domenica 6 novembre 2011

Padova: convegno sulle risorse dell’impresa

L'appuntamento del 16 novembre a Padova conclude il tour Risorse Umane e non Umane.
Un ciclo di eventi, organizzati dalla casa editrice Este, che rappresentano il più importante momento di confronto per tutti coloro che gestiscono persone all'interno di organizzazioni complesse.
“Un appuntamento molto atteso, come sottolinea Chiara Lupi, il Direttore editoriale della casa editrice Este, per confrontarsi sul territorio con Direttori Risorse Umane, imprenditori e manager che, insieme, cercano soluzioni per gestire al meglio le persone, che rappresentano la risorsa più importante per qualsiasi organizzazione, media o grande che sia”.
L’incontro si terrà a Padova il giorno 16 novembre,  dalle ore 9,00 alle 16,30, presso l’Hotel Sheraton, corso Argentina, 5
L’azienda come polifonia
L’anno scorso Risorse Umane e non Umane proponeva di riflettere sull’azienda come costruzione comune. Il tempo in cui viviamo ci costringe a soffermarci sullo stesso tema. Perché possiamo sperare che sia iniziato il cammino, che una riflessione critica sugli effetti ne­fasti dell’arroganza, dell’avidità, della prevaricazione sia condivisa da molti. Ma si tratta comunque di un cammino che ha iniziato a muovere i primi passi.
Continueremo a parlare quindi di Guida, di Gover­no, di Cura, di Remunerazione, badando a dar spa­zio alla pluralità delle voci, che -per il vantaggio di tutti- debbono trovare punti di accordo. Potremmo dire quindi: azienda come polifonia.
Ci proponiamo di creare un clima sereno, un terreno di scambio e di condivisione, uno spazio per costruire insieme conoscenze utili nella pratica. Uno spazio nel quale punti di vista diversi possano incontrarsi, al di là delle differenze, alla ricerca di una conciliazione tra i diversi interessi.
Il ruolo del direttore del personale La creazione di un ambiente polifonico è un lavoro difficile, che vede protagonista ogni manager, ma in particolare il Direttore del Personale. A lui com¬pete spiegare, convincere, comprendere. Spesso gli compete anche dire cose spiacevoli. Per questo, per non vivere troppo pesantemente la solitudine, serve la solidarietà della comunità professionale, serve il conforto di una buona consulenza, serve il costante supporto della formazione.
Insieme ci concederemo il tempo per pensare, per riflettere su come agiamo, sul senso del lavoro.
Lo faremo usando più consapevolmente l’arte della narrazione che è, in fondo, l’arte di costruire cono¬scenza attraverso il racconto. Non c’è storia se non nelle parole di chi c’era, di chi ha visto. L’esperien¬za non serve se non è resa nota agli altri. Parlare e ascoltare sono -come ben sa chi si occupa di persone in azienda- due facce della stessa medaglia.
Responsabile Scientifico del Progetto Risorse Umane e non Umane: Francesco Varanini.
Programma 08.30 Inizio registrazione partecipanti
9.15 Benvenuto e apertura lavori
Modera Francesco Varanini, Direttore di Persone&Conoscenze e Responsabile Scientifico di Risorse Umane e non Umane
09.30 Tavola Rotonda LA GUIDA - Guidare: ‘saper vedere’ e quindi mostrare la strada. In azienda la guida stimola l’azione collettiva, la partecipazione, la crescita individuale.
10.30 Tavola Rotonda IL GOVERNO - Governare è ‘tenere la rotta’. L’impresa è un’imbarcazione non necessariamente perfetta, ma in grado di muoversi nella direzione voluta, anche durante le tempeste.
11.30 Coffee Break
12.00 Tavola Rotonda LA CURA - Cura: sollecitudine, assistenza, vigilanza premurosa. Verso se stessi e verso tutte le per¬sone che lavorano o lavoreranno in azienda, verso clienti e fornitori.
13.00 Confronto aperto alla partecipazione del pubblico
13.30 Lunch Buffet
14.30 Tavola Rotonda LA REMUNERAZIONE - Nel verbo latino ‘remunerari’ il prefisso restituivo re- si accompagna a munus, ‘dono’, ma anche ‘dovere’, ‘servizio’, ‘funzione’, ‘impegno’, ‘carica’. Parleremo di sistemi retributivi, sistemi premianti, Compensation e Rewarding. Contratti collettivi nazionali o locali, trattative individuali.
15.30 Intervista a: Daniele Lago, Direttore generale e Chief designer - Lago Spa
16.00 Confronto aperto alla partecipazione del pubblico
16.30 Chiusura lavori
Relatori SIMONA ARTONI, Responsabile sviluppo risorse umane - Net Engineering e Vice presidente - AIDP Triveneto
WALTER BESSEGA, Chief group organization officer - Carel Industries
BRUNO BONSIGNORE, Presidente - Assoetica
PIER SERGIO CALTABIANO, Presidente nazionale - Aif e Direttore generale - Ctc
CRISTINA COCCHI, Direzione tecnica risorse umane - Profexa Consulting
SAUL CREMONA, Area manager - Edenred
CLAUDIA CRESCENZI, Managing director - GROWBP
VINCENZO DI FIORE, Hr manager - Burgo Group
DIEGO DIVENUTO, Customer development manager - Team Connex
MARIA ANTONIETTA DUSO, Group hr training director - Stefanel
SANDRA ERMACORA, Head of beavioural learning & development - Fastweb
MONICA FEDELI, Docente di Metodologie della formazione, comportamento organizzativo
e gestione delle risorse umane - Università degli Studi di Padova
VITTORIO MAFFEI, Managing director - InfoJobs.it
SIMONE SARTORI, Group human resources & organization manager - Pacorini
LUIGI SORTENI, Hr manager - Aristoncavi

