lunedì 21 aprile 2008

Dal Sud con amicizia

Caro Nino,
consentimi, prima di dare un pur sintetica risposta ai Tuoi interrogativi circa il futuro del PD in rapporto al Sud, di compiacermi del fatto che la Tua passione per la politica e la Tua trepida partecipazione per le sorti della nostra terra non sono state intaccate dalla ormai lunga stagione lavorativa forzatamente trascorsa lontano dal luogo di origine. Tu sei la prova vivente di come una identità (ideale, culturale), saldamente e genuinamente inculcata, possa sempre garantire un “ritorno”, sia pure empatetico e virtuale (ma non per questo meno fecondo e produttivo), alle “radici”. Anzi, proprio dalla Tua vicenda traggo spunto per abbozzare l’intervento che mi solleciti.
Qualsiasi forza politica, a maggior ragione una forza politica nuova, non può assicurarsi un futuro se non investe seriamente in capo alle nuove generazioni. Potrebbe sembrare una ovvietà, ma forse non lo è, soprattutto al Sud e per il Sud. Vorrei fare osservare, infatti, che l’odierna composizione demografica del Paese sbilancerebbe inesorabilmente a svantaggio del Sud un partito che non compisse un’opzione preferenziale a favore delle politiche giovanili. Al Sud si riscontra tuttora il più alto tasso di disoccupazione giovanile e dal Sud migrano ancora, anzi di nuovo, le risorse (giovanili) intellettualmente più dotate, che in parte non trascurabile hanno contribuito alla crescita ed allo sviluppo delle regioni settentrionali. Il Sud rischia, quindi, di essere privato nei prossimi anni – ove non si rinnovi e non si riqualifichi l’intera classe dirigente (e non solo quella politica) – dell’unica risorsa di cui può, allo stato, fruire in eccedenza, e cioè la risorsa umana.
Non intendo, con questo, prendere posizione contro la mobilità della forza lavoro e, men che meno, degli intellettuali: si tratta di un impreteribile effetto e, ad un tempo, di una delle più potenti molle della mondializzazione. Né ritengo che il “circolo” così configuratosi debba essere inevitabilmente stigmatizzato come “vizioso”; esso può anzi contribuire ad accrescere e valorizzare le potenzialità dovunque si trovino ed a moltiplicare le opportunità di uno sviluppo sempre più diffuso in diversi ambiti ed ai vari livelli. Può far sì, ad esempio, che un “ritorno”, come il Tuo, alle “radici” non si limiti al livello puramente ideale, ma assuma forme più concrete e ravvicinate. Occorre però tenere presente che la mondializzazione e le connesse, molteplici, forme di mobilità hanno paradossalmente e reattivamente risvegliato e potenziato le identità particolari. Anche queste ultime, del resto, non possono essere indiscriminatamente demonizzate, ma vanno, piuttosto, riconosciute nella loro più autentica essenza e, una volta così depurate, reinoculate appropriatamente e reimmesse in un “circolo virtuoso”. Esse vanno riscattate dalle tentazioni e dai rischi delle chiusure integralistiche e reciprocamente ghettizzanti, che, purtroppo, non conoscono né paralleli, né meridiani. Una forza politica che voglia guadagnarsi il futuro non deve mostrar timore della richiesta di identità ,che emerge da una gioventù sempre più confusa e frastornata; deve, per inverso, orientarla ed incanalarla, perché si traduca in un atteggiamento di apertura e di disponibilità verso l’insieme e, del pari, accoglierla ed assimilarla come il più genuino tramite per l’innesto del partito sulla base sociale.
Da ultimo, si è giustamente detto che occorre guardare con sempre maggiore attenzione al territorio ed alle periferie, per rifuggire da ogni propensione dirigistica e da ogni deriva centralistica. Tuttavia, ciò non può avere un significato meramente geografico, come se fosse sufficiente invertire i termini della annosa (ma sempreverde) “questione meridionale” con quelli della neonata “questione settentrionale”, perché il prodotto finirebbe per non cambiare. Piuttosto, ed in linea con il discorso sulle identità cui prima ho accennato, ciò comporta impegnarsi in una scelta precisa per ed in un ancoraggio forte sui principi di sussidiarietà e di autonomia, che, non potendo confondersi con una irrelata e sfrenata autodeterminazione (o autarchia, in termini istituzionali), implicano una necessaria e ben ponderata dose di solidarietà e di corresponsabilità. Se, con un linguaggio politico più concreto, si vogliono tradurre appropriatamente questi principi, si può dire che il Paese tutto non crescerà se non insieme; e che, d’altra parte, tutti ci avvantaggeremo se ciascuno di noi si adopererà per cercare di (o per tornare a) fare al meglio il proprio mestiere: il professore quello di professore, l’artista quello di artista, lo sportivo quello di sportivo, il medico quello di medico, l’imprenditore quello di imprenditore, il sindacalista quello di sindacalista, il politico quello di politico. Se la civiltà moderna e, più ancora, quella contemporanea hanno “inventato” quest’ultimo “mestiere”, lo hanno fatto proprio per creare un antidoto contro i rischi del ritorno puro e semplice alla società corporativa delle “arti” e dei “mestieri”, che il mio discorso sembrerebbe da ultimo evocare. In vero, il “nuovo” “mestiere” del politico, o, se si preferisce la vocazione di ogni politico o forza politica di nuovo conio, dovrebbe consistere nell’ “arte”, difficile ma non impossibile, di dotare di un respiro universale e solidale tutti i “luoghi” di un territorio, così come tutte le “parti” sociali di una comunità, senza, però deprivarle della loro identità ed autonomia, senza lasciarsi prendere dalla tentazione di “prosciugare” le migliori energie della società (in specie di quella meridionale) nel vortice senza fondo e senza ritorno di cooptazioni forzose e definitive o di captazioni subdole e discriminanti. Un partito che non riuscisse a sottrarsi a queste tentazioni e non riuscisse ad indurre, invece, una contraria prassi sociale, davvero riformatrice (quasi un “ritorno” al futuro!), ed un nuovo, più libero e giusto, costume di vita, con essa coerente, non potrebbe aspirare ad avere per sé l’avvenire e neppure una bussola per orientarsi sul Nord o sul Sud del Paese.
Salvatore Berlingò

