“Ringrazio, innanzitutto, Donata Gottardi per questo suo nuovo intervento sul “Progetto Semplificazione” e cerco di rispondere punto per punto alle sue osservazioni. Nel testo che segue riporto sinteticamente in grassetto, all’inizio di ciascun paragrafo, le principali obiezioni della giuslavorista ed ex-parlamentare europea.
1. Una riforma di questa portata “dovrebbe avvenire non solo coinvolgendo numerosi esperti della materia, [ma] con una partecipazione dal basso che veda anche il coinvolgimento delle persone direttamente interessate”. – Concordo pienamente; ed è per questo che, dopo aver lavorato per un anno e mezzo a questo progetto con un gruppo di esperti della materia, ora ho messo la prima bozza dei due disegni di legge on line per consentire a chiunque vi sia interessato di accedervi, e sono impegnato – come già in precedenza per il disegno di legge sulla transizione a un regime di flexsecurity – in una lunga serie di incontri pubblici e privati, con colleghi giuslavoristi, sindacalisti, imprenditori, direttori del personale e altri lavoratori interessati. Via via che raccolgo le correzioni e integrazioni che mi paiono migliorare il contenuto tecnico e l’equilibrio politico del progetto, le apporto direttamente sul testo disponibile su questo sito, indicando la data dell’aggiornamento: i lettori possono così seguire passo per passo, per così dire “in diretta”, l’evoluzione del progetto.
2. [Questo progetto è] “uno dei modi per universalizzare le tutele, ma seguendo una strada precisa: tutti uguali a un livello (medio-)basso”. – Non è così. Il nuovo Codice del lavoro che propongo non riduce affatto il livello delle protezioni, se non per qualche aspetto molto marginale, dove di fatto la vecchia disciplina non serve a nessuno (non è comunque il caso della disciplina della maternità e paternità: il nuovo articolo 2111, ampiamente riscritto in aderenza al Testo Unico del 2001, anche per tener conto delle osservazioni di Donata Gottardi, è già on line). Il nuovo Codice riduce, questo sì, il volume della normativa legislativa, che è cosa totalmente diversa da una riduzione del livello delle tutele; e lo fa per poterla rendere davvero universale, applicabile a tutti i lavoratori cui occorre protezione. Nella materia cruciale dei licenziamenti, certo, propongo un mutamento radicale della tecnica protettiva rispetto a quella adottata quarant’anni fa; sono infatti convinto che la nuova disciplina proposta (artt. 2118-2120) offra ai lavoratori una protezione complessivamente molto migliore rispetto alla vecchia. Tuttavia, proprio perché la riforma tocca, per questo aspetto, un “nervo scoperto” nel nostro Paese, propongo che la nuova disciplina si applichi soltanto ai rapporti di lavoro che si costituiranno d’ora in avanti, senza toccare la posizione di chi ha già un posto di lavoro stabile. Questo è il motivo per cui dico che la nuova disciplina deve essere valutata con gli occhi di un ventenne che entra oggi nel nostro mercato del lavoro, il quale gli offre, nella maggior parte dei casi, la prospettiva di una probabile lunga e penosa anticamera prima di accedere al lavoro regolare a tempo indeterminato. Non è un caso che tanti miei studenti mi dicano di considerare il diritto del lavoro che insegno loro nel mio corso come qualche cosa di distante, che non li riguarda se non da molto lontano: lo sentono come una cosa che riguarda essenzialmente le generazioni che li hanno preceduti. E non hanno torto.
3. “Chi decide il livello dove collocare l’asticella?”. – Lo decide, scegliendo il posizionamento dell’“asticella”, lo stesso legislatore nazionale che ha, in precedenza, dettato la vecchia disciplina; lo decide, ovviamente, ascoltando tutti gli interessati e recependone gli accordi; dove opportuno, restituendo loro una parte dei territori che nell’ultimo mezzo secolo sono stati progressivamente e non sempre appropriatamente sottratti alla loro autonomia negoziale (penso soprattutto al mercato del tempo endo-aziendale e al part-time). Il mio progetto si propone soltanto di dare un contributo a questo processo decisionale: in particolare, esso si propone di mostrare come la riforma sia tecnicamente possibile anche in tempi molto brevi (ciò che non è affatto scontato, nell’opinione ancor oggi dominante). Esso si propone di mettere a disposizione delle parti sociali un testo tecnicamente corretto e completo, ma apertissimo a tutte le modifiche e gli aggiustamenti dei quali il dibattito mostrerà l’opportunità. Questa “apertura” del progetto è già in atto e si manifesta nel lavoro quotidiano di correzione e integrazione che sta svolgendosi su questo sito, anche per merito di Donata Gottardi, nel modo più trasparente e sotto gli occhi di tutti.