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sabato 5 novembre 2011

Pierlugi Bersani, ricostruire l'Italia

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PD Verona sceglie Bertucco per le primarie

Michele Bertucco è il candidato, scelto dall’assemblea cittadina del PD, per le primarie del centrosinistra del 4 dicembre. Quaranta delegati su sessantotto dell’assemblea cittadina hanno sottoscritto la candidatura di Michele Bertucco.
Bertucco, 48 anni, è dipendente bancario, sindacalista e presidente regionale di Legaambiente e la sua candidatura alle primarie è sostenuta dal PD, Sinistra ecologia e libertà e Federazione della sinistra.
Alle primarie del 5 dicembre concorreranno Michele Bertucco, proposto dal PD e sostenuto dal centro sinistra con esclusione dell’Idv, Mario Allegri, docente universitario ed espressione esterna ai partiti, e Antonio Borghesi, sostenuto dall’Idv.
I giornali locali parlano impropriamente di sconfitta dell’area degli ex popolari (Giampaolo Fogliardi ed altri) poiché non hanno presentato alcuna candidatura alternativa a Michele Bertucco pur contando del 50% di delegati all’assemblea cittadina. In un primo momento la minoranza del PD scaligero aveva lanciato la candidatura di Silvano Filippi che con il trascorrere dei giorni si è dissolta quasi per incanto.
La necessità espressa dagli ex popolari di aggregare un’area vasta di elettori comprensiva dei moderati doveva essere espressa da una candidatura che non c’è stata. Pertanto ogni critica rivolta ai sostenitori di Michele Bertucco (Franco Bonfante e Vincenzo D’Arienzo) è sterile in assenza di una valida proposta alternativa.
La stessa dichiarazione di Roberto Uboldi che preferisce interessarsi delle elezioni vere anziché delle prove di forza interne al partito non corrisponde alla realtà dei fatti in quanto l’unica candidatura alle primarie è stata quella di Michele Bertucco.
Le candidature di Michele Bertucco e Mario Allegri, iscritti al Partito Democratico, rappresentano settori ampi e diversi della società civile ed allargano la platea dei consensi dei partiti del centrosinistra troppo spesso chiusi in se stessi o schiacciati dal protagonismo di Flavio Tosi.
Michele Bertucco è intervenuto nel dibattito invitando a parlare di problemi concreti ed ha affermato che la sua azione politica è indirizzata a unire ed a dialogare.
Fogliardi in questi giorni ha espresso la esigenza di non sbilanciare a sinistra il PD con la candidatura di Bertucco. Questa dichiarazione non è condivisile perché i problemi concreti della società civile veronese non possono essere classificati di sinistra o di destra. I cittadini vivono i problemi sociali è non fanno una classificazione anacronistica dei problemi ma desiderano che essi vengano risolti.
Se l’on. Fogliardi è convinto della sua tesi perché non si è adoperato a costruire una candidatura che rispondesse ai requisiti da lui espressi? Perché a questa sua esigenza doveva essere data risposta dalle altre componenti che avvertono altre priorità?
Adesso occorre superare le polemiche sterili che sono la conseguenza di scelte compiute dal Partito Democratico e disegnare lo sviluppo della città con scelte chiare e responsabili, usando un linguaggio accessibile agli elettori veronesi affinché possano capire ed essere coscienti della scelta che dovranno effettuare alle prossime elezioni amministrative.
Le primarie del centro sinistra rappresentano un avvenimento di ampia democrazia ed un'occasione per i cittadini veronesi di scegliere liberamente il candidato alternativo a Flavio Tosi per il bene della città. Quindi, occorre mettere da parte i nominalismi e pensare alla città come bene comune.
E’ necessario osare di più con impegno e speranza e presentare una discontinuità forte e trasparente rispetto alla gestione del comune di Verona da parte di Flavio Tosi.

