Si riportano gli articoli di Nicola Rossi e Linda Lanzillotta molto interessanti per avviare una seria e responsabile riflessione sulla politica nel Sud, sui cambiamenti normativi intervenuti nell’ultimo decennio che hanno favorito un certo modo di fare politica non condiviso, non produttivo di valore e lontano dalle esigenze e dalle attese dei cittadini.
Un consiglio a Morando
Intervento di Nicola Rossi pubblicato su Corriere della Sera del 7 gennaio 2009
Caro direttore, nel prendere il treno che lo porterà a Napoli, vorrei suggerire al senatore Enrico Morando di armarsi di una sgradevole ma utile convinzione: quel che da 15 anni ci diciamo - «il Mezzogiorno è una risorsa per il Paese» - è, purtroppo, vuota retorica. Così com' è, il Mezzogiorno non è una risorsa per l' Europa, né per il Paese, né per i meridionali che ci vivono. Del resto, nessuna area della quale si possa dire quel che oggi si può dire del Mezzogiorno potrebbe esserlo: il Mezzogiorno oggi può essere infatti descritto come il luogo dove lo Stato fa ciò che non dovrebbe fare e non fa ciò che dovrebbe fare. Lo Stato, nel Mezzogiorno, non rende giustizia, non garantisce l' ordine pubblico, non forma i cittadini, non tutela la salute, non difende i più deboli, non preserva l' ambiente (e il senatore Morando sa che potrei aggiungere dei numeri ad ognuna di queste affermazioni). Ciò nonostante, nel Mezzogiorno lo Stato è tutt' altro che assente. E' però impegnato «h24» in un' altra attività: l' estrazione di rendite. Due, in particolari, i versanti di questa «linea di business». Primo, l' intermediazione: puntuale, ubiqua, permanente. Capace di annidarsi nelle pieghe dei cento, inutili, provvedimenti di semplificazione della Pubblica amministrazione varati negli ultimi anni. Rappresentata al meglio dai tanti funzionari addetti, prima, ai patti territoriali, ai contratti d' area, di programma e passati, poi, ad animare le agenzie di qualcuno dei tanti acronimi che infestano come cavallette il Mezzogiorno. Secondo, l' appropriazione di risorse pubbliche. Nulla di penalmente rilevante ma, più semplicemente, l' uso di risorse pubbliche per nutrire il settore pubblico. I servizi che dovrebbero essere finalizzati a migliorare la governance (sic!) dei fondi comunitari costavano 0,4 miliardi di euro nel programma 2000-2006 (di cui il 43% andava alle regioni). L' esperimento è evidentemente riuscito, perché nel programma 2007-2013 sono lievitati fino a 1,2 miliardi di euro (di cui il 70% alle regioni). A quel miliardo e rotti andrebbero aggiunti 2,4 miliardi di euro destinati al «rafforzamento delle capacità istituzionali della pubblica amministrazione». In breve, buona parte della spesa pubblica dei prossimi anni è destinata dalla Pubblica amministrazione a se stessa.Sia chiaro, i comportamenti citati non hanno un' origine antropologica. Non c' è nulla nelle classi dirigenti meridionali che renda inevitabile quei comportamenti. Per converso, concentrare la propria attenzione solo sulla «questione morale» può portare a non affrontare il problema come merita. Il punto è un altro: le classi dirigenti meridionali rispondono, come tutte, agli incentivi e la struttura di incentivi presente nei fondi quotidianamente destinati al Mezzogiorno è tale da rendere convenienti se non obbligati quei comportamenti. Per tutti, un esempio recente. Negli anni passati il ricorso ai cosiddetti progetti sponda (ai progetti cui si ricorre quando si è con le spalle al muro e non si sa come spendere ma spendere bisogna per non perdere i fondi) era diffuso ma sottaciuto. E così si sono sistemate piazze, restaurate facciate di chiese ed installate fioriere ma lo si è fatto con un qualche senso di disagio. Fino a quando, qualche tempo fa, il sindaco di una grande città meridionale ha presentato (a qualche mese di distanza dall' appuntamento elettorale) un piano per l' area metropolitana in divenire chiedendo ben 2 miliardi di fondi strutturali per finanziare 800 progetti (per un valore medio pari a 2,5 milioni di euro a progetto) in 31 comuni fra cui non mancano i rifacimenti di teatri, i restauri di castelli e di poli artistico-museali nonché un porto turistico per ogni comune del litorale. Quel che era stato possibile nell' ombra è diventato possibile alla luce del sole. E i fondi comunitari hanno mostrato il loro volto più vero: quello di un metodo perverso di selezione e formazione della classe dirigente. Non mancherà, a questo punto, chi osserverà che un quadro come questo, se riferito all' intero Mezzogiorno, è fuorviante, ricordando che nel Mezzogiorno non mancano i casi di eccellenza. Tutto vero. Ma è bene non illudersi: si tratta di successi «nonostante». Su ogni disomogeneità si staglia un tratto comune.