4. Questo progetto “diluisce e frammenta” lo Statuto dei lavoratori di quarant’anni fa, ripartendone le disposizioni secondo lo schema del libro V del codice civile. Occorrerebbe invece riprendere l’idea dello stesso Statuto, come si è fatto con la Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del 2003. – Lo Statuto dei lavoratori del 1970 disciplina una parte soltanto delle materie inerenti ai rapporti di lavoro e ai rapporti sindacali; e lo fa talvolta proprio adottando la tecnica della “novella” di disposizioni contenute nel codice civile (articolo 2103 in materia di mansioni) o aggiungendo una nuova disposizione a quella contenuta nel codice civile (articolo 2106 in materia di provvedimenti disciplinari). Quanto alla Carta del 2003, essa non cambiava una virgola né dello Statuto dei lavoratori né del codice civile. Quei due testi non offrono, comunque, una struttura adatta a contenere l’intera disciplina legislativa essenziale. Se ho scelto la struttura del libro V del codice civile, come è spiegato nella relazione introduttiva del disegno di legge maggiore, è soltanto per ridurre al minimo il “costo di aggiornamento” per gli esperti e gli addetti ai lavori: in tutti i casi in cui abbiamo potuto abbiamo fatto in modo che ciascuna disposizione fosse contenuta nello stesso articolo oggi contenente la disciplina attuale della materia. Non mi sembra che questa scelta pregiudichi o condizioni in modo negativo il contenuto della nuova disciplina.
5. “L’articolo di apertura della parte dedicata alla disciplina comune a tutti i rapporti di lavoro, si apre con il riferimento al “titolare dell’azienda”, con il che si continua a rimanere nell’alveo di una qualificazione che esclude il lavoro autonomo, il lavoro sociale, il lavoro volontario, il lavoro di cura”. – La risposta a questa obiezione è contenuta nella relazione introduttiva all’articolo 2087 del disegno di legge: “Il riferimento all’imprenditore, contenuto nell’articolo 2087 attualmente in vigore, è sostituito con il riferimento al ‘titolare dell’azienda’, al fine di allargare nella misura massima possibile il campo di applicazione della norma protettiva: secondo la migliore dottrina, infatti [il riferimento, qui, è alla lezione di Luisa Riva Sanseverino, di cui sono allievo], la nozione giuridica di azienda non è legata a quella di impresa, bensì si estende a comprendere qualsiasi contesto ambientale-strumentale nel quale la prestazione lavorativa si collochi. D’altra parte, laddove la prestazione non si collochi in un contesto ambientale-strumentale di cui sia titolare il creditore, non avrebbe senso accollare a quest’ultimo un obbligo di protezione della sicurezza e riservatezza del lavoratore (salve le disposizioni circa la possibile nocività dei materiali nel lavoro a domicilio, che sono oggetto di una disposizione ad hoc nel comma 2 dell’articolo 2123)”.
6. “Se la volontà è quella della semplificazione e della leggibilità immediata, mi pare complicato andare a controllare nell’elenco della normativa abrogata cosa resti in vigore e cosa no”. – Non riesco a immaginare nulla di meglio che un elenco cronologico delle norme abrogate. Se qualcuno ha un’idea migliore, essa è ovviamente benvenuta.
