martedì 26 maggio 2009

Intervista ad Antonino Leone

a cura di Valentina Travaglini, laurenda in Scienze della Comunicazione a Teramo
Nel 1980 il Rapporto Giannini parlava delle amministrazioni pubbliche scrivendo: "L’impiego di tecniche di amministrazione adeguate alle attività da erogare costituisce il settore di maggior carenza delle amministrazioni pubbliche. A questa carenza sono da imputare le immagini popolari delle organizzazioni pubbliche, come composte, secondo i giudizi più spinti in negativo, di inetti e di fannulloni, e secondo quelli più in positivo, di tardigradi e di cultori di formalismi”. Detto questo, come mai dopo trenta anni dalla sua pubblicazione, l’immagine dell’impiegato fannullone è ancora così in auge? Che cosa non ha funzionato nelle riforme degli anni ’90 ?
Nel 1980 non era facile e possibile applicare le metodologie di management sopportate dalle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione.
All’epoca vigeva nelle imprese l’organizzazione scientifica del lavoro (compiti semplici e processi complessi). Pertanto si lavorava per mansioni semplici ed era in atto la divisione del lavoro in particolar modo nel settore pubblico. La cultura del management era conosciuta ed applicata nelle imprese private. Il rapporto Giannini ha rappresentato uno strumento per prendere coscienza dello stato in cui versavano le Pubbliche Amministrazioni.
Giuseppe De Rita, sociologo e responsabile del Censis, commentando in una intervista pubblicata dal Corriere della Sera il 25 marzo 2009 l’invito del Presidente del Consiglio “a lavorare di più”, afferma che “siamo uno dei popoli che lavorano di più sulla faccia della Terra”.
A questo punto il giornalista Paolo Conti pone la seguente domanda:“Ma allora, la polemica sui “fannulloni “ e gli scansafatiche?”
De Rita risponde “l’attributo di “fannulloni”, stando a Brunetta, evoca l’universo del pubblico impiego. E anche qui il problema non è dei dipendenti, spesso materialmente costretti a rimanere negli uffici senza far nulla proprio perché privi di mansioni. Il difetto è semmai di chi comanda e non sa coordinare i sottoposti”.
Le dichiarazioni di De Rita confermano quello che ho sempre sostenuto in diversi articoli e nel mio blog. Per aumentare la produttività nella Pubblica Amministrazione occorre un management pubblico che si assuma la piena responsabilità e sappia utilizzare le risorse messe a sua disposizione: organizzazione, nuove tecnologie, conoscenza e capitale umano. L’utilizzo efficace di tali risorse dipende dal management pubblico ed anche i casi di improduttività degli operatori, i quali in molti casi lavorano senza creare valore
Il cambiamento nelle Pubbliche Amministrazioni non opera per legge ma dipende dalle competenze e dalle capacità del management pubblico.
La prima condizione è quella di rompere il patto sommerso e tacito tra dirigenti ed operatori nel non rendere trasparenti i problemi. Questo rappresenta il primo passo per affrontarli e portarli a soluzione.
Quali sono le vere cause di quella che comunemente viene definita “inefficienza” del settore pubblico?
Le cause dell’inefficienza delle pubbliche Amministrazioni sono complesse e non dipendono esclusivamente dai fannulloni e dagli assenteisti. Vi è un management pubblico che non sempre si assume le responsabilità previste dal ruolo che ricopre e non introduce nel settore pubblico i modelli organizzativi più adatti a migliorare la qualità dei servizi prodotti. Le Pubbliche Amministrazioni al pari delle imprese private devono adattarsi ai cambiamenti che avvengono velocemente nel pianeta, nell’economia e nelle imprese altrimenti rischiano di non essere competitive. Il management deve utilizzare al meglio le risorse che ha a disposizione: organizzazione, conoscenza, nuove tecnologie e risorse umane. Dall’utilizzo efficace di queste risorse da parte del management dipende l’efficacia e l’efficienza della Pubblica Amministrazione.
Durante il mio lavoro di ricerca ho intervistato molti dipendenti comunali e provinciali che mi hanno esposto una difficoltà diffusa nel recepire tutte le nuove leggi e i regolamenti che li riguardano. Essi lamentano infatti una confusione legislativa che lede la loro capacità produttiva e la flessibilità. A suo avviso la riforma Brunetta riuscirà a risolvere queste problematiche?
Questo problema dipende da come il Parlamento legifera. Molto spesso le leggi emanate incidono in modo determinante sul processo di produzione dei servizi e lo rendono complesso, oneroso e difficoltoso da gestire (carta di acquisto). Altre volte per definire una prestazione sociale sono coinvolti più enti pubblici che non riescono ad integrarsi ed a collaborare al fine di realizzare un processo efficiente ed efficace che crei valore nei confronti dei cittadini (invalidi civili, le competenze sono divise tra più enti). La complessità legislativa è uno dei problemi che determina la qualità del lavoro nelle pubbliche amministrazioni. Tale problema non può essere risolto dalla cosiddetta riforma Brunetta poiché dipende esclusivamente dalla qualità della leggi che il Parlamento approva.