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lunedì 31 ottobre 2011

Inchiesta sul lavoro

Inchiesta sul lavoro. Perché non dobbiamo avere paura di una grande riforma del lavoro, Pietro Ichino, Mondadori, 2011
Da sindacalista della Cgil, poi da ricercatore, professore di diritto del lavoro, avvocato, editorialista del «Corriere della Sera», e per qualche tratto anche come politico in Parlamento, Pietro Ichino ha spesso sostenuto tesi scomode per l’establishment, di sinistra e di destra, contribuendo in modo incisivo all’evoluzione del sistema italiano delle relazioni industriali e raccogliendo tanto consensi ed entusiasmo quanto critiche e contestazioni. Per via delle sue proposte è stato accusato di eresia e addirittura di «intelligenza con il nemico», di essere cioè un portatore di idee liberiste infiltrato nel centrosinistra. Attraverso un’avvincente inchiesta, un vero e proprio interrogatorio senza esclusione di colpi, Ichino risponde a tutte le obiezioni e le accuse ricevute in questi ultimi anni, messe in bocca a un immaginario interlocutoreinquisitore, affrontando i temi fondamentali del lavoro in Italia. E grazie ad analisi precise ed esempi concreti mette a nudo i meccanismi segreti di un sistema drammaticamente ingessato, prigioniero dei propri tabù e delle proprie caste. Un paese in cui vige un regime di vero apartheid tra lavoratori protetti e non protetti, dove agli stabili regolari è riconosciuta una sorta di job property, mentre agli outsiders e ai new entrants, ben che vada, si offrono soltanto i posti di serie B, C e D, con un futuro pensionistico misero, destinato a maturare soltanto dopo i settant’anni. Un sistema chiuso da un tacito accordo protezionistico tra vecchia destra e vecchia sinistra, incapace di attrarre quegli investimenti stranieri che, invece, oggi costituiscono la sola opportunità per tornare a crescere.

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Lettera alla UE tra mancanze e genericità