7. “Le direttive [comunitarie] sono emanate attendendosene le istituzioni europee una trasposizione attenta e intelligente nei singoli Paesi. Limitarsi a tradurle e metterle a disposizione come unica regola è impossibile. Impossibile anche perché in molti casi le direttive stesse rinviano a scelte della normativa nazionale”. – Non è vero che il nuovo Codice del lavoro pretenda di limitare la recezione delle direttive comunitarie a un mero rinvio al loro testo. Per alcune materie – in particolare: diritti di informazione del lavoratore, contratto a termine, part-time, comando o distacco, trasferimento d’azienda, licenziamenti collettivi (stiamo lavorando per arrivare allo stesso risultato per l’orario di lavoro) – esso sostituisce integralmente le attuali leggi di recezione con norme più semplici. Per altre materie – in particolare: sicurezza del lavoro, protezione dei dati personali, discriminazioni e pari opportunità –, in considerazione dell’obiettiva complessità della materia, esso lascia in vita le leggi di recepimento attuali, limitandosi a enunciarne sinteticamente i principi essenziali fungendo così da “portale” della disciplina legislativa vigente.
8. Articolo 2111, in materia di maternità e paternità: “Occorre ora trovare soluzioni diverse. Lo sanno bene tutti coloro che hanno un contratto di lavoro a termine (sia esso subordinato, un contratto a progetto, un lavoro interinale…). Affermare il diritto a sospendere il lavoro per godere di un congedo come quello parentale è come scrivere sulla sabbia. Quel diritto non è quasi mai azionabile”. – Concordo pienamente. Uno dei principali motivi ispiratori di questo lavoro è l’esigenza di individuare, nel diritto del lavoro vigente, le protezioni di fatto non applicabili se non nel settore pubblico, quelle di cui oggi nelle aziende private si avvalgono soltanto i lavoratori meno responsabili, per sostituirle con una normativa capace di essere davvero universale e universalmente efficace. Qualsiasi contributo su questo terreno, da chiunque esso venga, è il benvenuto.
9. Ancora articolo 2111: “Il testo unico [d.lgs. n. 151/2001 sulla protezione di maternità e paternità] è pesante perché si occupa, ad esempio, anche della copertura previdenziale. Di questi aspetti, dove ci si occuperebbe nella tua proposta?”. - Il nuovo Codice del lavoro, in questa sua prima versione, non ha la pretesa di coprire anche la materia previdenziale: infatti non prevede l’abrogazione della normativa su questa materia. Resto convinto, tuttavia, che la legislazione previdenziale presenti aspetti di ipertrofia, farraginosità e illeggibilità persino maggiori rispetto alla legislazione sul rapporto di lavoro: se la prima fase di questo “Progetto Semplificazione” avrà successo, la seconda fase sarà dedicata proprio alla legislazione sulle assicurazioni pensionistiche obbligatorie.
10. Articolo 2090: non è opportuno “porre tetti alla contribuzione pensionistica”. – A me non sembra che l’ordinamento statuale debba farsi carico di garantire la continuità del reddito per i lavoratori anziani anche per la parte di esso che supera una soglia medio-alta. L’ordinamento, viceversa, deve garantirla a tutti coloro che vivono del proprio lavoro, quindi anche ai lavoratori autonomi. Porre un limite massimo di contribuzione e di retribuzione pensionabile rende più facile l’universalizzazione effettiva dell’assicurazione generale obbligatoria.
11. Articolo 2092, primo comma: “perché limitare [il campo di applicazione della retribuzione oraria minima] ai lavori ‘misurati in ragione del tempo’?”. – La ragione che ci aveva inizialmente indotti a questa scelta era di carattere strettamente logico: se si tratta di una “retribuzione oraria”, ci sembrava che non potesse avere senso applicarla a rapporti aventi per oggetto una prestazione non misurata in ragione del tempo. L’osservazione critica di Donata Gottardi ci ha indotti a ridiscutere la cosa e a considerare che, in realtà, il controllo del rispetto di uno standard retributivo minimo orario è possibile anche in riferimento a prestazioni lavorative misurate esclusivamente in relazione al risultato: anche queste, infatti, per definizione richiedono un’attività lavorativa, la quale è osservabile (si pensi, per esempio, al contratto di lavoro a domicilio, che solitamente commisura la retribuzione al singolo “pezzo” prodotto e non al tempo impiegato per produrlo: questo non impedisce un controllo dell’entità della retribuzione basato sul tempo ragionevolmente necessario per la produzione del risultato dedotto in contratto). Anche in riferimento a questi casi, dunque, è ragionevole e opportuno pensare alla possibilità di un divieto di retribuzioni che si collochino di fatto al di sotto dello standard orario minimo. Il nuovo testo del primo comma dell’articolo 2092, modificato in accoglimento dell’osservazione di Donata Gottardi, cioè con la soppressione del riferimento limitativo alle prestazioni misurate in ragione del tempo, è già on line.
