giovedì 5 marzo 2009

Ichino: si a un lavoro flessibile contro il precariato

Intervista pubblicata il 4 marzo 2009 su Il Piccolo a cura di Piercarlo Fiumanò
TRIESTE Pietro Ichino, senatore del Pd, è uno dei più conosciuti e apprezzati giuslavoristi italiani: "Sostenere il reddito dei lavoratori precari che perdono il lavoro in questo periodo di crisi è una misura congiunturale necessaria sul piano della solidarietà e dell’equità", afferma.
Professor Ichino, lei ha più volte invocato una riforma della struttura della contrattazione collettiva. In tempi di crisi economica sono necessarie regole straordinarie?
I periodi di crisi sono sempre periodi propizi alle riforme; e la crisi attuale mette in evidenza numerosi difetti del nostro sistema di relazioni industriali.
Come valuta il disegno di legge approvato dal governo sugli scioperi nel settore dei trasporti che consente scioperi virtuali?
Trovo sbagliato che il governo chieda, su questa materia, una delega legislativa al Parlamento. Come dimostrano i due disegni di legge di cui sono primo firmatario, rispettivamente in materia di sciopero virtuale e di sciopero nei servizi di trasporto pubblico, la materia si presta a un intervento legislativo molto semplice e snello: non si vede perché esso non possa essere elaborato direttamente dal Parlamento.
Il governo sostiene che non ci sono risorse per l’assegno di disoccupazione proposto dal Pd. Ritiene questa forma di aiuto sociale sufficiente ad affrontare l’emergenza lavoro innescata dalla recessione?
Sostenere il reddito dei lavoratori precari che perdono il lavoro in questo periodo di crisi è una misura congiunturale necessaria sul piano della solidarietà e dell’equità; ma al tempo stesso è una misura di sostegno della domanda di beni e servizi, necessaria per contrastare efficacemente la recessione. Il costo sta tra gli otto e i dieci miliardi: per farvi fronte potremmo permetterci anche di ricorrere a un aumento “una tantum” del deficit di bilancio, se contemporaneamente avviassimo le grandi riforme del mercato del lavoro e del welfare: queste riforme, infatti, rafforzerebbero molto la fiducia dei mercati finanziari nei confronti del sistema-Italia.
Lei parla di misura congiunturale; ma nelle proposte del PD quella degli “ammortizzatori sociali per tutti” è indicata come riforma strutturale.
Questo è un altro discorso: un sistema di assicurazione universale contro la disoccupazione è necessario, ma va costruito correttamente, finanziato dalla contribuzione a carico delle imprese, non a carico dello Stato. È solo l’intervento immediato, congiunturale, che deve essere finanziato oggi con denaro pubblico, perché per le centinaia di migliaia di lavoratori precari che perdono il posto oggi manca il meccanismo assicurativo.
Il pacchetto economico fino ad ora proposto dal governo è adeguato al clima di emergenza economica in cui viviamo anche alla luce di quanto stanno facendo gli altri Paesi europei?
No: è molto avaro e striminzito. Il ministro del Tesoro ha ragione quando si preoccupa di non peggiorare l’affidabilità complessiva del nostro bilancio. Ma, ripeto, potremmo permetterci un insieme di misure anticrisi più costoso e incisivo, con il conseguente aumento del deficit per uno o due anni, se ponessimo mano alle grandi riforme strutturali di cui il sistema ha bisogno.
E' d’accordo sugli aiuti pubblici all’industria?
Pochissimo. Preferirei molto che le stesse risorse fossero destinate al sostegno del reddito di chi perde il lavoro, alla detassazione dei redditi di lavoro più bassi, e/o alla detassazione selettiva del lavoro femminile: tutte misure che avrebbero un maggiore effetto tonificante sulla domanda di beni e servizi, senza rischiare di produrre distorsioni nel funzionamento del mercato dei beni e servizi stessi.
Si parla di contratti di solidarietà nelle fabbriche: lavorare meno con meno salario? Basterà?
In alcune situazioni può essere una misura utile.
Qual è la sua proposta per rilanciare l’occupazione in tempi di crisi?
È il progetto a cui sto lavorando: offrire un nuovo diritto del lavoro alle imprese disponibili a farsi carico del costo sociale dei licenziamenti. Lavoro a tempo indeterminato per tutti i nuovi lavoratori dipendenti, ma con un regime che consenta alle imprese un rapido “aggiustamento industriale” quando esso è necessario, garantendo al tempo stesso a chi perde il posto un forte sostegno del reddito e assistenza efficace nel mercato del lavoro.
Ma chi paga questo sostegno e questa sicurezza?
Le imprese, in cambio della flessibilità che si offre loro. Sarebbe sufficiente un contributo medio dello 0,5% sulle retribuzioni lorde dei nuovi assunti. Per i dettagli rinvio al mio sito (http://www.pietroichino.it/).

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