Anche in Spagna un gruppo di 100 economisti elabora e presenta un progetto per il contratto unico a stabilità crescente (Propuesta para la Reactivaciòn Laboral en Espana), sostenuto dalla Fundaciòn de Estudios de Economia Aplicada- Fedea
L’attuale crisi economica non nasce dal mercato del lavoro. Ciononostante, la Spagna soffre di un alto livello di distruzione del mercato del lavoro, superiore rispetto a quello di altri paesi sviluppati. Con una tasso di disoccupazione che si aggira attorno al 15%, e che ha picchi del 20% negli ultimi mesi, è urgente affrontare le cause che generano una così intensa distruzione del mercato del lavoro. Sia i pacchetti di stimolo fiscale, che le misure per la promozione del lavoro – ad esempio i sussidi già approvati per la creazione di nuovi posti di lavoro - saranno inefficaci, se non saranno risolti i problemi più grandi che portano al rendimento inefficiente del nostro mercato del lavoro.
Questi problemi giustificano il grande divario che esiste tra il nostro tasso di disoccupazione e la media nell’area dell’euro (8%), e se non si interviene, non sarà possibile creare abbastanza posti di lavoro nelle industrie ad alta produttività, una volta che le condizioni dell’economia internazionale ritorneranno alla normalità. La creazione di un “nuovo modello produttivo” che metta l’economia spagnola nelle condizioni di raggiungere un’alta e sostenuta crescita dei redditi per capita necessita, soprattutto, di sistemi scientifici e tecnologici che siano più favorevoli all’innovazione e di un sistema di istruzione che sforni lavoratori più altamente qualificati, riducendo così l’attuale allarmante tasso di insuccesso scolastico. Ad ogni modo, per sviluppare con forza un nuovo modello abbiamo anche bisogno di un gruppo di lavoro istituzionale, che favorisca la ricollocazione dei lavoratori dal modello industriale obsoleto a quello emergente. Qui ci soffermiamo sulle nostre istituzioni del lavoro, che dovrebbero essere ridisegnate indipendentemente dalla crisi attuale, dato che forze come il progresso tecnologico, la globalizzazione e l’età della popolazione le hanno rese obsolete.
Sarebbe auspicabile agire simultaneamente su quattro fronti. Prima di tutto è necessario ridurre l’alta insicurezza del lavoro, generata da un mercato del lavoro duale, dove, negli ultimi vent’anni, circa il 30% degli lavoratori è stato assunto con contratto a tempo indeterminato. Nei periodi di boom economico questo modello genera una forte creazione di lavoro, seppur concentrata nelle industrie a bassa produttività, mentre in periodi di recessione esaspera l’abbattimento di posti di lavoro. Questo accade perché l’attuale regolamentazione spinge le imprese a rispondere alle fluttuazioni economiche con un rovesciamento del lavoro, piuttosto che con la ricerca di alternative, quali ad esempio dei cambiamenti che influenzino la riorganizzazione lavorativa. Questo aspetto è rinforzato dal secondo problema: il sistema di contrattazione collettiva è troppo rigido, in alcuni casi è troppo centralizzato, ed in altri presenta un livello insufficiente di coordinamento. Terzo, gli schemi di protezione dalla disoccupazione non raggiungono sufficiente copertura, ed allo stesso tempo scoraggiano la ricerca del lavoro in alcuni casi , portando così ad un inutile prolungamento dei tempi di disoccupazione. In ultimo, la Spagna subisce le conseguenze di deplorevoli politiche attive del mercato del lavoro, che cercano di aiutare i disoccupati nella ricerca del lavoro.
