sabato 30 ottobre 2010

Famiglia Cristiana: Berlusconi di nuovo nello scandalo

articolo di Giorgio Vecchiato
L’ultima bufera su Berlusconi e la sua corte di ragazze sta provocando ondate di reazioni, una diversa dall’altra. C’è chi, con linguaggio sprezzante, lo esorta a dimettersi. Chi già apertamente lo insulta nelle rubriche tv, con termini da trivio. Chi vede solo l’aspetto etico e chi tenta analisi politiche a freddo, interrogandosi sule conseguenze. Chi tende a ingigantire e chi tenta di arginare: però nel secondo caso, vedi stampa di destra, con titoloni su tutta la prima pagina. Per una vicenda che si voleva sopire, strana tecnica. E siamo solo all’inizio. Come sa chi ha un minimo di esperienza sul gossip e le sue diramazioni, aspettiamoci il peggio.
Fra tutte queste reazioni ne manca una che faticheremmo a definire, qualcosa che sta fra la tristezza civile e la pietà umana. Non assistiamo soltanto a una tegola sulla testa del Berlusconi politico, primo ministro in carica e aspirante al Quirinale. Né stavolta si può parlare di complotto giudiziario, o tanto meno poliziesco. Semmai, fino a ieri, prevaleva la circospezione. Il fatto è che esistono testimonianze, alcune opinabili ma altre, ahimè, documentate, che creano un duplice ordine di problemi.
Uno, ovviamente, è politico: la credibilità, meglio ancora la dignità, dell’uomo che governa il Paese; i riflessi sulla vita nazionale e sui rapporti con l’estero; l’esempio che dall’alto viene trasmesso ai normali cittadini. I quali non si sognano né trasgressioni né festini, ma da oggi dovranno abituarsi alle variazioni pecorecce sul “bunga bunga”.
L’altro problema, da valutare come se Berlusconi fosse un tizio qualunque, è la condizione che già la moglie, Veronica Lario, aveva pubblicamente segnalato. Uno stato di malattia, qualcosa di incontrollabile anche perchè consentito, anzi incoraggiato, dal potere e da enormi disponibilità di denaro. Si sa che Berlusconi è un generoso, non lesina su aiuti e ricompense. Ma quale tipo di aiuti, e ricompense per che cosa?Incredibile che un uomo di simile livello e responsabilità non disponga del necessario autocrontrollo. E che il suo entourage stia a guardare.
E’ vero che in passato abbiamo avuto personaggi di primo piano che, oggi, non l’avrebbero passata liscia. Altri tempi, però. Altro comportamento di giornali e tv. Altre cautele. O forse allora si taceva o si sminuiva un po’ per prudenza, un po’ per tristezza e un po’, nessuno sghignazzi, per pietà.

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Federico Testa contesta la mozione Borghesi sui vitalizi dei deputati

Si riporta l’intervento dell’onorevole Federico Testa del Partito Democratico nei confronti della mozione populista e propagandistica presentata dall’onorevole Antonio Borghesi dell’Idv. Avrebbe fatto meglio l’onorevole Borghesi ha presentare un disegno di legge sui vitalizi dei deputati e non una mozione, la quale anche se approvata non avrebbe cambiato nulla.
“Per scongiurare gli eccessi che indubbiamente esistevano, l’istituto dell’assegno vitalizio, costituito in parte da accantonamenti volontari (all’incirca 1000€ al mese per deputato), è stato oggetto di una recente ed incisiva riforma, avviata dal centro-sinistra nella scorsa legislatura. L’assegno spetta ai deputati cessati dal mandato che abbiano compiuto 65 anni di età e abbiano esercitato il mandato parlamentare per almeno 5 anni e abbiano versato i contributi, ed è ad essi rapportato. E’ stato soppresso – dal 2008 – l’istituto della contribuzione volontaria per riscattare le legislature non compiute.
Se l’On. Borghesi avesse voluto davvero abolire il vitalizio, ne avrebbe proposto la riforma nella sede preposta, cioè l’Ufficio di Presidenza della Camera dei Deputati. Invece, scegliendo di presentare un semplice “ordine del giorno” in Aula durante la discussione del bilancio (che anche se approvato, non avrebbe cambiato nulla, come la stragrande maggioranza delle mere petizioni di principio votate dal Parlamento) ha voluto soltanto fare un’operazione di propaganda politica. La cosa è confermata da due ulteriori considerazioni:
- l’ordine del giorno prevedeva anche una cosa evidentemente non possibile, cioè l’abolizione dei vitalizi per il passato. La messa in discussione dei cd “diritti quesiti”, garantiti per legge, è il miglior modo per essere travolti dai ricorsi giudiziari e di conseguenza non cambiare nulla;
- l’Italia dei Valori -dopo essersi fatta respingere l’ordine del giorno- ha poi tranquillamente votato il bilancio, che prevede il mantenimento dello statu quo.
Nel suo programma il Pd propone “una sola Camera legislativa, con 470 deputati, eletti in collegi uninominali, col doppio turno”. E ha proposto l’introduzione del metodo di calcolo contributivo per i vitalizi dei parlamentari, come per ogni lavoratore. Il Partito democratico non procede con ordini del giorno demagogici e inutili ma propone delle riforme reali e possibili. Al contrario, la destra al Governo non ha mostrato alcun segno concreto della volontà di procedere sulla strada di quelle riforme che pure in molti sembrano brandire come arma preferita dalla propaganda politica.
Questi “privilegi”, certamente degenerati nel corso degli anni, all’origine nascevano dalla necessità di garantire la possibilità di fare politica a tutte le classi sociali. Mi spiego: io sono un privilegiato perché sono un dipendente pubblico (università), quando sono stato eletto ero già al livello più alto della carriera (prof. ordinario), sono andato in aspettativa, quando finisco di fare il parlamentare torno al mio posto. Non ho “perso treni” professionali, non sarò penalizzato nella carriera, non ho sacrificato clientela. Già una persona a metà carriera, oppure un dipendente da un’azienda privata, non si trovano nella stessa situazione: questo periodo può incidere negativamente sulle loro prospettive professionali. Idem se si tratta di un artigiano, di un professionista, che fanno bene, a tempo pieno il lavoro parlamentare, e che potrebbero ritrovarsi a ri-partire da zero. Quindi eliminiamo i privilegi, ma troviamo anche il modo di evitare che la politica sia appannaggio solo di chi può “permettersi di farla”. Questa è anche la strada attraverso la quale è possibile favorire percorsi di entrata e -soprattutto- uscita dalla politica, in modo tale che chi “ha fatto politica” non resti “incatenato” alla poltrona perché certamente non vuole perdere privilegi, ma forse anche perché ha perso prospettive professionali. Non vuole essere un alibi, ma una cosa su cui ragionare”.
Federico Testa

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Vincenzo D’Arienzo è il segretario del PD di Verona

Il Congresso Provinciale del Partito Democratico si è concluso con la vittoria di Vincenzo D’Arienzo, sostenuto dalle componenti che in sede locale di richiamano al consigliere regionale Franco Bonfante (area Bersani) ed al deputato Gianni Del Moro (area Enrico Letta). La proclamazione avverrà sabato 13 novembre, alle ore 15, presso il centro Monsignor Carraro.
Le notizie del congresso sono state date ieri in una conferenza stampa alla quale hanno partecipato: Giandomenico Allegri, segretario provinciale uscente, Simone Madinelli, presidente della Commissione di garanzia, Vincenzo D’Arienzo e Mario Lonardi.
Ecco alcuni dati del congresso:
- 60 assemblee (in alcuni casi i congressi locali sono stati raggruppati);
- 78 circoli;
- 3.800 iscritti;
- 2.100 votanti (55% degli aventi diritto, in linea con il congresso dello scorso anno).
I risultati sono i seguenti:
- Vincenzo D’Arienzo: 84 delegati con 59,60% dei voti;
- Mario Lonardi: 57 delegati con 40,4% dei voti.
“A Vincenzo D’Arienzo, ha dichiarato Franco Bonfante, congratulazioni e auguri, a Mario Lonardi una forte e calorosa stretta di mano, al segretario uscente, Giandomenico Allegri, un abbraccio ed un ringraziamento di cuore per aver retto il nostro partito in condizioni difficilissime; le critiche nei suoi confronti, anche nel dibattito congressuale, sono state ingiuste: è vero che il PD a Verona ha subito un calo di voti, ma il calo è più o meno uguale, percentualmente, a tutto il resto del Veneto. È vero, invece, che ha costruito in tutta la provincia il partito, che ha lavorato incessantemente per esso, mai per sé stesso”.
In politica bisogna avere la memoria lunga e non dimenticarsi delle dichiarazioni effettuate all’indomani dei risultati del congresso nazionale dell’anno scorso a Verona. In quella occasione vi era stato il tentativo di congelare i tanti consensi ricevuti da Franceschini, candidato alla segreteria nazionale, a Verona.
In quella occasione nel post “Fogliardi come Penati” avevo scritto: “Chi ha stabilito e con quali criteri che i consensi ricevuti oggi da Dario Franceschini verranno riconfermati nel prossimo congresso provinciale?”
A  questo punto l’area dei sostenitori di Mario Lonardi dovrebbe porsi qualche domanda rispetto al posizionamento dei consensi oggi rispetto al congresso dell'anno scorso.
I consensi di Vincenzo D'Arienzo sono aumentati dal 51,52% delle primarie del 2009 al 59,60% di oggi, tenendo conto che gli amici di Rosy Bindi hanno scelto di votare per Mario Lonardi. Pertanto occorre chiedersi da dove provengono i consensi di Mario Lonardi ed in quale misura e quali consensi Lonardi ha attratto verso la sua candidatura.
Da allora molte cose sono cambiate: la componente di Giampaolo Fogliardi è rimasta orfana di Dario Franceschini e continua ad attestarsi sulle posizioni di Fioroni e Dario Franceschini ha assunto delle posizioni politiche a livello nazionale di collaborazione costruttiva con la segreteria Bersani.
Occorre prendere coscienza che è in giuoco il futuro dell’Italia con tutti i suoi problemi e che la costruzione del Partito Democratico rappresenta uno strumento essenziale per invertire la rotta ed offrire prospettive concrete ai cittadini. Attardarsi su vecchi equilibri e rivalse locali significa non impegnarsi nel progetto proposto del Partito Democratico.
L’esperienza dimostra che i comportamenti non costruttivi e gli attacchi e le polemiche strumentali in assenza di una strategia unificante non portano consensi a chi pratica tali metodologie al contrario i consensi si perdono perché le persone sono stanche di queste testimonianze sterili.
Quali prospettive per il Partito Democratico di Verona?
Avviare un grande processo unitario e selezionare nel prossimo incontro le migliori capacità e competenze da eleggere nella direzione provinciale del PD. Scegliere le persone sulla base della fedeltà e dell’obbedienza al capo non serve a Verona ed al PD.
Occorre lavorare con gli altri e per gli altri perché sono tanti i problemi da affrontare con serietà, competenza e responsabilità. La prima scadenza sono le elezioni amministrative di Verona e per tale appuntamento occorre creare un’alternativa credibile e condivisa con i cittadini veronesi. E' necessario aprirsi alla società veronese attraverso la trasparenza e la sincerità senza tali fattori non si può costruire un rapporto efficace con i cittadini veronesi.
Risultati dei Circoli

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mercoledì 27 ottobre 2010

Donata Lenzi e Federico Testa interrogano sugli invalidi civili

I deputati Donata Lenzi e Federico Testa del Partito Democratico hanno presentato ieri una interrogazione al Ministro Sacconi al fine di conoscere lo stato delle prestazioni di invalidità civile dopo l’entrata in vigore dell'articolo 20 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, considerato che numerose sono le lamentele nelle provincie sui tempi di erogazione delle prestazioni in questione.
Si fa presente che l’Inps è in possesso di tutte le informazioni riguardanti i parametri di qualità e di quantità relative alle prestazioni di invalidità civile. Si riporta l’interrogazione (4-09160).

Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali.
- Per sapere - premesso che:
le prestazioni agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti sono erogate dall'INPS dal 1998 e la funzione relativa alla concessione delle provvidenze economiche è stata trasferita alle regioni dal 2001 (articolo 130 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112). Fino al 2000 tale ultima funzione veniva svolta dal Ministero dell'interno per il tramite delle prefetture;
l'area dell'invalidità civile è stata caratterizzata da forti criticità nel territorio nazionale dovute principalmente a:
a) produzione legislativa frammentaria;
b) diversità degli assetti organizzativi nel territorio regionale originate da scelte politiche e amministrative differenti da parte delle regioni;
c) incapacità da parte della pluralità di enti, coinvolti nel procedimento di concessione e di erogazione dei benefici, di realizzare rapporti efficaci di aggregazione e di integrazione;
il progressivo aumento della fascia della terza età ed i crescenti bisogni che essa rappresenta hanno reso urgente realizzare un sistema più efficace di tutela sociale delle disabilità;
l'articolo 20 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, ha innovato il processo di riconoscimento dei benefici in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità;
con tale provvedimento vengono attribuite all'Inps nuove competenze per l'accertamento dell'invalidità civile con l'obiettivo prioritario di realizzare una gestione coordinata delle fasi amministrative e sanitarie del processo finalizzata alla contrazione dei tempi di erogazione delle prestazioni;
l'Inps, con circolare n. 131 del 28 dicembre 2009, si è posta l'obiettivo di contenere i tempi di liquidazione entro i 120 giorni e di rendere trasparente le fasi del processo di definizione delle richieste di invalidità civile. Per attuare tali obiettivi l'Inps ha introdotto:
a) il fascicolo elettronico sanitario delle prestazioni, evitando cosi il trasferimento delle pratiche cartacee tra gli uffici con notevole perdita di tempo;
b) il monitoraggio delle fasi di lavorazione del processo;
c) la trasparenza dei parametri di qualità e quantità delle prestazioni in questione, così come avviene per le altre prestazioni pensionistiche. Questo punto poteva essere realizzato anche prima delle nuove disposizioni normative in quanto l'Istituto era in possesso di tutte le informazioni necessarie relative alle fasi di lavorazione;
d) la presentazione per via telematica della domanda e della relativa certificazione sanitaria;
le commissioni di accertamento sanitario sono integrate da un medico dell'Inps; le decisioni sono disciplinate a seconda che l'accertamento sanitario si concluda con un giudizio unanime o a maggioranza e l'Inps è l'unica controparte in caso di contenzioso;
la erogazione delle prestazioni dopo 120 giorni dalla data di decorrenza della domanda comporta il pagamento degli interessi legali al richiedente. Questi sono costi che si potrebbero evitare con una gestione più attenta ai tempi di liquidazione delle provvidenze economiche;
nonostante i cambiamenti introdotti dall'articolo 20 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, pervengono molte lamentele sui tempi di erogazione;
Si chiede al Ministro:
se non ritenga urgente operare affinché siano conoscibili il numero presumibile delle pratiche di invalidità civile giacenti presso le sedi periferiche dell'Istituto, suddivisi per anno e per provincia;
se non ritenga necessario conoscere gli importi relativi agli interessi corrisposti agli interessati per ritardato pagamento delle prestazioni;
se non ritenga urgente rendere trasparenti i parametri di qualità e di quantità delle prestazioni di invalidità civile.

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lunedì 25 ottobre 2010

Pietro Ichino su Marchionne e il caso Italia

Sergio Marchionne, amministratore delegato della Fiat, valuta a “Che tempo che fa” la situazione della Fiat e del sistema Italia. Riporta i risultati delle ricerche di World Economic Forum che posizionano l’Italia al 48° posto per competitività, dopo la Lituania, il Cile, Cipro, l’Islanda ed al 118° posto per efficienza produttiva. Questi sono dati preoccupanti che non lasciano intravedere miglioramenti del sistema economico del paese al di là delle difficoltà che la Fiat vive in questo periodo in Italia.
Ho intervistato il senatore Pietro Ichino del Partito Democratico per approfondire l’argomento.

L’intervento di Sergio Marchionne l’ha colto di sorpresa o ha confermato le sue convinzioni?
Non mi ha sorpreso affatto: sono le stesse cose che sto dicendo da più di tre anni. D’altra parte, l’idea che una multinazionale come la Fiat debba investire in Italia soltanto perché il suo amministratore delegato è italiano, oggi, a me sembra una grossa sciocchezza. E mi preoccupa un pò, per le sorti del nostro Paese, sentirla anche in bocca a politici di primo piano.

Perché l’Italia ha una scarsa capacità di attrarre gli investimenti esteri delle imprese globali?
Le cause sono molte, dai difetti di funzionamento delle amministrazioni pubbliche ai difetti delle nostre infrastrutture, al difetto di cultura delle regole che caratterizza tutto il nostro Paese e in modo particolare il nostro Mezzogiorno. Ma tra queste cause va messa anche una legislazione del lavoro caotica, illeggibile, intraducibile in inglese; e un sistema di relazioni sindacali inconcludente, perché attribuisce di fatto un potere di veto sui piani industriali innovativi anche al sindacato minoritario.

Tra le cause della scarsa attrattività dell’Italia per gli investimenti stranieri vi sono anche l’alto costo del lavoro o lo scarso ambiente innovativo, le regole che non privilegiano il merito e il talento?
C’è anche un problema di costo del lavoro: non come costo orario assoluto, ma come costo per unità di prodotto. In altre parole, la produttività del lavoro è mediamente più bassa in Italia che altrove in Europa. Vi contribuisce anche una peggiore allocazione delle risorse umane, determinata da un mercato del lavoro molto vischioso. Poi c’è il discorso sulla chiusura del sistema ai piani industriali più innovativi, che è in parte imputabile alla regola della rigida inderogabilità del contratto collettivo nazionale, anche nelle sue parti relative all’organizzazione, ai tempi di lavoro, all’inquadramento, alla struttura delle retribuzioni. E’ un discorso complesso, cui ho cinque anni fa ho dedicato un libro (“A che cosa serve il sindacato”, Mondadori, 2005): sarebbe difficile riassumerlo qui in due battute.

La scarsa attenzione del Governo verso le riforme da varare nel periodo di crisi è una scelta giusta o prefigura una scelta errata per costruire un futuro in cui la posizione competitiva dell’Italia sia più avanzata rispetto agli altri Stati occidentali e la redistribuzione della ricchezza più equa?
La grande crisi è un’occasione da non sprecare, per ristrutturare il tessuto produttivo e le amministrazioni pubbliche del Paese. Ma per questo occorre avere il coraggio di chiudere aziende e uffici inefficienti, offrendo ai lavoratori coinvolti una solida garanzia di continuità del reddito e di un investimento efficace nella loro professionalità.

La produttività ed i salari in Italia nel privato e nel pubblico sono bassi rispetto agli altri paesi europei. Questo rapporto o equilibrio bisognerebbe farlo saltare perché non produce benefici all’Italia, alle aziende ed ai lavoratori?
Ovviamente sì: dobbiamo uscire dal circolo vizioso della bassa produttività e dei bassi salari. Ma per questo occorre maggior coraggio e incisività nel fare quello che dicevo prima: assecondare la ristrutturazione del tessuto produttivo e amministrativo del Paese.

Quali posizioni i soggetti sociali e politici potrebbero assumere per costruire un nuovo equilibrio più equo e responsabile?
Anche qui il discorso sarebbe troppo lungo e complesso per essere svolto in questa sede. Mi limito a rinviare, per la parte del discorso relativa alla riforma del diritto del lavoro e del sistema delle relazioni industriali, al mio progetto per un nuovo Codice del Lavoro semplificato, contenuto nei due disegni di legge n. 1872 e 1873, che ho presentato l’anno scorso con altri 54 senatori del Pd.

Cosa condivide dell’intervento di Marchionne e cosa invece ritiene che vada corretto o integrato?
A me sembra che Marchionne sostanzialmente abbia ragione quando pone questo problema: in Italia non basta che un accordo come quello di Pomigliano sia firmato da quattro sindacati su cinque e approvato da due lavoratori su tre, per garantirne l’effettività.

Perché ha ragione?
Perché, per esempio, lo sciopero dello straordinario proclamato dai Cobas da qui fino al 2014 produce l’effetto pratico di rendere facoltativa l’applicazione della clausola sul 18mo turno per ciascuno dei lavoratori interessati, che è invece un ingranaggio essenziale del piano. Ma, al di là di questo, io capisco che tutto il dibattito seguito a quell’accordo possa essere visto come una follia.

In che senso una follia?
Quel dibattito è nato da una denuncia della Fiom che non sta in piedi: quella secondo cui l’accordo violerebbe la legge e addirittura la Costituzione. Gli stessi dirigenti della Fiom, quando ne discuto con loro, anche in pubblico, riconoscono che non c’è alcuna violazione di legge e che la vera questione è quella delle deroghe al contratto collettivo nazionale. Ma, intanto, metà dell’opinione pubblica italiana si è convinta che Marchionne offra lavoro solo in cambio di rinuncia ai diritti fondamentali dei lavoratori.

Ma i dirigenti della Fiom ribattono che le deroghe al contratto nazionale portano un peggioramento delle condizioni di lavoro.
Niente affatto. L’ora e mezza in più di straordinario alla settimana porta quaranta ore di lavoro settimanali e 300 euro in più in busta-paga. Fare le barricate contro una “deroga” come questa, in una regione afflitta da una drammatica mancanza di lavoro come la Campania, è davvero una cosa da matti. Quanto alla clausola contro l’assenteismo abusivo, quella avrebbero dovuto chiederla da tempo gli stessi lavoratori, o almeno la maggioranza di loro. Perché non si può difendere il diritto alla malattia retribuita senza combatterne gli abusi più gravi e diffusi, come quelli che ancora recentemente hanno caratterizzato lo stabilimento di Pomigliano.

