mercoledì 30 novembre 2011

Filippo Patroni Griffi e Michel Martone nel Governo Monti

Ieri i giornali hanno presentano il nuovo ministro alla Funzione Pubblica ed i sottosegretari del Governo Monti: biografie, meriti, incarichi.
Si è posta l’attenzione su eventuali conflitti di interesse, dimenticando che nel Governo precedente il premier Berlusconi è stata la persona che più di tutti dall’unità d’Italia in poi ha rappresentato il conflitto di interessi.
Per superare le polemiche sulla nomina dei sottosegretari Monti ha dichiarato che “la squadra è snella e forte”, ha respinto le critiche più dure “attenzione a parlare di conflitto di interessi, saremo di un’assoluta trasparenza” e rivolto ai partiti ha affermato: “Li aiuteremo a ritrovare un clima di riconciliazione con l’opinione pubblica”.
Vi sono alcuni avvenimenti che occorre ricordare per amore di trasparenza che riguardano Filippo Patroni Griffi, ministro della Funzione Pubblica, e Michel Martone, sottosegretario al Welfare.
Per il Ministro alla Funzione pubblica Pubblica, Filippo Patroni Griffi, è stata approvata una norma, contenuta nel decreto milleproroghe dell’anno scorso, su misura per lui. La disposizione consente ai membri della Civit che sono dipendenti pubblici di restare in ruolo e svolgere contemporaneamente le due funzioni con due stipendi. Si ricorda che Filippo Patroni Griffi è membro della Civit.
Per approfondire l’argomento vedi il seguente post: Milleproroghe a favore di Filippo Patroni Griffi
Inoltre, sono state presentate delle interrogazioni su alcune consulenze che la Civit ha deliberato.
Vedi i seguenti articoli:
- Pietro Ichino sulle consulenze della CiVIT
- CiVIT sotto i riflettori. Interrogazione di Vassallo e Bressa
Occorre ricordare che un anno fa il sottosegretario Michel Martone ha ricevuto una consulenza dall’allora Ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, che al senatore Pietro Ichino sembrava inopportuna in quanto il padre era stato designato Presidente della Civit.
A tal proposito vedi l’articolo:
Brunetta e Martone piegano l’indipendenza della CiVIT
“Michel Martone, afferma il senatore del Pd Pietro Ichino esprimendo il suo giudizio sul neosottosegretario al Welfare, ha certamente la competenza giuslavoristica di cui il ministero del welfare ha bisogno per portare a compimento l'ambiziosa riforma di diritto del lavoro che Mario Monti ha indicato come capitolo di primaria importanza del suo programma di Governo”.
La polemica dell'anno scorso, precisa il senatore, ''riguardava più il ministro e il Presidente della Civit che Michel Martone, la cui competenza giuslavoristica non era e non è in discussione''. Anzi, aggiunge Ichino, lui ''è più in sintonia con il disegno di riforma organica per il quale ci siamo impegnati nei confronti dell'Europa''.
E’ importante che il Governo Monti pratichi la trasparenza e la politica della franchezza in quanto occorre recuperare un rapporto di fiducia tra le istituzioni ed i cittadini e tra le forze politiche in un momento in cui occorre affrontare la grave crisi economica che incombe sul paese.
Intervista a Pietro Ichino

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martedì 29 novembre 2011

Franco Bonfante sostiene Michele Bertucco

Conosco Michele da molti anni e lo appoggio con convinzione perché
È competente – conosce Verona, i suoi problemi ed i suoi punti di forza, è abituato a studiare, ad approfondire prima di parlare e, dopo aver parlato, a lavorare tanto e con continuità per conseguire gli obiettivi dichiarati
È generoso, non solo nel senso di spendere molto del suo tempo per una causa in cui crede, ma anche nel trasferire agli altri le informazioni e le conoscenze di anni del suo impegno e della sua esperienza; il che fa capire che è uomo di squadra, perché crede nel lavoro collegiale, nella ripartizione dei compiti, in una leadership condivisa; non è un caso che quasi tutti i partiti di centrosinistra lo appoggino, anzi è questo un merito grande, di una persona che unisce
È umile: non si atteggia a “sapientone”, non è mai arrogante, è sempre disponibile a rivedere le proprie posizioni se le ragioni altrui sono convincenti
È concreto: va al sodo delle questioni, analizzandole nei dettagli e sotto i diversi aspetti per poi scegliere e decidere la soluzione migliore
Ha valori forti: è sì disponibile a discutere di tutto e ad accettare compromessi, ma non rinuncia mai agli ideali a cui è legato; questo lo fa essere autonomo e indipendente, cioè libero
È rigoroso: rispetta le leggi e le regole, anche quelle che non condivide, è attento agli aspetti etici …. Conduce una vita semplice, che gli permetterà di poter essere autorevole quando dovrà eliminare gli sprechi
È coerente: si batte con tenacia per le cose in cui crede, inserendole sempre in un contesto più ampio del problema in discussione, cosicchè le scelte rientrano sempre in una strategia complessiva che ne evidenzia appunto la coerenza.
Sarà un gran bravo Sindaco e aiuterà il centrosinistra veronese a crescere, con pazienza, serietà, lavoro.
Franco Bonfante
consigliere regionale

Elenco dei seggi per le primarie

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domenica 27 novembre 2011

Pietro Ichino non si lascia intimorire



Pietro Ichino non si lascia intimorire dalle minacce di morte dei terroristi e dagli attacchi personali ed offensivi di Stefano Fassina e continua il suo impegno a favore della riforma del mercato del lavoro, della contrattazione aziendale e dei lavoratori precari. Gli attacchi personali sono peggiori delle minacce di morte perchè mirano ad isolare Pietro Ichino dal contesto politico e sociale.

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venerdì 25 novembre 2011

Meno male che Giorgio c'è !

Articolo di Paola Lorenzetti
Ricordo come fosse ieri, e son più di trent'anni, le mie prime supplenze alla scuola primaria, in un quartiere che adesso diremmo “di frontiera”: vi si erano radunate tante famiglie con i problemi più svariati, e i loro figli riflettevano nella realtà della classe situazioni a volte molto gravose, storie di disagio, difficoltà sociali.
Più o meno negli anni '80, cominciarono i primi massicci flussi migratori in zona. Le scuole, poco preparate all'evento, si attrezzavano come potevano per riuscire a rispondere alla nuova richiesta educativa. I mezzi allora erano pochi, c'era una forte sensazione di inadeguatezza, ma anche tanto entusiasmo.
Nella mia scuola decidemmo di fare dei corsi di italiano per i nuovi arrivati, e me ne occupai anche io. Ogni mattina la mia prima ora di scuola era dedicata ad un gruppetto di bambini, per lo più provenienti dal centro Africa, che un po' alla volta impararono l'italiano necessario per comunicare con i compagni e poter partecipare in modo attivo alla vita di classe. In particolare ricordo Eric e Kofi (Nato di venerdì), due fratellini vivaci come il pepe e con una voglia di imparare incontenibile. Erano bravissimi e vederli acquisire così in fretta l'italiano era una soddisfazione.
Arrivò l'ultima lezione; ero sulla porta della classe che li aspettavo e li vidi arrivare insieme. Kofi aveva un grosso sacchetto in mano, me lo porse dicendomi che lo aveva fatto sua madre per me. Sbirciai dentro: era PANE ! Lo guardai forse in modo interrogativo, perchè Eric mi spiegò: “Senza pane muori!”. Era una famiglia molto povera, e la mamma aveva fatto il pane per me, per ringraziarmi dell'aiuto dato ai figli. E' stato uno dei regali più belli che ho ricevuto in vita mia, senza dubbio uno dei più significativi.
Mi chiedo spesso, dopo tutti questi anni, che fine abbiano fatto i fratellini, se siano riusciti a trovare il loro posto nella nostra società o abbiano dovuto tornare a casa, come han fatto tanti, perchè non sono stati accolti nel nostro mondo.
Piano piano, le scuole si sono adeguate alle nuove esigenze, le insegnanti si sono aggiornate, sono nati centri di documentazione, si sono formati i mediatori; per una ventina di anni c'è stato un grande fermento di iniziative interculturali, tese ad accorciare le distanze interpersonali.
Ora questo clima è cambiato, perchè un movimento come la Lega ha fatto leva sulla profonda paura del diverso nascosta nei cuori delle persone per farsi strada politicamente, incurante dei bisogni degli immigrati e dei benefici che essi hanno portato al nostro vecchio Paese, in termini di lavoro, natalità e cultura. Sventolando pericoli più o meno reali, la Lega ha rafforzato un sentimento di razzismo a volte strisciante, a volte sbandierato (ricordiamo Rosarno, o l'operazione White Christmas; i pasti scolastici negati ai bambini che non avevano soldi per pagarli), ma sempre meschino, irrazionale e ingiustificato.
L'Italia non può chiudersi agli altri; il nostro futuro può stare solo nell'accoglienza e nella convivenza pacifica dei popoli. Per questo è importante che i bambini nati in Italia abbiano subito la cittadinanza italiana: per sentire che non si è estranei male accolti, che si è cittadini con gli stessi diritti e doveri di tutti gli altri, che qui si possono affondare le proprie radici, che i propri sacrifici contribuiscono al benessere comune.
E' stato tanto grande e saggio il presidente Napolitano ad affermare questo diritto alla cittadinanza, quanto sono stati meschini coloro che gli hanno risposto in modo scomposto e razzista. La statura morale del presidente spicca sullo sfondo squallido di tante enunciazioni di principio trite, ritrite e ammuffite.
Abbiamo alla guida una persona speciale, per fortuna, che ha saputo indicarci la strada giusta come un faro in tante situazioni difficili. Seguiamo anche questa volta le sue sollecitazioni !