Articolo di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi pubblicato sul Corriere della Sera del 29 ottobre 2011
La lettera d’intenti inviata dal governo italiano all’Unione europea segna, almeno sulla carta, una svolta, sia per ciò che contiene (riforme del mercato del lavoro, liberalizzazioni, giustizia), sia per ciò che non c’è: non c’è la patrimoniale, né l’ennesimo condono. La lettera è lungi dall’essere un progetto operativo: assomiglia piuttosto a un programma elettorale, una serie di proposte da rendere più precise dopo le elezioni. Peccato che le elezioni siano state tre anni e mezzo fa. Questo manifesto avrebbe dovuto essere varato e attuato allora, quando questo governo fu eletto, se non già nella precedente legislatura quando lo stesso premier e lo stesso ministro dell’Economia erano al governo. Ora, a 17 mesi dalle prossime elezioni, con un governo in cui non tutti sembrano andare d’accordo, pare sinceramente un po’ tardi.
Molte delle idee contenute nella lettera sono simili ad alcune proposte che avevamo elencato sul Corriere il 24 ottobre. Per carità, non vogliamo dire sia «farina del nostro sacco». Di queste riforme si parlava da anni, e in termini ben più articolati dei nostri: noi le abbiamo solo elencate succintamente. Ma i punti di incontro tra le «nostre» proposte e la lettera del governo sono molti. Liberalizzazione del mercato del lavoro tramite il miglioramento dei contratti d’ingresso per i giovani nella prospettiva di un contratto unico; apertura alla possibilità di licenziamenti per motivi economici nei contratti a tempo indeterminato. Bene. Ma in un momento in cui l’economia non accenna a riprendersi bisogna prepararsi al fatto che maggiore flessibilità significa, nel breve periodo, il rischio di un ulteriore aumento della disoccupazione. Maggior flessibilità va quindi affiancata ad una riforma dei meccanismi di tutela, ridisegnati così da proteggere non il posto di lavoro ma i lavoratori, tutti i lavoratori, non solo chi ha accesso alla cassa integrazione. Di questo nella lettera non vi è cenno.
Bene anche, seppur nella loro grande vaghezza, i progetti su liberalizzazioni di servizi e professioni e riforma della giustizia. Ma il diavolo è nei dettagli. Ad esempio non si capisce se l’impegno a «rafforzare gli strumenti di intervento dell’Autorità per la concorrenza, al fine di prevenire le incoerenze tra promozione della concorrenza e disposizioni di livello regionale o locale» significhi un rafforzamento o un indebolimento dell’Antitrust. Né se «l’introduzione di sistemi di garanzia della qualità… delle farmacie comunali» significhi un’apertura del mercato, oppure un consolidamento del monopolio dei farmacisti.
Cosa manca nella lettera? Qualcosa di più su occupazione femminile. Noi avevamo proposto (riprendendo anche idee di Andrea Ichino) aliquote rosa e altri incentivi al lavoro femminile per aumentare il tasso di occupazione delle donne che in Italia è ben al di sotto della media europea. Sul Mezzogiorno si ripetono vecchi slogan: il piano Eurosud è una riproposizione degli incentivi. In passato essi sono serviti a ben poco: come ripete spesso il presidente degli industriali siciliani, Ivanhoe Lobello, ogni euro di incentivi al Mezzogiorno è un aiuto alle imprese che vivono di rendita e di aiuti pubblici, e un ostacolo agli imprenditori che invece vorrebbero competere in un mercato libero. Nel nostro articolo proponevamo idee, anche un po’ provocatorie, per ridurre l’assistenzialismo al Sud e favorire l’occupazione nel settore privato, oggi svantaggiata dalla competizione del settore pubblico. Troppe volte la lettera accenna a grandi opere, progetti infrastrutturali: continuiamo a pensare che grandi progetti come l’Expo di Milano o qualche nuova autostrada non siano la via per la crescita.
Sui costi della politica vi è un lungo elenco di disegni di legge. Il governo pare non aver ancora capito quanto esasperati siano i cittadini dai privilegi di alcuni politici: forse un provvedimento concreto lo si poteva adottare. L’abolizione delle Province è stata «venduta» come fatta già un paio di volte.
Ora arriva il difficile. Trasformare le promesse in norme di legge. L’Unione europea ha espresso un cortese apprezzamento, non poteva fare un processo alle intenzioni. I mercati invece non sono convinti e gli spread sono risaliti. Se il governo non attuasse quanto si è impegnato a fare, e fra due mesi fossimo al punto in cui siamo oggi, l’intera costruzione europea rischierebbe di crollare e con essa il futuro dell’Italia. Il contenuto della lettera è ancora sufficientemente vago da lasciare spazio per fare poco, cantare vittoria e, fra due mesi, ricominciare a discutere. Se qualcuno pensa che questa sia la via d’uscita si illude davvero.