12. Articolo 2092, secondo comma: “accettiamo di introdurre le ‘gabbie salariali’?”. - Un Codice del lavoro degno di questo nome deve aspirare a dettare una disciplina della materia stabile nel tempo, indipendentemente dall’alternarsi di forze politiche diverse al governo e dei rispettivi diversi orientamenti di politica del lavoro. Ora, come abbiamo precisato nella relazione introduttiva, la differenziazione regionale degli standard minimi in relazione al costo della vita e ad altre circostanze economico-sociali – praticata nell’ultimo quindicennio, per esempio, nella Repubblica Federale Tedesca – è sicuramente tra le opzioni costituzionalmente legittime: essa deve pertanto essere contemplata nel Codice, indipendentemente dall’orientamento che prevale nella congiuntura politica particolare nella quale il Codice stesso vede la luce.
13. Articoli 2092 e 2099: “saltiamo l’intervento equitativo del giudice [per la determinazione della giusta retribuzione]”? – Il principio della giusta retribuzione è già sancito dall’articolo 36 della Costituzione, con una formulazione per diversi aspetti più precisa rispetto al contenuto del vecchio articolo 2099 del codice civile. Non mi sembra che sia necessario aggiungere una norma ulteriore in proposito, mentre nella logica della semplificazione il non aggiungerla è meglio.
14. Articolo 2094: “avendo indicato espressamente la cifra della soglia [di reddito annuo massimo per la qualificabilità della collaborazione autonoma continuativa come ‘lavoro dipendente’], dovremmo adeguare la normativa del codice all’andamento del costo della vita. Questo è un altro aspetto del problema: la semplificazione introduce nel codice numerosi indicatori quantitativi, destinati ovviamente ad essere superati nel tempo”. – Anche se in questi tempi di inflazione molto bassa il problema non appare di primaria urgenza, l’osservazione è giusta. Si potrebbe risolvere il problema con una norma finale che disponga un’indicizzazione automatica di tutte le soglie espresse in termini monetari; ma questo potrebbe risultare tecnicamente più difficile di quanto non appaia. Ogni suggerimento tecnico in proposito sarà prezioso.
15. Articolo 2103, sulle mansioni del lavoratore: “perché riproporre con così poche innovazioni su una delle disposizioni incorporate nello Statuto dei diritti dei lavoratori che più si ritiene abbia necessità di manutenzione per tener conto dei cambiamenti?”. – Nella nuova formulazione dell’articolo 2103 abbiamo cercato di adattare la disposizione agli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che sono venuti affermandosi nella sua interpretazione e applicazione evolutiva e agli enormi cambiamenti intervenuti nel contesto economico-produttivo da quarant’anni a questa parte: in particolare all’accelerazione del ritmo di obsolescenza delle tecniche applicate. Nulla esclude, ovviamente, che si possa fare meglio: anche qui ogni contributo ulteriore sarà il benvenuto.
16. Articolo 2107: “sull’orario di lavoro, mi pare insufficiente un rinvio agli standard minimi europei”. – Infatti non si prevede, per ora, l’abrogazione del d.lgs. n. 66/2003 né delle altre leggi di recezione delle direttive comunitarie in materia di orario di lavoro. Ho intenzione, però, nel prossimo futuro, di provare a compiere anche su questa materia lo stesso lavoro di semplificazione e sintesi svolto in materia di part-time e di congedi parentali, in modo che il contenuto del nuovo Codice possa sostituire integralmente quelle leggi.
17. “Ti ho segnalato questi dubbi proprio perché il dialogo e il confronto continui”. – Di questo ringrazio cordialmente Donata Gottardi, auspicando che anche tutti gli altri colleghi giuslavoristi non già coinvolti in questo lavoro facciano altrettanto.”
