giovedì 19 luglio 2012

La buona amministrazione per superare la crisi della politica

Articolo di Alessandra Moretti pubblicato su Italianieuropei n. 7 del 2012
La crisi economica e i timori per il futuro che essa alimenta, uni­ti alla diffusa percezione che l’attuale classe politica abbia perso il contatto con la realtà e con i gravi problemi dei cittadini, rischiano di aggravare la già profonda sfiducia nei confronti della politica. In questo scenario di fragilità del sistema democratico, gli amministrato­ri locali, quotidianamente partecipi dei bisogni dei cittadini, possono svolgere un ruolo strategico per ricostruire l’ormai sfilacciato legame di fiducia fra istituzioni e paese reale.
Nel contesto storico attuale, dominato da un senso diffuso di smarri­mento e di sfiducia nella classe politica, il bisogno di buona amministra­zione e, in generale, di buona politica che i cittadini esprimono rimanda al desiderio di ritrovare il senso di appartenenza a una comunità che intende ricostruire un legame solido con le istituzioni.
Proprio sugli amministratori locali si riversano quindi le attese e le spe­ranze di quei cittadini che guardano alla politica così come è stata con­cepita da alcuni filosofi dell’antichità per i quali il termine indicava l’am­ministrazione della polis per il bene e nell’interesse di tutti. Troppo spesso in questi anni abbiamo seguito le vicende di “cattivi po­litici” che, con i loro comportamenti orientati alla tutela dell’interesse personale a discapito di quello collettivo, hanno profondamente dan­neggiato l’immagine dell’intera categoria, facendo ricadere su chi invece si dedica alla politica con onestà e passione responsabilità che non sono loro imputabili. A tal proposito, ci si deve interrogare proprio sulle ragioni dell’antipo­litica e su quanta responsabilità abbiano avuto nel suo montare coloro che hanno sfruttato per anni, in chiave populista e demagogica, le paure e le insicurezze dei cittadini, senza peraltro mai dare risposte o offrire soluzioni credibili ai loro problemi e alle loro istanze. La crisi sembra aver azzerato le attese di crescita e di miglioramento delle prospettive di vita e ha nel contempo alimentato le insoddisfazioni e le frustrazioni delle persone, che spesso tendono ad affidarsi a quelli che Ilvo Diamanti definisce «i Tribuni che mobilitano le passioni “contro” i poteri politici ed economici».
La distanza tra i problemi di chi vive la vita vera e la percezione che ne ha chi ancora oggi rappresenta la politica è diventata insopportabile; è venuto meno il contatto con la realtà da parte di chi quella realtà dovrebbe conoscerla e interpretarla. La rappresen­tazione della politica veicolata dai mass media ha stancato, non convince più, non è più credibile e ha profondamente deluso.
Fra le questioni che hanno contribuito ad accre­scere lo scollamento tra politica e società civile vi è senz’altro il problema della corruzione, del malco­stume, della violazione delle regole che tocca ormai tutti gli ambiti del quotidiano. L’Italia, da questo punto di vista, appare come un malato grave che, se non sottoposto urgentemente a una cura energica e coraggiosa, rischia di morire.
La questione morale diventa quindi un tema estre­mamente rilevante per recuperare credibilità e au­torevolezza agli occhi degli italiani, in particolare perché la scarsa pro­pensione al rispetto delle norme sta travolgendo anche la parte sana del nostro paese, quella che resiste e che lotta ogni giorno per affermare il principio di legalità. Le conseguenze più pesanti della crisi economica e sociale che stiamo vivendo si abbattono, infatti, proprio sugli onesti, su chi paga le tasse, richiede la ricevuta fiscale, rispetta le istituzioni e si sente quotidianamente preso in giro da chi, come un parassita, vive sulle loro spalle, da chi, insomma, lo sciopero fiscale lo fa da sempre e da sempre la fa franca.
Visto che la corruzione, il malaffare e l’evasione si annidano soprattutto nelle zone d’ombra, dove potere e discrezionalità si esercitano senza ri­spettare i più elementari criteri di trasparenza, è necessario accorciare la distanza tra periferia e centro, attraverso, ad esempio, la pubblicazione via internet dei bilanci dei ministeri, delle pubbliche amministrazioni, delle aziende partecipate e dei partiti politici.
Proprio in questo momento, in cui il paese ha urgente bisogno di lega­lità, di affermare il senso di giustizia e di equità, dobbiamo evitare di far sentire isolati quei cittadini perbene che continuano a rispettare lo Stato ma che chiedono di non essere lasciati soli. Il compito di chi ha incarichi di governo, a tutti i livelli, è quello di sostenere le categorie più deboli, soprattutto nel momento in cui si allarga la frattura tra i ricchi e i poveri e si vedono aumentare le ingiustizie sociali: perché senza solidarietà non vi è una comunità.
Non meno rilevanti di quelle sociali e politiche sono le conseguenze eco­nomiche della corruzione. È del tutto evidente che la presenza di un capillare ed esteso sistema di corruzione impedisce lo sviluppo e frena la crescita del paese, disincentivando anche le imprese straniere a investi­re risorse in Italia dove, peraltro, alla corruzione si aggiungono le lungaggini di una burocrazia ammi­nistrativa soffocante, un sistema di giustizia civile inefficiente e una scarsa cultura dell’innovazione e dello sviluppo tecnologico.
