martedì 7 luglio 2009

Debora Serracchiani: La nuova Italia dei democratici

La nuova Italia dei democratici, il Lingotto due anni dopo. L’Europa ed il Paese usciti dalle elezioni sono luoghi di conquista della destra.
Siedono nel nuovo Parlamento Europeo, per la prima volta, ben 119 membri legati alla destra estrema ed a movimenti xenofobi.
In un momento di crisi globale in cui forte è il ritorno alla presenza dello Stato nell’economia e di regolazione del mercato che non è riuscito da sé ad autoregolarsi, le forze europee di sinistra che in questi schemi meglio avrebbero dovuto riconoscersi, non sono riusciti a rappresentare per gli elettori il punto di riferimento. Per usare una metafora calcistica, direi che il campo da gioco è cambiato, ma che nessuno è riuscito a spiegarlo alla squadra.
Qui il resto del post Le società pervase dal disinteresse, dall’individualismo, dall’egoismo, dalla furbizia, dalle scorciatoie, sono società a cui è sempre più difficile parlare di giustizia sociale, di uguaglianza e di solidarietà.
Il Partito Democratico in Italia è riuscito a tenere più di ogni altro movimento di centro sinistra nello scenario europeo. Perché?
Perché ha deciso di percorrere strade nuove, complesse, ma innovatrici. Dove questo non è stato fatto, il centro sinistra ha ceduto al vento, forte, della destra.
Il PD ha il dovere di fare la differenza, ha il dovere di essere un partito credibile che sia portatore di strategie e contenuti persuasivi, percepiti come una vera, netta ed intransigente linea politica “democratica” diversa da quella della destra. Il PD deve creare un modello culturale alternativo a quello basato sull’individualismo e sui piccoli egoismi, che la destra ha saputo imporre nel modo di pensare degli italiani, prima ancora che nelle urne.
Dobbiamo riuscire a parlare alla società italiana se vogliamo aspirare alla guida del Paese, ma dobbiamo dire quale è il Paese che vogliamo prima ancora di dire quale PD vogliamo.
Un Paese che abbia nel principio di laicità dello Stato e delle istituzioni il presidio della libertà e del rispetto di tutti, senza scadere in confusi e disorientati compromessi.
Un Paese nel quale l’evasione fiscale non è una virtù.
Un Paese che pensi al proprio futuro ambientale investendo nella green economy e nelle infrastrutture ecosostenibili.
Un Paese che investa in un sistema scolastico, universitario, formativo e di ricerca reso accessibile a tutti che ricomponga la frattura fra lavoro e sapere.
In questi giorni ho letto la lettera che Rita Clemente, una ricercatrice precaria di 47 anni, ha scritto al Presidente della Repubblica. Rita ha deciso di andarsene dall’Italia portando con sé tre figli nella speranza che un’altra nazione possa garantire loro una vita migliore di quanto lo Stato italiano abbia garantito alla loro madre. Rita chiederà la cittadinanza dello Stato che vorrà ospitarla, rinunciando ad essere italiana.
Il Pd deve impegnarsi a costruire un paese in cui nessuno decida di rinunciare al proprio diritto di cittadinanza ed al senso di appartenenza al proprio Paese.
Il Paese che vogliamo è poi un Paese che non ritenga che la sicurezza sia di destra e l’integrazione di sinistra. Un Paese nel quale la politica è prima di tutto etica. Un Paese nel quale la questione morale non è la moralità del Presidente del Consiglio, ma il Valore, quello maiuscolo, che appartiene a tutti noi.
Questi solo alcuni dei tratti del Paese che vogliamo.
Il PD deve farsi carico di costruire questo Paese. Come?
In questi giorni ho ripensato al giugno del 2007, al Lingotto.
Avevamo detto che il PD è un partito che nasce da grandi storie politiche, culturali e umane, il che è vero; avevamo detto che non è e non deve essere la conclusione di un cammino, e anche questo è vero; avevamo detto che, diversamente, sarebbe rimasto inchiodato al passato, senza poter diventare la grande forza riformista che l’Italia non ha mai avuto. E qui ancora non ci siamo, ancora non riusciamo a smettere di guardare a noi ed all’Italia dallo specchietto retrovisore. Non siamo ancora riusciti a fare i conti con il nostro passato ed abbiamo dimenticato che il PD per essere una grande forza riformista ha bisogno anche di quelli che un passato non ce l’hanno.
Ora più che mai non dobbiamo più vederci come degli ex, ma come una unione di culture e di sensibilità, di storie e di tradizioni, in cui nessuno chiede all’altro di rinunciare a qualcosa, ma di sentirsi “semplicemente democratico”. “La più bella definizione di sé che un essere umano possa dare”, dicemmo nel 2007.
Bene, diamo concretezza a questa definizione.
Dobbiamo essere un partito strutturato e territoriale, fatto di militanti, di circoli, di feste, di incontri, di amministratori, di base che non è l’ “apparato”.
E quando dico apparato, sapete bene cosa intendo, non certo le persone che con passione dedicano quotidianamente le loro energie al progetto del PD.
Il risultato elettorale ci ha consentito di resistere e di non essere spazzati via.