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giovedì 24 novembre 2011

Pensare agli altri

Articolo di Irene Tinagli pubblicato su La Stampa, il giorno 23 novembre 2011
Nel momento in cui molti sono in tensione, aspettando di vedere se e quanto le prossime manovre toccheranno stipendi, case o pensioni, il Presidente Napolitano ci stimola ad alzare lo sguardo.
Ci invita, finalmente, a pensare anche agli «altri». Alle minoranze religiose, culturali, e, in particolare, a tutti quei bambini nati in Italia da stranieri che l’Italia si ostina a non voler considerare suoi cittadini. E così facendo Napolitano ci fa riflettere su cosa significa essere comunità inclusiva, che accoglie, che cresce senza discriminazioni e senza chiusure. Una riflessione importante non solo per il suo lato profondamente umano e valoriale, ma anche per il suo aspetto sociale ed economico.
Da sempre chiusura e protezionismo, tanto nelle società quanto in economia, portano isolamento e regressione. L’apertura non solo porta al proprio interno nuove energie, nuove idee e più dinamismo, ma proietta all’esterno l’immagine di una comunità forte, attrattiva, che non teme il confronto e le influenze esterne, ma che le integra e si alimenta di esse. E’ stata questa, per esempio, la grandissima forza degli Stati Uniti nei due secoli passati. Un Paese che ha accolto milioni di immigrati, spesso senza che nemmeno conoscessero la lingua inglese. E questo contributo ha reso gli Stati Uniti non solo un’economia più forte, ma un riferimento per milioni di persone nel resto del mondo. E oggi, anche se molti dei vecchi immigrati parlano ancora i loro dialetti di origine, l’inglese è diventato la lingua passepartout di tutto il mondo. Una sorta di divertente contrappasso, non avvenuto per caso.
Ma per capire il valore che gli immigrati possono portare in una società non c’è bisogno di guardare alla storia e al passato degli Stati Uniti: basta aprire gli occhi e saper vedere l’Italia di oggi. Gli immigrati rappresentano ormai una componente fondamentale della nostra economia e della nostra società, molti settori crollerebbero senza di loro. Come ci dicono i dati dell’Istituto Tagliacarne, che assieme a Unioncamere monitora il contributo degli stranieri alla nostra economia, ci sono settori, come quello delle costruzioni, in cui addirittura un quarto del valore aggiunto prodotto è dovuto agli stranieri. Sempre secondo le stime del Tagliacarne, il contributo complessivo degli stranieri al valore aggiunto prodotto in Italia è stato, nel 2009, di oltre 165 miliardi di euro, il 12,1% del totale.
Non solo, ma attraverso il loro lavoro gli immigrati contribuiscono anche ai nostri servizi e alle nostre pensioni. Pochi sanno che i contributi versati dagli immigrati all’Inps ammontano a sette miliardi e mezzo di euro, ovvero il 4% di tutte le entrate dell’Inps, una cifra altissima soprattutto se si considera che sono pochissimi gli immigrati che, invece, beneficiano di pensione dallo Stato italiano. E sono pochi non solo perché molti devono ancora maturarla, ma perché sono tanti quelli che dopo alcuni anni tornano poi nel loro Paese di origine lasciandoci in dote i loro contributi. Questo significa, come ben documenta l’ultimo libro di Walter Passerini e Ignazio Marino («Senza Pensioni», Chiarelettere), che gli immigrati stanno supportando in modo sostanzioso anche il nostro sistema di welfare sociale oltre che economico. E possiamo immaginare quanto maggiore potrebbe essere tale contributo se riuscissimo finalmente ad affrontare questo tema con meno foga ideologica e meno paure, aiutando molti stranieri ad integrarsi, cominciando dal rendere i loro figli, che di fatto sono italiani, cittadini a tutti gli effetti.
Le conseguenze di un’apertura di questo genere sarebbero molto importanti, e non solo in termini economici. Pensiamo a cosa possa significare per una famiglia, e soprattutto per dei bambini e dei giovani, sentirsi parte integrante della società in cui vivono e lavorano, sentirsi portatori degli stessi diritti e doveri di chi gli sta intorno. L’emarginazione genera rancore, odio, rende inevitabilmente arrabbiati contro chi ti esclude. L’integrazione, quella piena e sincera, dà e genera fiducia, coesione, identità collettiva. E questo aiuta a prevenire malesseri sociali, conflitti, criminalità. E aiuta a fare fronte comune contro i problemi e le crisi, in nome di un Paese che non è soltanto di quelli che in qualche modo se lo sentono nel sangue, ma di tutti quelli che lo hanno scelto con passione, determinazione e amore.

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martedì 22 novembre 2011

Stefania Bozzi sostiene Michele Bertucco

Non conoscevo Michele Bertucco di persona, ma solo come esponente di spicco del mondo ambientalista veronese. Quando le diverse possibilità per giungere a una candidatura unitaria a candidato Sindaco all'interno del mio partito, il Partito Democratico, sono andate a convergere sulla sua figura, mi sono riproposta di conoscerlo al più presto.
La politica, come la vita, è fatta di relazioni e incontri, di scambi e conoscenze reciproche, di arricchimento nel confronto delle idee e delle diverse convinzioni .
Ma vi sono caratteristiche personali in una persona che la rendono, in termini aziendali, "fit" - adatta - a ricoprire ruoli di leadership e istituzionali come quello della carica di Sindaco di una città.
Queste caratteristiche sono la pacatezza e la moderazione, insieme alla determinazione, la forza di carattere e l'attitudine al lavoro di squadra. Se queste caratteristiche si legano alla competenza e alla padronanza delle tematiche complesse che una città come Verona pone, ecco che il candidato a governare la città di Verona ha tutte le caratteristiche necessarie.
Mi pare che Michele Bertucco rivesta questo binomio vincente - carattere e competenza - per essere il miglior candidato a vincere le primarie del centro-sinistra.
E' finito il tempo dei Superman, degli urlatori, di chi proclama e vende fumo, di chi sforna slogan a effetto per semplificare il complesso. Basta. Penso a Giuliano Pisapia a Milano e al nostro Premier, Mario Monti.
Vorrei poter dire basta anche pensando a noi, a chi governerà Verona dal 2012.
Io che mi occupo di tematiche femminili, di parità di genere, di diritti delle donne, ho trovato in Michele Bertucco il migliore degli interlocutori, che riassume nella sua persona e nella sua storia il superamento degli stereotipi e delle banalità sull'argomento, dell'abbandono delle frasi ad effetto in tema di rappresentanza. Cinquanta per cento di donne in Giunta? "Diamo loro gli Assessorati di peso, come ha fatto Mario Monti". " Più donne nei Consigli di Amministrazione nelle Aziende Partecipate, secondo gli indirizzi della legge di recente approvazione in Parlamento in merito alle aziende quotate in Borsa." "I temi della conciliazione tra vita e lavoro delle donne sono centrali per lo sviluppo di una nuova Verona" - questo è ciò che afferma Bertucco.
Le donne hanno un indiscutibile peso elettorale, numerico e valoriale. Non hanno neppure più voglia di sottolineare competenze e valore, tanto sono evidenti, nei risultati scolastici e nelle professioni. I partiti che sostengono Bertucco hanno per statuto l'obbligo del 50% di donne in lista. Ma non è questo il punto. C'è ancora molto da fare e da pretendere, dentro e fuori i partiti.
Il 25 novembre è la data che ricorda la violenza contro le donne. Ancora violenza, brutale o sottile, nelle forme più subdole. Il problema rimane atavico e radicato, non di facile soluzione ma innegabile.Che vi sia una data che commemora le vittime della violenza dà la misura della arretratezza culturale dello stesso mondo occidentale, sul tema. Importante è non rimuovere o eludere le realtà scomode. Qual è la connessione con le prossime primarie del 4 dicembre a Verona?
Michele Bertucco, pur avendo il rammarico della mancata candidatura femminile a Sindaco di Verona, mi pare, tra le diverse candidature, quella che dà maggiori garanzie in termini di approccio al valore dei due generi come unica strada per una democrazia compiuta.
Assicurare maggiore presenza di competenze femminili nei luoghi delle decisioni, della politica e dell'amministrazione, è un primo passo. Michele Bertucco ha promesso di farne un suo proprio impegno.
Se non ora, quando?
Stefania Bozzi
Portavoce Conferenza Provinciale Donne Democratiche di Verona

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Diego De Carlo sostiene Michele Bertucco

Il Paese attraversa un momento di difficile rapporto tra cittadini e politica in cui forte traspare lo scetticismo verso un sistema democratico che, sotto impulsi egoistici, presenta preoccupanti scricchiolii. In una situazione simile nulla è più efficace, per un riavvicinamento delle parti, dell’individuazione di momenti di partecipazione dei cittadini alle scelte che la politica deve fare.
Primarie: questa è la parola “chiave” che può dare un forte contributo alla distensione dei rapporti tra le parti! Sia ben inteso, partecipare alle elezioni primarie non vuol dire sostituirsi alla politica e scegliere al suo posto, non è questo il loro intrinseco significato. Le Primarie sono uno strumento per dare più qualità alla democrazia e, in quanto tali, è auspicabile un sempre maggiore ricorso al loro utilizzo ed una sempre maggiore partecipazione da parte dei cittadini attraverso l’espressione di un voto. Questo il vero motivo per cui, per la prima volta nella storia della nostra Città, l’intero centrosinistra ha deciso di lasciare che fossero i veronesi ad indicare il nome più gradito, tra i proposti per la scelta del candidato, che, presumibilmente, andrà ad affrontare il sindaco uscente nelle prossime elezioni amministrative che si terranno in primavera.
Il prossimo 4 dicembre chiunque voglia dire la sua potrà farlo recandosi nei seggi che appositamente verranno strutturati in tutta la Città. I candidati in lizza saranno tre: Michele BERTUCCO, Mario ALLEGRI e Antonio BORGHESI. Sono nomi di primissimo piano che negli anni hanno dato, e continuano a dare tutt’oggi, forti contributi alla crescita sociale, culturale ed economica cittadina. Tra questi tre candidati il PD, attraverso l’espressione della sua Assemblea Cittadina, ha scelto di sostenere Michele BERTUCCO e l’ha fatto per la storia che rappresenta, per l’impegno che ha sempre profuso nella lotta per una Verona più sostenibile, più pulita, più solidale. Espressione autentica e sincera dell’associazionismo veronese, Michele BERTUCCO incarna il disinteresse personale che si contrappone con forza a quel sistema di ambizioni personali e di parte che in questi ultimi anni Verona ha ben conosciuto sotto l’amministrazione Tosi. Vi è un altro aspetto importante della personalità di BERTUCCO che ha avuto un ruolo importantissimo nella decisione del PD di sostenerlo: è una persona attenta, con grande propensione all’ascolto e al dialogo dalla quale deriva il suo convincimento che le grandi scelte per la Città vadano fatte con l’apporto di tutti coloro che hanno voglia di mettersi a disposizione della Comunità con le proprie idee, le proprie esperienze, le proprie professionalità, le proprie conoscenze.
Bertucco, in sostanza, ha tutte le carte in regola per essere un eccellente Sindaco, il Sindaco che una città come Verona, pregna di cultura, di storia, di voglia di fare, merita di avere alla sua guida dopo anni di oscurantismo e declino. Negli ultimi quattro anni, l’Amministrazione Comunale si è spesa moltissimo nel tentativo, purtroppo concretizzatosi, di distruggere quanto fatto da altri negli anni precedenti. Siano d’esempio lo stravolgimento del progetto di trasporto pubblico che era rappresentato dalla tranvia, e l’annullamento del progetto di rilancio della Città che era rappresentato in primis dal Polo Finanziario. Di tutto ciò, oggi, non vi è più traccia! Non vi è più alcuna impronta che possa indicare la strada per un rilancio di Verona. Sta a chi ha a cuore la Città tracciare una riga sul recente passato e dare il proprio apporto per un futuro più roseo. Le elezioni primarie saranno il primo momento per fare ciò ed una forte partecipazione con un forte segnale in favore di Michele BERTUCCO daranno la misura della volontà di cambiamento dei cittadini veronesi.
Diego De Carlo

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Michele Bertucco vince il primo confronto