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domenica 30 ottobre 2011

Licenziamenti: Pietro Ichino risponde a Silvio Berlusconi

Intervista a Pietro Ichino a cura di Cristiano Lozito, pubblicata su il Tirreno, il 29 ottobre 2011
Sulla questione dei licenziamenti Berlusconi ha detto di ispirarsi al suo disegno di legge n. 1873: ci sono davvero delle assonanze, e se sì quali?
Questo non deve chiederlo a me, ma al Presidente del Consiglio: finora aveva parlato d’altro e il suo ministro del Lavoro aveva opposto un muro al nostro progetto. Se ora il Governo ha deciso di far proprio il disegno di legge presentato da me con altri 54 senatori due anni fa, possiamo soltanto rallegrarcene. Ammesso che un Governo ancora ci sia.
Può spiegare la sua proposta di flexsecurity, chiarendo in particolare quali sono i modi con cui il datore di lavoro viene responsabilizzato per la sicurezza economica del lavoratore licenziato?
Il testo e le schede sintetiche sono disponibili nel mio sito, al portale della semplificazione e della flexsecurity. In sostanza si tratta di questo: un codice del lavoro semplificato, composto di 70 articoli molto chiari e facilmente traducibili in inglese, suscettibili di applicarsi a tutta l’area del lavoro sostanzialmente dipendente. Così si supera il dualismo fra protetti e non protetti nel mercato del lavoro. L’idea è che, in partenza, questo nuovo “diritto del lavoro unico”, per la parte relativa ai licenziamenti si applichi soltanto ai rapporti di lavoro nuovi, che si costituiranno da qui in avanti.   style="font-family: inherit;">La nuova disciplina si può sintetizzare così: tutti a tempo indeterminato (tranne, ovviamente, i casi classici di contratto a termine, per punte stagionali, sostituzioni temporanee, ecc.), a tutti le protezioni essenziali, in particolare contro le discriminazioni, ma nessuno inamovibile. E a chi perde il posto una garanzia robusta di assistenza intensiva nella ricerca della nuova occupazione, di continuità del reddito e di investimento sulla sua professionalità.
Davvero una riforma che favorisca i licenziamenti può creare nuovo lavoro?
No, la riforma non crea nuovo lavoro. Ma nemmeno ne distrugge, perché si applica solo ai nuovi rapporti che si costituiscono da ora in poi. E consente alle imprese di assumere tutti a tempo indeterminato, evitando di scaricare tutta la flessibilità soltanto sui “paria”. Consente cioè di superare il regime attuale di aparheid fra protetti e non protetti.
Come giudica i distinguo del Pd (Treu, Damiano, Fassina)?
Su questa proposta il Pd effettivamente è diviso. Ma è stata pur sempre firmata dalla maggioranza dei senatori democratici. E il 10 novembre scorso il Senato ha votato a larga maggioranza, anche con i voti del Pd, una mozione – presentata da Francesco Rutelli che impegna il Governo a varare una riforma ispirata proprio a questo mio disegno di legge.
Come giudica la reazione dei sindacati che si preparano allo sciopero generale?
Lo hanno proclamato contro una ipotesi molto diversa: quella appunto dei “licenziamenti facili”. Su questo progetto non faranno barricate. Anche perché il vertici della Cisl e della Uil, e anche numerosi dirigenti della Cgil, hanno manifestato il loro consenso su di esso nel corso di questi due anni: tutte le loro dichiarazioni sono reperibili nel portale della semplificazione e della flexsecurity, di cui ho detto sopra. E poi, come potrebbero fare le barricate contro un progetto che consente di voltar pagina rispetto all’attuale regime di apartheid fra protetti e non protetti nel mercato del lavoro?

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Mario Monti scrive a Silvio Berlusconi