Qualcuno obietta che si incomincia così e non si sa dove si va a finire.
L’argomento dello slippery slope, del “piano inclinato”, è sempre stato il cavallo di battaglia di tutti i peggiori conservatorismi. Lo è anche in questo caso. Non ci si può chiudere a riccio contro tutte le innovazioni: in questo modo, per evitare le innovazioni cattive si chiude la porta anche a quelle buone.

Perché è cosi difficile avviare il cambiamento in Italia al fine di adattare con continuità le istituzioni ai bisogni ed alle esigenze del Paese?
Perché siamo un Paese in cui il pragmatismo è molto svalutato. Un Paese bloccato da troppi circoli viziosi.

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Le opportunità della crisi

articolo di Irene Tinagli pubblicato su La Stampa del 24 Ottobre 2010
Come ha detto l'economista Paul Romer, è un vero peccato sprecare una crisi. Le crisi possono infatti essere ottime occasioni per ripensare vecchi modelli di sviluppo e investire in futuro, preparando il terreno per la creazione di nuove attività imprenditoriali, nuovi settori, nuove tecnologie.
E questo non lo si fa, come hanno fatto alcuni Paesi, immettendo miliardi di euro o dollari per salvare grandi gruppi, o per stimolare la costruzione di opere pubbliche e case (che andranno ad ingrossare la mole di appartamenti vuoti che già invadono città e periferie), o per incentivare l'acquisto di cucine e lavastoviglie. Misure di questo genere possono solo servire a evitare il tracollo del vecchio (e sulla loro efficacia esistono comunque molti dubbi), ma non certo a creare le basi per qualcosa di nuovo.
Il nuovo lo si costruisce pensando a ciò che deve crescere, formarsi, a ciò che sarà. Il nuovo lo costruiranno in larga parte le nuove generazioni, per questo oggi più che mai sarebbero necessarie politiche rivolte a loro. Nuovi modelli educativi, che insegnino davvero cosa significa essere oggi cittadini nel mondo, figli di una società aperta, informatizzata, dove il problema non è accumulare o memorizzare informazioni, ma essere capaci di analizzarle e ricombinarle in maniera critica. Nuovi modelli di formazione professionale che non inchiodino i ragazzi ad un mestiere che in passato durava 30 anni e oggi al massimo ne dura tre, ma che insegnino loro a gestire e sviluppare le proprie capacità in modo intelligente e flessibile.
Nuovi sistemi di lavoro e di welfare che non tutelino solo i padri, ma che aiutino i giovani ad affrontare la flessibilità senza che diventi una trappola, così come sistemi fiscali e finanziari che diano loro fiducia, pensando non a quanto possono essere spremuti oggi, ma a quanto potranno contribuire domani se aiutati a crescere. E sistemi amministrativi e burocratici internazionali che rendano facile la mobilità fisica, perché è ridicolo lamentarsi oggi della mobilità dei giovani talenti: sarebbero talenti miserabili se restassero ad ammuffire sempre nello stesso posto.
Il vero problema del «talento» oggi non è che è troppo mobile, ma che ancora non lo è abbastanza. Considerato quanto è stato investito, a livello internazionale, in infrastrutture, autostrade, aeroporti e in armonizzazione dei sistemi per far circolare le merci, è impressionante quanto poco sia stato fatto per facilitare la mobilità delle persone e dei lavoratori da un Paese all’altro, in modo da supportare una efficace e tempestiva «allocazione» del talento dove meglio può crescere e contribuire allo sviluppo senza essere sprecato.
Ecco, la crisi poteva essere un’opportunità per rivedere tanti nostri vecchi modelli e tararli sul futuro. Per il momento invece la crisi è stata utilizzata semplicemente per giustificare tagli profondi (una misura che, per via del deficit, sarebbe stata necessaria a prescindere) se non addirittura per bloccare alcuni processi di riforma. Basta pensare a come la scorsa finanziaria abbia determinato, di fatto, il congelamento di parti rilevanti della riforma della pubblica amministrazione, o al recente blocco della riforma dell'università, o al continuo annuncio e rinvio della riforma dello statuto dei lavoratori, degli ammortizzatori sociali e così via.
E anziché mettere mano a una vera e importante riforma della formazione professionale che andasse nella direzione degli altri Paesi europei, dove si cerca di rafforzare il legame tra scuola e impresa, è stato abbassato l'obbligo scolastico e demandata ogni formazione alle imprese (che oggi, vale la pena ricordarlo, sono tra quelle in Europa che investono meno in formazione, persino quando si tratta dei ragazzi: solo il 20% dei giovani in apprendistato riceve qualche tipo di formazione).
Di fronte a questo scenario complessivo così desolante, anche le iniziative del nostro ministero per le Politiche Giovanili, dal Festival dei Giovani Talenti all'idea dei villaggi della gioventù, pur interessanti, sembrano assolutamente inadeguate e irrilevanti in una fase delicata come questa: quali talenti premieremo tra qualche anno se non ci preoccupiamo di formarli e dare loro un'opportunità di crescita, di lavoro, di realizzazione?

Condivido i contenuti dell'articolo di Irene, la quale dimostra sempre di più di saper valutare gli avvenimenti, gli interventi governativi e le prospettive che scaturiscono da questi interventi. La crisi rappresenta una opportunità per affrontare il futuro con nuovi strumenti e nuovi equilibri. Investire nel futuro significa soprattutto creare un ambiente innovativo e competitivo dove i giovani possano in rapporto alle loro conoscenze trovare un ruolo. Per fare questo occorre investire nella formazione aziendale ed in quella pubblica (scuole, università) altrimenti si rischia che l'Italia diventi sempre meno competitiva e non in grado di affrontare i problemi del terzo millennio. Michel Serres nel suo libro "Tempo di crisi" sottolinea che spesso le istituzioni non seguono il cambiamento specie nei periodi di crisi. Affrontare i problemi senza riforme significa intervenire in modo inadeguato disperdendo risorse con istituzioni logore e vecchie che non risolvono i problemi dei ceti più deboli e dei giovani e della competitività del paese.

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mercoledì 20 ottobre 2010

Io ho votato Vincenzo D’Arienzo

Venerdì scorso si è svolto il congresso del Circolo E. Biagi di Verona al quale sono iscritto ed ho votato a favore della candidatura di Vincenzo D’Arienzo a Segretario Provinciale del Partito Democratico. Le motivazioni di tale scelta sono diverse. Riporto alcune dichiarazioni di Vincenzo ed il mio commento esplicativo.
Alleanze
Antonino Leone. Lo schieramento che sostiene D’Arienzo è omogeneo dal punto di vista programmatico nel ritenere il PD forza motrice di una coalizione più ampia di forze ed essere luogo di incontro e mediazione delle tante espressioni politiche e sociali presenti a Verona.
L’altro schieramento non affronta il tema fondamentale delle alleanze.
Non è indifferente, inoltre, il fatto che dalle relazioni svolte sul tema in occasione dei vari congressi emerge una diversità di fondo tra le varie sensibilità che sostengono Lonardi tale da farmi ritenere che non sia stabile per la sua diversità che potrebbe emergere in qualsiasi momento e per qualunque avvenimento.
Trasparenza
Vincenzo D’Arienzo. La trasparenza è un fattore essenziale per ricreare un rapporto nuovo e produttivo con i cittadini veronesi. I cittadini elettori hanno il diritto di sapere e di conoscere in modo chiaro e genuino cosa avviene nel Partito Democratico, nella classe politica e quali sono le scelte che vengono compiute. Solo così potranno confrontarsi e partecipare in modo sostanziale e non formale alla vita sociale e politica promossa dal PD e condizionarne le scelte.
Antonino Leone. La trasparenza è uno dei fattori del cambiamento. Molto spesso gli avvenimenti sono sommersi, nascosti e nel momento in cui vengono resi pubblici sono spesso fuorvianti e non consentono una presa di coscienza da parte delle comunità.
Richiamo il libro di Albert O. Hirschan (Albert O. Hirschman, Lealtà Defezione Protesta rimedi alla crisi delle imprese dei partiti e dello stato, Bompiani, 1982) dal quale ha tratto ispirazione il senatore Pietro Ichino per la presentazione degli emendamenti migliorativi introdotti nella recente riforma della PA (legge Brunetta). Con tali proposte sono state introdotti i fattori della trasparenza e della valutazione delle competenze nelle PA al fine di realizzare un rapporto di partecipazione e di confronto tra i cittadini e le PA sulla base della conoscenza della performance dei servizi forniti dalle PA.
Il fattore della trasparenza riguarda le imprese, i partiti e le PA. Inoltre, faccio riferimento ai contenuti della recente pubblicazione di Daniel Goleman e di altri autori (Daniel Goleman – Warren Bennis – James O’Toole, Trasparenza verso una nuova economia dell’onestà, Rizzoli, 2009), i quali affermano che la politica della falsità e delle bugie ha causato il crollo delle organizzazioni finanziarie e di conseguenza la crisi economica attuale.
La trasparenza, inoltre, condiziona i comportamenti della classe politica in quanto ogni azione verrà conosciuta direttamente dai cittadini e, quindi, ci si guarda bene dall’adottare posizioni non corrette.
Sono convinto che bisogna realizzare a Verona un Partito Democratico che basi la sua politica sulla trasparenza e sincerità perché solo cosi può essere recuperato il rapporto con i cittadini veronesi da molto tempo trascurati dal sistema politico. Senza trasparenza il rapporto con i cittadini diventa strumentale e non produttivo di partecipazione e confronto.
Competenze
Vincenzo D’Arienzo. Credo, inoltre, che occorra valorizzare tutte le conoscenze e competenze presenti, dei militanti e degli amministratori, affinché si possa determinare una chiara e definita proposta programmatica e di impegno. Un investimento, quindi, forte su noi stessi per essere più forti verso l’esterno. Il patrimonio che abbiamo, di idee e di proposta, va volto verso l’area di riferimento del centrosinistra e la società civile.
Antonino Leone. Nella società di oggi vi sono problemi molto complessi che la politica, intesa in modo restrittivo, senza competenze (saper fare) non è in grado di affrontare o delineare una proposta nell’interesse della comunità. Quindi, è necessaria una politica integrata dalle competenze (fattore di cambiamento). Pertanto, non è sufficiente la sensibilità, l’impegno e la buona volontà ma occorre anche la competenza per affrontare positivamente a vantaggio delle comunità i problemi che si presentano nella società del terzo millennio.
Occorre scoprire e valorizzare le conoscenze e le competenze esistenti nel Partito Democratico e nella società veronese per svolgere un’azione politica efficace. Alla fedeltà ed all’obbedienza cieca occorre sostituire le capacità e le competenze delle democratiche e dei democratici.
Sviluppo
Vincenzo D’Arienzo. Occorre considerare che molte città si sono riqualificate facendo leva su fattori creativi ed immateriali e ponendo attenzione alla formazione, valorizzazione ed attrazione dei talenti.
Antonino Leone. Abbiamo numerosi esempi di città (Berlino, Glasgow, Edimburgo, Barcellone, Bilbao ed altre) che hanno promosso una nuova immagine facendo leva sulla creatività e sui fattori immateriali (arte, cultura, musica, design). Le linee di intervento sperimentate sono:
- Investimenti finalizzati alle infrastrutture: progetti architettonici di riqualificazione urbana e grandi eventi;
- Politiche culturali diffuse nel territorio rivolti ai bambini ed alla popolazione;
- Sistema di incentivi fiscali per gli operatori e per le associazioni che si impegnano in attività culturali;
- Vigoroso coinvolgimento del volontariato, dell’Università e delle imprese locali.
Per Verona occorre migliorare le attività esistenti (Fondazione Arena, Teatro Romano ed altre) ed integrarle con interventi che utilizzano i fattori specificati al fine di attrarre giovani, artisti, professionisti ed imprenditori innovativi.
Ritengo che occorra formare, valorizzare ed attrarre il talento in quanto le organizzazioni delocalizzano nei luoghi dove esiste un ambiente innovativo costituito dal talento per conseguire un vantaggio competitivo.
Pubbliche Amministrazioni
Vincenzo D’Arienzo. Le Amministrazioni pubbliche rappresentano un fattore fondamentale per la qualità della vita dei cittadini e per la competitività delle imprese. Una PA inefficiente rallenta e non favorisce lo sviluppo dell’impresa e la crescita della ricchezza nazionale. ….. Penso sia utile costituire, ed è una novità rispetto al passato, uno specifico gruppo di lavoro competente le cui elaborazioni devono essere di supporto per il Partito e gli amministratori locali affinché, con cognizione e consapevolezza, si possa perseguire in ogni sede il rinnovamento della PA. Chissà che da Verona possa partire una buona proposta da inviare ovunque.
Antonino Leone. Le PA condizionano la qualità della vita dei cittadini e la competitività delle imprese.
Gli enti locali sono chiamati a dare attuazione alle disposizioni del decreto legislativo n.150/2009. Fino a questo momento dei 98 comuni della provincia di Verona hanno aderito alla sperimentazione delle performance degli enti locali, promossa dall’Anci, soltanto 4. Da questi dati si evince che occorre realizzare un piano di sensibilizzazione e di sostegno alle amministrazioni comunali attraverso i nostri rappresentanti al fine di introdurre la cultura della trasparenza e della valutazione delle competenze. La proposta del gruppo di lavoro è importante al fine di avviare il cambiamento nei comuni veronesi.

