Si riporta l’intervento alla Camera dei Deputati dell’on.le Federico Testa sul disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 112 del 2008: Sviluppo economico, semplificazione, competitività, stabilizzazione della finanza pubblica e perequazione tributaria.
Si tratta di una normativa presentata, prima sulla stampa e anche qui in Aula, come un intervento di liberalizzazione e di apertura del mercato, con conseguenti vantaggi per i consumatori.
Credo - e cercherò di dimostrarlo - che la sostanza della norma proposta non corrisponda assolutamente a quanto dichiarato, che gli effetti saranno di ulteriore chiusura del mercato e di limitazione della concorrenza e che tutto ciò avrà pesanti conseguenze sulle famiglie, sui cittadini e sulle imprese, che si troveranno a pagare il conto di questa vera e propria controriforma.
Ma prima di analizzare nel merito la proposta, mi si consenta una breve considerazione di metodo, che in questo caso produce pesanti conseguenze anche sul merito del provvedimento. I servizi pubblici locali si chiamano così perché viene riconosciuta la loro rilevanza, ai fini della qualità della vita dei cittadini, e la stessa storia dei servizi pubblici locali nel nostro Paese - e non solo nel nostro Paese - è testimonianza di ciò. Proprio per questo avrebbero meritato, credo, una riflessione ed una discussione di merito approfondita. Si è scelto invece di procedere per decreto, con una norma che giudico raffazzonata, che non produrrà effetti positivi in termini di liberalizzazione e, invece, produrrà effetti pesanti a livello sociale ed economico, oltre ad una serie di difficoltà ed iniquità interpretative, che aumenteranno il contenzioso, che già nel settore è quanto mai diffuso.
Venendo a questo punto, nell'articolo 23-bis il comma 2, è vero, prevede il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali attraverso procedure competitive ad evidenza pubblica (quindi, gara ad evidenza pubblica). Però il comma 3 prevede la deroga (e quindi l'affidamento senza procedura ad evidenza pubblica), purché si tratti di società a capitale interamente pubblico, partecipate dall'ente locale, che abbiano i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione in house, e questa possibilità è prevista purché vi siano peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento. Credo che vi siano poche ragioni che non siano ricomprese nelle peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, quindi questa previsione normativa corre il rischio di allargare a dismisura la pratica - ahimè già diffusa - degli affidamenti diretti in house. Ma il punto b) del comma 3 prevede, inoltre, la possibilità di effettuare affidamenti diretti anche a società a partecipazione mista pubblica e privata - tra le altre anche quotate in borsa - nelle quali il socio privato sia stato scelto mediante procedure ad evidenza pubblica. Quindi, sostanzialmente si dice: va bene, la società può essere mista (in una versione precedente era previsto che il privato avesse almeno il 30 per cento, nella versione attuale la quota di partecipazione del privato può essere qualunque, quindi anche l'1 o il 2 per cento). Ma, al di là di ciò, si prevede l'affidamento in house purché sia presente il pubblico e si dice che, in qualche modo, questo diritto all'affidamento diretto deriva dal fatto che il privato è stato scelto tramite gara.
Qui vi è, chiaramente, una confusione e un disallineamento delle finalità rispetto a quanto si prevede, perché è chiaro che un conto è fare una gara, nella quale si va a scegliere a chi affidare la concessione perché offre le migliori condizioni per i cittadini e per le imprese, mentre altro è fare una gara per scegliere un partner. Poi è vero che in qualche modo si collega tutto il ragionamento alla gestione del servizio, ma è chiaro che scegliere il partner tramite gara è cosa molto diversa, proprio perché le finalità sono completamente differenti, rispetto a scegliere il fornitore che possa garantire a cittadini ed imprese le migliori condizioni di fornitura. Si dirà: va bene, ma poi vi è il comma 4 in cui si cerca di limitare un uso indiscriminato di questa previsione normativa, in quanto vi si afferma che l'ente affidante che sceglie una pratica di questo genere deve trasmettere una relazione, e quindi giustificare un po' la sua scelta.