Articolo di Mario Monti, pubblicato su Corriere della sera del 30 ottobre 2011
Signor presidente del Consiglio,
mi permetto di richiamare la Sua attenzione su alcuni aspetti delle Sue dichiarazioni di venerdì sull'euro. Lei ha affermato: «L'euro non ha convinto nessuno. È una moneta strana, attaccabile dalla speculazione internazionale, perché non è di un solo Paese ma di tanti che però non hanno un governo unitario né una banca di riferimento e delle garanzie. L'euro è un fenomeno mai visto, ecco perché c'è un attacco della speculazione ed inoltre risulta anche problematico collocare i titoli del debito pubblico».
Di fronte alle vivaci reazioni suscitate, Lei ha in seguito precisato: «L'euro è la nostra moneta, la nostra bandiera. È proprio per difendere l'euro dall'attacco speculativo che l'Italia sta facendo pesanti sacrifici. Il problema è che l'euro è l'unica moneta al mondo senza un governo comune, senza uno Stato, senza una banca di ultima istanza. Per queste ragioni è una moneta che può essere oggetto di attacchi speculativi».
Sono dichiarazioni che meritano un'analisi a freddo, al di fuori di ogni visione di parte. A mio parere, esse contengono alcune affermazioni fondate e altre infondate. Nell'insieme, fanno sorgere, accanto ad una remota speranza, serie preoccupazioni. Mi auguro che, con le parole e ancor più con i fatti, Lei riesca a rafforzare quella speranza e a sgombrare il campo dalle preoccupazioni, così vive in Italia e in Europa. Non solo - La prego di credermi - presso i suoi «nemici».
È certamente vero che l'euro è «una moneta strana», «un fenomeno mai visto». È anche fondata, e condivisa dagli osservatori più seri, la Sua diagnosi: il principale problema dell'euro consiste nell'essere una moneta «senza un governo, senza uno Stato, senza una banca di ultima istanza». C'è sì la Banca Centrale Europea ma, come credo Lei voglia dire giustamente, essa non dà garanzia di intervento illimitato in caso di difficoltà.
Qui mi permetto di suggerirLe una considerazione. Se la condivide, potrebbe forse riprenderla in uno dei Suoi interventi. L'euro può soffrire della mancanza di un vero Stato alle sue spalle. Ma avere un vero Stato alle proprie spalle non porta necessariamente una moneta ad essere solida. La lira non era una moneta «strana». Ma era, il più delle volte, una moneta debole, proprio perché rifletteva le caratteristiche dello Stato italiano, dei governi e della Banca d'Italia (sempre autorevole ma, per lunghi periodi, arrendevole) che l'avevano generata. A parte un certo rialzo dei prezzi al momento della sua introduzione, la strana moneta euro, rispetto alla nostrana lira, ci ha portato negli ultimi 12 anni un'inflazione ben più bassa.
Se la Sua diagnosi coglie bene una gracilità di fondo dell'adolescente euro, mi sembra però che Lei la applichi a malanni che, in questo momento, il nostro adolescente non ha. Lei rappresenta un euro in crisi, a seguito di attacchi speculativi e aggiunge: «È proprio per difendere l'euro dall'attacco speculativo che l'Italia sta facendo pesanti sacrifici». Questo no, signor presidente.
L'euro non è in crisi. In questi 12 anni, e ancora attualmente, l'euro non manifesta nessuno dei due sintomi di debolezza di una moneta. È stabile in termini di beni e servizi (bassa inflazione) ed è stabile (qualcuno direbbe, anzi, troppo forte) in termini di cambio con il dollaro. Gli attacchi speculativi ci sono, spesso violenti. Ma non sono attacchi contro l'euro. E non è vero che «risulta problematico collocare i titoli del debito pubblico». Gli attacchi si dirigono contro i titoli di Stato di quei Paesi appartenenti alla zona euro che sono gravati da alto debito pubblico e che hanno seri problemi per quanto riguarda il controllo del disavanzo pubblico o l'incapacità di crescere (e di rendere così sostenibile la loro finanza pubblica) perché non hanno fatto le necessarie riforme strutturali. È questo il caso dell'Italia, dopo che in prima linea si erano trovati la Grecia e altri Paesi. Per questo, da qualche tempo, è diventato problematico collocare i titoli del debito pubblico italiano. E di una cosa, signor presidente, può essere certo: se l'Italia non fosse nella zona euro, emettere titoli italiani in lire sarebbe un'impresa ancora più ardua.
Che l'Italia stia facendo pesanti sacrifici, è vero. Essi sono più pesanti di come sarebbero stati se si fosse ammesso per tempo il problema di una crescita inadeguata. Ma non posso credere che Lei pensi davvero che l'Italia faccia questi sacrifici non per rimettersi in carreggiata e ridare un minimo di speranza ai nostri giovani, ma «per difendere l'euro dall'attacco speculativo». Mentre è vero se mai che la Bce, con risorse comuni, interviene a sostegno dei titoli italiani.
In Europa e nei mercati, affermazioni di questo tipo accrescono i dubbi sulla convinzione e la determinazione del governo italiano. Già due giorni dopo le decisioni di Bruxelles, i titoli italiani hanno fatto fatica a trovare collocamento. Ad ogni rialzo dei tassi, dovuto a scarsa fiducia nell'Italia, Lei finisce per imporre sacrifici ancora maggiori agli italiani. Anche le parole non sorvegliate hanno un costo.
Ma ho una preoccupazione ancora maggiore. Dopo le Sue dichiarazioni sull'euro, Fedele Confalonieri, Suo storico collaboratore, personalità rispettata nel mondo economico, se ne rallegra. Affermando che «l'euro è una moneta strana, che non ha convinto nessuno, Berlusconi ha detto una cosa che pensano tutti; solo che lui lo dice, perché non è ipocrita. E non c'è dubbio che il premier con questa battuta abbia toccato le corde di chi, dai tempi del cambio della lira, ha sempre storto il naso». Questo, secondo vari osservatori, fa ritenere che nella prossima stagione pre-elettorale, ormai non lontana, il tema in questione potrebbe diventare un Suo cavallo di battaglia.
Se questa fosse la prospettiva, e non voglio crederlo, ci avvieremmo ad una fase nella quale i severi provvedimenti che Lei si è impegnato a introdurre non potrebbero essere presentati in modo convincente ai cittadini, né potrebbero essere accettati con maturità, perché sarebbero accompagnati da scetticismo, se non recriminazioni, verso l'Europa. L'Italia non farebbe i passi avanti che le sono indispensabili e potrebbe rivelarsi il ventre molle dell'eurozona, con gravi fratture per l'Europa.
Parlavo, però, di una remota speranza. La Sua diagnosi - la moneta è incompiuta e «strana» senza un governo dell'economia e passi verso l'unione politica - è in linea con la migliore tradizione dell'europeismo italiano. Come Lei, forse con qualche turbamento, ha visto a Bruxelles alcuni giorni fa, il governo economico si sta creando. Ma sarebbe più ordinato, più equilibrato e più orientato alla crescita economica se potesse formarsi con un'Italia che con gli altri, Germania e Francia in primo luogo, concorresse attivamente a plasmarlo. Anziché, come sta avvenendo, con un'Italia costretta ad accettare passivamente forme di governo dell'economia che vengono improvvisate soprattutto allo scopo di «disciplinare» il nostro Paese.
Confido, signor presidente, che prevalga in Lei l'ambizione di riportare l'Italia nel ruolo che le appartiene in Europa, accelerando in silenzio il risanamento, rispetto a quella di un successo elettorale a tutti i costi per la Sua parte politica, ma in un Paese sempre più populista, distaccato dall'Europa e magari visto come responsabile di un fallimento dell'integrazione europea.

