli enti locali, nell’ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di be¬ni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a pro¬muovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali”. Art. 112 t.u.e.l. (d.lgs. 267/2000).
(48) Tra i servizi pubblici locali ci sono: la distri¬buzione e la vendita finale dell’energia elettrica; la distribuzione e la vendita finale del gas metano; i servizi idrici; le fognature e la depurazione; il tra¬sporto pubblico locale; la raccolta e lo smaltimen¬to dei rifiuti.
(49) Tra i servizi pubblici nazionali ci sono: la tra¬smissione su grandi linee dell’energia elettrica; la gestione dei gasdotti su scala nazionale; i traspor¬ti ferroviari, i trasporti aeroportuali; le autostrade; le telecomunicazioni.
(50) “La specializzazione è l’antitesi della sintesi e dell’integrazione”, R.D. Phair, Why and How to ex¬pnd the Role of Systems Biology in Pharmaceutical Research and Development, in Igor Goryanin, Ad¬vances in Systems Biology, Springer, Jan 1, 2012.
(51) “Il concetto di accountability coinvolge due fa¬si distinte: answerability ed enforcement. L’answe¬rability si riferisce all’obbligo in capo al governo, al¬le sue agenize e pubblici ufficiali di fornire infor¬mazioni sulle decisioni assunte ed essere in gra¬do di giustificarle (…). L’enforcement indica che il pubblico o le istituzioni (…) possono sanzionare la parte offendente o porre rimedio a un comporta¬mento contrario alle regole”, http://siteresources. worldbank.org/PUBLICSECTORANDGOVERNAN¬CE/Resources/Accountability Governance.pdf. E qualche riga sopra: “accountability exists when there is a relationship where and individual or body, and performance of tasks or functions by that in¬dividual or body, are subject to another’s oversight, direction or request that they provide information or justification for their actions”.
(52) “Chi è responsabile, verso chi, di che cosa, come e per quali ragioni?”, J. Steets, Accountability in Public Policy Partnerships, Palgrave Macmillan, New York, 2010, 14.

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