Le esperienze internazionali dimostrano che è possibile migliorare significativamente la situazione. Per farlo è necessario mettere in atto un approccio globale alla regolamentazione del mercato del lavoro, tenendo presente gli effetti collaterali indesiderati che un’istituzione può riscontrare nel tentativo di raggiungere obiettivi predisposti da altre istituzioni. Seguendo questo approccio, pensiamo che sia necessario adottare le seguenti misure:
- Eliminare il dualismo del mercato del lavoro: per raggiungere questo obiettivo è necessario attuare una semplificazione dell’attuale elenco di contratti di lavoro, caratterizzati da ampie disuguaglianze salariali. Con l’eccezione dei contrati interinali, giustificati dalla necessità di sostituire lavoratori temporaneamente assenti, tutti gli altri contratti a tempo indeterminato dovrebbero essere eliminati. Di pari passo, un contratto unico di lavoro permanente, con variazioni salariali che aumentino con l’anzianità di servizio, dovrebbe essere introdotto per tutti i nuovi assunti. Questo unificherebbe le basi per il licenziamento, mantenendo una tutela giudiziale contro i licenziamenti discriminatori.In questo modo, tutti i lavoratori avrebbero un contratto a tempo indeterminato fin dall’inizio del loro rapporto di lavoro, mentre i datori non dovrebbero affrontare un gigantesco divario tra liquidazione per i contratti a tempo determinato (8 giorni di stipendio per anno di servizio e qualche volta semplicemente nulla) e un alto livello di protezione per i contratti a tempo indeterminato. Questo disparità è il fattore chiave che induce ad un eccessivo turnover. Inoltre, questo contratto aiuterebbe anche a ridurre la seria ineguaglianza di opportunità che colpisce alcuni gruppi, come i giovani, le donne, gli immigrati, che sono i più colpiti dall’eccessivo turnover del lavoro. Questa misura potrebbe anche far decollare la richiesta di lavoro part-time, che nel nostro paese è stato scoraggiato dall’uso eccessivo di contratti a tempo determinato.Quando si individua un programma di trattamento di fine rapporto è importante evitare un incremento dei costi del lavoro medio di fronte allo status quo. Ad esempio, si potrebbe cominciare da un livello leggermente superiore all’attuale trattamento di fine rapporto per i contratti a tempo determinato ed aumentare progressivamente fino ad un valore che si avvicini alla media europea, ma sempre al di sotto dell’attuale e più frequente trattamento di fine rapporto per i licenziamenti senza giusta causa (45 giorni l’anno per servizio). Quest’ultimo, come indicato dalle classifiche fornite dalle organizzazioni internazionali, è tra i più alti del mondo.
- Migliorare le tutela per i disoccupati: le spese per i sussidi di indennità dovrebbero continuare a crescere mentre la crisi continua, e sarebbe probabilmente consigliabile aumentare anche la loro durata. Questa misura dovrebbe comunque essere temporanea e quindi rimossa non appena le condizioni migliorino. D’altra parte, con un approccio di medio - lungo termine, un incremento della protezione che non scoraggi la ricerca di lavoro è raggiunta con maggior successo da un innalzamento dei sussidi nei primi mesi di disoccupazione, piuttosto che con l’aumento della durata degli stessi. Il tetto massimo dei sussidi dovrebbe inoltre essere rivalutato verso l’alto, essendo relativamente basso, in quanto genera una difficoltà per i lavoratori in termini di sostegno delle loro spese, ed implica un profilo dei sussidi in scarso declino, che riduce gli incentivi per la ricerca di lavoro. A proposito dei contributi per la sicurezza sociale che finanziano i benefit, potrebbe essere benefico – sulla scia del “modello austriaco” – accumulare parte di essi in un fondo accessibile ai lavoratori che diventano disoccupati, perché vengano finanziati corsi di formazione, o che potrebbero incrementare il fondo pensione. In ultimo, la dirigenza delle risorse umane potrebbe essere premiata con la riduzione dei contributi per la sicurezza sociale, disposta a favore delle imprese con tasso più basso di licenziamenti, e/o penalizzando quelli che hanno i tassi più alti.
- Modernizzare il modello di contrattazione collettiva: le parti scoiali hanno firmato, a questo proposito, l’Accordo della Interconfederazione del 1997, in cui hanno riconosciuto la presenza di un’eccessiva centralizzazione e la mancanza di coordinamento nel sistema attuale. D’altra parte, in dodici anni non è stato fatto alcun progresso. Di conseguenza, il modello di contrattazione collettiva costituisce una difficoltà per le imprese che vogliano adeguare le condizioni di lavoro ai bisogni di produzione nel tempo, ostacolando così la crescita di produttività. Non è possibile risolvere i difetti dell’attuale sistema di contrattazione collettiva senza intervenire con modificazioni della regolamentazione che sta alla base della deficienza di progresso. In questo senso dovrebbe essere presa in considerazione una misura che permetta la conclusione di accordi a livello delle imprese, raggiunte da lavoratori e datori, in modo da prevalere su accordi di livello più alto. Con l’attuale disciplina, accordi come quelli recentemente raggiunti da certe grandi imprese per mantenere l’occupazione sono possibili solo sotto stringenti condizioni.