3 commenti:

Anonimo ha detto...

Mi permetto chiedere dei chiarimenti a questa gentile lettera su alcuni dei concetti espressi:

*) Quale aiuto economico concreto puo’ fornire un emigrato del Sud alla sua terra all’infuori di alcune rimesse da emigrante?

*) Se il Sud si spopola di giovani, non converrebbe al PD puntare sui meno giovani per attrarre consenso?

*) Ammesso che anche fosse piu’ corretto parlare ai giovani anzice’ ai meno giovani, quali politiche concrete si possono metter in pratica? L’assistenzialismo ha ingrassato solo le casse della Mafia, ma di sviluppo al Sud non se ne e’ visto. Anzi, le cose peggiorano.

*) Qual’e’ la sua opinione sulle gabbie salariali?

*) Quali sono gli orientamenti che il politico del PD ideale darebbe al Sud per instillarlo meglio sulla base sociale?

*) I concetti di solidarita’ e corresponsabilita’ implicano ancora traferimenti di denaro a favore delle imprese? O implicano un trasferimento di denrao diretto nelle tasche dei cittadini?

*) Quali sono i rischi di una societa’ corporativa?

*) Quali sono le riforme che i riformatori dovrebbero fare, con particolare riferimento al Sud?

8) Cosa intende per nuovo, libero e giusto costume di vita?

Grazie

Anonimo ha detto...

Gentile Signor Leone,
grazie per il suo intervento sul mio blog.

In "Le Citta' sono la ricchezza delle Nazioni" si fanno molti esempi in cui trasferimenti di capitale o di industrie in zone arretrate non portano a nessun aumento della ricchezza. In altri casi: come il villaggio di Bardou
http://janejacobs.wordpress.com/2008/03/26/bardou/
o come nel caso del villaggio di di Shinohata http://janejacobs.wordpress.com/2008/04/02/la-grande-tokyo-ed-il-piccolo-villaggio-di-shinohata/
e' possibile vedere che le citta' possono avere un'influenza positiva sulle zone economicamente piu' arretrate.
In questi casi di successo, le cinque forze delle citta' si sono sviluppate in maniera armoniosa:
http://janejacobs.wordpress.com/2008/04/01/le-cinque-forze-della-citta/

Io credo che le autorita' politiche dovrebbero capire queste forze, spiegarle al popolo e cercare di guidarle.

Inoltre credo che gli Stati Nazionali e gli organismi internazionali come l'Unione Europea debbano drasticamente ridurre le loro interferenze nella vita economica delle citta'. Le citta' sono in grado di governarsi da se'.

