Il XXI sec. si caratterizza per una forte mobilità e flessibilità lavorativa, dovuta alle condizioni contrattuali sempre più effimere che inevitabilmente riducono la stabilità lavorativa a favore di una “illusoria” efficienza organizzativa.
L’elemento che si trova al centro di tale fenomeno sociale, ma anche organizzativo, è la «persona»: su di essa si basa il successo delle organizzazioni e la capacità di esse di affrontare nuovi contesti. All’interno delle organizzazioni la risorsa umana è un elemento strategico senza la cui collaborazione, coinvolgimento e condivisione degli obiettivi, non si potrebbero affrontare le sfide ed i rinnovamenti continuamente in atto nel mondo economico.
L’uomo va considerato come «realtà globale» nella quale gli orientamenti di valore, i sentimenti, le aspirazioni interagiscono con le cognizioni, le attitudini, l’ambiente fisico e sociale. E ogni realtà è un mondo a se stante con radici storiche, cause ed effetti diversi in cui regole e formule stereotipate si vanificano.
Partire, infatti, da una posizione preconcetta nel valutare un problema organizzativo, indicando in una causa aprioristicamente individuata l’unico motivo della genesi e dello sviluppo di un fenomeno, è sicuramente fuorviante.
Visto sotto questo aspetto il rapporto di lavoro può assumere varie configurazioni secondo un continuum che va dalla piena integrazione dell’individuo nel contesto, alla sua assoluta estraneità e l’assenza del posto di lavoro diventa indicatore di deviazione dallo stato cooperativo e di scarsa integrazione nel gruppo di lavoro. Ma anche in questo caso, riconoscere la spiegazione del problema solo nell’”alienazione” e nella”scarsa responsabilità” del lavoratore, significa rimanere alla superficie del problema stesso. La soluzione non può consistere nel cercare di eliminare una ipotetica causa predeterminata, ma nell’individuare le ragioni reali, attraverso un approccio globale, coerente, attraverso una ricerca approfondita per poi disporre, successivamente, le azioni correttive.
Da molti anni l’Assenteismo è diventato un fenomeno di rilevante importanza che non può essere trascurato da chi, sotto vari aspetti, si occupa di questioni aziendali, ma per una sua effettiva comprensione occorre partire dall’interpretazione delle situazioni organizzative in cui si manifesta.
Occorre, dunque, passare dall’astrazione all’identificazione di comportamenti concreti e indicare quali dati si intende analizzare. Bisogna prendere atto che ogni organizzazione ha il suo “Assenteismo”, che va studiato in relazione, appunto, al reciproco determinarsi di fattori personali, ambientali e comportamentali che interagiscono influenzandosi reciprocamente.
L’Assenteismo, in realtà, non può che essere innanzi tutto un problema organizzativo, sia nel senso che le presenze e le assenze sul lavoro variano in funzione dei modi di governo, della varietà tecnologica, della divisione del lavoro; sia nel senso che per una effettiva comprensione del fenomeno assenteistico è necessario partire dall’interpretazione delle situazioni organizzative in cui si manifesta.
Per una corretta interpretazione dell’«Assenteismo» è indispensabile quindi:
- entrare nel merito delle principali variabili soggettive capaci di influenzare la prestazione di lavoro e la presenza dell’individuo all’interno dell’organizzazione;
- focalizzare, in particolare, l’attenzione su alcuni dei diversi aspetti dell’identità personale che hanno un “effetto” sulla condotta lavorativa concreta (in quanto “antecedenti” rispetto alla prestazione e alle sue possibili ricadute): abilità personali e cognitive – convinzioni su di se e senso di autoefficacia;
- entrare nel merito di specifici aspetti della relazione persona-contesto-ambiente capaci di influenzare, per retroazione, le azioni delle persone e la loro permanenza nell’organizzazione e coinvolgimento alla vita lavorativa;
- fare riferimento ad alcuni aspetti individuali che più propriamente sono da intendersi come “esiti” (positivi o negativi) dell’interazione persona-organizzazione e che rendono conto delle successive direzioni di condotta: soddisfazione/insoddisfazione lavorativa – stress – salute e benessere.
A partire da queste premesse, è possibile fare riferimento ad un modello di relazioni di influenza tra variabili, individuali e organizzative, che permettono un’analisi organizzativa complessiva e che identifica eventuali punti di forza e di criticità sui quali costruire ipotetici interventi (Borgogni, 2001).
Il modello concettuale si rifà alla teoria sociale cognitiva (Bandura, 2000) ed esamina i nessi tra convinzioni di efficacia individuale e collettiva, percezioni del contesto organizzativo, impegno organizzativo e soddisfazione lavorativa, quali indicatori più prossimi del grado di motivazione che le persone hanno di agire con l’organizzazione e di sentirsi legati ad essa. Si tratta infatti di fattori che in diverso modo determinano e influenzano il comportamento organizzativo e l’attaccamento all’organizzazione.
