domenica 5 febbraio 2012

Difendere chi non ha lavoro

Articolo di Alessandra Del Boca pubblicato sul Corriere della Sera il 4 febbraio 2012
Caro direttore, dopo i dati sulla disoccupazione, le parole del presidente Mario Monti «Difendiamo il lavoratore, non il posto di lavoro» — sono parole da prendere sui serio. A chi gli ha ribattuto «ma cosa difendiamo se il lavoratore non ha un posto?», rispondiamo che il posto lo si troverà se cambiamo l’intero meccanismo, difendiamo i disoccupati con un mercato mobile e un sussidio decente, non solo chi è già occupato.
Al centro delle scelte economiche devono esserci le persone, il lavoratore, il consumatore, non questa o quella lobby o corporazione. La difesa del posto alimenta distorsioni sul mercato del lavoro. Il posto di lavoro, una volta garantito, non produce spinta all'apprendimento, al rinnovo del capitale umano e all'iniziativa individuale. Quando i lunghi tempi di cassa integrazione straordinaria, mobilità e proroghe arrivano alla fine, le persone si trovano abbandonate, svuotate di professionalità e potere contrattuale. Paradossalmente in Italia la disoccupazione è meno protetta dell'occupazione. Il licenziamento riceve un sussidio più generoso e lungo della media europea se preceduto dalla cassa integrazione, mentre il reddito dei lavoratori licenziati individualmente è di durata ed entità minore.In Italia, disoccupati ricevono una miriade di sussidi e pseudo tali che vanno ridotti ad un unico sussidio simile a quelli europei (del 60%-70%). L'indennità ordinaria di disoccupazione, concessa solo ai lavoratori che hanno due anni di contributi, rimpiazza per otto mesi il 6o% del reddito. La Cig è il vero sussidio di disoccupazione: rimpiazza 1`80% del reddito. Fino alla riforma era senza limiti di durata, adesso può ancora durare quattro anni con proroghe e una riduzione del sussidio.Il 72% dei disoccupati non gode di un sostegno al reddito, contro la media europea del 20-30%. I tassi di rimpiazzo, cioè la quota di reddito reintegrata e la durata sono estremamente variabili: dall’80% della mobilità alla disoccupazione «agricola» e a requisiti ridotti, lavoratori stagionali e discontinui, fino ai 35-40% di tasso di reintegrazione del reddito pagati con un ritardo tale da far perdere il senso del sussidio. Nessuna protezione esiste poi per i parasubordinati, i disoccupati di lunga durata, i precari, i giovani in cerca di lavoro. Per i lavori discontinui esistono indennità ridotte e misure sperimentali: ai disoccupati italiani va la quota più bassa del Prodotto interno lordo fra i maggiori Paesi dell'Unione europea, lo 0,7%.
E comprensibile la determinazione del presidente Monti e del ministro Elsa Fornero a semplificare la vecchia giungla dove nessuno è riuscito a fare un ordine vero e complessivo, a portare uguaglianza e regole universali. Fornero ha toccato il tema più sensibile — quello degli ammortizzatori, della Cig a cui corrisponde la mancanza di un vero sussidio di disoccupazione - perché sa che senza un vero sussidio universale non si può parlare di mobilità in uscita, che deve essere affrontata per non continuare a scaricare la flessibilità sull'ingresso, sui giovani. Un reddito minimo è garantito nella maggioranza dei Paesi Ue e la Commissione europea lo raccomanda come strumento per non dilapidare ii capitale umano dei giovani. In Francia e Inghilterra è il 20% del Pil pro-capite, il 30-40% in Germania e Danimarca.
Ha ragione il ministro Fornero a cercare di vincere le resistenze. Il nostro Paese non dà reddito minimo né formazione continua, non aiuta a trovare lavoro. I sussidi sono assegnati in misura della forza contrattuale del percettore, simbolici o insufficienti convivono con benefici generosi e quasi vitalizi: il prepensionamento, la Cig, la mobilità, la disoccupazione speciale, i contratti di solidarietà. Il medesimo asse di fondo del diritto del lavoro italiano, di cui l'articolo 18 è la «norma-simbolo» si applica solo a nove milioni di lavoratori. E’ tempo di un diritto che si applichi in modo uguale a tutti i lavoratori dall'azienda.

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