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sabato 29 ottobre 2011

Pietro Ichino, licenziamenti con improvvisazione e provocazione

Intervista a Pietro Ichino a cura di Giorgio Pogliotti pubblicata su il Sole 24 Ore il 28 ottobre 2011
Professor Ichino come giudica l’iniziativa del governo che nella lettera di intenti alla Ue annuncia una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti a tempo indeterminato?
Troppo generico. Ricorda quel signore a cui chiedono “Lei sa suonare il pianoforte”, che risponde “Ora provo”. Una riforma di questa complessità e delicatezza non si inventa in una notte.
Sta dicendo che il governo pecca di improvvisazione?
Sì: dopo tre anni nei quali il governo ha continuato a teorizzare che il nostro era il mercato del lavoro più efficiente del mondo, non si può venire da un giorno all’altro ad annunciare una riforma come questa, senza indicare neppure a quale modello ci si vuole ispirare. Con questi annunci si ottiene soltanto di seminare ansia e provocare alzate di scudi.
Ma le sembra che sia stato compiuto anche un errore nel merito della questione sollevata dalla lettera della BCE o solo nel metodo seguito dal Governo?
Nella lettera del nostro governo alla UE il merito della questione non è neppure affrontato.
E qual’è secondo lei la questione?
Almeno due questioni. La prima riguarda la metà dei lavoratori dipendenti italiani ai quali l’articolo 18 non si applica: occorre riscrivere un diritto del lavoro capace di proteggere anche loro nel mercato del lavoro. La seconda riguarda la tecnica della protezione: quella dell’articolo 18 è sbagliata, perché è per un verso troppo rigida, porta di fatto all’ingessatura dei rapporti di lavoro; per altro verso insufficiente, perché quando viene l’acquazzone accade che il gesso si sciolga e il lavoratore resti con un pugno di mosche in mano.
La soluzione? Flexsecurity: coniugare la massima possibile flessibilità delle strutture produttive con la massima possibile sicurezza di tutti i lavoratori nel mercato del lavoro. Tutti, non soltanto metà. È la soluzione che ho proposto, con altri 54 senatori, nel disegno di legge n. 1873/2009. A costo zero per lo Stato.
E chi paga? Il ritardo che subiscono oggi le imprese nell’aggiustamento industriale per effetto del regime attuale costa molto caro. In quel che si risparmia rendendo possibile l’aggiustamento tempestivo ci sta dentro abbondantemente il costo di un trattamento alla danese.
A che punto è il confronto parlamentare su quel suo disegno di legge? Il 10 novembre scorso il Senato ha approvato quasi all’unanimità la mozione Rutelli, che impegnava il governo a varare una riforma ispirata a quel progetto. Oggi si potrebbe partire proprio da lì.
La lettera d’intenti ha ricompattato i sindacati che sono pronti a indire lo sciopero generale. Del resto il 21 settembre, con la firma dell’accordo interconfederale, Cgil, Cisl e Uil si erano impegnate a sterilizzare la norma sui licenziamenti dell’articolo 8 della manovra. É ipotizzabile un intervento su questo tema con tutto il fronte sindacale contrario? È ipotizzabile se si incomincia col chiarire che la riforma si applica soltanto ai nuovi rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti, a meno che i lavoratori già in forza scelgano a maggioranza di passare al nuovo regime. Questo sdrammatizzerebbe la questione ed esalterebbe l’effetto positivo sul piano occupazionale: mentre da un lato le aziende sarebbero molto più disponibili ad assumere, anche a tempo indeterminato, quelli che hanno un posto di lavoro stabile se preferiscono la vecchia disciplina se la possono tenere.