Quello delle conferenze stampa convocate da un soddisfatto presidente di regione per annunciare agli elettori la lieta novella: la regione è rimasta al di qua dei limiti europei e quindi continuerà a beneficiare dei fondi europei. Segue cocktail. In questi ultimi mesi molti hanno chiesto una presenza più incisiva dello Stato nell' economia. Ci sarà non poco tempo per discuterne, ma il Mezzogiorno è da anni lì a ricordarci dove possa portare quella richiesta se accompagnata da una lettura culturalmente povera e astratta della realtà. E' per questi motivi che la strada maestra è quella fino ad ora tentata con modesto successo: accentrare i fondi e concentrarli su pochissimi obbiettivi di carattere infrastrutturale e sovraregionale. E' per questi motivi che il Mezzogiorno non deve temere l' ondata di responsabilità derivante da un federalismo ben pensato (fondato su criteri di vera autonomia impositiva, di solidarietà collettiva, di severa disciplina sul versante dei costi) ma al contrario salutarla con un senso di liberazione.
Rossi Nicola
La politica uccisa in periferia
Intervento di Linda Lanzillotta pubblicato su Corriere della Sera del 9 gennaio 2009
Caro Direttore, il consiglio di Nicola Rossi a dismettere la retorica e ad affrontare crudamente la realtà del fallimento delle politiche meridionalistiche e del ruolo svolto dai poteri pubblici nel Sud vale a maggior ragione per la cosiddetta questione morale. Le vicende giudiziarie che hanno coinvolto alcune importanti amministrazioni locali, molte delle quali governate dal centrosinistra, sollevano infatti problemi che non possono essere risolti né con il semplice richiamo alla sobrietà dei comportamenti individuali (opportuni ma non decisivi, ad esempio, quando gli illeciti non sono finalizzati all' arricchimento personale bensì al finanziamento dell' attività politica propria, della propria corrente o del proprio partito); né tanto meno con l' appello ad una più forte etica pubblica, appello ovviamente giusto ma astratto e moralistico se non legato alle modalità di gestione del potere e di selezione della classe dirigente che poi, in concreto, i partiti praticano ogni giorno. Occorre invece capire le ragioni e i meccanismi istituzionali che hanno consentito la degenerazione del potere locale ed hanno fatto sì che alcuni importanti esponenti di quella nuova classe dirigente locale che nel 1993, all' indomani di Tangentopoli, avevano interpretato la necessità e la voglia di cambiamento oggi, dopo 15 anni, rappresentano, specie nel Mezzogiorno, il simbolo della degenerazione della politica e dell' amministrazione. Il simbolo di quella «casta» il cui potere ha finito per sopraffare la società e le economie locali arrivando ad intermediare ogni aspetto della vita individuale, collettiva, imprenditoriale. E' avvenuto che le innovazioni introdotte nel corso degli anni ' 90 per modernizzare le amministrazioni locali, per rafforzare la loro capacità operativa, per ridurre la spesa pubblica in molte realtà territoriali sono state progressivamente distorte con il risultato di espandere a dismisura la presenza pubblica in ogni attività economica e sociale, di esercitare un potere di condizionamento e talvolta di ricatto sulla dirigenza, di eludere le regole pubblicistiche nelle assunzioni di personale e negli appalti, di intrecciare la gestione del potere amministrativo con gli interessi di singole imprese. Tutto ciò ha alimentato la nascita e l' espansione di potentati locali che, tra le altre cose, sono riusciti sempre a bloccare le riforme con cui a più riprese il Parlamento ha tentato di correggere quei processi degenerativi evidenti già da tempo e che oggi, in assenza di un tempestivo intervento