venerdì 13 agosto 2010

La partecipazione dei lavoratori

Lettera di Pietro Ichino pubblicata su Il Corriere della Sera del 12 agosto 2010
Caro Direttore, proprio un anno fa, alla sospensione estiva dei lavori parlamentari, i membri della Commissione Lavoro del Senato si salutarono dandosi appuntamento a settembre per l' approvazione di un testo unificato di quattro diversi disegni di legge di iniziativa parlamentare sulla partecipazione dei lavoratori nelle imprese. Su quel testo, frutto del primo anno di lavoro della Commissione, si era realizzato il consenso di tutte le parti politiche. A fine agosto il ministro del Lavoro rinviò di un anno questa iniziativa parlamentare, per consentire il censimento delle esperienze in corso e alcuni necessari approfondimenti. Ora il censimento e gli approfondimenti sono stati fatti: sono in molti ad attendersi che l' iter parlamentare del progetto riparta. Il testo unificato bipartisan indica nove diverse forme possibili di partecipazione dei lavoratori nelle imprese, da quella più elementare consistente nell' esercizio di diritti di informazione, alla presenza dei lavoratori nel Consiglio di sorveglianza, alla partecipazione agli utili, fino alla partecipazione azionaria, disponendo alcune agevolazioni fiscali per queste ultime ipotesi, in linea con le migliori esperienze straniere. Nessun obbligo per aziende e sindacati di adottare una o più di queste forme di partecipazione: il principio cardine è quello della volontarietà, che si concreta nella necessità di un «contratto aziendale istitutivo», stipulato secondo regole di democrazia sindacale.L' obiettivo non è di promuovere questo o quel modello di partecipazione, ma di promuovere la fioritura di una grande pluralità di esperienze in questo campo, lasciando che modelli diversi si confrontino e competano tra loro. Anche per cercare di riavvicinare il tasso italiano di imprese «partecipate» a quello assai più alto dei maggiori Paesi europei. Un anno fa le sole perplessità su questo disegno di legge erano state espresse da Confindustria e Cgil.
La contrarietà della maggiore associazione imprenditoriale è difficilmente spiegabile: se il motivo fosse la preoccupazione di evitare l' apertura di nuovi fronti di contrattazione al livello aziendale, esso mal si concilierebbe con la firma da parte della stessa Confindustria, nell' aprile 2009, del nuovo accordo interconfederale tendente proprio a spostare verso le aziende il baricentro del sistema della contrattazione collettiva. Il fatto che il disegno di legge elaborato dalla Commissione Lavoro del Senato favorisca in qualche misura il decentramento della contrattazione - inevitabilmente depotenziando, nella stessa misura, il contratto collettivo nazionale - costituiva invece comprensibilmente il motivo della freddezza della Cgil. Ma ora la Cgil dovrebbe avere un ottimo motivo per superare questa freddezza e sollecitare la riapertura dell' iter parlamentare di quel progetto. Il quinto e ultimo articolo del disegno di legge, dedicato alla partecipazione dei lavoratori nei piani industriali innovativi, ammette la contrattazione, in funzione appunto di uno di questi piani, di deroghe al contratto nazionale in materia di organizzazione del lavoro, orari, o struttura della retribuzione; ma stabilisce che essa sia riservata alla coalizione sindacale rappresentativa della maggioranza dei lavoratori interessati. Questo principio di democrazia sindacale costituisce una rivendicazione storica della Cgil. Ma oggi quel principio le sarebbe particolarmente utile nella vicenda della Fiat di Pomigliano, dove essa rischia di essere esclusa, a causa del proprio rifiuto dell' accordo aziendale, da un sistema di relazioni industriali nel quale «se non firmi non esisti». L' efficacia dell' accordo stipulato in quello stabilimento da Cisl e Uil senza la Cgil, in mancanza di quel principio di democrazia sindacale, è gravemente in forse per via della deroga al contratto nazionale; per questo la Fiat sta progettando di trasferire lo stabilimento a una nuova società (la «newco») non iscritta a Confindustria, quindi sottratta al campo di applicazione del contratto nazionale dei metalmeccanici, in modo che l' accordo aziendale in deroga possa applicarsi nello stabilimento senza problemi. La Cgil, così, resterebbe esclusa dal sistema di relazioni industriali della nuova impresa. Se invece quel principio di democrazia sindacale venisse introdotto, da un accordo interconfederale o dalla legge sulla partecipazione, la Cgil potrebbe continuare a far parte del sistema di relazioni industriali a Pomigliano, come sindacato minoritario ma pur sempre riconosciuto, rispettoso delle prerogative dei sindacati maggioritari e titolare, al pari di questi, di una sua rappresentanza aziendale con tutti i diritti di attività sindacale in azienda. Il varo di quella legge non solo risolverebbe il problema che la Fiat deve affrontare a Pomigliano, e domani in altri stabilimenti italiani, ma rafforzerebbe, allentandone le tensioni, l' intero sistema nazionale delle relazioni industriali.

Pietro Ichino
senatore del PD www.pietroichino.it

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