Ecco perché il ruolo degli amministratori locali può essere in questa fase strategico per ricostruire il rapporto di fiducia tra le istituzioni e il paese: il loro essere a contatto con le persone e con i problemi reali, il loro essere percepiti come per­sone “normali” e non come dei “privilegiati”, il loro essere disponibili all’ascolto e alla comprensione, il loro saper motivare le risposte anche quando queste sono negative possono fare la differenza.
Appare indispensabile, proprio in questo scenario di fragilità del sistema democratico, attivare meccanismi di partecipazione e di cittadinanza at­tiva che facciano sentire i cittadini al centro delle scelte amministrative e che li mettano anche nelle condizioni di controllare l’operato di chi am­ministra le città. Penso alle assemblee tra Giunta municipale e comitati di quartiere per discutere su come investire le poche risorse disponibili; penso alla facilitazione del rapporto tra i cittadini e l’amministrazione che è possibile realizzare attraverso l’introduzione di sistemi informatici in grado di snellire i tempi di attesa per i pagamenti o per il rilascio di certificati; penso alla valorizzazione della vita nei quartieri di periferia, possibile puntando sulla scuola come luogo ideale per promuovere la crescita interculturale tra generazioni e facendo attecchire l’idea che solo una comunità aperta all’esterno riesce a sopravvivere alle complessità che caratterizzano la nostra epoca.
Essere un buon amministratore significa anche intraprendere scelte co­raggiose di cambiamento e di innovazione che non sempre rispondono alle aspettative della generalità dei cittadini e questo perché la politica non può essere schiava esclusivamente del consenso, ma deve necessariamente avere uno sguardo lungo sul futuro con il quale ripensare, anche dal pun­to di vista urbanistico, una città al passo con i rapidi e spesso imprevisti cambiamenti della società.
Su questi presupposti e su questa idea di città, a Vi­cenza abbiamo inteso promuovere un percorso cul­turale e educativo al fine di mettere al centro dello sviluppo cittadino la scuola come motore di demo­crazia e di crescita interculturale, partendo dal pre­supposto che le diversità sono la regola e non l’ecce­zione, che il diverso non ci inquina ma ci arricchisce. La scuola come meccanismo propulsore delle scelte strategiche per uno sviluppo sostenibile che tiene conto, seppur in una visione globale e complessiva, anche delle peculiarità di ciascun quartiere.
Se infatti è vero che il 70% degli apprendimenti e dei nuovi saperi av­vengono al di fuori della scuola, questo significa che chi amministra deve favorire lo sviluppo armonico dei quartieri, a partire dall’attenzione verso i bambini e gli alunni che diventano così gli “indicatori ambientali della qualità della vita nel contesto urbano”, nella convinzione che una città a misura di bambino sarà sicuramente più vivibile per tutti.
Ecco quindi l’idea di un patto, della realizzazione di uno sforzo con­giunto da parte di tutte le agenzie educative del territorio – l’ente loca­le, l’ufficio scolastico provinciale, gli 11 dirigenti scolastici cittadini e le associazioni degli stranieri – per raggiungere l’obiettivo di governare le iscrizioni scolastiche attraverso delle regole comuni a tutti secondo la convinzione che le pari opportunità formative non possono prescindere dalle pari opportunità di accesso alla scuola, arginando così l’anarchia assoluta che ha prodotto inevitabilmente scuole di serie A e di serie B.
Altro elemento che supporta questa idea di città è rappresentato dal Centro per la documentazione pedagogica e la didattica laboratoriale: prima esperienza italiana che offre oltre 60 laboratori e sportelli gratuiti finalizzati all’educazione, alla formazione e alla crescita della persona e rivolti ai bambini, ai ragazzi, agli insegnanti e agli adulti, con oltre 100 volontari esperti professionisti che settimanalmente mettono a disposi­zione il loro tempo e le loro competenze in favore della comunità.
Una buona amministrazione di centrosinistra è quindi quella che lega le proprie scelte amministrative a un ideale educativo e a valori etici che contribuiscano a rafforzare nel cittadino il senso di appartenenza a una comunità e la cultura della legalità coniugata al principio della solidarietà, collegando i comuni do­veri con la capacità di integrare, di estendere diritti, di includere nuove popolazioni, favorendo il me­scolamento tra culture.
Spetta pertanto alle amministrazioni locali accor­ciare la distanza e favorire lo sviluppo di un nuovo umanesimo democratico che riesca a rimettere al centro del fare politica la persona come soggetto di diritti e di doveri, e cioè come cittadino inserito in un contesto di relazioni sociali e di responsabilità individuali e collettive. In questo contesto lo sforzo della politica deve essere quello di potenziare il ruolo dello Stato come promotore della realizzazione dell’uguaglianza delle opportunità, di garantire il rafforzamento delle capacità di scelta e autodeterminazione degli individui, lo sviluppo di relazioni sociali uma­namente ricche.
A questo Stato, tuttavia, si chiede di rispettare gli enti locali come ultimo anello istituzionale che quotidianamente fatica a garantire la gestione delle città e ad assicurare i servizi essenziali ai cittadini. A questo Stato noi amministratori locali chiediamo di essere ascoltati perché attraverso la nostra voce può conoscere davvero quali sono le sofferenze vere e pro­fonde delle famiglie italiane, quali sono le attese e i bisogni delle nuove generazioni, riconquistando così una fiducia indispensabile e quanto mai necessaria per la ricostruzione di questo paese.

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