Ieri sera si è svolto il confronto tra Michele Bertucco, candidato sostenuto da Pd, Sel, Psi e Fds, Antonio Borghesi, candidato dell'Italia dei Valori, e Mario Allegri, indipendente, organizzato dai partiti del centro sinistra.
I tre candidati alle primarie del centrosinistra si sono presentati insieme per la prima volta di fronte ad una vasto pubblico per rispondere alle domande di Alessia Rotta e del pubblico stesso.
L’incontro si è aperto con polemiche sterili tra Mario Allegri e Antonio Borghesi che non sono state gradite dal pubblico che ha espresso una chiara disapprovazione. I motivi della frizione riguardano le dichiarazioni di Allegri che fanno esplicito riferimento ai transfughi ed al suo impegno di devolvere, nel caso in cui verrà eletto sindaco, gli introiti di Sindaco a favore delle necessità del comune.
Michele Bertucco con i suoi interventi ha dimostrato di conoscere i problemi concreti della città e di avere predisposto una strategia puntuale per risolverli. I suoi interventi hanno condizionato le risposte degli altri candidati quando è intervenuto per primo. Infatti Allegri ha affermato diverse volte di trovarsi d’accordo con Bertucco senza aggiungere nulla di nuovo. Quando invece Bertucco è intervenuto per ultimo ha spiazzato i suoi concorrenti.
Borghesi ha richiamato il suo impegno nel ruolo di Presidente della Provincia nell’affrontare i problemi amministrativi della città, dimenticando che da quell’epoca è passato troppo tempo e che nel frattempo molte cose sono cambiate nella città, e si è focalizzato sui costi della politica.
Allegri ha sottolineato che occorre utilizzare il fattore cultura per avviare lo sviluppo della città.
Sui temi del traforo e Ca’ del Bue Bertucco ha dimostrato conoscenza e competenza, argomenti questi sui quali il candidato alle primarie ha dimostrato già in passato il suo impegno al servizio della comunità.
Non sono mancate le critiche all’Amministrazione Tosi in diversi ambiti:
- Ambiente, Bertucco ha ricordato che Verona si classifica al terzo posto tra le città che soffrono di più lo smog con 98 giorni di sforamento della soglia;
- Costi della politica, i candidati si sono trovati d’accordo che occorre procedere ad una attenta revisione della spesa;
- Trasporto pubblico locale, meno mezzi privati e più biciclette e trasporto pubblico;
- Aziende pubbliche di gestione dei servizi pubblici locali, Borghesi ha proposto di sciogliere i consigli di amministrazione per sostituirli con un amministratore unico e Bertucco ha replicato che occorre al contrario ripensare la governance delle aziende e puntare sulle competenze;
- Circoscrizioni, Borghesi dichiara che occorre superarle e sostituirle con la democrazia tecnologica. Per Bertucco invece le circoscrizioni rappresentano il primo luogo della democrazia locale e per favorire tale partecipazione occorre attribuire delle competenze decisionali e non soltanto consultive.
- Posizione unitaria, i candidati ha espresso unitariamente un giudizio negativo su Flavio Tosi: governo della città individuale, svendita dei gioielli della città per fare cassa, città ferma senza futuro.
Questo primo round tra i candidati alle primarie del centro sinistra il pubblico lo ha assegnato a Michele Bertucco per le competenze dimostrate sui diversi argomenti trattati nell’incontro. Tale giudizio è stato espresso con gli applausi che gli sono stati indirizzati e con i commenti che le persone si sono scambiati dopo la fine dell’incontro.
Molti non conoscevano Michele Bertucco e da ieri sera sono diventati suoi sostenitori alle primarie del 5 dicembre ed …….. alle elezioni amministrative del prossimo anno.
Alla fine dell’incontro ho raccolto il commento di Gabriella Dimitri, nuova sostenitrice di Michele Bertucco, che ha dichiarato: “Ieri sera alla Gran Guardia Michele Bertucco ha dimostrato di essere persona seria, capace, competente ed affidabile con idee vincenti capaci di risolvere i problemi di Verona. Per la Verona che vogliamo e che ci meritiamo occorre sostenere Michele Bertucco a sindaco di Verona.
Paola Lorenzetti ha scritto, riferendosi a Michele Bertucco, in una nota: “Che dire? L'ho apprezzato molto, lo voterò e spero di convincere molte altre persone a votarlo. Michele è l'uomo giusto per la nostra città, quello che può regalarle radici solide per stare ancorata alle tradizioni e nello stesso tempo ali per volare.

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Pietro Ichino scrive al PD sul lavoro

Lettera aperta di Pietro Ichino al Partito Democratico, pubblicata su l’Unità del 22 novembre 2011
All’inizio di questa legislatura erano due i grandi temi caldi della politica del lavoro individuati dal manifesto programmatico del Partito Democratico, sotto il titolo Per dare valore al lavoro. Il primo era quello dello spostamento del baricentro della contrattazione collettiva verso i luoghi di lavoro, anche per aprire il Paese agli investimenti stranieri e ai piani industriali più innovativi che essi sovente portano con sé. Il secondo era quello del superamento del dualismo del nostro mercato del lavoro, del regime attuale di feroce fra lavoratori protetti e non protetti, attraverso il nuovo disegno di un diritto del lavoro capace di applicarsi in modo davvero universale a tutti, conciliando il massimo possibile di flessibilità delle strutture produttive con il massimo possibile di sicurezza economica e professionale per i lavoratori nel mercato del lavoro.
Nel 2009 i due punti programmatici vengono tradotti in altrettanti disegni di legge, rispettivamente n. 1872 e n. 1873, presentati da 55 senatori (la maggioranza del nostro Gruppo al Senato). Il primo dedicato alla riforma del sistema delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva, con la previsione della derogabilità del contratto nazionale da parte di quello aziendale, nell’ambito di regole precise di democrazia sindacale. Il secondo dedicato al disegno di un nuovo diritto del lavoro capace di applicarsi in modo universale, ricomprendendo davvero tutti i nuovi rapporti di lavoro dipendente destinati a costituirsi da qui in avanti, voltando pagina rispetto al dualismo attuale. Entrambi i disegni di legge, però, a seguito della conferenza programmatica del partito del maggio 2010, sono stati accantonati dalla nuova maggioranza nata dall’ultimo congresso.
Per quel che riguarda la prima questione, la critica rivolta nel 2010 dai responsabili del Lavoro e dell’Economia al d.d.l. n. 1872 è quella di attentare al ruolo centrale e insostituibile del contratto collettivo nazionale di lavoro, riducendo la sua inderogabilità. Senonché, collocandosi su questa posizione, il Pd si trova impreparato di fronte alla vicenda degli accordi Fiat di Pomigliano e Mirafiori (poi anche Grugliasco), contenenti alcune deroghe al contratto nazionale; basti ricordare, in proposito, il commento imbarazzato e inadeguato dei vertici del partito al primo dei tre accordi: “Sì, purché sia un’eccezione”. Quella stessa vicenda sindacale è destinata, però, a determinare nel giro di un anno, una svolta epocale nell’evoluzione del nostro sistema delle relazioni industriali, con la firma – anche da parte della Cgil – dell’accordo interconfederale del 28 giugno 2011. L’elemento di maggiore novità in questo accordo è costituito proprio dal rilevantissimo ampliamento della possibilità di deroga al contratto nazionale ad opera del contratto aziendale, nel rispetto di regole precise di democrazia sindacale (altro che “eccezione”!): sostanzialmente, si tratta della stessa riforma che è prevista nel d.d.l. n. 1872/2009. A me sembra evidente che, se il Pd nel 2009 e 2010 avesse confermato la linea cui si ispira quel disegno di legge, la vicenda degli accordi Fiat nel 2010 si sarebbe svolta in modo molto meno lacerante. Il Pd ci arriva, invece, solo dopo l’accordo del giugno 2011.
Meglio tardi che mai. D’accordo. Ma non sarebbe stato inutile che qualcuno dei protagonisti della linea precedentemente tenuta, i quali oggi fanno propria come Bibbia la linea sancita dall’accordo interconfederale di giugno, riconoscesse almeno la bontà dell’idea che era alla base del progetto contenuto nel d.d.l. n. 1872/2009. Desse atto, cioè, ai 55 senatori che lo avevano sostenuto di aver visto giusto. Di questo non si è sentita, invece, neppure mezza parola.
Qualche cosa di strettamente analogo sembra ora destinato ad accadere anche sul secondo versante, quello del superamento del regime di apartheid fra lavoratori protetti e non protetti. Perché il progetto flexsecurity contenuto nel d.d.l. n. 1873, il secondo della coppia proposta due anni fa dalla maggioranza dei senatori del Pd, ha raccolto in questi ultimi mesi il consenso della quasi totalità degli altri gruppi parlamentari; e giovedì scorso è stato inequivocabilmente indicato come base per la riforma da Mario Monti nel primo atto del suo nuovo Governo, cui il Pd ha promesso pieno sostegno. La proposta uscita, su questo terreno, dalle ultime due assemblee programmatiche del Pd (2010 e 2011) – cioè quella di aumentare i contributi previdenziali degli “atipici” – è già stata prontamente attuata dalla “legge di stabilità”, ultimo atto del Governo Berlusconi; e con tutta evidenza non basta per affrontare incisivamente il problema. Il Pd – come ciascuna delle altre forze politiche che fanno parte della nuova maggioranza – ora può proporre delle modifiche o integrazioni al progetto che il Governo indicherà come base di discussione; ma è difficile pensare che possa schierarsi contro un’iniziativa mirata a riunificare progressivamente il mondo del lavoro allineandolo ai migliori standard europei, e che comunque non pregiudica in alcun modo la posizione di chi un rapporto di lavoro stabile regolare già oggi ce l’ha. Non può davvero essere il partito che si qualifica come “fondato sul lavoro” a chiedere al nuovo Governo di restare fermo su questo terreno.