della politica, sono alla base degli interventi della magistratura. Qui sta la responsabilità della politica: nella sua incapacità di esercitare in modo autonomo il proprio ruolo di valutazione, di orientamento, di scelta. Il fallimento di ogni serio tentativo di riforma (dai servizi pubblici locali, alla riduzione dei costi della politica, alla semplificazione e riduzione degli enti e degli organismi locali) ha segnato il soccombere della politica nazionale di fronte ai potentati locali. Ciò soprattutto nel Mezzogiorno dove una classe dirigente politica e amministrativa strutturalmente debole è stata improvvisamente investita di enormi responsabilità legislative, amministrative e finanziarie: negli anni ' 90 con il federalismo amministrativo e ancor più a partire dal 2001 con il nuovo Titolo V della Costituzione e, infine, coma ricordava Nicola Rossi, con la gestione delle risorse comunitarie. Ciò che nel Sud sta esplodendo (ma non solo) richiede urgenti e drastiche risposte politiche: per separare la politica dalla gestione, per ridare autonomia e dignità alla dirigenza pubblica, per dare al mercato la gestione di servizi ed attività di interesse collettivo sulla base di meccanismi di regolazione trasparenti, credibili, misurabili. Tutti temi che nella scorsa legislatura sono stati al centro dell' agenda politica incontrando però ancora una volta ostacoli, silenziosi ma insuperabili. Oggi su di essi è inspiegabilmente caduto il silenzio: dimenticati dal Governo, dalla maggioranza e anche dai media che, pure, avevano organizzato vigorose campagne di stampa. Ora è il momento di rilanciarli se sulla questione morale non ci si vuole limitare ad una trita quanto inutile retorica moralistica. Proposte politiche chiare e coraggiose per riformare la governance locale, per rilegittimare le migliaia di amministratori locali intelligenti ed onesti ma anche per porre basi solide su cui fondare il federalismo fiscale che altrimenti rischierebbe di produrre esiti nefasti.
Lanzillotta Linda
Un consiglio a Morando
Intervento di Nicola Rossi pubblicato su Corriere della Sera del 7 gennaio 2009
Caro direttore, nel prendere il treno che lo porterà a Napoli, vorrei suggerire al senatore Enrico Morando di armarsi di una sgradevole ma utile convinzione: quel che da 15 anni ci diciamo - «il Mezzogiorno è una risorsa per il Paese» - è, purtroppo, vuota retorica. Così com' è, il Mezzogiorno non è una risorsa per l' Europa, né per il Paese, né per i meridionali che ci vivono. Del resto, nessuna area della quale si possa dire quel che oggi si può dire del Mezzogiorno potrebbe esserlo: il Mezzogiorno oggi può essere infatti descritto come il luogo dove lo Stato fa ciò che non dovrebbe fare e non fa ciò che dovrebbe fare. Lo Stato, nel Mezzogiorno, non rende giustizia, non garantisce l' ordine pubblico, non forma i cittadini, non tutela la salute, non difende i più deboli, non preserva l' ambiente (e il senatore Morando sa che potrei aggiungere dei numeri ad ognuna di queste affermazioni). Ciò nonostante, nel Mezzogiorno lo Stato è tutt' altro che assente. E' però impegnato «h24» in un' altra attività: l' estrazione di rendite. Due, in particolari, i versanti di questa «linea di business». Primo, l' intermediazione: puntuale, ubiqua, permanente. Capace di annidarsi nelle pieghe dei cento, inutili, provvedimenti di semplificazione della Pubblica amministrazione varati negli ultimi anni. Rappresentata al meglio dai tanti funzionari addetti, prima, ai patti territoriali, ai contratti d' area, di programma e passati, poi, ad animare le agenzie di qualcuno dei tanti acronimi che infestano come cavallette il Mezzogiorno. Secondo, l' appropriazione di risorse pubbliche. Nulla di