Pietro Ichino
1. Una riforma di questa portata “dovrebbe avvenire non solo coinvolgendo numerosi esperti della materia, [ma] con una partecipazione dal basso che veda anche il coinvolgimento delle persone direttamente interessate”. – Concordo pienamente; ed è per questo che, dopo aver lavorato per un anno e mezzo a questo progetto con un gruppo di esperti della materia, ora ho messo la prima bozza dei due disegni di legge on line per consentire a chiunque vi sia interessato di accedervi, e sono impegnato – come già in precedenza per il disegno di legge sulla transizione a un regime di flexsecurity – in una lunga serie di incontri pubblici e privati, con colleghi giuslavoristi, sindacalisti, imprenditori, direttori del personale e altri lavoratori interessati. Via via che raccolgo le correzioni e integrazioni che mi paiono migliorare il contenuto tecnico e l’equilibrio politico del progetto, le apporto direttamente sul testo disponibile su questo sito, indicando la data dell’aggiornamento: i lettori possono così seguire passo per passo, per così dire “in diretta”, l’evoluzione del progetto.
2. [Questo progetto è] “uno dei modi per universalizzare le tutele, ma seguendo una strada precisa: tutti uguali a un livello (medio-)basso”. – Non è così. Il nuovo Codice del lavoro che propongo non riduce affatto il livello delle protezioni, se non per qualche aspetto molto marginale, dove di fatto la vecchia disciplina non serve a nessuno (non è comunque il caso della disciplina della maternità e paternità: il nuovo articolo 2111, ampiamente riscritto in aderenza al Testo Unico del 2001, anche per tener conto delle osservazioni di Donata Gottardi, è già on line). Il nuovo Codice riduce, questo sì, il volume della normativa legislativa, che è cosa totalmente diversa da una riduzione del livello delle tutele; e lo fa per poterla rendere davvero universale, applicabile a tutti i lavoratori cui occorre protezione. Nella materia cruciale dei licenziamenti, certo, propongo un mutamento radicale della tecnica protettiva rispetto a quella adottata quarant’anni fa; sono infatti convinto che la nuova disciplina proposta (artt. 2118-2120) offra ai lavoratori una protezione complessivamente molto migliore rispetto alla vecchia. Tuttavia, proprio perché la riforma tocca, per questo aspetto, un “nervo scoperto” nel nostro Paese, propongo che la nuova disciplina si applichi soltanto ai rapporti di lavoro che si costituiranno d’ora in avanti, senza toccare la posizione di chi ha già un posto di lavoro stabile. Questo è il motivo per cui dico che la nuova disciplina deve essere valutata con gli occhi di un ventenne che entra oggi nel nostro mercato del lavoro, il quale gli offre, nella maggior parte dei casi, la prospettiva di una probabile lunga e penosa anticamera prima di accedere al lavoro regolare a tempo indeterminato. Non è un caso che tanti miei studenti mi dicano di considerare il diritto del lavoro che insegno loro nel mio corso come qualche cosa di distante, che non li riguarda se non da molto lontano: lo sentono come una cosa che riguarda essenzialmente le generazioni che li hanno preceduti. E non hanno torto.
3. “Chi decide il livello dove collocare l’asticella?”. – Lo decide, scegliendo il posizionamento dell’“asticella”, lo stesso legislatore nazionale che ha, in precedenza, dettato la vecchia disciplina; lo decide, ovviamente, ascoltando tutti gli interessati e recependone gli accordi; dove opportuno, restituendo loro una parte dei territori che nell’ultimo mezzo secolo sono stati progressivamente e non sempre appropriatamente sottratti alla loro autonomia negoziale (penso soprattutto al mercato del tempo endo-aziendale e al part-time). Il mio progetto si propone soltanto di dare un contributo a questo processo decisionale: in particolare, esso si propone di mostrare come la riforma sia tecnicamente possibile anche in tempi molto brevi (ciò che non è affatto scontato, nell’opinione ancor oggi dominante). Esso si propone di mettere a disposizione delle parti sociali un testo tecnicamente corretto e completo, ma apertissimo a tutte le modifiche e gli aggiustamenti dei quali il dibattito mostrerà l’opportunità. Questa “apertura” del progetto è già in atto e si manifesta nel lavoro quotidiano di correzione e integrazione che sta svolgendosi su questo sito, anche per merito di Donata Gottardi, nel modo più trasparente e sotto gli occhi di tutti.