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Silvano Filippi sostiene Michele Bertucco

Appello di Silvano FILIPPI a sostegno della candidatura di Michele BERTUCCO
Ho avuto modo di conoscere ed apprezzare Michele Bertucco molto prima che il Partito Democratico lo scegliesse quale candidato alle primarie di coalizione. Il suo pluridecennale impegno civile nell’associazionismo e nel sindacato, che in questi giorni è stato ricordato dagli appelli di numerosi autorevoli suoi sostenitori, rappresenta un primo importante momento di valorizzazione.
Si tratta però di caratteristiche comuni anche ad altre persone alle quali era stata chiesta la disponibilità ad un’eventuale candidatura. E, per l’appunto, una di queste persone ero proprio io. È stata questa la ragione che, verso la metà del mese di ottobre, ha portato me e Michele Bertucco a confrontarci. Ci siamo seduti intorno ad un tavolo e, con serenità e schiettezza, abbiamo ragionato su chi di noi due fosse il candidato che avrebbe potuto ottenere il più ampio consenso all’interno della coalizione.
Sia io che Michele Bertucco, infatti, avevamo posto una condizione pregiudiziale: avremmo accettato la candidatura solo nel caso in cui il nostro nome avesse incontrato la massima condivisione possibile. Eravamo infatti convinti che, mai come in questo delicatissimo momento storico, dovesse essere compiuto ogni sforzo utile per favorire un processo di coesione funzionale al consolidamento del Partito Democratico prima, e dell’intera coalizione che partecipava alle primarie poi.
Ho così maturato il convincimento che la candidatura di Michele Bertucco si prestava meglio di chiunque altra, compresa la mia, a soddisfare questa pioritaria esigenza di sintesi. In quello stesso momento sono diventato uno dei suoi più determinati sostenitori.
Oggi, dopo che l’Assemblea Cittadina del 3 novembre ha ratificato ad ampia maggioranza la scelta di Michele Bertucco quale candidato unico del Partito Democratico, possiamo dire che, per la prima volta, il PD ha individuato il suo candidato attraverso un percorso democratico.
Il metodo delle primarie si è dunque rivelato convincente. Adesso è necessario che Michele Bertucco vinca le primarie, perché la sua vittoria significa anche la vittoria del progetto del Partito Democratico. Ognuno di noi è quindi chiamato a fare la sua parte. Io ho già cominciato, e rivolgo agli elettori delle primarie l’appello a fare come me: sosteniamo tutti assieme Michele Bertucco.
Silvano Filippi

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domenica 20 novembre 2011

Inchiesta sul lavoro, recensione di Ivan Scalfarotto

dal sito di Ivan Scalfarotto http://www.ivanscalfarotto.it/
Ho da poco finito di leggere il nuovo libro di Pietro Ichino "Inchiesta sul lavoro". E’ un’ottima lettura perché guida il lettore passo passo attraverso le “scandalose” posizioni di Ichino, quelle che hanno meritato al Senatore del PD una delle più tristi battute politiche dell’anno, quella di Matteo Orfini secondo cui la nomina di Ichino a ministro del lavoro sarebbe stata addirittura “una provocazione” contro il nostro stesso comune partito. Il problema è piuttosto, e il libro lo indica in modo lampante, che l’incapacità di una buona parte della sinistra italiana di comprendere le posizioni di Ichino è il sintomo più evidente dell’incapacità di quella medesima parte di comprendere il nostro tempo e il tempo futuro.
Dalla lettura del libro emerge infatti con chiarezza come la visione di Ichino sia ispirata a una logica molto stringente e a un’esigenza reale (e non puramente fantasiosa) di tutela: assicurare più diritti ai lavoratori che non ne hanno senza toccare i diritti di coloro che invece li hanno. E fare tutto questo guardando al lavoro non tanto e non solo come uno strumento assistenziale di liberazione da un bisogno, ma come un elemento essenziale della crescita personale e professionale delle persone. Guardando al contributo del singolo lavoratore e al ruolo dei sindacati come a un elemento strategico della struttura portante dell’economia delle imprese e quindi dell’intero Paese.Tenendo inoltre conto della realtà (globale e complessa) in cui ci muoviamo sia dal punto di vista economico, che da quello dell’organizzazione del lavoro, che delle motivazioni e del senso di realizzazione di chi lavora: tutti elementi che si sono modificati radicalmente nel tempo trascorso tra il 1970 e oggi.
Per non guardare al mondo per come è cambiato, abbiamo tolto la dignità del lavoro a milioni di giovani che, nell’attesa di diritti che non avuto mai, sono invecchiati da precari e si trovano ad avere 40 anni senza aver mai avuto un contratto di lavoro “vero”. E nel contempo abbiamo reso l’Italia il posto meno attrattivo per gli investitori esteri, con il risultato che il nostro Paese ha offerto sempre meno possibilità di lavoro e opportunità di crescita professionale. E’ evidente che questo vero capolavoro strategico vada smontato, e di gran corsa.
Aggiungo una cosa: mi ha molto colpito la struttura di quest’”Inchiesta sul lavoro”, che è strutturata nell’inusuale forma dell’intervista tra lo stesso Ichino e un interlocutore di fantasia incaricato di istruire una sorta di “procedimento disciplinare” nei suoi confronti. Insomma, è una specie di interrogatorio. La cosa mi ha fatto molta impressione intento perché, come noto, il Senatore Ichino è da tempo sotto scorta per le minacce di morte ricevute dalle BR (e il buon Orfini farebbe bene a leggere le parole in testa al primo capitolo prima di esprimersi: “Davvero ci armiamo per ammazzare Ichino?” “E’ tutto pronto dobbiamo solo trovare il posto” “Eh, quello lo devi far fuori, non è che gli puoi far nient’altro che farlo fuori”. Isolare Ichino dal partito è stata una mossa veramente vergognosa, da questo punto di vista, e male ha fatto lo stato maggiore del partito a non dissociarsi immediatamente e vistosamente dalle inavvertite parole del responsabile cultura).
Ma la cosa mi ha fatto specie perché in genere, senza arrivare ai criminali, a sinistra il solo pronunciare il nome di Ichino provoca reazioni negative anche in persone democratiche e paciosissime e, a scavare soltanto un minimo, tutte reazioni puramente emotive. Reazioni fondate in genere non sulla conoscenza delle tesi di Ichino ma su una nomea di “nemico dei lavoratori” che Ichino merita infinitamente meno di chi ha costruito, tollerato e consentito la creazione e la durata di questo sistema ingiusto e indegno di “apartheid”.
La lettura di questo libro ha dunque un’altra fondamentale funzione: quella di smontare l’emotività che circonda e blocca tutta questa materia e aiutare il lettore a comprendere in che direzione andranno le cose. Il Presidente Monti ha spiegato che il suo governo si muoverà in quella direzione, e come al solito i fatti daranno a posteriori ragione ad Ichino. La sua “inchiesta” è dunque uno strumento per comprendere con chiarezza e al di là dei pregiudizi quali saranno le conseguenze delle probabili azioni del nuovo governo e del nuovo diritto del lavoro nel nostro paese.
Ivan Scalfarotto
vice-presidente del Pd

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sabato 19 novembre 2011

Mario Monti per la riforma del diritto del lavoro

Lettera del senatore Pietro Ichino, pubblicata il 19 novembre sul Corriere della Sera
Caro Direttore, sta accadendo un fatto nuovo e sorprendente: l’altro ieri il premier incaricato ha presentato al Parlamento un programma di governo contenente l’indicazione di misure di riforma incisiva dell’impianto del nostro diritto del lavoro, vecchio ormai di oltre quarant’anni, senza che sia scoppiato alcun putiferio. Nel nostro paese questo può considerarsi un piccolo miracolo.
Il primo motivo va cercato nel fatto che il capo del nuovo governo ha chiarito subito un punto politicamente essenziale: il nuovo diritto del lavoro è destinato ad applicarsi soltanto ai rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti; e qui tutti avranno da guadagnare. Dunque, non si “toglie ai padri per dare ai figli”: i padri, se hanno un rapporto di lavoro stabile regolare, non vengono toccati proprio. E i figli staranno molto meglio. Vediamo come.
Mario Monti ha detto, innanzitutto, che dobbiamo voltare pagina rispetto al “dualismo” del nostro mercato del lavoro, cioè alla grave disparità di trattamento fra protetti e non protetti. Non è solo una questione di equità, ma anche di efficienza del nostro tessuto produttivo (stiamo sprecando o male utilizzando il capitale umano di metà della nostra forza-lavoro, soprattutto giovani e donne). A chi entrerà nel mercato del lavoro d’ora in poi dobbiamo offrire un “diritto del lavoro unico”, cioè capace di essere veramente universale. Tutti a tempo indeterminato tranne ovviamente i casi classici di contratto a termine, per lavori stagionali, o sostituzioni temporanee, ecc. ; a tutti le protezioni essenziali, secondo gli standard internazionali e soprattutto quelli europei; ma nessuno inamovibile: la sicurezza economica e professionale della persona che lavora non dovrà più essere costruita sull’ingessatura del posto di lavoro, ma sulla garanzia di continuità del reddito e di servizi di assistenza intensiva nel passaggio dalla vecchia occupazione alla nuova.
Per effetto di questa riforma, il campo di applicazione dell’articolo 18, che tanto sta a cuore alla nostra sinistra politica e sindacale, lungi dal ridursi, è destinato a raddoppiarsi, estendendosi a tutti i lavoratori dipendenti per la parte in cui esso costituisce la misura più appropriata: tutti, infatti, godranno della protezione in questa forma contro il licenziamento discriminatorio, della quale oggi i milioni di lavoratori delle serie B e C sono esclusi. Sarà invece applicata una tecnica di protezione diversa per il caso di licenziamento dettato da motivi economici od organizzativi: qui, per i nuovi rapporti di lavoro, il “filtro” delle scelte imprenditoriali non sarà più costituito dal controllo giudiziale sul motivo, ma dalla responsabilizzazione dell’impresa, attraverso il “contratto di ricollocazione” che essa dovrà offrire al lavoratore licenziato, quando questi abbia più di due anni di anzianità di servizio. Non è ora il caso di esaminare i dettagli del progetto, che comunque dovrà essere riesaminato punto per punto con tutte le parti interessate. Basti dire che a tutti i nuovi lavoratori verrà offerto, per il caso di perdita del posto, un trattamento allineato agli standard dei paesi scandinavi: cioè di quelli dove il più debole tra i lavoratori sta meglio rispetto a qualsiasi altro paese del mondo.
Anche le imprese, dal canto loro, ci guadagneranno: perché il nuovo regime consentirà loro di eliminare il costo ingente del ritardo di anni con cui oggi esse riescono a operare l’aggiustamento degli organici quando se ne presenta il bisogno. I vantaggi della maggiore flessibilità delle strutture produttive compenseranno largamente i costi della sicurezza economica e dell’assistenza che esse dovranno garantire ai lavoratori licenziati.
Ci guadagneranno, in prospettiva futura, le finanze pubbliche, con il risparmio dei milioni di ore di Cassa integrazione che oggi vengono erogate per “congelare” le situazioni di crisi occupazionale, senza affrontarle seriamente. E una parte di quel risparmio potrà essere destinato a finanziare l’estensione del nuovo regime, per i nuovi assunti, anche alle imprese di piccole dimensioni, in modo che non ne derivi per esse un aggravio. Col risultato di superare gradualmente anche l’attuale dualismo di protezioni fra imprese piccole e medio-grandi.
Ci guadagneranno infine le Regioni, cui si chiederà di coprire – anche ricorrendo ai contributi del Fondo Sociale Europeo, oggi sovente inutilizzati i costi dei servizi di outplacement e di formazione mirata attivati dalle imprese per l’assistenza ai lavoratori licenziati: questo consentirà loro di riqualificare fortemente la spesa nel settore dei servizi al mercato del lavoro, oggi caratterizzata da enormi sprechi e inefficienze.
Ecco perché anche i più strenui difensori del nostro vecchio diritto del lavoro non potranno mettersi di traverso contro questa riforma: perché nessuno ha da perderci, e molti hanno da guadagnarci. Tra questi soprattutto un’intera generazione di lavoratori, che oggi quel vecchio diritto del lavoro non lo vedono neppure di lontano.