È un peccato che la relazione vada mandata sia all'Autorità garante della concorrenza e del mercato che all'Autorità di regolazione del settore, quindi a due autorità diverse - non si capisce bene perché - che devono esprimere un parere entro sessanta giorni. Trattandosi di due autorità diverse è possibile che ci siano due pareri diversi e che l'Autorità di regolazione del mercato dica che è stato fatto bene mentre l'Autorità di settore che è stato fatto male.
Non si chiarisce, inoltre, se il parere sia o meno vincolante. L'affidamento parte una volta aggiudicata la gara, l'autorità ha poi tempo sessanta giorni. Mi domando cosa succederebbe se il parere dell'autorità o delle autorità fosse un parere negativo e se fosse mai possibile la revoca dell'affidamento. Credo che con una previsione normativa di questo genere daremo da lavorare ai tribunali amministrativi per i prossimi dieci anni. Al comma 5 si prevede la proprietà pubblica delle reti. Sul tema della proprietà pubblica delle reti in dottrina ci sono fiumi di parole scritte, si discute se proprietà e gestione debbano andare insieme e sui vantaggi e svantaggi delle due ipotesi. La previsione in oggetto lascia non risolti alcuni temi quali ad esempio, nel settore della distribuzione del gas, le modalità con le quali il pubblico potrà ricomprare l'80 per cento delle reti di distribuzione del gas che, in questo momento, sono di proprietà dei privati. Sulla base di tale previsione normativa, evidentemente le amministrazioni locali dovranno indebitarsi, allo scopo di ricomprare dai privati le reti che sono state dai medesimi costruite e sono attualmente di proprietà dei privati. Trascuriamo per il momento il tema della determinazione del prezzo al quale tale operazione verrà effettuata: al riguardo i tribunali amministrativi del nostro Paese sono, in questo momento, assolutamente ingolfati di procedimenti legali, proprio perché la cosa non è chiara dal punto di vista legislativo.
Al comma 7 si prevede che le regioni e gli enti locali possano definire i bacini di gara per i diversi servizi. Si dà quindi a soggetti che fino ad oggi hanno avuto tutto l'interesse a non definire bacini di dimensioni economiche tali da sfruttare economie di scala ed economie di scopo - che vengono anche citate - la potestà di decidere se fare o non fare i bacini. È evidente che, con ogni probabilità, questi bacini non saranno fatti o saranno fatti in modo tale da non rispondere ai criteri di efficienza economica che si vogliono perseguire ma secondo logiche completamente diverse.
Desidero citare solo un caso: in questo momento, per restare alla distribuzione del gas, le ultime gare per l'affidamento dei servizi di distribuzione sono state vinte da operatori che hanno offerto ai comuni l'85 per cento del VRD che è il margine del distributore. Tali operatori ottengono quindi l'affidamento cedendo in cambio al comune l'85 per cento di quanto incasseranno negli anni futuri. La conseguenza principale di tale meccanismo è che nessuno fa più investimenti nelle reti del gas. Poiché il gas è anche una materia prima con problemi di sicurezza, probabilmente alla conclusione di tali affidamenti, ci troveremo con una rete bucata e con grossi problemi. Si dirà: va bene, ma, a fronte di tutto questo, ci sono delle sanzioni. La sanzione è quella prevista al comma 9, in cui si prevede che i soggetti titolari della gestione di servizi pubblici non affidati mediante procedure competitive non possono acquisire la gestione di servizi in ambiti territoriali diversi. Anche in questo caso, vi è l'eccezione delle società quotate in borsa, per cui, sulla base di questa norma, ci sono imprese e imprese: le imprese di cui al comma 3, lettera b), e quindi le società miste pubblico-private quotate in borsa, possono andare fuori dai territori, le società solamente private no. Secondo me, questa norma finisce alla Corte di giustizia europea in cinque minuti e, comunque, comporterà una serie di contenziosi infiniti, perché si discrimina tra soggetti economici che operano con uguali diritti sul mercato.