- Aumentare il livello di efficienza delle politiche per il mercato del lavoro: per raggiungere questo obiettivo, le politiche in materia di mercato del lavoro dovrebbero essere ri-orientate verso certi gruppi e amministrate in un modo più efficiente. Le politiche attive del mercato del lavoro dovrebbero essere concentrate sui lavoratori a basso profilo, essendo quelli che soffrono dei più lunghi periodi di disoccupazione, così che i tempi prolungati di disoccupazione siano evitati. E dovrebbero essere amministrate parallelamente alle misure di protezione contro la disoccupazione. Sia i provvedimenti, che la fondazione di attività di collocamento e formazione dovrebbero prendere in considerazione le circostanze individuali di ciascun lavoratore disoccupato e generare opportunità e incentivi per accrescere il tasso di uscita dalla disoccupazione. In questo senso, una valutazione rigorosa di questo tipo di attività, quasi mai intrapresa, dovrebbe diventare routine. Questa valutazione dovrebbe aiutare a ridisegnare le politiche e fornire informazioni per la distribuzione di fondi verso quei programmi, agenzie e datori pubblici che conseguano i migliori risultati. L’offerta di questi programmi dovrebbe espandersi, permettendo alle compagnie di intermediazione al lavoro appropriatamente accreditate e alle agenzie private di cooperare con agenzie pubbliche per il loro approvvigionamento e la loro amministrazione, offrendo così ai lavoratori una più ampia gamma di scelte.
Riassumendo, crediamo che seguendo queste raccomandazioni sia possibile creare una serie di misure che promuoverebbero la creazione di posti di lavoro e di conseguenza favorirebbero la fine della crisi. Questo programma potrebbe ricevere un ampio supporto sociale, grazie alle conseguenze positive di innalzamento del welfare generale e la riduzione delle ineguaglianze. La programmazione di misure specifiche richiederebbe uno studio dettagliato, che potrebbe essere basato sull’abbondanza dell’esistente ricerca economica, portato avanti in Spagna e altri paesi. I sottoscrittori di questo progetto credono che un’iniziativa di questo tipo dovrebbe essere lanciata con urgenza, sotto la guida del governo, con il supporto dell’opposizione e la partecipazione delle parti sociali.
L’attuale crisi economica non nasce dal mercato del lavoro. Ciononostante, la Spagna soffre di un alto livello di distruzione del mercato del lavoro, superiore rispetto a quello di altri paesi sviluppati. Con una tasso di disoccupazione che si aggira attorno al 15%, e che ha picchi del 20% negli ultimi mesi, è urgente affrontare le cause che generano una così intensa distruzione del mercato del lavoro. Sia i pacchetti di stimolo fiscale, che le misure per la promozione del lavoro – ad esempio i sussidi già approvati per la creazione di nuovi posti di lavoro - saranno inefficaci, se non saranno risolti i problemi più grandi che portano al rendimento inefficiente del nostro mercato del lavoro.
Questi problemi giustificano il grande divario che esiste tra il nostro tasso di disoccupazione e la media nell’area dell’euro (8%), e se non si interviene, non sarà possibile creare abbastanza posti di lavoro nelle industrie ad alta produttività, una volta che le condizioni dell’economia internazionale ritorneranno alla normalità. La creazione di un “nuovo modello produttivo” che metta l’economia spagnola nelle condizioni di raggiungere un’alta e sostenuta crescita dei redditi per capita necessita, soprattutto, di sistemi scientifici e tecnologici che siano più favorevoli all’innovazione e di un sistema di istruzione che sforni lavoratori più altamente qualificati, riducendo così l’attuale allarmante tasso di insuccesso scolastico. Ad ogni modo, per sviluppare con forza un nuovo modello abbiamo anche bisogno di un gruppo di lavoro istituzionale, che favorisca la ricollocazione dei lavoratori dal modello industriale obsoleto a quello emergente. Qui ci soffermiamo sulle nostre istituzioni del lavoro, che dovrebbero essere ridisegnate indipendentemente dalla crisi attuale, dato che forze come il progresso tecnologico, la globalizzazione e l’età della popolazione le hanno rese obsolete.