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venerdì 18 novembre 2011

Mario Monti contro l’apartheid

Intervista a Pietro Ichino di Ettore Maria Colombo, pubblicata su il Riformista il 18 novembre 2011
Palazzo Madama, interno giorno. Il Senato della Repubblica sta discutendo e votando la prima fiducia al governo Monti, che ha appena tenuto il suo primo discorso in Parlamento proprio qui, in Senato. In una saletta che si trova tra l’aula e il (piccolo) Transatlantico del Palazzo, il senatore del Pd Pietro Ichino siede assieme con il neoministro al Welfare e al Lavoro, Elsa Fornero, per una lunga e approfondita chiacchierata. La conversazione, è evidente, tocca tutti i punti di scottante attualità oggi sul tappeto e, alla fine, una torma di giornalisti si avvicina al senatore, e professore, Ichino per strappargli brandelli di notizie. Dopo il ministro, tocca al Riformista. Il Professore è guardingo, scandisce le parole, alla fine vorrà rileggere tutta l’intervista, ma – dice chi lo conosce bene – “fa sempre così, eppoi è un timido”. In ogni caso, Ichino non è diventato ministro, ma una cosa è certa: il suo ruolo e le sue idee peseranno sempre di più. Dentro il governo e, già che ci siamo, pure nel Pd. Dove non tutti la pensano come lui, anzi: dove le sue proposte scatenano polemiche. Infatti, è solo sull’ultima domanda che Ichino pensa a lungo, prima di rispondere.
Senatore, cosa ne pensa del discorso programmatico di Monti?
É stato un esempio straordinario di buona politica. Un discorso sobrio, ma vibrante di passione civile. Ha tracciato un quadro organico ed equilibrato di misure efficaci e incisive, destinate a gravare progressivamente su chi più ne è capace. Inoltre, Monti ha individuato molto lucidamente i difetti del nostro Paese che è più urgente correggere.
Ha promesso equità e rigore. Arriveranno in pari misura? Non ho motivo di dubitarne. Le migliori premesse perché ciò accada ci sono tutte: sia la qualità delle persone che compongono questo governo sia, e in particolare, la qualità di chi lo guida. Conosco Mario Monti da molto tempo e so bene che il suo primo scrupolo sarà di fare esattamente quello che promette.
Senatore, lei ha lungamente parlato con il neo-ministro Fornero. Come la giudica? È una grande conoscitrice del sistema del welfare e ha le idee chiarissime su quello che occorre fare. Attuerà le politiche che Monti ha enunciato nel suo discorso al Senato. Conosco bene anche lei: è una riformista di razza.
Una parte del Pd e la Cgil temono ‘imboscate’… Ma quali imboscate? Più alla luce del sole di così non si potrebbe operare. Il Primo ministro ha detto chiaro e tondo che non verrà toccato l’articolo 18 per chi oggi ha un rapporto di lavoro stabile e regolare. Verrà invece ridisegnato un diritto del lavoro capace di voltar pagina rispetto al regime attuale, che è di apartheid tra lavoratori protetti e non protetti. Ma questo nuovo diritto si applicherà soltanto ai rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti. Quindi, nell’immediato, nessun licenziamento, tantomeno ‘ondate’ di licenziamenti come dice chi ne parla senza conoscere il progetto, ma soltanto assunzioni a tempo indeterminato più facili. In futuro, dove si applicherà il nuovo regime, a chi perderà il posto di lavoro verrà offerta una protezione, sul mercato del lavoro, ai livelli dei Paesi più avanzati d’Europa.
Vincerebbe il ‘modello Ichino’, dunque? Modello Ichino lo chiama lei. Io preferisco chiamarla flexsecurity alla danese.
E per quanto riguarda le pensioni? Saranno toccate? E come? Andremo progressivamente alla piena applicazione del modello contributivo ‘pro-rata temporis’ anche per i pensionati ‘di serie A’ della riforma Dini del 1995, e cioè per coloro che hanno cominciato a lavorare prima del 1978. Lo si applicherà, finalmente, anche ai vitalizi dei parlamentari.
Ultima domanda, ma importante. In un’intervista rilasciata proprio al Riformista, Matteo Orfini, esponente della segreteria del Pd, ha definito ‘una provocazione’ la possibilità che lei potesse fare il ministro e ‘largamente minoritarie’ le sue idee, all’interno del Pd. Come risponde? A Orfini ricordo che il mio progetto di riforma del mercato del lavoro è stato presentato, qui in Senato, con la firma della maggior parte dei senatori del Pd, e in perfetta coerenza con il manifesto di Politica del Lavoro con cui il Pd nel 2008 ha preso il 33,3% dei voti alle elezioni politiche. Nel Pd non sono affatto isolato: la pensano come me non soltanto le due grandi minoranze che fanno capo a Walter Veltroni e a Ignazio Marino, ma anche diversi esponenti della maggioranza. A mia volta, però, chiedo a Orfini di studiarsi meglio il mio progetto di legge prima di rilasciare, su di esso, affermazioni avventate. Poi vorrei fare io una domanda a lui.
La faccia. Ora che i senatori democratici hanno votato la fiducia al Governo Monti su di un programma che contiene idee molto vicine al mio progetto, che cosa intende fare? Li bollerà tutti come social-traditori?

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giovedì 17 novembre 2011

Verona, Primarie del 4 dicembre

Lo strumento delle primarie è il carattere distintivo del modo di rapportarsi del Partito Democratico con i propri elettori. Una modalità di coinvolgimento che rende possibile la partecipazione dei cittadini ai momenti decisivi della vita del partito, un segno di distinzione che rende il nostro partito unico.
Il 4 dicembre Verona si vota per scegliere il candidato sindaco della coalizione di centrosinistra che affronterà le elezioni amministrative della prossima primavera.
Il Partito Democratico ha designato Michele Bertucco quale candidato a sindaco della città.
Per questo, è necessario votare e invitare tanti a venire alle primarie. Sono l’occasione per lanciare il segnale dell’alternativa, di un diverso modo di governare la cosa pubblica, favorendo la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini sin dalla scelta del candidato sindaco.
Per la prima volta i cittadini di Verona potranno scegliere il loro candidato a guidare la città per il quinquennio 2012-2017.
Sono convinto che, dopo un periodo oscurantista e privo di realizzazioni importanti (quel poco che è stato fatto viene da progetti partiti durante l'amministrazione precedente).
Verona deve ritornare al suo ruolo centrale nei collegamenti tra nord e sud Europa, deve ritrovare lo smalto che ha consentito di portare alla ribalta internazionale il Quadrante Europa, la Fiera, la sua cultura, le sue eccellenze produttive e di ingegno.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un lento declino dell’immagine e, quel che è peggio, dell’economia del nostro territorio; l’attuale sindaco nulla ha fatto per operare nella direzione che la precedente amministrazione aveva iniziato a costruire, anzi ha cancellato, ha fermato Polo Finanziario, PAT, Tramvia,ecc.
Michele Bertucco è la persona giusta ritornare a perseguire la linea del cambiamento.
Da molti anni è impegnato nell'associazionismo per tutelare il territorio e la salute dei cittadini e rappresenta il collegamento della coalizione di centrosinistra con il mondo dell'associazionismo, dal quale proviene e nel quale ha dato modo di evidenziare doti di competenza e dedizione.
Sosteniamolo con convinzione e impegno alle primarie del 4 dicembre prossimo e ancora di più successivamente, se sarà, come mi auguro, il candidato sindaco per tutto il centrosinistra nella competizione elettorale per riconquistare il governo della nostra città!

Lorenzo Dalai
Consigliere Provinciale del Partito Democratico

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mercoledì 16 novembre 2011

Michele Bertucco sindaco a Verona: la forza delle idee

Cari Amici,
mi sento di consigliare a tutti voi e con forza la candidatura di MICHELE BERTUCCO SINDACO A VERONA.
Michele è una persona mite, moderata, trasparente e genuina ma con una grande forza e determinazione che gli viene dalle idee che difende e porta avanti con coraggio da anni nell’ambito delle associazioni a difesa e tutela dell’ambiente.
Voi tutti sapete quanto è importante l’Ambiente, la sua difesa ed il suo rispetto. Leggiamo continuamente di disastri ambientali, inondazioni e fiumi di fango che sommergono la nostra bella Italia ed il nostro Veneto. L’Ambiente è un “tipino” particolare: non si compra con i voti, ed anzi pare che addirittura porti pochi voti, però quando non lo si rispetta, si ribella con tutta la forza e la violenza di cui solo la natura è capace. Sommerge, distrugge, sradica, inonda, demolisce, uccide: in un attimo tutto quello che abbiamo costruito in anni di fatica e di rinunce viene coperto da fango e distrutto. I nostri affetti, le persone più care spariscono travolte. Se non ci fossero stati i recenti fatti accaduti in Liguria e nel Veneto nei mesi scorsi, passerei per visionaria..
L’ambiente è importante non solo per la sicurezza, ma anche per preservare la nostra salute da malattie. L’inquinamento e le polveri sottili provocano asme e patologie respiratorie sempre più in aumento anche tra i bambini e noi che ci occupiamo da anni di sanità lo sappiamo bene.
Michele Bertucco, ha dimostrato il suo impegno e passione sui temi ambientali ed il suo incarico di Presidente di Lega Ambiente lo testimoniano.
Voi, amici, che mi conoscete da anni, sapete quanto io ami la mia città Verona: una città che mi ha dato i natali, che mi ha visto crescere, frequentare le scuole primarie e secondarie, ed eccetto il breve periodo universitario trascorso a Bologna, mi ha visto impegnata per decenni come docente nei diplomi universitari e nelle scuole di specializzazione post laurea di medicina, e mi vede tuttora impegnata nel lavoro come Dirigente Biologo in Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona.
Io, in questi ultimi tempi ho visto un peggioramento della qualità di vita della mia città, e questo peggioramento mi è anche testimoniato spesso da tutti voi. Inquinamento, mobilità non più sostenibile, mancanza di percorsi di mobilità ciclo-pedonale degni di questo nome, continuo abbattimento del verde pubblico, nuove cementificazione di aree verdi con più del 20% del nostro patrimonio edilizio abitativo non occupato ed in condizioni di pericolo pubblico per l’incuria. La pianificazione del territorio pubblico non può essere sempre più affidata ai privati ed al loro potere economico. Il suolo è una risorsa non rinnovabile, un elemento del paesaggio e del patrimonio culturale e Verona è una città d’arte che vive su questo patrimonio e quindi abbiamo il dovere morale di custodirlo e lasciarlo ai nostri figli. Dunque anche noi che proveniamo dalla società civile, che non abbiamo mai fatto politica attiva, dobbiamo impegnarci per proteggere e tutelare la bellezza delle nostra Verona.
Verona deve tornare ad essere “cultura” nell’accezione più ampia del termine: cultura del bello, della salute, dell’ambiente, del verde, del patrimonio artistico che ci hanno lasciato i nostri avi, cultura delle differenze, cultura della solidarietà e dell’accoglienza, cultura del bene comune e del rispetto reciproco, cultura degli stili di vita sani e sostenibili, cultura della mobilità pubblica, cultura degli spazi pubblici come centri di aggregazione e benessere sociale.
Io credo che Michele Bertucco abbia ampiamente dimostrato in questi anni con i fatti più che con le parole la sua tenacia e convinzione, la forza delle sue idee vincenti.
La nostra bella città merita molto di più. Cari amici venite a votare alle primarie del 4 dicembre 2011 per Michele Bertucco.
Gabriella Dimitri Bencivenni