Tale modello può quindi favorire la lettura e l’interpretazione dei molteplici aspetti connessi con l’Assenteismo, così da costituire un ultimissimo supporto per chiunque voglia affrontare il tema.
La psicologia sociale si è occupata delle dinamiche dei gruppi lavorativi, del supporto sociale e dell’integrazione persona-ambiente. In questa direzione la «teoria sociale cognitiva» (Bandura, 1986), attraverso il concetto di “perceived self-efficacy”, ha costruito una vera e propria teoria della motivazione.
Nella teoria sociale cognitiva proposta da Bandura l’uomo viene percepito come un “agente attivo” nel senso che osserva, valuta, si dà degli scopi, si rappresenta le svariate possibilità del loro conseguimento, anticipa le conseguenze del loro raggiungimento, reagisce in tempo reale con emozioni e sentimenti agli esiti della propria condotta in relazione a come essi risultino compatibili con le pressioni contingenti della situazione. Il concetto al quale ricorre la teoria sociale cognitiva per indicare la capacità di esercitare un potere causale è quello di “agency”, esso tiene conto del fatto che le persone contribuiscono a causare gli eventi al pari di altri fattori come quelli maggiormente legati alla causalità e meno intenzionali. Qualunque manifestazione psichica è sempre la risultante di un reciproco co-determinarsi di “persona”, “situazione” e “comportamento”; ciò coinvolge una causazione reciproca triadica in cui i fattori personali (cognitivi, affettivi e biologici), il comportamento e gli eventi ambientali operano come fattori causali interagenti che si influenzano reciprocamente in modo bidirezionale (Bandura, 2000): ciò che una persona pensa e vuole si traduce in una condotta che inevitabilmente incide sull’ambiente, ma ciò che una persona pensa e vuole dipende da ciò che ad essa è consentito fare e da quelle che sono le conseguenze della sua condotta. Bandura definisce tale interazione tra variabili interne (cognitive) ed esterne (ambientali) col termine «determinismo reciproco».
L’ambiente nel quale la persona si trova influisce rispetto a ciò che essa pensa, desidera e fa, ma anche la situazione è determinata dai propositi e dalle condotte che le persone riversano ed esprimono in essa. Infine, la condotta è un prodotto delle capacità della persona e delle opportunità dell’ambiente, e a loro volta la persona e la situazione sono soggette agli effetti che vengono prodotti in entrambe dalla condotta stessa (Caprara, 1996).
Sarebbe allora interessante interrogarsi ed indagare sulle qualità che un’organizzazione e, in particolare, il management dovrebbero possedere al fine di contenere il fenomeno dell’Assenteismo.
Adriana Aronadio
Associazione Biondina
L’elemento che si trova al centro di tale fenomeno sociale, ma anche organizzativo, è la «persona»: su di essa si basa il successo delle organizzazioni e la capacità di esse di affrontare nuovi contesti. All’interno delle organizzazioni la risorsa umana è un elemento strategico senza la cui collaborazione, coinvolgimento e condivisione degli obiettivi, non si potrebbero affrontare le sfide ed i rinnovamenti continuamente in atto nel mondo economico.
L’uomo va considerato come «realtà globale» nella quale gli orientamenti di valore, i sentimenti, le aspirazioni interagiscono con le cognizioni, le attitudini, l’ambiente fisico e sociale. E ogni realtà è un mondo a se stante con radici storiche, cause ed effetti diversi in cui regole e formule stereotipate si vanificano.
Partire, infatti, da una posizione preconcetta nel valutare un problema organizzativo, indicando in una causa aprioristicamente individuata l’unico motivo della genesi e dello sviluppo di un fenomeno, è sicuramente fuorviante.
Visto sotto questo aspetto il rapporto di lavoro può assumere varie configurazioni secondo un continuum che va dalla piena integrazione dell’individuo nel contesto, alla sua assoluta estraneità e l’assenza del posto di lavoro diventa indicatore di deviazione dallo stato cooperativo e di scarsa integrazione nel gruppo di lavoro. Ma anche in questo caso, riconoscere la spiegazione del problema solo nell’”alienazione” e nella”scarsa responsabilità” del lavoratore, significa rimanere alla superficie del problema stesso. La soluzione non può consistere nel cercare di eliminare una ipotetica causa predeterminata, ma nell’individuare le ragioni reali, attraverso un approccio globale, coerente, attraverso una ricerca approfondita per poi disporre, successivamente, le azioni correttive.
Da molti anni l’Assenteismo è diventato un fenomeno di rilevante importanza che non può essere trascurato da chi, sotto vari aspetti, si occupa di questioni aziendali, ma per una sua effettiva comprensione occorre partire dall’interpretazione delle situazioni organizzative in cui si manifesta.
Occorre, dunque, passare dall’astrazione all’identificazione di comportamenti concreti e indicare quali dati si intende analizzare. Bisogna prendere atto che ogni organizzazione ha il suo “Assenteismo”, che va studiato in relazione, appunto, al reciproco determinarsi di fattori personali, ambientali e comportamentali che interagiscono influenzandosi reciprocamente.
