Articolo di Pietro Ichino pubblicato sul Corriere della Sera il 17 novembre 2008
Nel fondo del Corriere di sabato Angelo Panebianco presenta un Partito democratico preso nella tenaglia tra le iniziative riformiste del Governo e il conservatorismo della vecchia sinistra, soprattutto sulle riforme della scuola e delle amministrazioni pubbliche. Lo stesso Corriere, però, il giorno precedente, aveva dato conto di una vicenda diversa, nella quale è stato invece proprio il Pd a prendere l’iniziativa per primo e a dettare l’agenda in Parlamento: parlo del disegno di legge sulla valutazione e la trasparenza nelle amministrazioni pubbliche.
Il 13 novembre la Commissione Affari Costituzionali ha approvato la prima riforma istituzionale di questa legislatura, frutto di un impegno parlamentare bi-partisan: un testo legislativo nato dalla fusione del disegno di legge del Pd, 5 giugno 2008 n. 746, con quello del Governo, n. 847, presentato tre settimane dopo. Non credo di dare una lettura faziosa o ingenerosa di questa vicenda, dicendo che i contenuti più incisivi e innovatori del testo varato in Senato sono tratti dal progetto del Pd. Mi riferisco, innanzitutto, all’istituzione di un’Agenzia centrale indipendente con il compito di garantire l’attivazione, l’indipendenza e l’efficienza di tutti gli organi, centrali e periferici, di valutazione delle diverse amministrazioni pubbliche; l’indipendenza della stessa Agenzia sarà garantita dalla necessità di un voto parlamentare favorevole molto ampio (due terzi) per la nomina del suo vertice. Essa dovrà anche controllare la bontà del metodo di valutazione e la confrontabilità degli indici di andamento gestionale che ne risultano, in modo che di ogni amministrazione si possa conoscere il grado di efficienza rispetto alle altre omologhe (e anche rispetto agli standard degli altri Paesi europei). Infine – ed è forse questa l’innovazione che avrà effetti più rivoluzionari, se attuata correttamente – la trasparenza totale: tutti i dati relativi a funzioni e servizi su cui le valutazioni verranno elaborate dovranno essere immediatamente disponibili on-line, in modo che chiunque possa non solo controllarne la veridicità e completezza, ma soprattutto elaborare direttamente la propria valutazione secondo criteri e metodi diversi. Il risultato dell’internal auditing e del civic auditing si confronteranno annualmente, in ogni settore, in una public review, nella quale si discuteranno anche i nuovi obiettivi da fissare ai dirigenti.
Ancora una volta, non vorrei che si pensasse che io stia esagerando in patriottismo di partito se dico che tutti questi contenuti della riforma sono frutto di una rielaborazione bi-partisan del progetto presentato dal Pd, mentre in quello del Governo essi o non c’erano, o erano soltanto accennati genericamente. Ma è proprio così: chiunque può constatarlo confrontando i due disegni di legge originari (sono disponibili entrambi nel mio sito sotto indicato). Bene: questo è quanto è accaduto – a tempo di record e nonostante il pessimo clima politico generale ‑ in seno alla Commissione Affari Costituzionali del Senato. Ha potuto accadere per merito, certo, della disponibilità della maggioranza e soprattutto del Presidente della Commissione, Carlo Vizzini, a valutare con grande apertura tutte le proposte sul tappeto; ma per merito anche della bontà intrinseca delle proposte che il Pd ha presentato e sostenuto con forza, nonostante il duro scontro in atto sul piano sindacale per il rinnovo dei contratti del settore pubblico: per la prima volta si è vista, realmente operante, una piena autonomia reciproca tra sistema politico e sistema delle relazioni industriali. Quelle proposte, del resto, sono il frutto anche di esperienze concrete che alcune amministrazioni di centro-sinistra stanno già compiendo: mi riferisco per esempio a quanto sta facendo con successo, sul terreno della valutazione e della trasparenza, la Regione Lazio da un anno a questa parte. Si obietterà che, dopo avere votato “sì” su ciascuno degli articoli della nuova legge, il Pd si è astenuto nel voto finale: ma il maggior partito di opposizione non può non riservarsi, prima del giudizio definitivo, la valutazione del contenuto dei decreti delegati che il Governo emanerà nei mesi prossimi, nell’esercizio della delega che con la nuova legge gli viene conferita.
Detto questo, concordo con Panebianco sul punto che altrettanta lucidità e incisività non si è ancora vista nell’iniziativa del Pd in altri campi di importanza vitale: per esempio in quello della scuola e dell’università, dove il ritardo iniziale sta essendo recuperato con un po’ di affanno; e in quello del mercato del lavoro e del sistema del welfare, sul quale è in corso un dibattito molto aperto e intenso in seno al Pd, ma l’elaborazione programmatica registra un ritardo più marcato. Panebianco, però, deve convenire che neppure il centro-destra, in questi due campi, ha mostrato di possedere una strategia di riforma limpida, incisiva ed efficace: qui il ritardo è comune alle due parti.