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martedì 15 novembre 2011

Appello di Roberto Fasoli a sostegno di Michele Bertucco

In vista delle primarie per la carica di sindaco di Verona per la coalizione di centrosinistra, il PD ha scelto Michele Bertucco quale suo candidato unitario. Bertucco raccoglie un consenso vasto e trasversale nel partito e la sua candidatura è condivisa anche da altre forze della coalizione e da ampi settori dell’associazionismo cattolico e laico.
Michele Bertucco
- ha 48 anni e lavora presso un importante istituto bancario;
- è persona di sicura fede democratica, conosciuta e stimata a Verona, e non solo, per il suo pluriennale impegno sui temi del lavoro e dell’ambiente;
- è persona preparata che proviene da una lunga esperienza associativa nel sindacato e in Lega Ambiente;
- conosce molto bene i problemi della nostra città e ha dato prova, negli anni, di piena consapevolezza delle delicate questioni amministrative di Verona;
- ha attitudine al dialogo e all’ascolto e non porta su di sé i segni delle battaglie tra le vecchie e le nuove appartenenze interne al PD;
- si candida per favorire un processo di autentico rinnovamento impegnandosi, come lui stesso ha dichiarato, per costruire nuove e solide relazioni nel partito e nell’alleanza di centrosinistra;
- è consapevole della responsabilità che si assume rinunciando, per questa scelta, anche agli importanti incarichi cha attualmente ricopre.
Dimostrerà con i fatti di essere la persona in grado di rappresentare al meglio il nostro partito, valorizzando il pluralismo interno come ricchezza e non come fonte di divisione o di esclusione.
La candidatura di Michele è un fatto molto positivo che ci permette di tenere unito il partito e di dialogare non solo con la coalizione ma anche con tutti i cittadini veronesi. Ora ci aspettano le primarie che sono per noi un passaggio fondamentale. Gli altri candidati meritano rispetto e attenzione. Per parte nostra, però, dobbiamo valorizzare la storia personale di Michele Bertucco, espressione genuina dell’associazionismo veronese, che sa salvaguardare la propria autonomia ed essere, al tempo stesso, aperto al dialogo e al confronto costruttivo e schietto con i partiti e le istituzioni. Dovremo far comprendere bene a tutti le ragioni forti della nostra scelta, legata al progetto che intendiamo portare avanti. Noi pensiamo ad una Verona alternativa a quella della amministrazione di Tosi, che si è caratterizzata più per gli annunci ad effetto che per le realizzazioni concrete. Vogliamo un sindaco che si occupi della città a tempo pieno e non la usi per le proprie ambizioni personali, che abbia ben chiare in testa alcune priorità che per noi sono il lavoro, l’ambiente, la scuola e la cultura, la mobilità sostenibile, l’accoglienza e l’integrazione, un sistema di welfare che tuteli tutti e in particolare le persone più deboli.
Verona è una città bellissima e merita una amministrazione che sappia guardare al futuro. Dobbiamo essere in grado di riaccendere l’entusiasmo e di promuovere la più ampia partecipazione.
Michele Bertucco è il nostro candidato
.
Sosteniamolo con convinzione e impegno, non solo in occasione delle primarie del 4 dicembre prossimo, ma anche e soprattutto se sarà, come mi auguro, il candidato sindaco per tutto il centrosinistra nella competizione contro Tosi.
Roberto Fasoli
consigliere regionale Veneto
del Partito Democratico

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Vincenzo D’Arienzo, privilegi nelle aziende pubbliche locali

Sui privilegi alla casta delle aziende pubbliche veronesi Vincenzo D’Arienzo, segretario del Partito Democratico di Verona, esamina con attenzione l’articolo ed afferma che “negli enti di secondo livello la trasparenza debba essere massima”.
Purtroppo nelle società costituite indirettamente dal Comune e dalle società partecipate la trasparenza è bassa: non si conoscono gli organi societari (ad eccezione delle società controllate da AGSM), i bilanci ed i fatti organizzativi rilevanti per gli utenti.
L’Agsm per esempio si è rifiutata di comunicare ai consiglieri comunali che ne hanno fatto richiesta e, quindi, agli utenti gli atti relativi alla sponsorizzazione della squadra di calcio Hellas Verona. Inoltre, i bilanci delle società costituite da Agsm (Agsm Energia, Agsm Distribuzione, Agsm Trasmissione), Amia (Ser.It, Transeco, Drv e Amia consulting), e Atm e Aptv (Atv) non sono pubblicati nel sito istituzionale e, pertanto, le associazioni dei consumatori, i ricercatori, i giornalisti specializzati ed i cittadini non possono effettuare alcuna analisi di bilancio e rendere trasparenti le loro valutazioni.
Le aziende pubbliche locali di Verona non hanno ancora introdotto gli indicatori di qualità e quantità stabiliti dal D. Lgs. n. 150 del 2009 (ambiente, energia, trasporti).
Per il servizio a beneficio del territorio, continua D’Arienzo, non mi stupisco degli strumenti oggi necessari per meglio svolgere il proprio incarico, purché vi sia corrispondenza tra l'impegno da svolgere e lo strumento a disposizione per farlo e bene. Quindi, non mi allarmano il computer, serve per favorire e velocizzare le conoscenze e le decisioni o il cellulare, imprescindibile nell'attuale sistema delle comunicazioni. Di fatto sono opportunità per svolgere compiutamente il proprio lavoro. A patto che non ci siano abusi e viene ben disciplinato e controllato l'uso pubblico e quello privato”.
Concordo con D’Arienzo che nel terzo millennio assumono importanza la velocità e l’interconnessione e, pertanto, tali fattori risultano indispensabili per il management che svolge delle attività continue ed è titolare di un ruolo di responsabilità da esercitare in modo costante. Occorre verificare se i consiglieri di amministrazione delle società interessate svolgono tali attività e ruolo in modo continuo o se, al contrario, il loro dovere consiste nell’essere presenti solo nei consigli di amministrazione. In quest’ultimo caso gli strumenti (telefonini, i-pad e altro) messi a loro disposizione sono inutili e rappresentano degli sprechi.
“Quello che non capisco, conclude Vincenzo D’Arienzo, è perché ci siano tante auto per ciascun Ente e i biglietti per il tempo libero, in Arena o allo stadio. E' evidente che questi nulla hanno a che vedere con il compito da svolgere. Quindi, meglio metterci le mani per correggere situazioni che rischiano di danneggiare i medesimi Enti e di minare la fiducia dei veronesi verso gli stessi”.
Condivido quest’ultima dichiarazione di Vincenzo D’Arienzo.
Su questo punto la chiarezza ci può essere offerta responsabilmente dai consiglieri di amministrazione che rappresentano il PD e precisamente Marco Burato (Agsm), Elisa La Paglia (Amia) e Alessandro Bandiera (Veronamercato).
Vorremmo anche conoscere il comportamento dei consiglieri di amministrazione in sede di approvazione delle deliberazioni relative ai benefit.
La casta non ha ancora capito che la trasparenza oggi si impone anche se alcuni comportamenti vengono nascosti e non resi pubblici. Pertanto, conviene adottare la politica della sincerità e della franchezza perchè l'opacità e le bugie non pagano più.

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lunedì 14 novembre 2011

Federico Testa, bollette luce e gas

articolo di Stefano Agnoli, pubblicato su Corriere della Sera – Corriere Economia il 14 novembre 2011
Gli oneri impropri (5,53 miliardi di euro) finanziano di tutto: dalla legge Gelmini alle Fs fino alle aziende vicine alla lega.
La bolletta della luce e del gas è come un bancomat. E’ sempre stato così, ma negli ultimi anni la tendenza è sfacciatamente quella. Un po’ come le accise sulla benzina. C’è bisogno di finanziare un decreto o di incamerare un centinaio di milioni nel bilancio dello Stato? Si attinge da quanto famiglie e aziende pagano per l’elettricità o per il gas.
I conti
Nel 2010 cinque miliardi e mezzo di euro sono serviti a coprire i cosiddetti “oneri di sistema”. Storia vecchia, ma ora parecchie di quelle voci (e tante altre sorgenti di spesa) avrebbero bisogno di essere riviste, o addirittura soppresse. A sostenerlo da tempi non sospetti è Federico Testa, professore veronese e deputato Pd, membro della Commissione attività produttive della Camera: “Proseguendo su questa strada il rischio concreto è che alla fine l’equilibrio del sistema venga trovato sulle spalle di piccole imprese e consumatori, gli unici che le bollette le pagano fino in fondo”.
A cosa si riferisce?

L’elenco è lungo ma vale la pena percorrerlo. Si può partire dai 100 milioni prelevati ogni anno alla voce “oneri nucleari”. Fondi che non vengono utilizzati per metter ein sicurezza le centrali, ma che finiscono nei conti pubblici per finanziare il taglio dell’Irpef deciso nel 2005. E che dire poi del fatto che su tutti gli “oneri di sistema” si paga anche l’Iva? Qui ballano 200 milioni di euro. Una “tassa sulle tasse” che ha effetti paradossali, visto che l’Iva viene applicata a misure di solidarietà come il “bonus elettricità” per le famiglie disagiate. Nella dichiarazione dei redditi la beneficienza non è tassata. In bolletta invece si.
Ma si può proseguire con provvedimenti più recenti: come il finanziamento alla legge Gelmini sull’Università. Fino a 500 milioni ottenuti con i risparmi derivanti dalla risoluzione anticipata delle convenzioni. Cip6, cioè quelle aziende che come Edison, Saras ed Erg si sono fatte pagare caro prezzo dal 1992. Avanti ancora: che dire dei”regimi tariffari speciali” che in passato hanno riguardato imprese ad alta intensità energetica (acciaierie e cementifici) e che ora appannaggio esclusivo di Rti (ex Ferrovie) per 376 milioni? O del mezzo scandalo dei 69 milioni delle “integrazioni tariffarie alle imprese elettriche minori”, estese nel 2009 con un blitz della Lega a 100 piccole aiende quasi tutte del Nord Italia? O dei 600 milioni l’anno garantiti a 180 aziende che hanno accettato di essere distaccati dalla rete (interrompibilità) senza preavviso in caso di emergenza? Peccato che rispetto ai primi anni 2000 la situazione del mercato si sia ribaltata, e ora il parco elettrico nazionale sia abbondante e sottoutilizzato. Imprese e cittadini pagano per l’elettricità che non consumano: 75 milioni di euro nel 2010 per l’energia eolica prodotta, ma non immessa in rete da Terna.
Brutte sorprese
Dallo scrigno di Pandora della bolletta si potrebbero estrarre altri mali. E il futuro non si presenta più roseo. Famiglie e piccole imprese rischiano di doversi sobbarcare i costi dell’equilibrio del sistema, come spiega ancora testa, visto che soprattutto su di loro peserebbe l’onere per tenere a disposizione la capacità produttiva tradizionale (capacity payment) necessaria per compensare l’intermittenza delle fonti rinnovabili. Che già di soli incentivi costeranno 100 milioni in 10 anni. Persino la bufera sui mercati finanziari potrebbe gravare su questi “anelli deboli”: il rendimento dei Btp decennali negli ultimi 12 mesi, schizzato oltre il 7% è parte integrante della formula che determinerà il rendimento riconosciuto dall’Autorità alle varie Snam e Terna per il periodo 2012_20155. Le tariffe le pagano i consumatori, ma la patata bollente di queste decisioni passa al numero uno dell’Autority, Guido Bortoni.