Sarebbe auspicabile agire simultaneamente su quattro fronti. Prima di tutto è necessario ridurre l’alta insicurezza del lavoro, generata da un mercato del lavoro duale, dove, negli ultimi vent’anni, circa il 30% degli lavoratori è stato assunto con contratto a tempo indeterminato. Nei periodi di boom economico questo modello genera una forte creazione di lavoro, seppur concentrata nelle industrie a bassa produttività, mentre in periodi di recessione esaspera l’abbattimento di posti di lavoro. Questo accade perché l’attuale regolamentazione spinge le imprese a rispondere alle fluttuazioni economiche con un rovesciamento del lavoro, piuttosto che con la ricerca di alternative, quali ad esempio dei cambiamenti che influenzino la riorganizzazione lavorativa. Questo aspetto è rinforzato dal secondo problema: il sistema di contrattazione collettiva è troppo rigido, in alcuni casi è troppo centralizzato, ed in altri presenta un livello insufficiente di coordinamento. Terzo, gli schemi di protezione dalla disoccupazione non raggiungono sufficiente copertura, ed allo stesso tempo scoraggiano la ricerca del lavoro in alcuni casi , portando così ad un inutile prolungamento dei tempi di disoccupazione. In ultimo, la Spagna subisce le conseguenze di deplorevoli politiche attive del mercato del lavoro, che cercano di aiutare i disoccupati nella ricerca del lavoro.
Le esperienze internazionali dimostrano che è possibile migliorare significativamente la situazione. Per farlo è necessario mettere in atto un approccio globale alla regolamentazione del mercato del lavoro, tenendo presente gli effetti collaterali indesiderati che un’istituzione può riscontrare nel tentativo di raggiungere obiettivi predisposti da altre istituzioni. Seguendo questo approccio, pensiamo che sia necessario adottare le seguenti misure:
- Eliminare il dualismo del mercato del lavoro: per raggiungere questo obiettivo è necessario attuare una semplificazione dell’attuale elenco di contratti di lavoro, caratterizzati da ampie disuguaglianze salariali. Con l’eccezione dei contrati interinali, giustificati dalla necessità di sostituire lavoratori temporaneamente assenti, tutti gli altri contratti a tempo indeterminato dovrebbero essere eliminati. Di pari passo, un contratto unico di lavoro permanente, con variazioni salariali che aumentino con l’anzianità di servizio, dovrebbe essere introdotto per tutti i nuovi assunti. Questo unificherebbe le basi per il licenziamento, mantenendo una tutela giudiziale contro i licenziamenti discriminatori.In questo modo, tutti i lavoratori avrebbero un contratto a tempo indeterminato fin dall’inizio del loro rapporto di lavoro, mentre i datori non dovrebbero affrontare un gigantesco divario tra liquidazione per i contratti a tempo determinato (8 giorni di stipendio per anno di servizio e qualche volta semplicemente nulla) e un alto livello di protezione per i contratti a tempo indeterminato. Questo disparità è il fattore chiave che induce ad un eccessivo turnover. Inoltre, questo contratto aiuterebbe anche a ridurre la seria ineguaglianza di opportunità che colpisce alcuni gruppi, come i giovani, le donne, gli immigrati, che sono i più colpiti dall’eccessivo turnover del lavoro. Questa misura potrebbe anche far decollare la richiesta di lavoro part-time, che nel nostro paese è stato scoraggiato dall’uso eccessivo di contratti a tempo determinato.Quando si individua un programma di trattamento di fine rapporto è importante evitare un incremento dei costi del lavoro medio di fronte allo status quo. Ad esempio, si potrebbe cominciare da un livello leggermente superiore all’attuale trattamento di fine rapporto per i contratti a tempo determinato ed aumentare progressivamente fino ad un valore che si avvicini alla media europea, ma sempre al di sotto dell’attuale e più frequente trattamento di fine rapporto per i licenziamenti senza giusta causa (45 giorni l’anno per servizio). Quest’ultimo, come indicato dalle classifiche fornite dalle organizzazioni internazionali, è tra i più alti del mondo.