È evidente che la sanzione non è idonea ad ottenere il risultato che si vuole raggiungere, che è quello di superare la dimensione localistica del servizio pubblico. Infatti, se sono il sindaco di una piccola comunità e ho voglia di fare la mia piccola azienda locale in house, con il mio piccolo consiglio di amministrazione e con il mio piccolo collegio sindacale, in realtà, non ho nessun interesse ad andare nel comune vicino, perché comunque preferisco mantenere quel pezzo di potere che mi è garantito da questi meccanismi di affidamento, che si sono consolidati nel tempo. La sanzione, quindi, non funziona e una sanzione che non funziona consente la prosecuzione di comportamenti che non rientrano tra le finalità dichiarate di questo provvedimento. C'è un ultimo tema che mi sento di sollevare: al comma 10 si prevede l'emanazione di una serie di regolamenti. La lettera h) del comma 10 prevede, nella disciplina di affidamento, idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale ai tempi di recupero degli investimenti. La cosa ha una sua logica, ciPag. 81mancherebbe altro, ma c'è un problema. Visto che siamo partiti con gli esempi sul settore del gas, continuiamo su questi: gli impianti di distribuzione del gas hanno una durata di ammortamento di 60 anni.
Sulla base della lettera h), quindi, si prevede di fare affidamenti proporzionali ai tempi di recupero degli investimenti, cioè affidamenti per 60 anni. È chiaro che il tema della durata degli affidamenti è un tema delicato: in dottrina ci sono discussioni, bisogna trovare il giusto punto di equilibrio tra il fatto di favorire gli investimenti da parte delle imprese e, dall'altro, non consolidare situazioni di monopolio.
Anche questa mi pare una buona dimostrazione del fatto che il problema, nel suo complesso, avrebbe richiesto un approccio diverso e più meditato. Per tutte queste ragioni, quindi, come il fatto che, a mio avviso, questa normativa non risolverà i problemi che ha dichiarato di voler risolvere e anche dal punto di vista di tutte queste incongruenze, che, secondo me, davvero aumenteranno il contenzioso già molto presente nel settore, e quindi finiranno per lasciare tutto immutato, non posso che ribadire il rimpianto per un'occasione oggettivamente persa ai fini della modernizzazione del settore e, più in generale, del Paese.
È un'occasione persa, che produrrà un aumento del contenzioso e certamente andrà nella direzione opposta a quella della creazione di un mercato vero, a vantaggio dei cittadini, delle famiglie e del sistema delle imprese.
Si tratta di una normativa presentata, prima sulla stampa e anche qui in Aula, come un intervento di liberalizzazione e di apertura del mercato, con conseguenti vantaggi per i consumatori.
Credo - e cercherò di dimostrarlo - che la sostanza della norma proposta non corrisponda assolutamente a quanto dichiarato, che gli effetti saranno di ulteriore chiusura del mercato e di limitazione della concorrenza e che tutto ciò avrà pesanti conseguenze sulle famiglie, sui cittadini e sulle imprese, che si troveranno a pagare il conto di questa vera e propria controriforma.
Ma prima di analizzare nel merito la proposta, mi si consenta una breve considerazione di metodo, che in questo caso produce pesanti conseguenze anche sul merito del provvedimento. I servizi pubblici locali si chiamano così perché viene riconosciuta la loro rilevanza, ai fini della qualità della vita dei cittadini, e la stessa storia dei servizi pubblici locali nel nostro Paese - e non solo nel nostro Paese - è testimonianza di ciò. Proprio per questo avrebbero meritato, credo, una riflessione ed una discussione di merito approfondita. Si è scelto invece di procedere per decreto, con una norma che giudico raffazzonata, che non produrrà effetti positivi in termini di liberalizzazione e, invece, produrrà effetti pesanti a livello sociale ed economico, oltre ad una serie di difficoltà ed iniquità interpretative, che aumenteranno il contenzioso, che già nel settore è quanto mai diffuso.