4. Questo progetto “diluisce e frammenta” lo Statuto dei lavoratori di quarant’anni fa, ripartendone le disposizioni secondo lo schema del libro V del codice civile. Occorrerebbe invece riprendere l’idea dello stesso Statuto, come si è fatto con la Carta dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori del 2003. – Lo Statuto dei lavoratori del 1970 disciplina una parte soltanto delle materie inerenti ai rapporti di lavoro e ai rapporti sindacali; e lo fa talvolta proprio adottando la tecnica della “novella” di disposizioni contenute nel codice civile (articolo 2103 in materia di mansioni) o aggiungendo una nuova disposizione a quella contenuta nel codice civile (articolo 2106 in materia di provvedimenti disciplinari). Quanto alla Carta del 2003, essa non cambiava una virgola né dello Statuto dei lavoratori né del codice civile. Quei due testi non offrono, comunque, una struttura adatta a contenere l’intera disciplina legislativa essenziale. Se ho scelto la struttura del libro V del codice civile, come è spiegato nella relazione introduttiva del disegno di legge maggiore, è soltanto per ridurre al minimo il “costo di aggiornamento” per gli esperti e gli addetti ai lavori: in tutti i casi in cui abbiamo potuto abbiamo fatto in modo che ciascuna disposizione fosse contenuta nello stesso articolo oggi contenente la disciplina attuale della materia. Non mi sembra che questa scelta pregiudichi o condizioni in modo negativo il contenuto della nuova disciplina.
5. “L’articolo di apertura della parte dedicata alla disciplina comune a tutti i rapporti di lavoro, si apre con il riferimento al “titolare dell’azienda”, con il che si continua a rimanere nell’alveo di una qualificazione che esclude il lavoro autonomo, il lavoro sociale, il lavoro volontario, il lavoro di cura”. – La risposta a questa obiezione è contenuta nella relazione introduttiva all’articolo 2087 del disegno di legge: “Il riferimento all’imprenditore, contenuto nell’articolo 2087 attualmente in vigore, è sostituito con il riferimento al ‘titolare dell’azienda’, al fine di allargare nella misura massima possibile il campo di applicazione della norma protettiva: secondo la migliore dottrina, infatti [il riferimento, qui, è alla lezione di Luisa Riva Sanseverino, di cui sono allievo], la nozione giuridica di azienda non è legata a quella di impresa, bensì si estende a comprendere qualsiasi contesto ambientale-strumentale nel quale la prestazione lavorativa si collochi. D’altra parte, laddove la prestazione non si collochi in un contesto ambientale-strumentale di cui sia titolare il creditore, non avrebbe senso accollare a quest’ultimo un obbligo di protezione della sicurezza e riservatezza del lavoratore (salve le disposizioni circa la possibile nocività dei materiali nel lavoro a domicilio, che sono oggetto di una disposizione ad hoc nel comma 2 dell’articolo 2123)”.
6. “Se la volontà è quella della semplificazione e della leggibilità immediata, mi pare complicato andare a controllare nell’elenco della normativa abrogata cosa resti in vigore e cosa no”. – Non riesco a immaginare nulla di meglio che un elenco cronologico delle norme abrogate. Se qualcuno ha un’idea migliore, essa è ovviamente benvenuta.