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domenica 13 novembre 2011

Verona, la casta delle aziende pubbliche locali

Due giornalisti di L’Arena, Maurizio Battista  e Manuela Trevisani, hanno condotto una interessante inchiesta  sui benefit delle aziende pubbliche locali di Verona a favore dei vertici aziendali.
La grave crisi economica del paese avrebbe dovuto richiamare al senso di responsabilità e a comportamenti sobri per porre sotto controllo la spesa pubblica, eliminare gli sprechi e le spese inutili o ingiustificate. Questo non avviene nelle società pubbliche di gestione dei servizi pubblici locali, le quali  garantiscono ai vertici aziendali i seguenti benefici: corsi di inglese, benzina gratis, biglietti a teatro e buoni pasto.
In occasione di una conferenza stampa a Berlino, Mario Monti ha dichiarato che occorre “più crescita e riforme strutturali che cancellino ogni privilegio delle categorie e delle corporazioni e superando «il problema italiano di chi protegge la propria circoscrizione elettorale”. Privilegi che “frenano la concorrenza e il mercato”.
Purtroppo a Verona si pensa che i sacrifici e l’eliminazione dei privilegi debbono essere fatti dagli altri.
Inoltre, occorre ricordare che a Verona  vi sono: troppe società di gestione dei servizi pubblici locali, troppi consigli di amministrazione e troppi privilegi in un momento di grave crisi economica.
Infatti, al momento vi sono le seguenti società, distinte per settore, che operano:
- Trasporti: Atv, Atm e Aptv. Le società Atm e Aptv non gestiscono da diverso tempo il servizio di trasporto pubblico locale (scopo sociale) ed il loro mantenimento costa 356.367 euro come compensi agli organi della società. Occorre in questo caso unificare in un’unica società il servizio di trasporto locale;
- Igiene urbana: Amia, Ser.It, Transeco, Drv e Amia consulting. La società Amia può tranquillamente incorporare tutte le altre società e realizzare al suo interno delle business unit per le attività rilevanti delle società incorporate;
- Energia: Agsm Verona Spa, Agsm Energia, Agsm Distribuzione, Agsm Trasmissione. Le società Agsm Energia e Distribuzione devono essere separate per legge mentre la società Agsm Trasmissione può essere incorporata da Agsm Verona Spa, risparmiando i compensi assegnati all’amministratore unico ed i costi generali di supporto.
Occorre al più presto ridisegnare il numero delle società di gestione dei servizi locali e di conseguenza tagliare gli organi di gestione ed i relativi costi delle società incorporate.
Inoltre, è necessario eliminare l’attuale sistema di nomina dei soggetti nei consigli di amministrazione che consente la lottizzazione del potere tra i gruppi consiliari attraverso la sottoscrizione delle candidature da parte dei consiglieri comunali. Pertanto, occorre consentire la presentazione di candidature indipendenti dal sistema dei partiti, istituire per i candidati un colloquio pubblico e valutare con responsabilità ed indipendenza le conoscenze e le competenze dei candidati.
Eliminare i privilegi che attualmente vengono garantiti attraverso i benefit, la moltiplicazione delle società e la lottizzazione del potere consente di diminuire i costi ed intervenire sul livello delle tariffe dei servizi pubblici locali.
Si riporta l’articolo di Maurizio Battista e Manuela Trevisani, pubblicato su L’Arena del 13 novembre 2011
“Dall'auto all'iPad, i privilegi della Casta”
I COSTI DELLA POLITICA. Mentre il prossimo premier Mario Monti promette sacrifici e sobrietà, a livello locale continuano comportamenti e spese ingiustificati
Politici e vertici aziendali pubblici non si fanno mancare nulla: dai corsi di inglese alla benzina gratis, dai biglietti a teatro ai buoni pasto
Mario Monti, probabile nuovo premier di un governo di emergenza nazionale, per anni commissario europeo e presidente della Bocconi ha messo subito tutti in guardia: basta con i privilegi in Italia. Quelli grandi e quelli piccoli. Perché si va dalle pensioni d'oro (o baby), ai menù scandalosi del Senato (i prezzi ora sono stati rivisti verso l'alto) fino ai benefit delle aziende pubbliche locali.
E anche Verona fa la sua parte: tra auto aziendali offerte e usate con disinvoltura, telefonini pagati dall'azienda, I Pad per tutti i consiglieri anche se il cda si riunisce una volta o due al mese quando va bene, corsi di lingua inglese perché non si sa mai che si debba andare all'estero, biglietti gratuiti per poter assistere (tutte le sere) agli spettacoli in Arena e al Teatro Romano, buoni pasto e così via l'elenco è lunghissimo. Ma sono questi solo alcuni dei benefit di cui godono presidenti, direttori e persino alcuni consiglieri dei Cda delle aziende partecipate dal Comune, che prevedono già compensi considerevoli per i loro vertici. A fare da corollario agli stipendi di quella che ormai tutti tendono a definire "la casta", ci sono anche piccoli privilegi: costi che vanno a gravare sui bilanci di queste aziende pubbliche e di cui i cittadini spesso non sono a conoscenza.
In pochi sanno, ad esempio, che lo scorso 20 aprile il Consiglio di amministrazione di Veronamercato ha approvato una delibera per l'acquisto di otto I-Pad, gli innovativi tablet della Apple, per 4.550 euro e di un galaxi-tab Samsung, al costo di 20 euro mensili per due anni. Un'iniziativa realizzata in nome del progetto di digitalizzazione del materiale di supporto per i lavori del Cda. Inizialmente avrebbero dovuto essere dieci galaxi-tab: poi la maggior parte dei membri ha optato per il più gettonato I Pad, ad eccezione di Annunciato Maccini, che ha preferito restare sulla vecchia opzione, e di Giorgio Gugole, che ha dichiarato di non essere interessato all'apparecchiatura, sollevando così l'azienda dall'acquisto. Almeno il direttore di Veronamercato Paolo Merci ha rinunciato al premio di produzione e in alternativa utilizza un'auto aziendale.
E le auto aziendali non mancano anche ad Amia, l'azienda che si occupa della raccolta di rifiuti: direttore e presidente hanno a disposizione un'Audi A6, mentre ad altri dirigenti sono stati destinati veicoli più economici, come Fiat Croma e altri modelli ma comunque a spese dell'azienda. Inoltre, pare ormai diventata consuetudine per i dirigenti rifornirsi di carburante agli impianti che si trovano all'interno dell'azienda, predisposti per i camion che si occupano della raccolta di spazzatura: non c'è pericolo di rimanere a secco per gli scioperi e il conto finale del carburante lo paga l'azienda. Ma non basta.
Tra i privilegi di cui possono godere i vertici di Amia, siano o meno qualificati come benefit, ci sono anche corsi di formazione: lezioni private di lingua inglese al presidente Stefano Legramandi e al codirettore Ennio Cozzolotto. E a tutti i dipendenti è stato dato in dotazione un telefono cellulare, che però distingue le chiamate di lavoro da quelle personali, addebitando queste ultime sui conti correnti del singolo lavoratore. Anche Agsm, la multiutility cittadina fornitrice di energia elettrica, ha messo a disposizione dei consiglieri del Cda, oltre che del presidente e del direttore generale, un telefonino (solo per le chiamate di lavoro) e un computer portatile. Le auto aziendali sono di prestigio e magari con il logo dell'azienda si cerca anche di avere l'immunità per parcheggiare la propria auto sul marciapiede come documentano le nostre foto, mentre si è seduti al ristorante per una cena a base di pesce.
E i vertici delle aziende comunali hanno per convenzione i biglietti gratuiti al Teatro Romano e in Arena: ma cosa se ne fa un presidente di azienda di biglietti gratuiti per assistere a tutte le rappresentazioni del Teatro Romano, tutte le sere? Giuseppe Venturini, presidente di Agec (l'azienda di gestione degli edifici comunali), si accontenta invece di buoni pasto del valore di 5,20 euro.
Piccoli - ma nemmeno tanto - privilegi della casta, che gli elettori, veronesi e non solo, sembrano sempre meno disposti a tollerare e chiedono un comportamento più sobrio: in Comune ha fatto scalpore l'estate scorsa che la dirigente straniera di un grande gruppo tedesco, ospite in città, abbia declinato l'invito in Arena per l'opera: non possiamo, si è scusata, ricevere omaggi da amministrazioni pubbliche. Maurizio Battista e Manuela Trevisani

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venerdì 11 novembre 2011

Il Presidente Napolitano determinante per il paese

Tanti avvenimenti in questi ultimi giorni per superare la crisi e tornare a crescere superando i problemi che da diverso tempo ci attanagliano.
Il Presidente Giorgio Napolitano, accompagnato dalla sua sensibilità democratica ed istituzionale,è stato determinante nello stabilire la via da seguire per superare la crisi politica determinatasi nella maggioranza a seguito della votazione del rendiconto finanziario dello Stato.
Le dimissioni postume del Presidente del Consiglio, cioè dopo l’approvazione della legge di stabilità accompagnata dal maxi emendamento, avevano aggravato la crisi di fiducia e di credibilità del mercato nei confronti dell’Italia con i seguenti effetti:
- I rendimenti sui BTP avevano superato il 7% per la prima volta dal 1997;
- Lo spread di rendimento dei BTP con i corrispondenti Bund tedeschi aveva raggiunto livelli record attestandosi a 570 punti;
- La borsa di Milano aveva subito dei crolli del 4%.
A questo punto occorreva prendere delle misure immediate per il bene dell’Italia. Il presidente Napolitano ha stabilito una road map al fine di ristabilire un rapporto corretto tra i mercati e le prospettive dell’Italia:
- Misure urgenti di politica economica che contrastassero la speculazione, rappresentate dal maxiemendamento presentato dal Governo sulla legge di stabilità;
- La nomina di Mario Monti a senatore a vita che lascia prevedere l’assegnazione dell’incarico a formare un nuovo Governo dopo le dimissioni di Berlusconi, le quali dovranno avvenire immediatamente dopo l’approvazione della legge di stabilità;
- La responsabilità di quasi tutti i partiti a sostenere la linea tracciata da Napolitano, il quale incaricherà sicuramente il senatore Mario Monti a formare un Governo capace di affrontare con serietà e urgenza i problemi economici del paese.
I primi effetti positivi che si riscontrano nei mercati finanziari sono i seguenti:
- Piazza Affari continua la ripresa con un rialzo di tre punti;
- Continua la discesa del differenziale di rendimento dei BTP a 10 anni con i corrispondenti Bund tedeschi. Lo spread si attesta a 476 e il tasso del decennale italiano scende al 6,61%.
Queste oscillazioni dimostrano che la fiducia e la credibilità sono fattori determinanti per i mercati finanziari.
Per la prima volta il Pdl apre un dibattito nel suo interno per stabilire se sostenere o meno il presunto Governo Monti. Il Pdl si divide, tra coloro che intendono andare immediatamente ad elezioni e coloro che la pensano in modo contrario, e non è ancora in grado di assumere una posizione politica definitiva.
Di Pietro ha dichiarato la sua contrarietà ad appoggiare un Governo Monti: “al buio non daremo la fiducia a nessuno. Vogliamo che si vada al più presto alle elezioni”. A cuasa di queste dichiarazioni Di Pietro ha ricevuto una rilevante ribellione da parte dei suoi fans ed elettori che hanno espresso la loro contrarietà su Facebook.
La Lega è contraria ad un nuovo Governo guidato da Mario Monti e spera di recuperare i voti dei suoi elettori delusi dal Governo Berlusconi, rimanendo fuori dal Governo.
La scelta di Mario Monti è una scelta puntuale ed utile all’Italia per la credibilità internazionale che egli possiede e per le sue competenze e capacità.
In un momento di grave crisi economica i partiti avrebbero dovuto pensare a superare i problemi sociali ed economici del Paese e non pensare agli interessi di Bottega. Purtroppo tale posizione responsabile non viene assunta da tutte le forse politiche.
Ristabilire la crescita economica, ridurre il debito pubblico, offrire prospettive ai giovani ed ai disoccupati e sostenere le classi più deboli che hanno pagato e pagano gli effetti della crisi sono gli obiettivi da conseguire nel più breve tempo possibile. Subito dopo con le elezioni politiche ristabiliscono le regole democratiche: maggioranza ed opposizione sempre nell’interesse dell’Italia.
In questi anni di Governo Berlusconi abbiamo assistito a posizioni della maggioranza di centro destra preoccupata degli interessi del premier e poco impegnata a risolvere i problemi urgenti del paese.
Quest’epoca finalmente si è chiusa ed occorre restituire la dignità e la fiducia che l’Italia merita. Non dobbiamo dimenticare gli sberleffi ricevuti a causa di Berlusconi, tutto preso da suoi interessi personali (leggi ad personam) e dalle inchieste giudiziarie che lo vedono coinvolto.
Questi eventi tristi e desolanti vanno ricordati affinché non si ripetano più.