Venendo a questo punto, nell'articolo 23-bis il comma 2, è vero, prevede il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali attraverso procedure competitive ad evidenza pubblica (quindi, gara ad evidenza pubblica). Però il comma 3 prevede la deroga (e quindi l'affidamento senza procedura ad evidenza pubblica), purché si tratti di società a capitale interamente pubblico, partecipate dall'ente locale, che abbiano i requisiti richiesti dall'ordinamento comunitario per la gestione in house, e questa possibilità è prevista purché vi siano peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento. Credo che vi siano poche ragioni che non siano ricomprese nelle peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, quindi questa previsione normativa corre il rischio di allargare a dismisura la pratica - ahimè già diffusa - degli affidamenti diretti in house. Ma il punto b) del comma 3 prevede, inoltre, la possibilità di effettuare affidamenti diretti anche a società a partecipazione mista pubblica e privata - tra le altre anche quotate in borsa - nelle quali il socio privato sia stato scelto mediante procedure ad evidenza pubblica. Quindi, sostanzialmente si dice: va bene, la società può essere mista (in una versione precedente era previsto che il privato avesse almeno il 30 per cento, nella versione attuale la quota di partecipazione del privato può essere qualunque, quindi anche l'1 o il 2 per cento). Ma, al di là di ciò, si prevede l'affidamento in house purché sia presente il pubblico e si dice che, in qualche modo, questo diritto all'affidamento diretto deriva dal fatto che il privato è stato scelto tramite gara.
Qui vi è, chiaramente, una confusione e un disallineamento delle finalità rispetto a quanto si prevede, perché è chiaro che un conto è fare una gara, nella quale si va a scegliere a chi affidare la concessione perché offre le migliori condizioni per i cittadini e per le imprese, mentre altro è fare una gara per scegliere un partner. Poi è vero che in qualche modo si collega tutto il ragionamento alla gestione del servizio, ma è chiaro che scegliere il partner tramite gara è cosa molto diversa, proprio perché le finalità sono completamente differenti, rispetto a scegliere il fornitore che possa garantire a cittadini ed imprese le migliori condizioni di fornitura. Si dirà: va bene, ma poi vi è il comma 4 in cui si cerca di limitare un uso indiscriminato di questa previsione normativa, in quanto vi si afferma che l'ente affidante che sceglie una pratica di questo genere deve trasmettere una relazione, e quindi giustificare un po' la sua scelta.
È un peccato che la relazione vada mandata sia all'Autorità garante della concorrenza e del mercato che all'Autorità di regolazione del settore, quindi a due autorità diverse - non si capisce bene perché - che devono esprimere un parere entro sessanta giorni. Trattandosi di due autorità diverse è possibile che ci siano due pareri diversi e che l'Autorità di regolazione del mercato dica che è stato fatto bene mentre l'Autorità di settore che è stato fatto male.
Non si chiarisce, inoltre, se il parere sia o meno vincolante. L'affidamento parte una volta aggiudicata la gara, l'autorità ha poi tempo sessanta giorni. Mi domando cosa succederebbe se il parere dell'autorità o delle autorità fosse un parere negativo e se fosse mai possibile la revoca dell'affidamento. Credo che con una previsione normativa di questo genere daremo da lavorare ai tribunali amministrativi per i prossimi dieci anni. Al comma 5 si prevede la proprietà pubblica delle reti. Sul tema della proprietà pubblica delle reti in dottrina ci sono fiumi di parole scritte, si discute se proprietà e gestione debbano andare insieme e sui vantaggi e svantaggi delle due ipotesi. La previsione in oggetto lascia non risolti alcuni temi quali ad esempio, nel settore della distribuzione del gas, le modalità con le quali il pubblico potrà ricomprare l'80 per cento delle reti di distribuzione del gas che, in questo momento, sono di proprietà dei privati. Sulla base di tale previsione normativa, evidentemente le amministrazioni locali dovranno indebitarsi, allo scopo di ricomprare dai privati le reti che sono state dai medesimi costruite e sono attualmente di proprietà dei privati. Trascuriamo per il momento il tema della determinazione del prezzo al quale tale operazione verrà effettuata: al riguardo i tribunali amministrativi del nostro Paese sono, in questo momento, assolutamente ingolfati di procedimenti legali, proprio perché la cosa non è chiara dal punto di vista legislativo.
Al comma 7 si prevede che le regioni e gli enti locali possano definire i bacini di gara per i diversi servizi. Si dà quindi a soggetti che fino ad oggi hanno avuto tutto l'interesse a non definire bacini di dimensioni economiche tali da sfruttare economie di scala ed economie di scopo - che vengono anche citate - la potestà di decidere se fare o non fare i bacini. È evidente che, con ogni probabilità, questi bacini non saranno fatti o saranno fatti in modo tale da non rispondere ai criteri di efficienza economica che si vogliono perseguire ma secondo logiche completamente diverse.