Ho votato Vincenzo D’Arienzo per il programma, di cui ho riportato alcuni punti e commenti, e credo che tanti iscritti lo faranno al fine di eleggere un segretario provinciale del PD di Verona che possa realizzare un programma di rinnovamento e cambiamento.

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L’INPS sfrutta i praticanti avvocati

di Eleonora Voltolina pubblicato su Repubblica degli Stagisti
Per tutti i giovani che sognano di fare gli avvocati dopo la laurea in giurisprudenza c'è ancora un grosso scoglio: i 24 mesi di praticantato forense, obbligatori per poter accedere all'esame di stato. In questi due anni i praticanti imparano le basi del mestiere, cominciano ad andare in Tribunale, seguire le udienze, predisporre gli atti. Per i primi mesi di solito lo fanno gratis, perché sono ancora troppo inesperti per risultare produttivi. Passato questo primo periodo il Codice deontologico forense prevede espressamente che comincino a ricevere un compenso: insomma, il praticantato gratis è contrario alla deontologia professionale. In particolare l'art. 26 del Codice, che si intitola appunto "Rapporti con i praticanti", al primo comma prescrive: «L’avvocato deve fornire al praticante un adeguato ambiente di lavoro, riconoscendo allo stesso, dopo un periodo iniziale, un compenso proporzionato all’apporto professionale ricevuto».
Eppure proprio un ente pubblico, l'Inps, contravviene al Codice deontologico e impiega decine di praticanti senza dar loro un euro di rimborso spese per l'intera durata del periodo di praticantato. La segnalazione è arrivata alla Repubblica degli Stagisti da Francesca Esposito, che per un anno ha svolto la pratica presso l'ufficio legale Inps di Lecce, prima di abbandonare e passare a uno studio legale privato: «Non potevo accettare» spiega «di lavorare ulteriormente per un ente pubblico senza ricevere alcun rimborso o compenso». Eppure prima di gettare la spugna Francesca le aveva provate tutte: aveva perfino inviato una «istanza di rimborso/compenso», firmata da lei e dagli altri cinque praticanti del suo ufficio, all'attenzione del coordinatore regionale dell'Inps Franco Monaco per far valere quell'articolo del Codice deontologico. Senza sortire effetti.
L'Inps ha al momento 75 praticanti in servizio: erano di più ma negli ultimi mesi molti, come Francesca, hanno abbandonato il posto e sono passati a fare la pratica altrove. A questi 75 se ne aggiungeranno nei prossimi mesi altri 400: lunedì 25 ottobre 2010 parte infatti il nuovo bando per l’ammissione alla pratica forense presso le Avvocature territoriali dell’Inps, che resterà aperto fino al 22 novembre e recluterà i nuovi praticanti. Sempre alle vecchie condizioni però: quindi nemmeno un euro di rimborso spese.
Eppure pare che l'Inps si senta la coscienza a posto: spiega di provvedere ad assicurare «gli strumenti elettronici di lavoro» (cioè un computer!) e un eventuale rimborso di qualche spesa sostenuta, così come fa l'Avvocatura dello Stato. In effetti, navigando sul web si trovano molti sfoghi anche di praticanti presso l'Avvocatura che lamentano l'assenza di un emolumento. Ma dato che due torti non fanno una ragione, il problema anziché azzerarsi si moltiplica.
«È una vergogna che l'Inps risponda sfacciatamente che un pc e i rimborsi spesa sono sufficienti come retribuzione per l'opera di un dottore in legge» commenta Julian G. Colabello, [nella foto a destra, intervistato durante una puntata di Cominciamo Bene Estate], presidente dell'associazione "6° Piano Praticanti" che da due anni elabora e promuove proposte per riformare l'istituto del praticantato: «Ancor più grave considerando che stiamo parlando di un'istituzione pubblica, che nell'esercizio del suo mandato pubblico compie azioni, appunto, vergognose». Colabello allarga il raggio: «Purtroppo Inps e Avvocatura dello Stato sono in ottima compagnia: il Ministero dell'Interno, le Prefetture, il Comune di Roma, per esempio, sono tutti enti pubblici che si avvalgono di lavoro non retribuito sfruttando i praticanti. Manca una cultura di base e una legislazione specifica e di tutela riguardo ai nuovi impieghi e ai nuovi ruoli che anche le professioni tradizionali stanno assumendo». Ma l'articolo 26 del codice deontologico è un'arma spuntata: «Nessun praticante potrebbe chiedere la pronuncia di un giudice del lavoro sulla base del suo dettato» conclude Colabello «In questo vuoto culturale e normativo si scatenano gli istinti più bassi, sia negli studi privati che nelle istituzioni pubbliche. Solo creando un'opinione comune di denuncia e proposta sul tema abbiamo una possibilità di cambiare le cose».

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martedì 19 ottobre 2010

L’informazione analitica contro l’evasione fiscale

L’attenzione che il Governo Berlusconi ha riposto esclusivamente alla crisi finanziaria e non alla crescita dell’economia reale ha fatto si che l’Italia si trovi ad affrontare numerosi problemi tra i quali si indicano quelli più urgenti:
- Un indebitamento ed un deficit molto alto sui quali l’Europa vigila al fine di verificare un piano di rientro nei parametri entro determinate scadenze;
- La riduzione della base occupazionale del nostro paese con conseguente aumento del tasso di disoccupazione reale arrivato all’11%, secondo i dati di Banca d’Italia;
- Prospettive quasi nulle per i giovani che desiderano entrare nel mondo del lavoro (2 milioni di giovani nullafacenti che non studiano e non lavorano);
- Riduzione del reddito reale per le categorie con redditi bassi con il conseguente aumento della povertà e del disagio sociale (vedi Rapporto 2010 della Caritas e della fondazione Zancan sulla povertà);
- La domanda interna troppo bassa per sostenere il consumo e, quindi, la produzione;
- Un fisco iniquo che basa le maggiori entrate sulla tassazione dei redditi da lavoro dipendente e da pensione cioè sui redditi trasparenti;
- Un livello di evasione alto che ammonta a circa 120 miliardi di euro.
Tutti questi problemi possono essere affrontati avviando riforme di sistema che consentano di risparmiare ed introitare risorse da dedicare ai problemi più urgenti e non rinviabili, tra questi al primo posto vi è il lavoro.
La contraddizione di questo sistema si constata da una seria valutazione tra il livello dell’evasione fiscale, la quota di tassazione dei redditi bassi e l’imposizione fiscale dei più ricchi. Da tale confronto emerge che l’attuale sistema fiscale è ingiusto perché fa pagare di più a chi ha di meno.
Per rendere il sistema fiscale equo ed avviare una redistribuzione della ricchezza è necessario abbassare la tassazione dei redditi bassi almeno al 20%, introitare nuove risorse dalla tassazione delle rendite finanziarie (escluso i titoli pubblici), portandola dal 12,5% al 20%, delle transazioni finanziarie e dei patrimoni e riorganizzare con urgenza l’Agenzia delle entrate al fine di condurre una lotta efficace all’evasione fiscale.
Il cambiamento della Agenzia delle Entrate si rende necessario e può avvenire attraverso:
- Raccolta dei dati di qualità ed adeguati all’obiettivo da conseguire. Si tratta di consentire per legge la tracciabilità dei dati e delle informazioni che servono al fisco al fine di debellare con efficacia in un tempo limitato l’evasione fiscale. Gli studi di settore possono essere utilizzati a tale scopo;
- Gestione dei dati. Oggi esistono procedure ed applicazioni informatiche che consentono di trasformare i dati in informazioni utili agli scopi aziendali;
- Elaborazione e trasformazione dei dati in informazioni utilizzabili;
- Informazione analitica a supporto del processo decisionale e di esecuzione. Si tratta di realizzare un legame tra la performance dell’Agenzia delle Entrate e l’adozione di un processo basato sull’uso sistematico di dati ed informazioni, tecniche statistiche e quantitative, modelli esplicativi e predittivi per supportare il processo decisionale e di esecuzione delle decisioni.
Occorre passare da un approccio intuitivo ad un approccio che si basi sull’informazione analitica (Thomas H. Davenport – Jeanne G. Harris, L’analisi delle informazioni come fonte di vantaggio competitivo). Gli accertamenti da soli non sono più sufficienti a contrarre in modo sensibile l’evasione fiscale.
In questo ultimo periodo vi sono stati interventi autorevoli che hanno indicato la strada da seguire:
- Massimo Romano e Vincenzo Visco, Il Sole 24 Ore del 20 gennaio 2010;
Ritengo che i documenti citati si muovono nella prospettiva di rendere il fisco più efficace avvalendosi di sistemi informatici prodotti dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione e più equo abbassando la tassazione dei redditi più bassi e di redistribuire la ricchezza riconsiderando la tassazione di taluni redditi che fino adesso sono stati privilegiati.
Davenport e Harris affermano che oggi l'informazione analitica è utilizzata in molti livelli governativi per migliorare l'efficacia e l'efficienza delle loro azione. L'approccio analitico è stato seguito per l'ottimizzazione delle entrate, per la lotta all'evasione fiscale ed per migliorare i costi e i servizi sanitari ospedalieri con ottimi risultati. Tale approccio realizzato negli Stati Uniti ed in Gran Bretagna non è recente ma risale agli anni sessanta.