penalmente rilevante ma, più semplicemente, l' uso di risorse pubbliche per nutrire il settore pubblico. I servizi che dovrebbero essere finalizzati a migliorare la governance (sic!) dei fondi comunitari costavano 0,4 miliardi di euro nel programma 2000-2006 (di cui il 43% andava alle regioni). L' esperimento è evidentemente riuscito, perché nel programma 2007-2013 sono lievitati fino a 1,2 miliardi di euro (di cui il 70% alle regioni). A quel miliardo e rotti andrebbero aggiunti 2,4 miliardi di euro destinati al «rafforzamento delle capacità istituzionali della pubblica amministrazione». In breve, buona parte della spesa pubblica dei prossimi anni è destinata dalla Pubblica amministrazione a se stessa.Sia chiaro, i comportamenti citati non hanno un' origine antropologica. Non c' è nulla nelle classi dirigenti meridionali che renda inevitabile quei comportamenti. Per converso, concentrare la propria attenzione solo sulla «questione morale» può portare a non affrontare il problema come merita. Il punto è un altro: le classi dirigenti meridionali rispondono, come tutte, agli incentivi e la struttura di incentivi presente nei fondi quotidianamente destinati al Mezzogiorno è tale da rendere convenienti se non obbligati quei comportamenti. Per tutti, un esempio recente. Negli anni passati il ricorso ai cosiddetti progetti sponda (ai progetti cui si ricorre quando si è con le spalle al muro e non si sa come spendere ma spendere bisogna per non perdere i fondi) era diffuso ma sottaciuto. E così si sono sistemate piazze, restaurate facciate di chiese ed installate fioriere ma lo si è fatto con un qualche senso di disagio. Fino a quando, qualche tempo fa, il sindaco di una grande città meridionale ha presentato (a qualche mese di distanza dall' appuntamento elettorale) un piano per l' area metropolitana in divenire chiedendo ben 2 miliardi di fondi strutturali per finanziare 800 progetti (per un valore medio pari a 2,5 milioni di euro a progetto) in 31 comuni fra cui non mancano i rifacimenti di teatri, i restauri di castelli e di poli artistico-museali nonché un porto turistico per ogni comune del litorale. Quel che era stato possibile nell' ombra è diventato possibile alla luce del sole. E i fondi comunitari hanno mostrato il loro volto più vero: quello di un metodo perverso di selezione e formazione della classe dirigente. Non mancherà, a questo punto, chi osserverà che un quadro come questo, se riferito all' intero Mezzogiorno, è fuorviante, ricordando che nel Mezzogiorno non mancano i casi di eccellenza. Tutto vero. Ma è bene non illudersi: si tratta di successi «nonostante». Su ogni disomogeneità si staglia un tratto comune.
Quello delle conferenze stampa convocate da un soddisfatto presidente di regione per annunciare agli elettori la lieta novella: la regione è rimasta al di qua dei limiti europei e quindi continuerà a beneficiare dei fondi europei. Segue cocktail. In questi ultimi mesi molti hanno chiesto una presenza più incisiva dello Stato nell' economia. Ci sarà non poco tempo per discuterne, ma il Mezzogiorno è da anni lì a ricordarci dove possa portare quella richiesta se accompagnata da una lettura culturalmente povera e astratta della realtà. E' per questi motivi che la strada maestra è quella fino ad ora tentata con modesto successo: accentrare i fondi e concentrarli su pochissimi obbiettivi di carattere infrastrutturale e sovraregionale. E' per questi motivi che il Mezzogiorno non deve temere l' ondata di responsabilità derivante da un federalismo ben pensato (fondato su criteri di vera autonomia impositiva, di solidarietà collettiva, di severa disciplina sul versante dei costi) ma al contrario salutarla con un senso di liberazione.