In Europa è celebre il modello delle democrazie scandinave che hanno una pubblica amministrazione perfettamente automatizzata e computerizzata. A suo avviso, attraverso questa riforma sarà possibile raggiungere un livello di eccellenza simile a quello scandinavo oppure in Italia esistono ancora dei vincoli?
L’utilizzo delle nuove tecnologie nelle Pubbliche Amministrazioni rappresentano una risorsa insostituibile che aiuta moltissimo in sede di valutazione, di programmazione e di utilizzo delle informazioni analitiche. Inoltre, consente di sopportare gli operatori nell’attività di lavoro e di migliorare i servizi prodotti.
Il livello di eccellenza che l’Italia potrà conseguire dipende dal decreto legislativo che il Parlamento approverà e dal management pubblico.
Nel suo nuovo libro “Rivoluzione in corso” il Ministro Brunetta scrive: “Il cattivo sindacalismo non solo non difende l’interesse di chi nel mondo del lavoro vuole entrare, ma spesso neanche di chi già ne fa parte.” A vostro avviso è vero che il sindacato ha avuto un’incidenza negativa sul funzionamento delle p.a. nel corso degli anni? E se così fosse, in che maniera?
Non si può ogni volta trovare un capro espiatorio diverso secondo il momento e l’interlocutore. Le responsabilità del livello di efficienza e di efficacia delle Pubbliche Amministrazioni sono complesse. Non vi è un solo responsabile.
Quali pensa che saranno gli esiti dell’applicazione di questa legge?
La legge contiene elementi positivi: Autorità indipendente, trasparenza, merito, valutazione dei risultati, piani di lavoro. Tutti fattori proposti dal senatore Pietro Ichino e dal Partito Democratico. Gli elementi specificati erano solo accennati o non previsti dal disegno di legge del Governo.
La riforma per essere operativa ha bisogno della massima convergenza possibile delle forze politiche, sindacali e sociali. E’ impensabile che la sua applicazione avvenga di autorità.
Nella bozza del decreto sono contenuti degli elementi (premi incentivanti) che sono disciplinati molto dettagliatamente, occupano lo spazio del management, contengono discriminazioni e una visione del lavoro tayloristica. Inoltre il tentativo di restringere l’area della contrattazione sindacale non porta sicuramente benefici ma confusione e contrapposizione.
Adesso tutto dipende dai contenuti del decreto legislativo che verrà approvato.
Una riforma della Pubblica Amministrazione era già stata tentata dal Ministro Bassanini negli anni ’90, ma i problemi non si sono esauriti. A suo avviso cosa non funzionò?
Secondo il senatore Pietro Ichino è mancata la trasparenza dei piani e del grado di conseguimento dei risultati e la partecipazione dei cittadini. Occorre che i cittadini conoscano il livello di efficienza dei settori della Pubblica Amministrazione e facciano sentire la loro voce.
Non è stata realizzata la valutazione e la misurazione del lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni. Senza questi dati significativi sulla performance non si possono avviare impegni di cambiamento.
Se si fosse trovato al posto del Ministro Brunetta quale proposta avrebbe fatto per migliorare la condizione delle p.a e del loro rapporto con i cittadini?
Gli elementi che secondo me vanno tenuti presente sono: la semplificazione legislativa, livelli di controllo semplici e chiari, la trasparenza interna ed esterna degli obiettivi e dei risultati, semplificazione dei rapporti con le organizzazione sindacali senza togliere spazio e responsabilità alle stesse.
Un altro problema è rappresentato dalle risorse umane: creare le condizioni per attrarre i talenti nella P.A. e per farli emergere all’interno di essa.
Occorre, fermi restando gli obiettivi delle disposizioni legislative in materia di servizi pubblici, migliorare e semplificare le leggi che disciplinano l’offerta dei servizi ed intervengono negativamente nei processi di produzione delle prestazioni (alti costi per servizi minimi). L’obiettivo di sostenere le fasce più deboli poteva essere conseguito a costo zero con la maggiorazione sociale anziché con la carta acquisti ed i benefici del bonus famiglia potevano essere garantiti con l’assegno per il nucleo familiare.
Il rapporto con i cittadini deve essere trasparente e veloce nel senso della definizione efficace ed efficiente delle richieste. Inoltre gli operatori pubblici devono possedere le qualità ed i valori che animano le attività dei volontari.
La differenza tra le imprese pubbliche e private è rappresentata dall’equità.

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