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venerdì 15 ottobre 2010

Franco Bonfante: Congresso PD a Verona

Credo che D'Arienzo e Lonardi siano due ottimi candidati a segretario provinciale, come persone innanzitutto, oneste e trasparenti,  e poi come politici, seri e coerenti. Io appoggio con convinzione D'Arienzo perché ritengo che oggi il nostro partito abbia bisogno anche di competenza, determinazione, coraggio ed idee chiare. Vincenzo D'Arienzo ha dimostrato di avere queste caratteristiche negli anni in cui è stato Consigliere provinciale ed ora anche capogruppo. Chiunque abbia avuto la possibilità di seguirne l'attività amministrativa sa che spesso l'opposizione in Provincia è stata rappresentata in particolare da lui. Ha lavorato molto e bene, è stimato e rispettato non solo dai nostri militanti ed elettori, ma anche dai nostri avversari, che ne temono la capacità di approfondimento, la competenza e l'assenza di calcoli o timori che,  a volte, limitano l'azione dei nostri rappresentanti. C’è poi il programma di Enzo da confrontare con quello di Lonardi: in quello di Vincenzo non ci sono i soliti discorsi che ci trovano tutti d'accordo (i giovani e gli anziani e le donne, l'organizzazione, il riformismo, l'alternativa . . . .), ma invece cose dette con nettezza: le primarie per i parlamentari, le nomine trasparenti negli Enti, la necessità di DECIDERE, e così via: non è tempo questo di sfumature, del dire tutto e il suo contrario, per accontentare tanti e poi rimanere bloccati.
E veniamo alla ricerca dell'unità del partito: penso che in questo periodo sarebbe stato meglio arrivare al congresso con un solo candidato, di tutto il partito, per concentrare le nostre energie nel confronto esterno, che nel Veneto e a Verona come è noto ci vede in difficoltà. Il segretario uscente Giandomenico Allegri, oggetto di ripetute e ingiuste critiche che hanno fatto male non certo a lui ma all'immagine del partito, ha dimostrato cosa vuol dire voler bene e credere al PD: ha rinunciato alla ricandidatura pur di favorire un percorso che portasse ad una maggiore unità: tutte le sue proposte (4 nomi) sono state bocciate: dal giovane all'esperto, dall'ex ds all'ex margherita al senza ex; era evidente che aldilà delle dichiarazioni alla stampa non c'era alcuna volontà di accordo unitario, poiché c'era già invece uno scambio: il segretario provinciale ad uno di un'area, il segretario del cittadino ad uno di altra area: niente di scandaloso, basta saperlo, evitando di prende in giro gli iscritti, parlando di unità e agendo esattamente al contrario.
Franco Bonfante, vice presidente del Consiglio regionale Veneto

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Intervista a Mario Lonardi

Ho ricevuto con ritardo le risposte di Mario Lonardi e si è creata una disparita tra le due interviste (D’Arienzo e Lonardi). Infatti Lonardi ha risposto dopo la pubblicazione dell’intervista a D’Arienzo e, quindi, ha usufruito della conoscenza e dei contenuti pubblicati.
La velocità è un fattore competitivo molto importante nella società del terzo millennio perché tutto cambia e si evolve in modo continuo e veloce. Fermarsi significa prendere decisioni in un contesto ambientale già mutato.
Mario Lonardi è candidato alla Segreteria Provinciale del PD di Verona.

Considerata la crisi del sistema politico chiaramente visibile con la forte presenza del partito delle astensioni, quali fattori di cambiamento intende utilizzare al fine di recuperare e realizzare un rapporto di fiducia tra il PD ed i cittadini della provincia di Verona?
Qui il resto del post Il cambiamento non può essere di facciata, per essere tale deve poter essere percepito dai cittadini delusi e dalle persone che non ci hanno più votato e non si sono più iscritte al PD. Il primo segno di discontinuità si leggerà nella biografia del prossimo segretario provinciale, e questo sarà un dato “non governabile” con dichiarazioni.
Un secondo segno si potrà vedere nelle prime scelte del nuovo segretario: formazione della governance del partito con attenzione alle competenze e alle esperienze, scegliendo di dare rappresentanza a tutti a prescindere dal risultato congressuale; capacità di autorevolezza e di autonomia del segretario e dei nuovi organi del partito; presidio dei problemi del territorio e dei cittadini con posizioni chiare; capacità di comunicazione.

Quale approccio intende adottare per elevare la crescita di Verona nel contesto internazionale e, quindi, della sua Provincia nel momento in cui la crisi economica impone un ruolo ed una ipotesi di sviluppo delle città?
Bisogna che ci capiamo sul significato di “crescita” e che ci confrontiamo sul modello di sviluppo verso il quale tendere. Questa crisi economica è più grave di quanto ci si vuole far credere e impone un progetto politico che individui due percorsi paralleli di intervento: una linea di impegno sugli aspetti “emergenziali” quali il lavoro, il disagio sociale, i problemi degli anziani e delle famiglie, i servizi relativi alla salute.
Una seconda linea di impegno sugli aspetti strutturali che riguardano il sistema economico e dei servizi, il rilancio dei settori produttivi e delle filiere che hanno creato lavoro e opportunità economiche, l’individuazione di nuove opportunità che, con attenzione al territorio e ai cittadini, possano offrire nuove prospettive per la nostra città e la provincia.
Per entrambe le linee di impegno serve una valutazione strategica che funga da quadro di insieme e che tenga le ipotesi di lavoro dentro ad una prospettiva condivisa con i rappresentanti dei circoli e che metta a frutto il consistente lavoro di analisi che, dal 2002, le nostre amministrazioni hanno compiuto e che è stato, fino ad ora, poco valorizzato.

Per elevare la qualità della vita dei cittadini veronesi e la competitività delle imprese occorre migliorare la gestione dei servizi pubblici locali. Cosa non ha funzionato fino adesso e cosa pensa di fare per il futuro?
Una bizzarra interpretazione del federalismo ha portato a una situazione nella quale ogni ente o azienda che svolge un compito di servizio alla città e alla provincia, è diventata luogo di compensazione politica e occasione di acquisizione di rendite economiche: tutto questo in una logica spesso frammentaria.
Bisogna ritornare alle competenze e a una visione comune del futuro a cui tendere: ne seguirà una ripresa di competitività che non può essere acquisita singolarmente dai soggetti pubblici o privati.
Se le imprese sono il luogo “del fare” la politica deve essere il luogo “del pensare” e la competitività è il frutto della combinazione delle due attitudini.

I costi della burocrazia e dell’inefficienza delle PA incidono sulla competitività delle imprese, in modo particolare delle Piccole e Micro Imprese, e sulla qualità della vita dei cittadini veronesi. Come pensa di sostenere il cambiamento delle PA nella provincia di Verona nel quadro della riforma per migliorare l’offerta di servizi pubblici?
La PA può assumere un ruolo fondamentale rispetto a temi che riguardano l’armonizzazione dei servizi, l’informazione, la formazione, la pianificazione dello sviluppo e l’accompagnamento di processi di investimento e intrapresa, l’attenzione all’ambiente, la partecipazione dei portatori di interesse.
Il suo è un ruolo non sostituibile che, se assente o male interpretato, costringe le imprese a giocare il proprio ruolo in un ambiente altamente competitivo con “una gamba sola”.

Le organizzazioni hanno realizzato un continuo adattamento ai cambiamenti veloci che sono intervenuti nel pianeta al fine di mantenere o accrescere la competitività. Al contrario le organizzazioni politiche, quali i partiti, molto spesso sono rimasti fermi rispetto ai cambiamenti radicali. Come pensa di operare in provincia di Verona per superare il gap descritto?
Il nostro partito e, in generale il centrosinistra, non è rimasto molto fermo negli ultimi anni, anzi, la molteplicità delle forme e dei simboli, oltre che delle alleanze, ha spesso disorientato il nostro elettorato.
Questa “dinamicità delle forme” non è stata accompagnata da una altrettanto forte “dinamica dei volti” ma è stata sicuramente contraddistinta da uno sforzo di elaborazione delle proposte.
Credo che in questo momento sia auspicabile una minore variabilità delle forme che consenta una più efficace elaborazione di progetti. E, conseguentemente, una apertura al confronto e alla collaborazione che tenda ad includere in un comune orizzonte strategico tutte le realtà disponibili a discutere e condividere un progetto amministrativo proponibile per la guida della città e della provincia.

Le condizioni politiche attuali consiglierebbero al PD di Verona di celebrare il proprio congresso in forma unitaria o almeno di realizzare la più ampia convergenza possibile? Perché questo obiettivo non è stato realizzato? Si possono cogliere degli interessi di parte (per esempio le candidature alle prossime elezioni politiche, sempre più vicine, o altri interessi)?
Il nostro partito è nato per fare incontrare e collaborare storie e sensibilità politiche diverse ma che condividevano quei principi civili e politici che trovano nella Costituzione la sintesi più alta. I pochi anni trascorsi dalla nascita del partito ci hanno visto molto concentrati sulle procedure e sulla organizzazione interna, ma meno disposti ad un confronto sulle idee. È successo che, in questa fase “organizzativa” le occasioni di dialettica interna siano diventate motivo di divisioni, a volte definitive, piuttosto che occasione di mediazione e sintesi.
Per questo, nella occasione principale che come partito abbiamo per far emergere le opzioni e le idee – cioè nel Congresso – è molto opportuno che il dialogo sia reso visibile attraverso la discussione delle diverse mozioni.
Questo nel comune obiettivo di trovare la sintesi e un esito unitario del percorso congressuale: l’unitarietà in un partito come il nostro non può essere una premessa ma il risultato.

Nel PD vi sono delle posizioni minoritarie che si richiamano all’autosufficienza ed alla vocazione maggioritaria? Rispetto a tali proposte cosa pensa?
La nostra transizione verso una politica più moderna e una Repubblica (seconda, terza o quarta che sia) che attui compiutamente gli indirizzi costituzionali e garantisca la governabilità, non è certo compiuta.
Non credo siamo nelle condizioni di “costringere al silenzio” le minoranze, anzi, per evitare che il pensiero differente trovi forme di esplicazione potenzialmente dannose per il partito, è opportuno mantenere aperta, pubblica e trasparente la nostra discussione sui modi della partecipazione democratica, senza dimenticarci che l’orizzonte su cui si proiettano le nostre scelte è quello europeo.