Anche su questi altri terreni, comunque, la sfida di Panebianco è pienamente raccolta.
Nel fondo del Corriere di sabato Angelo Panebianco presenta un Partito democratico preso nella tenaglia tra le iniziative riformiste del Governo e il conservatorismo della vecchia sinistra, soprattutto sulle riforme della scuola e delle amministrazioni pubbliche. Lo stesso Corriere, però, il giorno precedente, aveva dato conto di una vicenda diversa, nella quale è stato invece proprio il Pd a prendere l’iniziativa per primo e a dettare l’agenda in Parlamento: parlo del disegno di legge sulla valutazione e la trasparenza nelle amministrazioni pubbliche.
Il 13 novembre la Commissione Affari Costituzionali ha approvato la prima riforma istituzionale di questa legislatura, frutto di un impegno parlamentare bi-partisan: un testo legislativo nato dalla fusione del disegno di legge del Pd, 5 giugno 2008 n. 746, con quello del Governo, n. 847, presentato tre settimane dopo. Non credo di dare una lettura faziosa o ingenerosa di questa vicenda, dicendo che i contenuti più incisivi e innovatori del testo varato in Senato sono tratti dal progetto del Pd. Mi riferisco, innanzitutto, all’istituzione di un’Agenzia centrale indipendente con il compito di garantire l’attivazione, l’indipendenza e l’efficienza di tutti gli organi, centrali e periferici, di valutazione delle diverse amministrazioni pubbliche; l’indipendenza della stessa Agenzia sarà garantita dalla necessità di un voto parlamentare favorevole molto ampio (due terzi) per la nomina del suo vertice. Essa dovrà anche controllare la bontà del metodo di valutazione e la confrontabilità degli indici di andamento gestionale che ne risultano, in modo che di ogni amministrazione si possa conoscere il grado di efficienza rispetto alle altre omologhe (e anche rispetto agli standard degli altri Paesi europei). Infine – ed è forse questa l’innovazione che avrà effetti più rivoluzionari, se attuata correttamente – la trasparenza totale: tutti i dati relativi a funzioni e servizi su cui le valutazioni verranno elaborate dovranno essere immediatamente disponibili on-line, in modo che chiunque possa non solo controllarne la veridicità e completezza, ma soprattutto elaborare direttamente la propria valutazione secondo criteri e metodi diversi. Il risultato dell’internal auditing e del civic auditing si confronteranno annualmente, in ogni settore, in una public review, nella quale si discuteranno anche i nuovi obiettivi da fissare ai dirigenti.
Ancora una volta, non vorrei che si pensasse che io stia esagerando in patriottismo di partito se dico che tutti questi contenuti della riforma sono frutto di una rielaborazione bi-partisan del progetto presentato dal Pd, mentre in quello del Governo essi o non c’erano, o erano soltanto accennati genericamente. Ma è proprio così: chiunque può constatarlo confrontando i due disegni di legge originari (sono disponibili entrambi nel mio sito sotto indicato). Bene: questo è quanto è accaduto – a tempo di record e nonostante il pessimo clima politico generale ‑ in seno alla Commissione Affari Costituzionali del Senato. Ha potuto accadere per merito, certo, della disponibilità della maggioranza e soprattutto del Presidente della Commissione, Carlo Vizzini, a valutare con grande apertura tutte le proposte sul tappeto; ma per merito anche della bontà intrinseca delle proposte che il Pd ha presentato e sostenuto con forza, nonostante il duro scontro in atto sul piano sindacale per il rinnovo dei contratti del settore pubblico: per la prima volta si è vista, realmente operante, una piena autonomia reciproca tra sistema politico e sistema delle relazioni industriali. Quelle proposte, del resto, sono il frutto anche di esperienze concrete che alcune amministrazioni di centro-sinistra stanno già compiendo: mi riferisco per esempio a quanto sta facendo con successo, sul terreno della valutazione e della trasparenza, la Regione Lazio da un anno a questa parte. Si obietterà che, dopo avere votato “sì” su ciascuno degli articoli della nuova legge, il Pd si è astenuto nel voto finale: ma il maggior partito di opposizione non può non riservarsi, prima del giudizio definitivo, la valutazione del contenuto dei decreti delegati che il Governo emanerà nei mesi prossimi, nell’esercizio della delega che con la nuova legge gli viene conferita.
Detto questo, concordo con Panebianco sul punto che altrettanta lucidità e incisività non si è ancora vista nell’iniziativa del Pd in altri campi di importanza vitale: per esempio in quello della scuola e dell’università, dove il ritardo iniziale sta essendo recuperato con un po’ di affanno; e in quello del mercato del lavoro e del sistema del welfare, sul quale è in corso un dibattito molto aperto e intenso in seno al Pd, ma l’elaborazione programmatica registra un ritardo più marcato. Panebianco, però, deve convenire che neppure il centro-destra, in questi due campi, ha mostrato di possedere una strategia di riforma limpida, incisiva ed efficace: qui il ritardo è comune alle due parti.
Anche su questi altri terreni, comunque, la sfida di Panebianco è pienamente raccolta.
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