Articolo pubblicato su Repubblica del 5 ottobre 2008
Un sistema di relazioni sindacali che funziona bene è un grande gioco a somma positiva. Esso, producendo accordo e cooperazione, consente che si ingrandisca la “torta” da spartire; e la distribuisce in modo che tutti ci guadagnino. Nel momento attuale di gravissima crisi economica e finanziaria mondiale, il nostro Paese – già da tempo in affanno – avrebbe un estremo bisogno di attivare questo gioco a somma positiva. Ecco perché non possiamo rassegnarci al collasso del sistema di relazioni sindacali, che invece conseguirebbe a un fallimento del negoziato in corso tra Confindustria e confederazioni sindacali maggiori.
Certo, non è facile conciliare l’obiettivo fondamentale del negoziato, cioè quello di legare una parte maggiore delle retribuzioni all’andamento delle singole imprese, con la necessità di difendere i livelli retributivi anche nelle aziende dove il sindacato non riesce a contrattare. Ma una soluzione a questo problema può essere trovata: si può pensare che sia lo stesso contratto nazionale a istituire un premio legato alla produttività aziendale (costituito, per esempio, da una percentuale del margine operativo lordo dell’impresa: v. nella sezione “Lavoro” del sito una formulazione possibile della disposizione contrattuale), consentendo che nei luoghi di lavoro esso possa essere ricontrattato e anche integralmente sostituito. In altre parole, può essere il contratto nazionale stesso che compensa il necessario contenimento della dinamica dei minimi tabellari con una voce retributiva legata all’andamento aziendale, suscettibile di rinegoziazione al livello di impresa. Se c’è la volontà di perseguire l’accordo e di rilanciare il nostro sistema di relazioni sindacali, è sicuramente possibile individuare un nuovo assetto che non penalizzi nessuno e inneschi invece la crescita delle retribuzioni dovunque sia possibile un aumento della produttività.
C’è, però, un altro capitolo del difficile negoziato in corso, del quale si sente parlare troppo poco: quello della riforma della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro. È, questo, un capitolo importantissimo, perché è soltanto attraverso questa riforma che si può valorizzare il pluralismo sindacale come una ricchezza preziosa, senza tuttavia favorire il frazionamento delle rappresentanze, che genera paralisi. Che nei luoghi di lavoro possano confrontarsi e competere visioni e strategie sindacali diverse è una ricchezza preziosa, a condizione che, dove esse non trovino una sintesi, i lavoratori possano scegliere periodicamente il sindacato o la coalizione legittimata a negoziare con effetti generali.
Cgil, Cisl e Uil hanno già delineato, nella “piattaforma” presentata a maggio, una riforma compiuta di questa materia, sulla quale non sarebbe difficile raggiungere un accordo anche con la Ugl. Confindustria, dal canto suo, pur manifestando qualche perplessità su qualche dettaglio di quella soluzione, è disposta ad accettarla. Perché dunque non si incomincia a “firmare” subito almeno questo capitolo cruciale dell’accordo?
È questo, probabilmente, il livello massimo di unità sindacale realizzabile oggi: una cornice di regole nella quale si esprima innanzitutto il riconoscimento e il rispetto reciproco tra organizzazioni diverse, la comune accettazione del principio di democrazia sindacale, l’interesse a un civile confronto. Una cornice, dunque, che consenta – là dove l’unità d’intenti e d’azione non è possibile – la sperimentazione negoziale dell’una o dell’altra strategia, la verifica dei suoi risultati, il rafforzamento delle esperienze positive e il mutamento di linea quando la scelta compiuta non dia i risultati sperati.
Se l’accordo si raggiungesse anche soltanto su questo punto – e non si vede davvero alcun motivo per cui ciò non possa accadere, nei giorni prossimi – esso segnerebbe una tappa importantissima nella storia del sistema italiano di relazioni industriali.
Pietro Ichino, senatore del PD
Un sistema di relazioni sindacali che funziona bene è un grande gioco a somma positiva. Esso, producendo accordo e cooperazione, consente che si ingrandisca la “torta” da spartire; e la distribuisce in modo che tutti ci guadagnino. Nel momento attuale di gravissima crisi economica e finanziaria mondiale, il nostro Paese – già da tempo in affanno – avrebbe un estremo bisogno di attivare questo gioco a somma positiva. Ecco perché non possiamo rassegnarci al collasso del sistema di relazioni sindacali, che invece conseguirebbe a un fallimento del negoziato in corso tra Confindustria e confederazioni sindacali maggiori.
Certo, non è facile conciliare l’obiettivo fondamentale del negoziato, cioè quello di legare una parte maggiore delle retribuzioni all’andamento delle singole imprese, con la necessità di difendere i livelli retributivi anche nelle aziende dove il sindacato non riesce a contrattare. Ma una soluzione a questo problema può essere trovata: si può pensare che sia lo stesso contratto nazionale a istituire un premio legato alla produttività aziendale (costituito, per esempio, da una percentuale del margine operativo lordo dell’impresa: v. nella sezione “Lavoro” del sito una formulazione possibile della disposizione contrattuale), consentendo che nei luoghi di lavoro esso possa essere ricontrattato e anche integralmente sostituito. In altre parole, può essere il contratto nazionale stesso che compensa il necessario contenimento della dinamica dei minimi tabellari con una voce retributiva legata all’andamento aziendale, suscettibile di rinegoziazione al livello di impresa. Se c’è la volontà di perseguire l’accordo e di rilanciare il nostro sistema di relazioni sindacali, è sicuramente possibile individuare un nuovo assetto che non penalizzi nessuno e inneschi invece la crescita delle retribuzioni dovunque sia possibile un aumento della produttività.
C’è, però, un altro capitolo del difficile negoziato in corso, del quale si sente parlare troppo poco: quello della riforma della rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro. È, questo, un capitolo importantissimo, perché è soltanto attraverso questa riforma che si può valorizzare il pluralismo sindacale come una ricchezza preziosa, senza tuttavia favorire il frazionamento delle rappresentanze, che genera paralisi. Che nei luoghi di lavoro possano confrontarsi e competere visioni e strategie sindacali diverse è una ricchezza preziosa, a condizione che, dove esse non trovino una sintesi, i lavoratori possano scegliere periodicamente il sindacato o la coalizione legittimata a negoziare con effetti generali.
Cgil, Cisl e Uil hanno già delineato, nella “piattaforma” presentata a maggio, una riforma compiuta di questa materia, sulla quale non sarebbe difficile raggiungere un accordo anche con la Ugl. Confindustria, dal canto suo, pur manifestando qualche perplessità su qualche dettaglio di quella soluzione, è disposta ad accettarla. Perché dunque non si incomincia a “firmare” subito almeno questo capitolo cruciale dell’accordo?
È questo, probabilmente, il livello massimo di unità sindacale realizzabile oggi: una cornice di regole nella quale si esprima innanzitutto il riconoscimento e il rispetto reciproco tra organizzazioni diverse, la comune accettazione del principio di democrazia sindacale, l’interesse a un civile confronto. Una cornice, dunque, che consenta – là dove l’unità d’intenti e d’azione non è possibile – la sperimentazione negoziale dell’una o dell’altra strategia, la verifica dei suoi risultati, il rafforzamento delle esperienze positive e il mutamento di linea quando la scelta compiuta non dia i risultati sperati.
Se l’accordo si raggiungesse anche soltanto su questo punto – e non si vede davvero alcun motivo per cui ciò non possa accadere, nei giorni prossimi – esso segnerebbe una tappa importantissima nella storia del sistema italiano di relazioni industriali.
Pietro Ichino, senatore del PD
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