Da qui dobbiamo ripartire per costruire quel Paese che vogliamo.
Adesso è venuto il momento di darci solidità culturale e credibilità per governare questo Paese.
Per fare ciò, abbiamo bisogno di dare forza a un gruppo dirigente che sia in grado di proporsi come valida e convincente alternativa per il governo del Paese.
E soprattutto abbiamo bisogno di dare quelle risposte, chiare, nette ed uniche, che finora abbiamo pudicamente rinviato.
La laicità.
In molti mi hanno ricordato che una delle prime cose che ho detto riguardava Eluana Englaro ed era, in buona sostanza, un richiamo alla laicità. Una laicità che dobbiamo assumerci la responsabilità di specificare, capire e proteggere. Non va banalmente proclamata o utilizzata per farne occasione di divisione e di contrapposizione fra integralismo religioso e laicismo esasperato.
Dobbiamo spingerci alla ricerca di un’etica il più possibile condivisa.
Dobbiamo ricordare che la legge sul divorzio e quella sull’aborto non sono incidenti di percorso nella storia del nostro Paese, ma esempi concreti di laicità.
Dobbiamo tornare a dare questi esempi concreti e, mi auguro, che questa volta non ci fermeremo alla concessione della libertà di coscienza, ma troveremo il punto di equilibrio, la sintesi.
Libertà di informazione e conflitto di interessi.
Quest’anno l’Italia è stata inserita da Reporter sans frontieres e da Freedom House 2009 nella classifica mondiale della libertà di stampa tra i Paesi in cui pluralismo e libertà di informazione sono a rischio. Quali le cause? Sia Reporter sans frontieres che Freedom House indicano fra le cause il conflitto di interessi del Presidente del Consiglio, le nuove leggi limitanti adottate dal Governo italiano e l’interferenza e le minacce della criminalità organizzata Possiamo dire che è una novità? No, possiamo dire però che quest’anno, per la prima volta, l’Italia è stata retrocessa da Paese “libero” a “paese parzialmente libero”, unico caso in Europa occidentale. Abbiamo sentito parlare di conflitto di interessi per la prima volta nel 1993 e siamo ancora qui a dirci che quel conflitto va risolto.
Abbiamo molto da rimproverarci, ma almeno ora mettiamo in agenda questo problema e iniziamo a dire come intendiamo risolverlo, con quali strumenti.
Il conflitto di interessi si ha quando si verifica un contrasto fra l’interesse pubblico e l’interesse privato; non vorrei arrivassimo al punto in cui passa il concetto che l’interesse di un privato non deve essere turbato da quello pubblico.
Giustizia.
Viviamo in un Paese in cui dei problemi della giustizia si parla solo nelle giornate inaugurali degli anni giudiziari, mentre tantissime persone attendono anni per ottenerla. Una giustizia che non è neppure sfiorata dalle recenti norme di legge, come la normativa sulle intercettazioni, corretta per alcuni aspetti, ma indecente e pericolosa per le conseguenze che rischia di avere non solo sulla lotta al crimine, ma sulla stessa libertà di stampa. In questo Paese la giustizia chiede riforme profonde e coraggiose. Non deve esistere il tabù della giustizia per il PD, a maggior ragione quando uno dei suoi alleati si chiama Antonio Di Pietro.
La legge elettorale, infine.
E’ la regina delle leggi. Dalla sua bontà discende a cascata tutto il sistema della rappresentanza e la salute della politica. Non può essere un tema che teniamo nel cassetto e che al mutare del clima mediatico o delle posizioni degli altri partiti, tiriamo fuori come una bandiera sotto cui raccoglierci per un po’. Abbiamo fatto la nostra battaglia contro il porcellum con coerenza e, diciamolo, in solitudine, durante la campagna referendaria. Ma sarebbe ora un errore gravissimo se non mettessimo in cima alle priorità del PD la riforma del sistema elettorale. E questo significa confrontarci fra di noi e decidere.
Impegniamoci a discutere anche animatamente su questi temi, ma a decidere ed a dare le risposte. Cominciamo ad avere una linea politica chiara e di sintesi. Cominciamo a non accontentarci di essere l’opposizione ed iniziamo ad assumerci la responsabilità di governare questo Paese, costruendo insieme l‘alternativa alla destra.
E non spaventiamoci perché c’è il Congresso.
Non spaventiamoci perché qualcuno dice all’altro quello che pensa.
Non temiamo il confronto.
Parliamo non di noi stessi a noi stessi, ma parliamo al Paese durante il Congresso.
Ne usciremo tutti, proprio tutti, più forti. Ne uscirà più forte il partito. E io credo che finalmente arriverà il PD, un partito “Democratico” per davvero.
Grazie
Debora Serracchiani
Ieri Debora ha partecipato alla Festa Democratica di Verona - San Michele Extra per un'intervista curata da Lillo Aldegheri. I partecipanti all'evento l'hanno accolta con entusiasmo e si sono lasciati andare a lunghi ed innumerevoli applausi. La sua popolarità aumenta grazie alle sue posizioni politiche ed al suo linguaccio che tocca l'animo delle persone.

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