Anonimo ha detto...

Rispondo volentieri con le precisazioni richieste, ringraziando della cortese attenzione:
ad 1) Non credo che la “concretezza” dell’economia si possa far coincidere esclusivamente con gli apporti dei flussi monetari. Inoltre occorre osservare che la migrazione attuale dal Sud al Nord del Paese si va sempre più caratterizzando come “fuga di cervelli”, ed ai “cervelli” sono da imputare buona parte dei fattori dello sviluppo anche economico di un territorio. Per di più, siccome un “cervello” deve essere inizialmente mantenuto e sostentato da altri, si verifica che in questa prima fase le rimesse di danaro seguono la direzione Sud-Nord e non viceversa. Creare al Sud opportune possibilità,nel quadro di una più generale mobilità delle forze produttive,di un ritorno, sia pure parziale e temporaneo, o di ritorni ricorrenti di questi “cervelli”
nelle loro terre d’origine - da impegnare, ad esempio, nei settori della formazione, dei servizi alle imprese, dell’innovazione tecnologica - potrebbe rappresentare un contributo concreto e rilevante di questi forzati emigrati per il recupero dei ritardi accumulati dalla realtà meridionale nei confronti del resto del Paese.
ad 2) La risposta a questo secondo interrogativo potrebbe essere positiva , ma solo a condizione che lo “spopolamento” delle Regioni del Sud fosse da considerare un evento o - detto con maggiore franchezza – una scelta irreversibile ed ineludibile. A sua volta, questa prospettiva implicherebbe una supina adesione alla tesi dell’inevitabile declino dell’intera società italiana e comporterebbe una sua rinuncia a giocare un ruolo da protagonista nel contesto delle politiche di riequilibrio degli assetti dell’Unione Europea verso il fronte del Mediterraneo, proprio in un’epoca in cui, per più versi, il Mediterraneo sembra riacquistare un rilievo di primo piano in seno allo scacchiere mondiale.
ad 3) L’assistenzialismo ha ingrassato, purtroppo, non le sole casse della mafia, ma anche le tasche di una parte della classe dirigente poco onesta e poco preparata. Le politiche concrete da mettere in campo devono quindi mirare ad un profondo miglioramento della classe dirigente e riguardare,in primo luogo,la scuola, la formazione, la ricerca e l’innovazione nel campo dei servizi sociali avanzati, della programmazione e della progettazione, dell’imprenditoria, dell’installazione, dell’impiego e dell’uso di infrastrutture informatiche ( banda larga, cablaggio, ecc.).
ad 4) Piuttosto che di gabbie salariali preferirei parlare di un adeguamento delle condizioni di lavoro e delle retribuzioni rapportato alle diverse situazioni produttive e ai diversi costi della vita; mi sembra ormai improcrastinabile l’abbandono dei vecchi sistemi di contrattazione collettiva ed il passaggio ad un’articolazione più flessibile della trattativa sindacale e salariale.
ad 5) Al riguardo credo di essermi già diffuso abbastanza nel corso della lettera, parlando di attenzione prioritaria per il mondo giovanile e di rispetto per l’autonomia delle formazioni sociali e delle categorie professionali: sarebbe davvero una grande “novità” per un partito - e finirebbe con accrescerne, alla lunga, i consensi nonché la forza e l’efficacia della sua militanza - assumere come orientamento principale quello di non costringere le persone a chiedere l’ “elemosina” né ai partiti né alla mafia e quello di impegnarsi perché queste abitudini vengano abbandonate,riconoscendo e valorizzando i meriti piuttosto che le appartenenze.
ad 6) Come già ho detto ad 1), non credo si debba puntare principalmente su trasferimenti di flussi monetari; sarebbe sufficiente che i livelli di investimento di capitale pubblico, in termini di infrastrutture e di servizi sociali, fossero equamente distribuiti, con un recupero, sia pure graduale, dell’enorme sbilancio che, fin dai tempi dell’unità d’Italia e tuttora, continua a verificarsi ai danni del Sud.
ad 7) La concentrazione sugli interessi particolari ed il loro prevalere su quelli generali.
ad 8) Si veda quanto ho risposto sopra ad 5).
ad 9) Si tratta di un impegno civico attivo e partecipato per la edificazione di migliori livelli di esistenza per tutti, favorito – senza essere condizionato in termini lesivi della dignità e dell’identità di ciascuna persona –dalla forze politiche.
Salvatore Berlingò