Desidero citare solo un caso: in questo momento, per restare alla distribuzione del gas, le ultime gare per l'affidamento dei servizi di distribuzione sono state vinte da operatori che hanno offerto ai comuni l'85 per cento del VRD che è il margine del distributore. Tali operatori ottengono quindi l'affidamento cedendo in cambio al comune l'85 per cento di quanto incasseranno negli anni futuri. La conseguenza principale di tale meccanismo è che nessuno fa più investimenti nelle reti del gas. Poiché il gas è anche una materia prima con problemi di sicurezza, probabilmente alla conclusione di tali affidamenti, ci troveremo con una rete bucata e con grossi problemi. Si dirà: va bene, ma, a fronte di tutto questo, ci sono delle sanzioni. La sanzione è quella prevista al comma 9, in cui si prevede che i soggetti titolari della gestione di servizi pubblici non affidati mediante procedure competitive non possono acquisire la gestione di servizi in ambiti territoriali diversi. Anche in questo caso, vi è l'eccezione delle società quotate in borsa, per cui, sulla base di questa norma, ci sono imprese e imprese: le imprese di cui al comma 3, lettera b), e quindi le società miste pubblico-private quotate in borsa, possono andare fuori dai territori, le società solamente private no. Secondo me, questa norma finisce alla Corte di giustizia europea in cinque minuti e, comunque, comporterà una serie di contenziosi infiniti, perché si discrimina tra soggetti economici che operano con uguali diritti sul mercato.
È evidente che la sanzione non è idonea ad ottenere il risultato che si vuole raggiungere, che è quello di superare la dimensione localistica del servizio pubblico. Infatti, se sono il sindaco di una piccola comunità e ho voglia di fare la mia piccola azienda locale in house, con il mio piccolo consiglio di amministrazione e con il mio piccolo collegio sindacale, in realtà, non ho nessun interesse ad andare nel comune vicino, perché comunque preferisco mantenere quel pezzo di potere che mi è garantito da questi meccanismi di affidamento, che si sono consolidati nel tempo. La sanzione, quindi, non funziona e una sanzione che non funziona consente la prosecuzione di comportamenti che non rientrano tra le finalità dichiarate di questo provvedimento. C'è un ultimo tema che mi sento di sollevare: al comma 10 si prevede l'emanazione di una serie di regolamenti. La lettera h) del comma 10 prevede, nella disciplina di affidamento, idonee forme di ammortamento degli investimenti e una durata degli affidamenti strettamente proporzionale ai tempi di recupero degli investimenti. La cosa ha una sua logica, ciPag. 81mancherebbe altro, ma c'è un problema. Visto che siamo partiti con gli esempi sul settore del gas, continuiamo su questi: gli impianti di distribuzione del gas hanno una durata di ammortamento di 60 anni.
Sulla base della lettera h), quindi, si prevede di fare affidamenti proporzionali ai tempi di recupero degli investimenti, cioè affidamenti per 60 anni. È chiaro che il tema della durata degli affidamenti è un tema delicato: in dottrina ci sono discussioni, bisogna trovare il giusto punto di equilibrio tra il fatto di favorire gli investimenti da parte delle imprese e, dall'altro, non consolidare situazioni di monopolio.
Anche questa mi pare una buona dimostrazione del fatto che il problema, nel suo complesso, avrebbe richiesto un approccio diverso e più meditato. Per tutte queste ragioni, quindi, come il fatto che, a mio avviso, questa normativa non risolverà i problemi che ha dichiarato di voler risolvere e anche dal punto di vista di tutte queste incongruenze, che, secondo me, davvero aumenteranno il contenzioso già molto presente nel settore, e quindi finiranno per lasciare tutto immutato, non posso che ribadire il rimpianto per un'occasione oggettivamente persa ai fini della modernizzazione del settore e, più in generale, del Paese.
È un'occasione persa, che produrrà un aumento del contenzioso e certamente andrà nella direzione opposta a quella della creazione di un mercato vero, a vantaggio dei cittadini, delle famiglie e del sistema delle imprese.
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Letto e condiviso.
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