7. “Le direttive [comunitarie] sono emanate attendendosene le istituzioni europee una trasposizione attenta e intelligente nei singoli Paesi. Limitarsi a tradurle e metterle a disposizione come unica regola è impossibile. Impossibile anche perché in molti casi le direttive stesse rinviano a scelte della normativa nazionale”. – Non è vero che il nuovo Codice del lavoro pretenda di limitare la recezione delle direttive comunitarie a un mero rinvio al loro testo. Per alcune materie – in particolare: diritti di informazione del lavoratore, contratto a termine, part-time, comando o distacco, trasferimento d’azienda, licenziamenti collettivi (stiamo lavorando per arrivare allo stesso risultato per l’orario di lavoro) – esso sostituisce integralmente le attuali leggi di recezione con norme più semplici. Per altre materie – in particolare: sicurezza del lavoro, protezione dei dati personali, discriminazioni e pari opportunità –, in considerazione dell’obiettiva complessità della materia, esso lascia in vita le leggi di recepimento attuali, limitandosi a enunciarne sinteticamente i principi essenziali fungendo così da “portale” della disciplina legislativa vigente.
8. Articolo 2111, in materia di maternità e paternità: “Occorre ora trovare soluzioni diverse. Lo sanno bene tutti coloro che hanno un contratto di lavoro a termine (sia esso subordinato, un contratto a progetto, un lavoro interinale…). Affermare il diritto a sospendere il lavoro per godere di un congedo come quello parentale è come scrivere sulla sabbia. Quel diritto non è quasi mai azionabile”. – Concordo pienamente. Uno dei principali motivi ispiratori di questo lavoro è l’esigenza di individuare, nel diritto del lavoro vigente, le protezioni di fatto non applicabili se non nel settore pubblico, quelle di cui oggi nelle aziende private si avvalgono soltanto i lavoratori meno responsabili, per sostituirle con una normativa capace di essere davvero universale e universalmente efficace. Qualsiasi contributo su questo terreno, da chiunque esso venga, è il benvenuto.
9. Ancora articolo 2111: “Il testo unico [d.lgs. n. 151/2001 sulla protezione di maternità e paternità] è pesante perché si occupa, ad esempio, anche della copertura previdenziale. Di questi aspetti, dove ci si occuperebbe nella tua proposta?”. - Il nuovo Codice del lavoro, in questa sua prima versione, non ha la pretesa di coprire anche la materia previdenziale: infatti non prevede l’abrogazione della normativa su questa materia. Resto convinto, tuttavia, che la legislazione previdenziale presenti aspetti di ipertrofia, farraginosità e illeggibilità persino maggiori rispetto alla legislazione sul rapporto di lavoro: se la prima fase di questo “Progetto Semplificazione” avrà successo, la seconda fase sarà dedicata proprio alla legislazione sulle assicurazioni pensionistiche obbligatorie.
10. Articolo 2090: non è opportuno “porre tetti alla contribuzione pensionistica”. – A me non sembra che l’ordinamento statuale debba farsi carico di garantire la continuità del reddito per i lavoratori anziani anche per la parte di esso che supera una soglia medio-alta. L’ordinamento, viceversa, deve garantirla a tutti coloro che vivono del proprio lavoro, quindi anche ai lavoratori autonomi. Porre un limite massimo di contribuzione e di retribuzione pensionabile rende più facile l’universalizzazione effettiva dell’assicurazione generale obbligatoria.
11. Articolo 2092, primo comma: “perché limitare [il campo di applicazione della retribuzione oraria minima] ai lavori ‘misurati in ragione del tempo’?”. – La ragione che ci aveva inizialmente indotti a questa scelta era di carattere strettamente logico: se si tratta di una “retribuzione oraria”, ci sembrava che non potesse avere senso applicarla a rapporti aventi per oggetto una prestazione non misurata in ragione del tempo. L’osservazione critica di Donata Gottardi ci ha indotti a ridiscutere la cosa e a considerare che, in realtà, il controllo del rispetto di uno standard retributivo minimo orario è possibile anche in riferimento a prestazioni lavorative misurate esclusivamente in relazione al risultato: anche queste, infatti, per definizione richiedono un’attività lavorativa, la quale è osservabile (si pensi, per esempio, al contratto di lavoro a domicilio, che solitamente commisura la retribuzione al singolo “pezzo” prodotto e non al tempo impiegato per produrlo: questo non impedisce un controllo dell’entità della retribuzione basato sul tempo ragionevolmente necessario per la produzione del risultato dedotto in contratto). Anche in riferimento a questi casi, dunque, è ragionevole e opportuno pensare alla possibilità di un divieto di retribuzioni che si collochino di fatto al di sotto dello standard orario minimo. Il nuovo testo del primo comma dell’articolo 2092, modificato in accoglimento dell’osservazione di Donata Gottardi, cioè con la soppressione del riferimento limitativo alle prestazioni misurate in ragione del tempo, è già on line.