L’Assenteismo, in realtà, non può che essere innanzi tutto un problema organizzativo, sia nel senso che le presenze e le assenze sul lavoro variano in funzione dei modi di governo, della varietà tecnologica, della divisione del lavoro; sia nel senso che per una effettiva comprensione del fenomeno assenteistico è necessario partire dall’interpretazione delle situazioni organizzative in cui si manifesta.
Per una corretta interpretazione dell’«Assenteismo» è indispensabile quindi:
- entrare nel merito delle principali variabili soggettive capaci di influenzare la prestazione di lavoro e la presenza dell’individuo all’interno dell’organizzazione;
- focalizzare, in particolare, l’attenzione su alcuni dei diversi aspetti dell’identità personale che hanno un “effetto” sulla condotta lavorativa concreta (in quanto “antecedenti” rispetto alla prestazione e alle sue possibili ricadute): abilità personali e cognitive – convinzioni su di se e senso di autoefficacia;
- entrare nel merito di specifici aspetti della relazione persona-contesto-ambiente capaci di influenzare, per retroazione, le azioni delle persone e la loro permanenza nell’organizzazione e coinvolgimento alla vita lavorativa;
- fare riferimento ad alcuni aspetti individuali che più propriamente sono da intendersi come “esiti” (positivi o negativi) dell’interazione persona-organizzazione e che rendono conto delle successive direzioni di condotta: soddisfazione/insoddisfazione lavorativa – stress – salute e benessere.
A partire da queste premesse, è possibile fare riferimento ad un modello di relazioni di influenza tra variabili, individuali e organizzative, che permettono un’analisi organizzativa complessiva e che identifica eventuali punti di forza e di criticità sui quali costruire ipotetici interventi (Borgogni, 2001).
Il modello concettuale si rifà alla teoria sociale cognitiva (Bandura, 2000) ed esamina i nessi tra convinzioni di efficacia individuale e collettiva, percezioni del contesto organizzativo, impegno organizzativo e soddisfazione lavorativa, quali indicatori più prossimi del grado di motivazione che le persone hanno di agire con l’organizzazione e di sentirsi legati ad essa. Si tratta infatti di fattori che in diverso modo determinano e influenzano il comportamento organizzativo e l’attaccamento all’organizzazione.
Tale modello può quindi favorire la lettura e l’interpretazione dei molteplici aspetti connessi con l’Assenteismo, così da costituire un ultimissimo supporto per chiunque voglia affrontare il tema.
La psicologia sociale si è occupata delle dinamiche dei gruppi lavorativi, del supporto sociale e dell’integrazione persona-ambiente. In questa direzione la «teoria sociale cognitiva» (Bandura, 1986), attraverso il concetto di “perceived self-efficacy”, ha costruito una vera e propria teoria della motivazione.
Nella teoria sociale cognitiva proposta da Bandura l’uomo viene percepito come un “agente attivo” nel senso che osserva, valuta, si dà degli scopi, si rappresenta le svariate possibilità del loro conseguimento, anticipa le conseguenze del loro raggiungimento, reagisce in tempo reale con emozioni e sentimenti agli esiti della propria condotta in relazione a come essi risultino compatibili con le pressioni contingenti della situazione. Il concetto al quale ricorre la teoria sociale cognitiva per indicare la capacità di esercitare un potere causale è quello di “agency”, esso tiene conto del fatto che le persone contribuiscono a causare gli eventi al pari di altri fattori come quelli maggiormente legati alla causalità e meno intenzionali. Qualunque manifestazione psichica è sempre la risultante di un reciproco co-determinarsi di “persona”, “situazione” e “comportamento”; ciò coinvolge una causazione reciproca triadica in cui i fattori personali (cognitivi, affettivi e biologici), il comportamento e gli eventi ambientali operano come fattori causali interagenti che si influenzano reciprocamente in modo bidirezionale (Bandura, 2000): ciò che una persona pensa e vuole si traduce in una condotta che inevitabilmente incide sull’ambiente, ma ciò che una persona pensa e vuole dipende da ciò che ad essa è consentito fare e da quelle che sono le conseguenze della sua condotta. Bandura definisce tale interazione tra variabili interne (cognitive) ed esterne (ambientali) col termine «determinismo reciproco».
L’ambiente nel quale la persona si trova influisce rispetto a ciò che essa pensa, desidera e fa, ma anche la situazione è determinata dai propositi e dalle condotte che le persone riversano ed esprimono in essa. Infine, la condotta è un prodotto delle capacità della persona e delle opportunità dell’ambiente, e a loro volta la persona e la situazione sono soggette agli effetti che vengono prodotti in entrambe dalla condotta stessa (Caprara, 1996).
Sarebbe allora interessante interrogarsi ed indagare sulle qualità che un’organizzazione e, in particolare, il management dovrebbero possedere al fine di contenere il fenomeno dell’Assenteismo.
Adriana Aronadio
Associazione Biondina
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