martedì 30 giugno 2009

Il coraggio che manca di Debora Serracchiani

Debora Serracchiani ha pubblicato per la Rizzoli “Il Coraggio che manca”
Si riporta l’articolo di Francesca Basso pubblicato su Corriere della Sera del 27 giugno 2009

"E pensare che il primo voto l'ha dato ai Verdi. Debora Serracchiani, la campionessa del Pd alle Europee con la maglia da esordiente, ha voluto «fermare l' attimo per paura di dimenticare» e ha sfornato Il coraggio che manca. A un cittadino deluso dalla politica (Rizzoli), in libreria dal primo luglio. Ma è solo l' inizio. Lei garantisce che «ci sarà spazio per una seconda puntata», dopo il congresso di ottobre.
C'è proprio tutto nel libro, dagli inizi nel comitato di quartiere dei Rizzi di Udine alla straordinaria vittoria su «papi» Berlusconi alle Europee in Friuli Venezia Giulia con ben 144.558 preferenze. C'è l' ammissione di essere digiuna di politica per tradizione familiare («sono cresciuta considerando sullo stesso piano Enrico Berlinguer e Aldo Moro»; «ignoravo più o meno i partiti della Prima Repubblica»). Ma c' è anche l' entusiasmo per le primarie che consacrarono leader Vetroni e la «rabbia» per quello che è accaduto poi. Soprattutto c' è «la politica che vorrei», «vicina alle persone», e c' è il partito che sogna, formato da dirigenti «in grado di "crescere" altre persone che facciano nascere il Pd sul territorio». Sembrerebbe un manifesto politico, con una dettagliata analisi degli errori commessi dalla dirigenza del Pd: Rutelli candidato sindaco «una delle mosse più autolesioniste»; «l' incapacità di intervenire sulla dirigenza campana e sul governatore Bassolino»; «l' intervento critico» di Bersani e D' Alema sullo sbarramento al 4%. Invece viene derubricato dalla Serracchiani a «un lancio di idee rispetto al partito», a un tentativo di «parlare alla base e alla gente comune vicina al Pd». Ma il libro è soprattutto una difesa personale, contro quelli che l' hanno sminuita con la motivazione che non basta criticare il partito per meritare una candidatura, o sostenendo che è stata solo «fortuna» quel 21 marzo, quando con il suo discorso è diventata la «stella della sinistra italiana», come la battezzò El País. «Lo dicono soprattutto i big del partito», racconta senza remore la Serracchiani: per loro «ciò che è nuovo deve essere per forza meno buono di ciò che c' era già». Poi uno scatto d' orgoglio: «Però non è del tutto vero che sarebbe potuto essere chiunque altro» perché «è vero: ho detto cose che pensano in molti. Ma non tutti le avrebbero dette pubblicamente. Manca il coraggio e senza quel coraggio non costruiremo mai il nostro partito». Insomma, la Serracchiani quel coraggio lo ha avuto eccome. Certo, nel prologo, rievocando i passi salienti di quel fatidico discorso si limita a ricordare l' appello al segretario Franceschini: «È venuto il momento delle decisioni». Bisogna arrivare a pagina 52 per la parte che ha scaldato gli animi della base e del web, urtando i maggiorenti: «Chiedo a questo partito di votare. Se necessario anche lasciando a casa qualcuno». Non rinnega nulla la Serracchiani. Anzi. Il 5 in pagella a D' Alema viene abbassato: «Fui di manica larga». È pronta per il congresso. E comincia parlando oggi al Lingotto ai giovani del Pd, dopo Chiamparino e Franceschini. Di sicuro stavolta non indosserà «jeans, maglione e giacca marrone» come a Roma, quando l' assalì «la vergogna per come ero vestita». L' età dell' innocenza è finita. Ora c' è il secondo capitolo: il congresso”.
Ritengo interessante acquistare il libro per conoscere ancora di più Debora, la sua meravigliosa esperienza ed i valori che l’hanno guidata nelle ultime elezioni al Parlamento Europeo.

5 commenti:

pino s. ha detto...

Forse anche a Debora è mancato un po' di coraggio al Lingotto...

Fabio Pari ha detto...

In questi giorni in cui le Istituzioni chiedono il silenzio intorno all'inchiesta di Bari, così da consentire al Cavaliere di non doversi presentare al G8 truccato di bianco e con un simpatico naso rosso, la scena politica s'anima d'altre storie... tra cui la corsa al congresso del Partito Democratico.
L'11 Ottobre sapremo chi sarà il nuovo leader del partito, al quale toccherà l'arduo compito di reggere le fila di un battaglione ormai stanco e ferito, consegnando nuova identità e nuova spinta ad un progetto che rischia di trasformarsi nel fuoco di paglia più clamoroso della storia della politica italiana.

