lunedì 8 ottobre 2012

Quale futuro per il Welfare?

Federico Rampini ha pubblicato di recente “Non ci possiamo più permettere uno stato sociale”. Falso” per l’editore Laterza
Molti si sono convinti che il nostro welfare è un lusso, che mantenendo certe conquiste sociali abbiamo "vissuto al di sopra dei nostri mezzi", e che è ora di ridimensionarci. Ma siamo sicuri che sia l'unica alternativa possibile? Siamo davvero sicuri che l'Europa è in declino perché statalista e assistenziale? Chi lo ha detto che lo Stato sociale deve essere smantellato?
La recensione di IBS
La classe non è acqua, dicono. Ma forse il popolare adagio non si riferisce alla classe media, che sembra essersi liquefatta come un ghiacciolo sotto il cielo plumbeo e soffocante del turbocapitalismo mondiale, e oggi non ci resta che star a rimpiangere le conquiste di sessant'anni di Stato sociale mentre queste evaporano davanti al nostro naso.
Il ritornello vola sulle note di un'aria ultimamente molto popolare, partita dagli Stati Uniti e che ha finito per imporsi dappertutto: il fallimento del modello europeo è sotto gli occhi di tutti; non possiamo più permetterci uno Stato sociale.
È falso! Risponde a chiare lettere Federico Rampini, e siccome Rampini è uomo di ottime letture e ancor più solida esperienza, varrà la pena ascoltare quel che ha da dire in merito alla questione. Tanto per cominciare, il dispaccio che il giornalista ci spedisce in forma di libro (e inaugurando con esso una nuova, benvenuta collana Laterza dal sapore fieramente pamphlettistico) arriva direttamente dal ventre della bestia, per così dire, e poggiando su dati freschissimi e di prima mano contribuisce a smantellare un bel po' di luoghi comuni dei quali - a quanto pare - siamo imbibiti ben bene.
Rampini, infatti, vive negli States da più di dieci anni, e a scanso di equivoci introduce immediatamente il lettore ad una comparazione "punto per punto" dei due opposti paradigmi di Welfare: quello americano - come vuole una vulgata di grande successo - è sicuramente un modello più efficiente di quello europeo, che in questi mesi drammatici sta mostrando la corda e confessa tutta la sua inadeguatezza di fronte alla Storia. La Storia maiuscola, quella che sono i vincitori a scrivere.
Ma ne siamo davvero sicuri, chiede Rampini? Perché a fronte di una pressione fiscale solo leggermente inferiore a quella cui siamo sottoposti noi europei, spiega il giornalista, moltissime sono le rinunce imposte al contribuente (e quindi al cittadino) americano. Sanità e istruzione su tutto, com'è noto (negli Stati Uniti una buona assicurazione privata per la sanità costa milleduecento dollari al mese, e sulle rette di un qualunque asilo a Manhattan sarà meglio tacere). Ma anche i trasporti, con una rete ferroviaria carissima e poco efficiente e - soprattutto - un sistema pensionistico drammaticamente inadeguato.
In generale, la frattura fra l'un per cento contro il quale puntano il dito i riottosi di Occupy Wall Street (... a proposito: buon compleanno, ragazzi!) e il resto del mondo sembra aumentare di giorno in giorno, e leggere delle ingerenze in politica con cui la famiglia Walton (proprietaria di Walmart, colosso della grande distribuzione) riesce ad influenzare l'agenda di un qualsiasi governo repubblicano, fa pensare e rabbrividire.
Plutonomia: governo dei ricchi. Una parola con la quale faremmo bene a familiarizzare, e che dovremmo imparare a temere.
Il libero mercato, nella sua accezione più intransigente e selvaggia, ha goduto di ottimi uffici stampa, negli ultimi trent'anni, ed è riuscito nell'intento di screditare qualsiasi modello che non si rifacesse al suo primo e più importante precetto: lo Stato è un vincolo fastidioso all'iniziativa dei privati.
In Europa, naturalmente, facciamo fatica a pensarla così, per aver vissuto storicamente in prima persona tutto il travaglio che ha portato alla nascita degli Stati e al loro consolidamento di istituzioni volte a regolare i rapporti, e ad offrire ammortizzatori per quelle parti di cittadinanza più esposte e vulnerabili. Già. Però oggi il mondo è cambiato, ci viene detto, e certamente c'è più di un seme di verità in questa constatazione. Ma - è ancora Rampini a suggerire - siamo sicuri che le risposte che stiamo fornendo a questo cambiamento siano quelle giuste?
L'analisi condotta dal giornalista è ampia e articolata, a dispetto delle esigue dimensioni del libro, e la forza della confutazione del pensiero unico dominante (quello riassunto nel titolo del libro) sta nel fatto che l'autore pone più domande che risposte, rivendicando però la fondamentale giustezza di un'intuizione sulla quale l'Europa ha immaginato sé stessa, e che è stata fin troppo pronta a rinnegare. Siamo ancora in tempo, ma non c'è tempo da perdere.
A cura di Wuz.it

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