venerdì 23 marzo 2012

Il progetto del lavoro è conforme al modello tedesco

Nota tecnica del senatore Pietro Ichino del 22 marzo 2012, nel tentativo di svelenire il clima del dibattito sulla riforma proposta dal Governo
L’idea diffusa è che la Cgil avrebbe accettato una riforma modellata sulla disciplina dei licenziamenti oggi vigente in Germania; ma che il rifiuto da parte sua del progetto del Governo sarebbe stato inevitabile, perché questo riprodurebbe il modello tedesco soltanto per i licenziamenti discriminatori e per quelli disciplinari, mentre per i licenziamenti dettati da motivi economici escluderebbe la possibilità della reintegrazione nel posto di lavoro. Il timore diffuso è dunque che, quando l’imprenditore abbia motivato il licenziamento con ragioni economico-organizzative, questo precluda al lavoratore la possibilità di far valere in giudizio l’eventuale natura discriminatoria o di rappresaglia del provvedimento, per ottenere la reintegrazione.
Questo equivoco può essere dissipato con una precisazione del Governo circa il contenuto del progetto in rapporto all’ordinamento tedesco – e poi con la corrispondente clausola nel disegno di legge-delega – che chiarisca questi due punti:
 - in Germania di fatto non accade mai che il giudice disponga la reintegrazione coattiva del lavoratore in azienda, salvo che ritenga che sotto il motivo economico-organizzativo addotto dall’imprenditore ci sia un motivo reale di discriminazione o di rappresaglia;
- con il progetto di riforma si intende realizzare esattamente lo stesso assetto: il lavoratore potrà sempre agire in giudizio per denunciare l’eventuale motivo discriminatorio o di rappresaglia dissimulato sotto il motivo economico-organizzativo; e se, sulla base delle circostanze, il giudice riterrà che ci sia stata discriminazione o rappresaglia, il lavoratore dovrà essere reintegrato nel posto di lavoro; - laddove invece il giudice non ravvisi un motivo discriminatorio o di rappresaglia, ma soltanto una insufficienza del motivo economico-organizzativo addotto, dovrà essere disposto il solo indennizzo.
Sono convinto che una nota del Governo di questo tenore contribuirebbe non poco a svelenire il clima. Poi, sarà importante che il testo del disegno di legge sia molto preciso su questo punto.
Quanto alla distinzione tra licenziamento economico e licenziamento disciplinare, la logica della nuova norma dovrebbe invece essere questa:
– se l’imprenditore licenzia per motivo oggettivo, è automaticamente e sempre tenuto a pagare un indennizzo, che costituisce il vero “filtro” delle sue scelte (se è disposto a pagare l’indennità prevista, significa che la perdita attesa è superiore), salvo sempre il controllo giudiziale su discriminazioni e rappresaglie; questa soluzione mi sembra molto preferibile a quella dell’indennizzo dovuto solo all’esito del giudizio, che sembra essere stata adottata nella bozza su cui sta lavorando il Governo;
– se l’imprenditore vuole esimersi dal pagamento dell’indennizzo, allora deve dimostrare la colpa del lavoratore (e in tal caso si entra senza problemi – per iniziativa dell’imprenditore stesso e nel suo interesse – nella fattispecie del licenziamento disciplinare).

1 commento:

pino s. ha detto...

La verità è che c'è un altro problema ancora più grande: del fantomatico modello tedesco sono del tutto assenti le coperture degli ammortizzatori. Qui si licenzia e basta, e poi il lavoratore deve arrangiarsi. Un po' di onestà (e non solo intellettuale) sarebbe gradita.