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giovedì 14 ottobre 2010

Vincenzo D’Arienzo al Congresso del circolo PD E. Biagi

Cara Democratica e Caro Democratico,
Domani venerdì 15 ottobre dalle ore 18.00 alle ore 21.00 si terrà il congresso del terzo circolo in sala civica di via Brunelleschi (stadio).
Abbiamo deciso di sostenere la candidatura di Vincenzo D’Arienzo a Segretario del PD per i contenuti del suo programma e particolarmente per l’esperienza che ha maturato nel suo impegno amministrativo alla Provincia che lo mette in condizioni, conoscendo i problemi della Provincia di Verona, di rappresentare in modo efficace l’azione del partito, per la sua competenza molto utile e produttiva per affrontare i problemi di Verona e della Provincia rimasti insoluti dall’impegno delle amministrazioni di centro destra. Inoltre per Vincenzo la trasparenza e la competenza non sono scatole vuote ma fattori di cambiamento della politica e la selezione della classe dirigente del PD verrà effettuata valorizzando le migliori capacità e competenze.
Per le valutazioni esposte ti invitiamo a sostenere anche tu la candidatura di Vincenzo votando le liste a lui collegate.
Programma di Vincenzo D'Arienzo
Liste a sostegno della candidatura a Segretario Provinciale del PD di Verona di Vincenzo D’Arienzo.

UNITI, PER IL PARTITO DEMOCRATICO

1- Ramella Antonio

2- Rizzi Rosa

3- Scandola Stefano

4- Pozzati Maria

5- Passaro Salvatore

6- Forte Maria Teresa

7- Mastini Alberto

8- Leone Roberta

9- Menato Damiano



PD NOI

1- Leone Martino

2- Capodicasa Serena

3- Alviggi Davide

4- Berghi Giulia

5- Bonuzzi Carlo

6- Brugnoli Claudia

7- De Vito Umberto

8- Agnoli Carla

9- Manzini Luciano

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Regole per superare la crisi

Articolo di Abravanel Roger e D' Agnese Luca pubblicato su Corriere della Sera del 12 ottobre 2010
Perché Regole? Perché due consulenti e manager d'azienda hanno deciso di occuparsi di un tema che, all' apparenza, riguarda prima di tutto la politica, l' educazione civica e la giurisprudenza, e molto meno l' attività delle imprese? Per una ragione molto semplice: solo le regole permettono a una società di organizzarsi meglio e l' organizzazione è un elemento essenziale per lo sviluppo sia delle società sia delle aziende. Il nostro saggio affronta nei primi due capitoli il problema dello sviluppo economico delle società e delle regole che le governano. Vogliamo rovesciare l' ottica con cui in Italia si guarda alle regole: in genere riteniamo che le regole siano un freno. Costituiscono un limite (malvisto) alla nostra libertà o un limite (benvisto) alla prepotenza e alla furbizia degli altri. Invece le regole possono costituire un formidabile motore per lo sviluppo, perché le regole condizionano i comportamenti degli individui, e le regole giuste li spingono a lavorare insieme efficacemente in una società ben organizzata.  Da quasi mille anni le regole giuste favoriscono gli investimenti e l' innovazione in attività che creano ricchezza. Permettono a un agricoltore, i cui diritti di proprietà sulla terra sono garantiti dalle regole, di indebitarsi per acquistare i macchinari che aumentano la produttività. Permettono alle aziende farmaceutiche di creare farmaci che allungano e migliorano la nostra vita perché il loro investimento in ricerca e innovazione è reso remunerativo dalla protezione dei brevetti. Nel corso degli ultimi cinquant' anni il numero e la complessità delle regole sono molto aumentati. È un cambiamento inevitabile, causato dal passaggio a un altro paradigma economico: siamo passati da una società industriale a una società di servizi, una galassia di attività estremamente variegata, che va dal commercio alle professioni, dalle costruzioni agli ospedali, dalla finanza al turismo. I servizi sono spesso trascurati da economisti e politici: l' industria manifatturiera è un' attività economica molto più «visibile», che si concentra in grandi siti industriali, i suoi prodotti si possono vedere e toccare. In realtà nelle economie di tutti i Paesi avanzati le attività industriali hanno un peso da tre a cinque volte inferiore a quello dei servizi e crescono meno in tutto il mondo. Quando nei servizi mancano le regole giuste, il rallentamento economico è garantito: lo stiamo vedendo tutti, mentre subiamo da mesi una crisi causata dalle cattive regole della finanza mondiale. Il problema delle regole è una delle cause principali del ristagno economico del nostro Paese, che impedisce lo sviluppo di una moderna economia di servizi. Se l' Italia avesse nel settore dei servizi gli stessi occupati (in rapporto alla popolazione) della media europea, avremmo tre milioni di posti di lavoro in più. Il nostro settore manifatturiero, relativamente più sviluppato, ce ne fa recuperare solo mezzo milione. Il nostro sistema di regole favorisce le piccole imprese. Basta un esempio: l' articolo 18 dello Statuto dei lavoratori si applica solo alle imprese con più di 15 dipendenti, e dunque incentiva le imprese a restare piccole, e magari nel «sommerso», che nei servizi incide molto di più (il 20 per cento contro il 12 dell' industria). Le imprese del «sommerso» crescono poco, non attirano investimenti e sono poco produttive. I guadagni che ottengono da un lato (per esempio non pagando le tasse) spesso li perdono sul fronte dell' efficienza e della competitività. Senza trascurare i pesantissimi costi per la società nel suo complesso, perché le tasse che vengono evase dal sommerso sono pagate dalle attività in regola, sotto forma di imposte più elevate: in Italia si tassano le imprese più efficienti e produttive per sussidiare quelle del sommerso che sono meno competitive e fanno loro concorrenza sleale. Il primo degli slogan di Regole è dunque «piccolo è brutto anzi bruttissimo»: le piccole imprese che sopravvivono perché non rispettano le regole creano danni enormi a tutte quelle (piccole e grandi) che le regole le rispettano e tentano di competere grazie all' innovazione. Gli imprenditori che a gran voce chiedono allo Stato di ridurre il peso del fisco non capiscono che devono invece prendersela con quelli di loro che il fisco lo evadono da anni. Le cause di questa incapacità italiana di darsi le regole giuste e di rispettarle vanno purtroppo ben oltre i limiti della politica. La storia ci insegna che le società che sanno trovare le regole giuste non lo fanno grazie alle geniali intuizioni di qualche «inventore di regole», ma attraverso un processo evolutivo che procede per tentativi ed errori: alla fine le regole giuste emergono perché anche quelle sbagliate vengono rispettate e tutti partecipano poi a migliorarle. Ma purtroppo in Italia il «circolo virtuoso delle regole» diventa un «circolo vizioso»: le regole percepite come oppressive non vengono rispettate da moltissimi italiani, e questo da un lato genera una serie di condoni e sanatorie, dall' altro regole ancora più assurde, che giustificano le violazioni di massa. La difficoltà di perseguire milioni di imprese e individui porta al disinteresse per le regole e il circolo vizioso ricomincia. I «circoli virtuosi delle regole» non nascono solo grazie alla politica, ma poggiano su quattro «pilastri» importanti: l' educazione civica dei cittadini, una giustizia civile veloce, media indipendenti e regolatori autorevoli. In Italia questi pilastri delle regole sono traballanti. L' educazione dei cittadini è probabilmente il problema più grave, e forse il meno riconosciuto. Le capacità degli italiani adulti di comunicare e operare in contesti strutturati tipici della società post-industriale sono, ahinoi, molto scarse, da Paese del Terzo Mondo. La nostra scolarità è bassa (pochi laureati) e oltretutto quello che impariamo a scuola è spesso distante dalle competenze che ci potrebbero rendere protagonisti efficienti nell' economia del XXI secolo e cittadini consapevoli: sono quelle che l' Ocse definisce le «competenze della vita», valutando che quattro italiani su cinque sono «analfabeti». Una giustizia (soprattutto civile) tra le più lente del mondo e un sistema di mezzi di informazione asfittico e poco indipendente contribuiscono a deprimere la richiesta di regole giuste da parte della nostra società. Ma come possiamo spezzare questo «circolo vizioso»? La società italiana è riuscita, in aree purtroppo limitate, a far funzionare le regole: abbiamo individuato alcuni esempi, che illustriamo nel capitolo «I semi delle regole» e che ci hanno portato a formulare cinque proposte. Due puntano a creare «circoli virtuosi» nei servizi, e in particolare nei servizi pubblici locali e nel turismo. Le altre tre sono invece finalizzate a rafforzare i «pilastri» delle regole che traballano, innescando un processo di cambiamento nei settori della giustizia civile, della scuola e dell' informazione. L' idea di fondo di queste proposte è che per far funzionare le regole in Italia l' etica non basta: occorre dimostrare che seguire le regole conviene. Finché noi italiani non ne saremo convinti, troveremo sempre una buona ragione per non rispettarle: perché sono ingiuste, perché il nostro vicino non le rispetta, perché prima o poi arriva un condono... Queste motivazioni sono purtroppo giustificate da un punto di vista egoistico, se la società attorno a noi non rispetta le regole e non premia adeguatamente chi lo fa. Per spezzare il «circolo vizioso» è quindi essenziale creare delle «isole» in cui ci sono le regole giuste e coinvolgere un numero sufficiente di cittadini e imprese attivamente impegnato nel rispettarle e farle rispettare. Così si può raggiungere quello che abbiamo definito, con un termine preso a prestito, come tipping point, il punto di svolta: il punto in cui i cittadini si convincono che rispettare le regole può essere davvero un buon affare.