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giovedì 27 ottobre 2011

Amianto, da Roverchiara a Verona

Dai pericoli della discarica di amianto a Roverchiara che interessa l’area territoriale che va da Angiari a San Pietro di Morubbio e da Cerea a Legnago denunziata da Franco Bonfante, consigliere regionale, Diego Zardini, capogruppo del PD in Provincia, e Moreno Ferrarini, consigliere comunale, si ripropone il problema a Verona e precisamente a Borgo Venezia nella centrale elettrica di via Montorio dove insistono quaranta metri di tettoia in eternit.
Alla conferenza stampa, organizzata dal Partito Democratico, per spiegare i rischi della presenza dell’amianto erano presenti Franco Bonfante, consigliere regionale, Giorgio Furlan e Yared Ghebremariam-Tesfaù, consiglieri della sesta circoscrizione.
“Da quando può succedere, dichiara Giorgio Furlani, che la salute pubblica di un quartiere venga messa in secondo piano rispetto ai finanziamenti ad una società professionistica sportiva? Borgo Venezia, già abbandonato da questa amministrazione sotto il punto di vista dei servizi, ora viene lasciata a sé stessa anche dall’AGSM che, invece che adempiere agli obblighi di manutenzione dei propri siti, dispensa sponsorizzazioni e donazioni quantomeno discutibili”.
Giorgio Furlani si è reso promotore di un Ordine del Giorno che verrà depositato presso la sede del parlamentino di B.go Venezia. Un Ordine del Giorno che, riprendendo quanto enunciato dal Vicepresidente del Consiglio regionale in una sua precedente interrogazione, pone l’accento sulle mancanze di AGSM che pone la precedenza ad illustri sponsorizzazioni anziché rimuovere e bonificare tettoie in eternit per una lunghezza complessiva di circa 40m.
“Quello che aumenta lo sconcerto per la mancanza di AGSM non è, però, solo il rischio intrinseco nelle strutture in eternit, afferma Yared Ghebremariam-Tesfaù, ma la prossimità delle stesse con il marciapiede, dove sono anche le pensiline dell’autobus, e del circolo dopolavoro della stessa AGSM. Siamo nelle immediate vicinanze, quindi, di punti di transito che, per forza di cose, aumentano il numero delle persone esposte al rischio.”
Franco Bonfante è intervenuto sottolineando i rischi della presenza di amianto per la salute delle persone e la necessità di un intervento urgente da parte di AGSM, in collaborazione con AMIA, per rimuovere i quaranta metri di eternit presenti nella centrale elettrica di Borgo Venezia.
“È increscioso, ha dichiarato Franco Bonfante, quanto accade ora in Borgo Venezia, forse un’ulteriore dimostrazione dell’inopportunità da parte di AGSM, che ricordiamo essere una partecipata al 100%, di sponsorizzare una società di calcio professionisti, aggirando di fatto la norma che proibisce tali iniziative al Comune, finendo col non adempiere ai propri obblighi nei confronti della cittadinanza.”
L’amianto rappresenta un rischio per la salute nel momento in cui le sue fibre sono rilasciate e sono presenti nell’aria che viene respirata. Gli organi maggiormente colpiti dall’esposizione ad amianto sono i polmoni e la pleura. A carico del polmone, l’amianto può provocare il cancro o una malattia cronica detta ‘asbestosi’, mentre a carico della pleura la patologia correlata è il tumore noto anche come mesotelioma.
L’insorgenza di patologie tumorali non è sempre legato ad una lunga esposizione a fibre di amianto, ma è stato provato che è possibile contrarre malattie correlate anche con basse esposizioni. Il rischio di esposizione non interessa solamente i lavoratori che operano su materiali contenenti amianto ma anche tutte quelle persone che risiedono o frequentano ambienti in cui è presente amianto sotto forma di manufatti. La pericolosità delle fibre di amianto deriva dalla possibilità di essere inalate e di penetrare facilmente nei polmoni.
Considerati i rischi si spera che AGSM …… sospendi ……. gli impegni con le sponsorizzazioni e si dedichi alla rimozione dell’amianto segnalato.

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