12. Articolo 2092, secondo comma: “accettiamo di introdurre le ‘gabbie salariali’?”. - Un Codice del lavoro degno di questo nome deve aspirare a dettare una disciplina della materia stabile nel tempo, indipendentemente dall’alternarsi di forze politiche diverse al governo e dei rispettivi diversi orientamenti di politica del lavoro. Ora, come abbiamo precisato nella relazione introduttiva, la differenziazione regionale degli standard minimi in relazione al costo della vita e ad altre circostanze economico-sociali – praticata nell’ultimo quindicennio, per esempio, nella Repubblica Federale Tedesca – è sicuramente tra le opzioni costituzionalmente legittime: essa deve pertanto essere contemplata nel Codice, indipendentemente dall’orientamento che prevale nella congiuntura politica particolare nella quale il Codice stesso vede la luce.
13. Articoli 2092 e 2099: “saltiamo l’intervento equitativo del giudice [per la determinazione della giusta retribuzione]”? – Il principio della giusta retribuzione è già sancito dall’articolo 36 della Costituzione, con una formulazione per diversi aspetti più precisa rispetto al contenuto del vecchio articolo 2099 del codice civile. Non mi sembra che sia necessario aggiungere una norma ulteriore in proposito, mentre nella logica della semplificazione il non aggiungerla è meglio.
14. Articolo 2094: “avendo indicato espressamente la cifra della soglia [di reddito annuo massimo per la qualificabilità della collaborazione autonoma continuativa come ‘lavoro dipendente’], dovremmo adeguare la normativa del codice all’andamento del costo della vita. Questo è un altro aspetto del problema: la semplificazione introduce nel codice numerosi indicatori quantitativi, destinati ovviamente ad essere superati nel tempo”. – Anche se in questi tempi di inflazione molto bassa il problema non appare di primaria urgenza, l’osservazione è giusta. Si potrebbe risolvere il problema con una norma finale che disponga un’indicizzazione automatica di tutte le soglie espresse in termini monetari; ma questo potrebbe risultare tecnicamente più difficile di quanto non appaia. Ogni suggerimento tecnico in proposito sarà prezioso.
15. Articolo 2103, sulle mansioni del lavoratore: “perché riproporre con così poche innovazioni su una delle disposizioni incorporate nello Statuto dei diritti dei lavoratori che più si ritiene abbia necessità di manutenzione per tener conto dei cambiamenti?”. – Nella nuova formulazione dell’articolo 2103 abbiamo cercato di adattare la disposizione agli orientamenti dottrinali e giurisprudenziali che sono venuti affermandosi nella sua interpretazione e applicazione evolutiva e agli enormi cambiamenti intervenuti nel contesto economico-produttivo da quarant’anni a questa parte: in particolare all’accelerazione del ritmo di obsolescenza delle tecniche applicate. Nulla esclude, ovviamente, che si possa fare meglio: anche qui ogni contributo ulteriore sarà il benvenuto.
16. Articolo 2107: “sull’orario di lavoro, mi pare insufficiente un rinvio agli standard minimi europei”. – Infatti non si prevede, per ora, l’abrogazione del d.lgs. n. 66/2003 né delle altre leggi di recezione delle direttive comunitarie in materia di orario di lavoro. Ho intenzione, però, nel prossimo futuro, di provare a compiere anche su questa materia lo stesso lavoro di semplificazione e sintesi svolto in materia di part-time e di congedi parentali, in modo che il contenuto del nuovo Codice possa sostituire integralmente quelle leggi.
17. “Ti ho segnalato questi dubbi proprio perché il dialogo e il confronto continui”. – Di questo ringrazio cordialmente Donata Gottardi, auspicando che anche tutti gli altri colleghi giuslavoristi non già coinvolti in questo lavoro facciano altrettanto.”
Pietro Ichino
Nessun commento:
Posta un commento