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Sostegno a Vincenzo D’Arienzo

Ho ricevuto le seguenti dichiarazioni a sostegno della candidatura di Vincenzo D'Arienzo a segretario provinciale del Partito Democratico di Verona. Sono dichiarazioni interessanti ed importanti che esprimono la testimonianza positiva dell’impegno politico di Vincenzo e che occorre tenere presenti in sede congressuale.
Clara Scapin, consigliere della Provincia di Verona. Vincenzo e' una persona competente, impegnata, capace di organizzare il lavoro collegialmente, di guidare perché ognuno diventi autonomo,paziente, concreto, veloce nel fare, attivo,disponibile ad affrontare i problemi che gli vengono posti, con tempismo e realismo,ottimista. Un punto debole?gli piace essere apprezzato!quindi sì ai riconoscimenti del suo lavoro! Ma senza esagerare, sa capire chi gli sta di fronte! Noi consiglieri gli siamo grati di come ha portato avanti il suo ruolo, ci siamo sentiti sempre a nostro agio. Sarebbe un buon segretario di questo nostro PD! Capace di farlo crescere!
Alice Leso, consigliere della provincia di Verona. Se dovessi descrivere, con due parole, com’è stata l’esperienza di questo primo anno di amministrazione con Vincenzo come capogruppo in Provincia la definirei “dinamica-istruttiva”. Il perché è molto semplice, come capogruppo si è posto fin dall’inizio nell’ottica di renderci, nel minor tempo possibile, edotti sulle varie tematiche di competenza provinciale e sulla struttura burocratica della provincia.
Ha messo a disposizione del gruppo tutta la sua esperienza, le sue conoscenze e le sue competenze affinché potessimo maturare quella memoria amministrativa storica che lui stesso ha accumulato in questi anni nell’ente provinciale.
Inoltre ha favorito la creazione di un gruppo unito che lavora in costante collaborazione sia con la dirigenza del partito che con gli amministratori locali ed i circoli per rendere le proposte e le scelte provinciali espressione delle esigenze delle varie realtà locali.
Ha adottato quindi, anche nell’ambito provinciale, quel sistema che lui stesso definisce nel suo programma congressuale di governo diffuso, affinché le proposte possano essere costruite attraverso un ampio confronto e siano espressione delle numerose esperienze e conoscenze presenti nel partito.
Come segretario del PD ritengo che sia importante la sua capacità di proporre, pianificare e progettare ciò di cui il territorio ha bisogno, ciò che il territorio chiede, facendo in modo che si operi in un’ottica di lungo periodo e non pensando soltanto al contingente. Una progettualità ed una dialettica in grado di relazionarsi con il mondo del lavoro, dell’associazionismo, del volontariato e con tutte le realtà territoriali, in pratica un nuovo civismo.
Diego Zardini, consigliere della Provincia di Verona. Vincenzo a mio avviso, con la dimostrazione del suo impegno in Provincia, credo possa essere la persona giusta per interpretare questo ruolo e raggiungere i nostri comuni obbiettivi. In questi anni è stato uno dei più impegnati attori della linea politica del partito su tantissimi temi e su tutto il territorio provinciale; temi come l'Autodromo, l'Aeroporto, la discarica di Pescantina, Ca' del Bue e le molte, troppe cave sparse nel territorio, le grandi opere stradali come le Tangenziali a pagamento, l'autostrada in città sotto le Torricelle, sono solo alcune delle tantissime battaglie che sono state portate avanti.
Alcune proposte organizzative che ritengo forti sono la acquisizione dei principi di trasparenza e competenza per le nomine negli enti così come definito nel percorso dal gruppo di lavoro che aveva redatto il documento EntiTrasparenti, sono stati fortemente inseriti i principi delle primarie per le cariche importanti come il Presidente della Provincia, del Sindaco di Verona e della lista dei prossimi parlamentari.
Franca Maria Rizzi, consigliere della Provincia di Verona. Con Vincenzo ho condiviso molti anni di militanza nel partito dei DS: anche se provenienti da percorsi politici diversi e spesso con posizioni contrapposte , il rapporto con lui e' sempre stato improntato al rispetto, al confronto leale e costruttivo perche questa era , e' oggi nel PD e nel suo ruolo istituzionale, la sua modalità di lavoro e di relazione con gli altri/e. Condivido adesso con lui anche l'esperienza di lavoro in consiglio provinciale e ne apprezzo la coerenza tra le sue idee e le decisioni che assume, sempre con gran rapidità, la tenacia e la costanza nel perseguire gli obiettivi che si pone. Queste qualità gli hanno consentito di acquisire una conoscenza approfondita e articolata delle problematiche proprie dei diversi territori, da quelle politiche a quelle economiche, istituzionali, ambientali e sociali. Sono risorse importanti che potrà mettere a disposizione del partito nel ruolo di segretario provinciale, alle quali, non meno importante, si aggiunge la capacità di fare squadra, pianificando il lavoro con il gruppo, facendo crescere ciascuno nell'autonomia e valorizzandone le competenze.
Federica Foglia, coordinatrice di Circolo. Il mio sostegno alla candidatura di Vincenzo D’Arienzo nasce principalmente da due necessità che ritengo in questo momento più che mai attuali e prioritarie: in primo luogo, da coordinatrice di circolo, sento forte l’esigenza di costruire una rete tra i circoli e gli amministratori che consenta di strutturare un radicamento sul territorio organizzato e basato su contenuti e bisogni di interesse delle rispettive comunità di appartenenza, che faccia sentire gli iscritti compartecipi di un disegno provinciale più ampio e strutturato.
In secondo luogo, la forza della Lega, nei nostri territori, necessita di una Leadership forte che sappia sì mediare fra le diverse sensibilità e appartenenze, ma che sia altresì capace di sintetizzare e decidere in modo chiaro in merito a questioni importanti quali possono essere per il nostro territorio le problematiche inerenti la sanità, il Motorcity, la viabilità e molte altre questioni legate ai singoli territori.
Sono convinta che l’esperienza provinciale di Vincenzo D’Arienzo, maturata dal 1999 fino ad ora, la sua capacità di essere concreto nel gestire percorsi, progetti e obiettivi e la trasparenza progettuale che include nel suo programma, siano le caratteristiche necessarie per guidare questo partito nei prossimi anni.

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Povertà in Italia in caduta libera

Secondo il rapporto della Caritas e della fondazione Zancan, presentato ieri ed intitolato “In caduta libera”, la povertà in Italia è cresciuta in modo sensibile.
“Non è vero che siamo meno poveri, come gli ultimi dati ufficiali dell’Istat sulla povertà (luglio 2010) farebbero pensare. Secondo l’Istat lo scorso anno l’incidenza della povertà relativa è stata pari al 10,8% (era 11,3% nel 2008), mentre quella della povertà assoluta risulta del 4,7%. Secondo l’Istat si tratta di dati “stabili” rispetto al 2008. In realtà, si tratta di un’illusione «ottica»: succede che, visto che tutti stanno peggio, la linea della povertà relativa si è abbassata, passando da 999,67 euro del 2008 a 983,01 euro del 2009 per un nucleo di due persone. Se però aggiornassimo la linea di povertà del 2008 sulla base della variazione dei prezzi tra il 2008 e il 2009, il valore di riferimento non calerebbe, ma al contrario salirebbe a 1.007,67 euro. Con questa operazione di ricalcolo, alzando la linea di povertà relativa di soli 25 euro mensili, circa 223 mila famiglie ridiventano povere relative: sono circa 560 mila persone da sommare a quelle già considerate dall’Istat (cioè 7 milioni e 810 mila poveri) con un risultato ben più amaro rispetto ai dati ufficiali: sarebbero 8 milioni e 370 mila i poveri nel 2009 (+3,7%)”.
La povertà colpisce in particolare il Mezzogiorno, le famiglie numerose, quelle con 3 o più figli, quello monogenitoriali e coloro che hanno bassi livelli di istruzione.
"La povertà familiare, espone il rapporto, è un fenomeno consolidato, che non accenna a diminuire. Diversamente da altri paesi, in Italia più alto è il numero di figli, maggiore è il rischio di povertà: se in famiglia c’è un solo figlio minore l’incidenza della povertà relativa sale dal 10,8%, che è il dato medio, al 12,1%, mentre se ci sono tre o più figli l’incidenza è del 26,1%. La società italiana si nega così la possibilità di futuro: il numero medio di figli minori per famiglia era trent’anni fa di 0,75, passato nei primi anni novanta a 0,6 e ulteriormente sceso a 0,5 nel 2000 per arrivare all’attuale 0,43”.
Un italiano su 5 (dati europei), pari a circa 12 milioni di italiani, è a rischio povertà. Solo il 45% delle famiglie italiane sarebbe a riparo dalla crisi economica
Negli anni 2009 e 2010, caratterizzati dalla crisi economica, è stato registrato un 25% in più di persone che si rivolgono alla Caritas per chiedere sostegno, un 40% tra gli italiani che pur non essendo povere vivono una situazione di disagio economico e una condizione di forte fragilità economica. Espone il rapporto che “sono persone che, soprattutto in questo periodo di crisi, hanno dovuto modificare, in modo anche sostanziale, il proprio tenore di vita, privandosi di beni e servizi, precedentemente ritenuti necessari”.
Il Rapporto contiene i risultati di una indagine valutativa sulle misure di contrasto delle situazioni di povertà, introdotte dal governo italiano nel biennio 2007-2008. Le misure prese in esame sono: la social card, il bonus famiglia, il bonus elettrico, il bonus Gas e l’abolizione dell’Ici sulla prima casa.
La valutazione è stata realizzata con la collaborazione di due grandi organizzazioni della società civile (Acli e Cisl), e ha contemplato la realizzazione di oltre 150 interviste con operatori di Centri di Ascolto Caritas, Caaf Cisl e Acli Service, in tutte le regioni d’Italia.
La misura considerata maggiormente efficace nel contrasto delle situazioni di povertà non è la social card ma l’abolizione dell’Ici per la prima casa. Nello specifico, il 69,2% degli intervistati ha valutato tale misura “abbastanza” o “molto efficace” nel ridurre la povertà economica. Le valutazioni espresse sul grado di efficacia della social card nel contrasto della povertà economica sono di taglio negativo: il 94,9% degli operatori intervistati ritiene “poco” o “per niente utile” tale misura. Per quello che riguarda le altre misure, il giudizio è meno negativo: una media del 58% degli operatori ritiene i Bonus “poco” o “per niente” utili nel contrasto della povertà economica.
Contro la povertà, il segretario dei vescovi italiani, Crociata, ha denunciato quanto sia "grave l'elusione e l' evasione fiscale. Perché - ha precisato - si tratta di sottrazione di risorse che pesano sugli onesti e diminuiscono le disponibilità di aiuto agli ingenti".
Si pensi che l’evasione fiscale che ammonta a 120 miliardi rappresenta una grande risorsa potenziale che potrebbe essere utilizzata al fine di realizzare una riforma del fisco che redistribuisca il reddito privilegiando i redditi più bassi e riconsiderando la tassazione delle rendite finanziarie (escluso i titoli di stato) al 20% ed introducendo nuove forme di tassazione, per esempio i patrimoni e le transazioni finanziarie. Recuperare tali risorse significa intervenire con misure più efficaci per combattere la povertà. Certamente occorre intervenire per ampliare la base occupazionale del paese perché attraverso tale misura si colpisce in modo efficace la povertà e le condizioni di coloro che vivono una condizione di disagio sociale.

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martedì 12 ottobre 2010

Intervista a Vincenzo D’Arienzo

VincenzoD’Arienzo, consigliere della Provincia di Verona, è candidato alla segreteria provinciale del Partito Democratico ed ha accolto la proposta di essere intervistato sulle prospettive del PD e della Provincia di Verona.