- Migliorare le tutela per i disoccupati: le spese per i sussidi di indennità dovrebbero continuare a crescere mentre la crisi continua, e sarebbe probabilmente consigliabile aumentare anche la loro durata. Questa misura dovrebbe comunque essere temporanea e quindi rimossa non appena le condizioni migliorino. D’altra parte, con un approccio di medio - lungo termine, un incremento della protezione che non scoraggi la ricerca di lavoro è raggiunta con maggior successo da un innalzamento dei sussidi nei primi mesi di disoccupazione, piuttosto che con l’aumento della durata degli stessi. Il tetto massimo dei sussidi dovrebbe inoltre essere rivalutato verso l’alto, essendo relativamente basso, in quanto genera una difficoltà per i lavoratori in termini di sostegno delle loro spese, ed implica un profilo dei sussidi in scarso declino, che riduce gli incentivi per la ricerca di lavoro. A proposito dei contributi per la sicurezza sociale che finanziano i benefit, potrebbe essere benefico – sulla scia del “modello austriaco” – accumulare parte di essi in un fondo accessibile ai lavoratori che diventano disoccupati, perché vengano finanziati corsi di formazione, o che potrebbero incrementare il fondo pensione. In ultimo, la dirigenza delle risorse umane potrebbe essere premiata con la riduzione dei contributi per la sicurezza sociale, disposta a favore delle imprese con tasso più basso di licenziamenti, e/o penalizzando quelli che hanno i tassi più alti.
- Modernizzare il modello di contrattazione collettiva: le parti scoiali hanno firmato, a questo proposito, l’Accordo della Interconfederazione del 1997, in cui hanno riconosciuto la presenza di un’eccessiva centralizzazione e la mancanza di coordinamento nel sistema attuale. D’altra parte, in dodici anni non è stato fatto alcun progresso. Di conseguenza, il modello di contrattazione collettiva costituisce una difficoltà per le imprese che vogliano adeguare le condizioni di lavoro ai bisogni di produzione nel tempo, ostacolando così la crescita di produttività. Non è possibile risolvere i difetti dell’attuale sistema di contrattazione collettiva senza intervenire con modificazioni della regolamentazione che sta alla base della deficienza di progresso. In questo senso dovrebbe essere presa in considerazione una misura che permetta la conclusione di accordi a livello delle imprese, raggiunte da lavoratori e datori, in modo da prevalere su accordi di livello più alto. Con l’attuale disciplina, accordi come quelli recentemente raggiunti da certe grandi imprese per mantenere l’occupazione sono possibili solo sotto stringenti condizioni.
- Aumentare il livello di efficienza delle politiche per il mercato del lavoro: per raggiungere questo obiettivo, le politiche in materia di mercato del lavoro dovrebbero essere ri-orientate verso certi gruppi e amministrate in un modo più efficiente. Le politiche attive del mercato del lavoro dovrebbero essere concentrate sui lavoratori a basso profilo, essendo quelli che soffrono dei più lunghi periodi di disoccupazione, così che i tempi prolungati di disoccupazione siano evitati. E dovrebbero essere amministrate parallelamente alle misure di protezione contro la disoccupazione. Sia i provvedimenti, che la fondazione di attività di collocamento e formazione dovrebbero prendere in considerazione le circostanze individuali di ciascun lavoratore disoccupato e generare opportunità e incentivi per accrescere il tasso di uscita dalla disoccupazione. In questo senso, una valutazione rigorosa di questo tipo di attività, quasi mai intrapresa, dovrebbe diventare routine. Questa valutazione dovrebbe aiutare a ridisegnare le politiche e fornire informazioni per la distribuzione di fondi verso quei programmi, agenzie e datori pubblici che conseguano i migliori risultati. L’offerta di questi programmi dovrebbe espandersi, permettendo alle compagnie di intermediazione al lavoro appropriatamente accreditate e alle agenzie private di cooperare con agenzie pubbliche per il loro approvvigionamento e la loro amministrazione, offrendo così ai lavoratori una più ampia gamma di scelte.
Riassumendo, crediamo che seguendo queste raccomandazioni sia possibile creare una serie di misure che promuoverebbero la creazione di posti di lavoro e di conseguenza favorirebbero la fine della crisi. Questo programma potrebbe ricevere un ampio supporto sociale, grazie alle conseguenze positive di innalzamento del welfare generale e la riduzione delle ineguaglianze. La programmazione di misure specifiche richiederebbe uno studio dettagliato, che potrebbe essere basato sull’abbondanza dell’esistente ricerca economica, portato avanti in Spagna e altri paesi. I sottoscrittori di questo progetto credono che un’iniziativa di questo tipo dovrebbe essere lanciata con urgenza, sotto la guida del governo, con il supporto dell’opposizione e la partecipazione delle parti sociali.
1 commento:
questa nota mi è veramente piaciuta ,grazie
Posta un commento