Rossi Nicola
La politica uccisa in periferia
Intervento di Linda Lanzillotta pubblicato su Corriere della Sera del 9 gennaio 2009
Caro Direttore, il consiglio di Nicola Rossi a dismettere la retorica e ad affrontare crudamente la realtà del fallimento delle politiche meridionalistiche e del ruolo svolto dai poteri pubblici nel Sud vale a maggior ragione per la cosiddetta questione morale. Le vicende giudiziarie che hanno coinvolto alcune importanti amministrazioni locali, molte delle quali governate dal centrosinistra, sollevano infatti problemi che non possono essere risolti né con il semplice richiamo alla sobrietà dei comportamenti individuali (opportuni ma non decisivi, ad esempio, quando gli illeciti non sono finalizzati all' arricchimento personale bensì al finanziamento dell' attività politica propria, della propria corrente o del proprio partito); né tanto meno con l' appello ad una più forte etica pubblica, appello ovviamente giusto ma astratto e moralistico se non legato alle modalità di gestione del potere e di selezione della classe dirigente che poi, in concreto, i partiti praticano ogni giorno. Occorre invece capire le ragioni e i meccanismi istituzionali che hanno consentito la degenerazione del potere locale ed hanno fatto sì che alcuni importanti esponenti di quella nuova classe dirigente locale che nel 1993, all' indomani di Tangentopoli, avevano interpretato la necessità e la voglia di cambiamento oggi, dopo 15 anni, rappresentano, specie nel Mezzogiorno, il simbolo della degenerazione della politica e dell' amministrazione. Il simbolo di quella «casta» il cui potere ha finito per sopraffare la società e le economie locali arrivando ad intermediare ogni aspetto della vita individuale, collettiva, imprenditoriale. E' avvenuto che le innovazioni introdotte nel corso degli anni ' 90 per modernizzare le amministrazioni locali, per rafforzare la loro capacità operativa, per ridurre la spesa pubblica in molte realtà territoriali sono state progressivamente distorte con il risultato di espandere a dismisura la presenza pubblica in ogni attività economica e sociale, di esercitare un potere di condizionamento e talvolta di ricatto sulla dirigenza, di eludere le regole pubblicistiche nelle assunzioni di personale e negli appalti, di intrecciare la gestione del potere amministrativo con gli interessi di singole imprese. Tutto ciò ha alimentato la nascita e l' espansione di potentati locali che, tra le altre cose, sono riusciti sempre a bloccare le riforme con cui a più riprese il Parlamento ha tentato di correggere quei processi degenerativi evidenti già da tempo e che oggi, in assenza di un tempestivo intervento della politica, sono alla base degli interventi della magistratura. Qui sta la responsabilità della politica: nella sua incapacità di esercitare in modo autonomo il proprio ruolo di valutazione, di orientamento, di scelta. Il fallimento di ogni serio tentativo di riforma (dai servizi pubblici locali, alla riduzione dei costi della politica, alla semplificazione e riduzione degli enti e degli organismi locali) ha segnato il soccombere della politica nazionale di fronte ai potentati locali. Ciò soprattutto nel Mezzogiorno dove una classe dirigente politica e amministrativa strutturalmente debole è stata improvvisamente investita di enormi responsabilità legislative, amministrative e finanziarie: negli anni ' 90 con il federalismo amministrativo e ancor più a partire dal 2001 con il nuovo Titolo V della Costituzione e, infine, coma ricordava Nicola Rossi, con la gestione delle risorse comunitarie. Ciò che nel Sud sta esplodendo (ma non solo) richiede urgenti e drastiche risposte politiche: per separare la politica dalla gestione, per ridare autonomia e dignità alla dirigenza pubblica, per dare al mercato la gestione di servizi ed attività di interesse collettivo sulla base di meccanismi di regolazione trasparenti, credibili, misurabili. Tutti temi che nella scorsa legislatura sono stati al centro dell' agenda politica incontrando però ancora una volta ostacoli, silenziosi ma insuperabili. Oggi su di essi è inspiegabilmente caduto il silenzio: dimenticati dal Governo, dalla maggioranza e anche dai media che, pure, avevano organizzato vigorose campagne di stampa. Ora è il momento di rilanciarli se sulla questione morale non ci si vuole limitare ad una trita quanto inutile retorica moralistica. Proposte politiche chiare e coraggiose per riformare la governance locale, per rilegittimare le migliaia di amministratori locali intelligenti ed onesti ma anche per porre basi solide su cui fondare il federalismo fiscale che altrimenti rischierebbe di produrre esiti nefasti.
Lanzillotta Linda
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