Considerata la crisi del sistema politico chiaramente visibile con la forte presenza del partito delle astensioni, quali fattori di cambiamento intende utilizzare al fine di recuperare e realizzare un rapporto di fiducia tra il PD ed i cittadini della provincia di Verona?
Sono convinto che occorra, innanzitutto, rafforzare l’identità del nostro Partito. Ciò favorisce la credibilità e la nostra autorevolezza, verso gli iscritti e gli elettori. Credo, inoltre, che occorra valorizzare tutte le conoscenze e competenze presenti, dei militanti e degli amministratori, affinché si possa determinare una chiara e definita proposta programmatica e di impegno. Un investimento, quindi, forte su noi stessi per essere più forti verso l’esterno. Il patrimonio che abbiamo, di idee e di proposta, va volto verso l’area di riferimento del centrosinistra e la società civile. Nel primo caso, rendendoci luogo di incontro e di mediazione in modo da essere perno centrale e motore di una coalizione ampia di forze, nel secondo per stimolare le numerose realtà associative e favorire un “nuovo e rinnovato civismo” nell’ambito del quale mettersi e metterci in discussione per far emergere nuove e qualificate responsabilità sociali e di impegno amministrativo. La trasparenza è un fattore essenziale per ricreare un rapporto nuovo e produttivo con i cittadini veronesi. I cittadini elettori hanno il diritto di sapere e di conoscere in modo chiaro e genuino cosa avviene nel Partito Democratico, nella classe politica e quali sono le scelte che vengono compiute. Solo così potranno confrontarsi e partecipare in modo sostanziale e non formale alla vita sociale e politica promossa dal PD e condizionarne le scelte.
Punto molto anche sulla continua elaborazione culturale e politica. Ed è per questo che intendo dare avvio ad una Fondazione con autorevoli e riconosciuti esponenti (se, possibile, non solo di area) affinché supportino il Partito in questo fondamentale segmento di impegno.

Quale approccio intende adottare per elevare la crescita di Verona nel contesto internazionale e, quindi, della sua Provincia nel momento in cui la crisi economica impone un ruolo ed una ipotesi di sviluppo delle città?
Verona sarà interessata da tanti progetti infrastrutturali di rilevanti dimensioni (TAV, autostrade, interporti, Motorcity...). Ciò farebbe pensare che lo sviluppo e il benessere sia automatico e che, per questo, anche il ruolo della città crescerà. In parte è vero, ma i cambiamenti profondi che vi saranno rischiano, se non mediati, di avere solo effetti negativi. Un Partito di governo come il nostro ha il dovere di misurarsi con scelte del genere e di intraprendere ogni azione di conoscenza e di contatto con tutti i livelli decisionali deputati al fine di tutelare le prerogative e le specificità territoriali. E' vera rappresentanza di interessi locali, affrontare progetti in ogni sede attuati. Un’azione del genere porta Verona in ambiti nuovi, difficilmente raggiungibili da una piccola cittadina di provincia. Quindi, attraverso la rappresentanza concreta degli interessi io penso che avremo occasione per portare qui opportunità che ci consentiranno di favorire la crescita sia economica che sociale, due fattori non divisibili. Inoltre, occorre considerare che molte città si sono riqualificate facendo leva su fattori creativi ed immateriali e ponendo attenzione alla formazione, valorizzazione ed attrazione dei talenti.

Per elevare la qualità della vita dei cittadini veronesi e la competitività delle imprese occorre migliorare la gestione dei servizi pubblici locali. Cosa non ha funzionato fino adesso e cosa pensa di fare per il futuro?
Il sistema pubblico, e non intendo solo le Istituzioni, ma anche le aziende di proprietà pubblica, non ha nel proprio DNA il supporto alle imprese. Certo, l’efficace gestione dei servizi pubblici locali aiuta, ma questa ha un senso se comunque vi sono segmenti che funzionano. Io non ricordo significativi interventi in ambito economico, e sono 12 anni che sono Consigliere Provinciale! Quindi, la situazione è ancora peggiore di quella immaginata.
Ciò ci coinvolge comunque. E coinvolge sia gli amministratori che i nostri rappresentanti nelle medesime società. Da questo punto di vista, la competenza e le capacità di ognuno faranno la differenza. La competenza delle persone dovrà essere il faro da seguire perché abbiamo disperatamente bisogno di gente che sa e conosce. Pertanto, credo che valorizzare il merito, la conoscenza e le “professionalità” di coloro che si propongono per un incarico sia uno degli antidoti alla problematica evidenziata.

I costi della burocrazia e dell’inefficienza delle PA incidono sulla competitività delle imprese, in modo particolare delle Piccole e Micro Imprese, e sulla qualità della vita dei cittadini veronesi. Come pensa di sostenere il cambiamento delle PA nella provincia di Verona nel quadro della riforma per migliorare l’offerta di servizi pubblici?
Le Amministrazioni pubbliche rappresentano un fattore fondamentale per la qualità della vita dei cittadini e per la competitività delle imprese. Una PA inefficiente rallenta e non favorisce lo sviluppo dell’impresa e la crescita della ricchezza nazionale. Gli imprenditori lamentano la scarsa semplicità dell’iter burocratico, lunghi periodi di attesa per l’erogazione di un servizio, la disorganizzazione dei diversi uffici, i costi della burocrazia, i ritardati pagamenti per le forniture ed i servizi resi e spesso la mancanza di un interlocutore. I cittadini subiscono molto spesso l’inefficienza e richiedono un livello di qualità dei servizi migliore.
Le medie, piccole e micro imprese che rappresentano in larga parte il tessuto produttivo dell’Italia (95% della struttura produttiva, 80% dell’occupazione, 70% della ricchezza) e soprattutto del Veneto sono quelle che subiscono di più gli effetti della cattiva organizzazione delle Pubbliche Amministrazioni.
Per i motivi esposti occorre intervenire nei comuni della Provincia di Verona al fine di attuare i contenuti del decreto legislativo n.150/2009 attuativo della legge delega n. 15/2009.
Penso sia utile costituire, ed è una novità rispetto al passato, uno specifico gruppo di lavoro competente le cui elaborazioni devono essere di supporto per il Partito e gli amministratori locali affinché, con cognizione e consapevolezza, si possa perseguire in ogni sede il rinnovamento della PA. Chissà che da Verona possa partire una buona proposta da inviare ovunque.

Le organizzazioni hanno realizzato un continuo adattamento ai cambiamenti veloci che sono intervenuti nel pianeta al fine di mantenere o accrescere la competitività. Al contrario le organizzazioni politiche, quali i partiti, molto spesso sono rimasti fermi rispetto ai cambiamenti radicali. Come pensa di operare in provincia di Verona per superare il gap descritto?
Voglio un Partito a governo diffuso, coinvolgente e inclusivo proprio per affrontare tutte le sfide che la società pone. Spesso si dice che fuori sono più avanti di noi. Bene, andiamo a vedere, confrontiamoci continuamente, mescoliamoci e riflettiamo le esperienze positive.
Penso che debba essere perseguito convintamente un rapporto con la società in grado di far scaturire un “nuovo civismo” (superando le conosciute versioni mascherate o cooptate) nonché la necessità di assunzioni dirette di responsabilità amministrative. Spetta a noi creare le condizioni affinché nascano in questi ambiti volontà nuove di impegno sociale.
Ciò va alimentato e favorito attraverso iniziative e percorsi di condivisione programmatica e culturale di governo del territorio da realizzare su temi quali il governo locale del lavoro, dell'ambiente, della mobilità, della crescita, economica e infrastrutturale, dei rapporti sociali.

Le condizioni politiche attuali consiglierebbero al PD di Verona di celebrare il proprio congresso in forma unitaria o almeno di realizzare la più ampia convergenza possibile? Perché questo obiettivo non è stato realizzato? Si possono cogliere degli interessi di parte (per esempio le candidature alle prossime elezioni politiche, sempre più vicine, o altri interessi)?
Il percorso che ha portato alla mia candidatura è uno (tra i tanti) dei limiti che dobbiamo superare in futuro. E’ vero che le condizioni politiche avrebbero voluto un candidato unitario, ma è altrettanto vero che l’unità non è stata cercata con convinzione. Nel tempo, infatti, riconosciuti esponenti che oggi non sono a sostegno della mia candidatura, hanno avanzato proposte nominative sempre differenti. Nell’ordine: Allegri, Mion, Bonfante, Mion di nuovo e il sottoscritto. Stupisce, però, che nonostante le proposte avanzate (tutte documentabili con incontri e telefonate “pubbliche”), alla fine comunque gli stessi proponenti si siano ritirati lasciando, di fatto, inalterato il quadro. Mi esprimo meglio: se quei proponenti che oggi sostengono l’altra candidatura, avessero mantenuto la proposta nominativa, qualsiasi nell’ordine indicato, tranne Bonfante che è statutariamente incompatibile (possibile che non lo sapessero?) e molto prima di quella del sottoscritto, oggi il candidato sarebbe stato unitario.
Non recrimino: rispetto le ragioni delle proposte e le successive ritirate. Il congresso dirà chi aveva ragione. Democraticamente.

Nel PD vi sono delle posizioni minoritarie che si richiamano all’autosufficienza ed alla vocazione maggioritaria? Rispetto a tali proposte cosa pensa?
Il tema è delicatissimo. Prima la suggestione della vocazione maggioritaria che ha condizionato il nostro PD e poi la proposta di un nutrito numero di Parlamentari che, di fatto, delinea una prospettiva diversa rispetto a quella da tanti condivisa di proseguire nel solco de l’Ulivo come voluto da Romando Prodi, ovvero l’incontro tra culture e radici diverse, ma uniti nei valori di riferimento, sono due prospettive strategiche negative.
Il documento presuppone, tra gli altri, di costruire (delegare?) all’esterno del Partito le future candidature di primo piano, quasi che il Partito fosse un’organizzazione da superare o porre a latere di importanti e democratici processi di selezione, e di portare le posizioni sottoscritte dentro e fuori il partito, prefigurando, in questo modo, azioni che rischiano di minare il nostro futuro unitario.
Ciò determina confusione e disorientamento in milioni di elettori che hanno fiducia nel PD!
Il progetto del Partito Democratico, che è l’unico progetto credibile per il rilancio del centrosinistra a Verona, nel Veneto, in Italia, va avanti comunque perché il nostro popolo ci chiede di stare uniti.
A Verona il tema lo sento, anche in ragione della presenza di due Parlamentari veronesi che hanno condiviso le proposte in questione e che sostengono l’altra candidatura. In merito è necessaria una riflessione nel nostro percorso congressuale, anche se quel candidato non ne parla. Lo capisco, ma occorre sapere da chi si candida se l’ispirazione plurale raggiunta prima con l’Ulivo e poi con il Partito Democratico è tuttora valida o se va messa in discussione.
Io affermo il principio di unità e indissolubilità del progetto culturale che ha motivato la nascita del nostro Partito. Le ragioni positive di quella scelta sono molto superiori ai piccoli interessi di qualcuno. Indietro non si torna.
Nel nostro Partito nessuno deve sentirsi ospite, ma nessuno può pensare di demolirne la credibilità perché il PD è un bene indistinto di tutti e dobbiamo con coerenza difenderne il suo valore a Verona come a Roma.
Programma di Vincenzo D'Arienzo

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