Ai blocchi di partenza abbiamo il segretario "tecnico" Dario Franceschini e, come annunciato mesi fa, l'ex-ministro Pierluigi Bersani. Non voglio dilungarmi troppo a parlare di questi due, a mio avviso, bravissimi politici, perché penso seriamente che nessuno dei due rappresenti ciò che è necessario per dare nuovo lustro a questo progetto.
Bersani ha detto che "bisogna ricostruire il partito" e che lui, a differenza dello sfidante, "non parla di vecchio e nuovo". Scusate, ovvio che non parli di vecchio e di nuovo, rischierebbe lui stesso di trovarsi in imbarazzo al momento della collocazione.
Proseguo ribadendo, come spesso ho fatto, la mia stima e i miei complimenti a Franceschini, il quale è riuscito nel difficilissimo compito di "tenere botta" alle europee e a non far implodere il partito nel post-Veltroni.
Tuttavia ritengo il suo compito esaurito. Doveva essere il traghettatore tra due generazioni, quella del "vecchio" (o nuovo?) Bersani e dei suoi attempati coetanei (non anagrafici, ma mediatico-politici) come Prodi, D'Alema, Veltroni, Rutelli, Bindi, Fassino, ecc... e la VERA nuova e INEDITA generazione politica.

Ragazzi miei, ci vogliono persone che non si sono mai viste prima!
Persone che non hanno ricoperto prima d'ora ruoli di spicco nel partito nazionale, persone che non sono già state "consumate" dall'opinione pubblica, persone che si sono fatte le ossa all'interno del partito lavorando sul territorio, persone che arrivano a questo importante appuntamento per TUTTO il centrosinistra italiano svincolate il più possibile da vecchie divisioni e appartenenze.
Rischiamo che con questo "bipolarismo" interno tornino a galla vecchi rancori neanche troppo sopiti, che porterebbero molto probabilmente a nuove tensioni e scontri pubblici, riuscendo a dare per l'ennesima volta la patetica immagine di essere un partito diviso su tutto e su tutti.

Per questo spero con tutto me stesso nell'OUTSIDER e, tra tutti i nomi che circolano (Ignazio Marino, Marco Simoni, Giuseppe Civati), spero che si presenti DEBORA SERRACCHIANI.

Sono fermamente convinto che in un Paese come l'Italia, dove l'apparenza, negli ultimi anni, vale più della sostanza, sia necessario "giocare" sfruttando le regole ormai assunte della società in cui stiamo vivendo.
Con questo non voglio dire che queste regole siano da condividere, ma ritengo sia inutile ignorarle facendo gli intellettuali di sinistra.
Il gioco è questo, che lo vogliamo o no, occorre attrezzarsi con una figura nuova e giovane capace di catturare lo "share elettorale" (mi piace chiamarlo così).
Che poi dietro ci debba essere una base solida e una sostanza programmatica è senza dubbio necessario.

Ci vuole un LEADER nuovo e un PARTITO DEMOCRATICO nuovo, con i suoi componenti pronti a remare tutti nella stessa direzione. Certo, le discussioni ci saranno e ci devono assolutamente essere, ma vanno risolte all'interno del partito e nei luoghi a questo adibiti.

Una linea CHIARA e COMUNE, chi non è d'accordo può andarsene.

Ascoltate il discorso di Debora all'Assemblea Nazionale dei Circoli, non c'è bisogno di aggiungere nulla.

http://fabiopari.blogspot.com/

giulianocastellini ha detto...

Se è un coraggio quello che manca è quello dei dirigenti di non voler essere più leader, ma storia di un partito in declino; è quello del popolo del Pd nel non continuare fideiisticamente e clientelarmente ad ossequiare e servire chi è nella stanza dei bottoni; nel non tacitare i dissidenti. Se manca il coraggio al vertice è perchè manca alla base: nei paesini succede di tutto per arraffare una "cadreghetta" infima, ma di prestigio sociale. Nel popolo del Pd c'è troppa fame "berlusconiana" di apparire senza essere.

Antonino Leone ha detto...

Non metto in dubbio che alcune cose che Giuliano descrive possano esistere in alcune parti del territorio. Il nostro impegno ha l'obiettivo di avviare una grande processo di cambiamento nel PD e nella società. Non impegnarsi i questo vuol dire accettare supinamente gli errori degli altri. Per quanto riguarda la gestione del potere faresti bene a fare l'analisi di come viene gestito dal centro destra.

Antonino Leone ha detto...

Occorreva meno coraggio per candidarsi ed invece ha scelto la via più difficile.