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martedì 8 novembre 2011

Michele Bertucco inizia il cammino per Verona

Si è svolta oggi la conferenza stampa organizzata dai partiti che sostengono Michele Bertucco alle primarie del centrosinistra che si terranno il 4 dicembre.
Alla conferenza stampa hanno partecipato:
- Michele Bertucco, candidato sindaco Pd, Sel, Psi, Fds;
- Vincenzo D'Arienzo, segretario provinciale Pd;
- Giorgio Gabanizza, segretario provinciale Sel;
- Umberto Toffalini, segretario provinciale Psi;
- Fiorenzo Fasoli, segretario provinciale FdS.
I segretari del centro sinistra che sostengono Bertucco hanno espresso, in modo plurale ma unitario, convinzione e valutazioni positive rispetto alla candidatura di Michele Bertucco per l’esperienza e le competenze maturate nel sindacato a contatto con i lavoratori e nella Legaambiente per difendere la natura contro le devastazioni continue che vengono perpetrate.   
Bertucco ha dichiarato che la sua candidatura è una candidatura che unisce ed ha espresso la sua volontà ad adeguare i contenuti programmatici alle esigenze e bisogni dei cittadini. Il suo programma definitivo nasce dai cittadini  e per i cittadini e sarà rispettato nell’azione politica che svolgerà nel Comune di Verona insieme ai partiti che lo sostengono.   
Dopo la conferenza stampa ho posto le seguenti domande a Vincenzo D’Arienzo, segretario del Pd scaligero: Quali sono le qualità e le caratteristiche di Michele Bertucco per essere scelto come candidato alle primarie del centro sinistra?
Michele Bertucco è chiaro rappresentante di un'idea alternativa della socialità e dello sviluppo di Verona. In questi anni è prevalso l'egoismo amministrativo e politico che ha isolato Verona e ha garantito lustro solo al primo cittadino, ma che non ha portato alcun beneficio ai residenti. Noi guardiamo oltre. Solo con una visione europea di Verona saremo in grado di affrontare le sfide che avremo di fronte coniugando le opportunità con politiche sociali in grado di evitare nuove difficoltà ed emarginazioni.Bertucco ha ben presente i rischi e saprà culturalmente affrontarli. E' uno dei tanti buoni motivi per aver meritato l'appoggio del Partito Democratico.
Con Michele Bertucco i consensi del centro sinistra alle prossime elezioni amministrative possono aumentare?
Aumenterà la fiducia verso la nostra coalizione perché sarà avvertita unitaria, coesa, con un progetto e capace di mettersi in gioco attraverso le primarie e il cantiere delle idee. L'apertura ai veronesi è evidente. Per la prima volta possono partecipare alla stesura del programma e alla scelta del candidato sindaco. Questo sforzo sarà certamente apprezzato.
A Michele Bertucco ho posto i seguenti quesiti: 
Il programma predisposto dal centro sinistra è aperto alla collaborazione dei cittadini ed alla sua visione per risolvere i problemi della città?
Si è un programma aperto alla collaborazione di tutti. Rappresenta una base da cui partire per affrontare tutti i temi della città. E' indispensabile il ruolo che verrà svolto dalla società civile per migliorare il programma, ma anche per confrontarsi con le forze politiche. Questa città la dobbiamo cambiare "in meglio" tutti assieme.
Abbiamo assistito durante la gestione Tosi alla moltiplicazione delle società pubbliche locali, costituite indirettamente dal comune attraverso le società controllate. Ritiene che occorre semplificare e costituire una nuova Governance delle società pubbliche locali per elevare la qualità della vita dei cittadini ed eliminare i costi di gestione inutili e gli sprechi?
Va rivisto completamente l'assetto delle società pubbliche locali favorendo una riorganizzazione che elimini sprechi e clientele. L'obiettivo per una amministrazione è riduzione dei costi, qualità del servizio e attenzione ai cittadini. L' Amministrazione Tosi ha invece utilizzato questo meccanismo per gestire potere e "careghe". Nel programma dovrà essere ampliato e specificato meglio questo punto.
Dalle risposte di Michele Bertucco si evince una chiara volontà di privilegiare i problemi della comunità locale e di realizzare una discontinuità con l’Amministrazione Tosi al fine di valorizzare le risorse di Verona ed avviare una fase di crescita e di sviluppo.

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lunedì 7 novembre 2011

Inchiesta sul lavoro, recensione di Dario Di Vico

pubblicata sul Corriere della Sera del 6 novembre 2011 (Pietro Ichino, Mondadori, 2011)
Il pretesto letterario è intrigante: il Partito preoccupato che il senatore Pietro Ichino, giuslavorista competente quanto scomodo, stia peccando di intelligenza con il nemico manda un ispettore a interrogarlo per capire “che cosa c’è di vero” nell’accusa che gli viene rivolta. Nasce così “Inchiesta sul lavoro”, il nuovo libro di Ichino che Mondadori manderà in libreria l’8 novembre con il sottotitolo “perché non dobbiamo avere paura di una grande riforma”. Il giuslavorista-imputato replica punto su punto alle domande dell’ispettore, difendendo non solo il proprio lavoro e le proprie idee ma anche “il diritto politico di restare dentro il Pd”. E davanti alla perfida obiezione dell’ispettore (“Il tuo vero posto è nel Terzo Polo”) il riformista Ichino risponde che la sinistra è la sua casa e non si rassegnerà mai a vederla “impegnata a frenare il cambiamento”.
Il piatto forte dell’auto-difesa del giuslavorista è il disvelamento della grande ipocrisia che ha nutrito la cultura politica della gauche italiana in tema di lavoro: l’accettazione dell’apartheid. Da un lato un posto di lavoro ipergarantito per 9,5 milioni di occupati stabili e dall’altro una forza lavoro flessibile di 11 milioni di persone che svolgono mansioni come gli altri ma che restano fuori dalla cittadella dei diritti. La prova provata dell’apartheid, del resto, sta nelle conseguenze occupazionali della Grande Crisi iniziata nel 2008: il milione di posti perso appartiene quasi interamente al lato oscuro del lavoro, i non protetti. E a questo punto è Ichino che prende ad incalzare il suo inquisitore: una sinistra che si professa universalistica può chiudere gli occhi di fronte a questa realtà e puntare a conservarla? Una linea continuista, aggiunge il senatore, poteva avere un senso negli anni ’70 quando il tessuto produttivo del Paese e la forza sindacale di protezione erano incardinati sulla grande fabbrica fordista e non esisteva quello che di lì a qualche anno avremmo incominciato a chiamare il “decentramento produttivo”. Da allora però è cambiato tutto, la stessa vita media delle aziende si è incredibilmente accorciata – e aggiungiamo noi – gli studi sui flussi elettorali hanno dimostrato come la sinistra abbia perso (quanto meno) il monopolio della constituency operaia. La proposta che Ichino suggerisce al Pd per non morire di ipocrisia è spendersi per chiudere il dualismo e riunificare il mercato del lavoro, per condurre un’operazione che la destra non riesce a fare perché vuole minare la forza della Cgil più che varare vere soluzioni di sistema (il riferimento è al ministro Maurizio Sacconi).
Quindi invece di lanciare un incomprensibile ossimoro come “licenziare per assumere” (inevitabilmente schiavo di una logica dei due tempi), ci vuole un progetto organico di riforma che prenda petto lo spinoso tema dell’articolo 18 e si configuri come una proposta di modernizzazione rivolta al Paese. Da riformista che vuole mostrarsi con i piedi per terra, Ichino suggerisce di attingere da ciò che già esiste, il meglio che abbia prodotto l’Europa-culla-del-welfare: il modello danese. L’ispettore del Partito dopo l’allungo dell’imputato riprende fiato e gli obietta che “quelli sono paesi ricchi e di piccole dimensioni, non si può pensare di trasferire le loro soluzioni in Italia”. La Svezia è come la Lombardia, la Danimarca come il Piemonte, replica Ichino e implicitamente suggerisce ai dubbiosi una sperimentazione regionale prima di estendere il modello a tutto il territorio nazionale. Si comincia ridefinendo la nozione di lavoro dipendente (tutti coloro che operano in regime di mono-committenza con meno di 40 mila euro annui), si adotta un codice di lavoro semplificato di soli 70 articoli e in materia di licenziamento si abolisce l’articolo 18 solo per quanto riguarda “i rapporti costituiti da qui in avanti”. Il lavoratore licenziato ha diritto a un’indennità di una mensilità per ogni anno di anzianità. Se ha maturato almeno due anni di servizio il dipendente messo fuori dai ranghi aziendali ha diritto a un contratto di ricollocazione che prevede un trattamento complementare di disoccupazione e l’attivazione di servizi di outplacement. Di fronte all’auto-arringa dell’imputato Ichino si può, a destra come a sinistra, dissentire ma occorre produrre la stessa qualità di argomentazione. Grazie a questo libro l’asticella del confronto si alza.

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