sabato 29 ottobre 2011

Pietro Ichino, licenziamenti con improvvisazione e provocazione

Intervista a Pietro Ichino a cura di Giorgio Pogliotti pubblicata su il Sole 24 Ore il 28 ottobre 2011
Professor Ichino come giudica l’iniziativa del governo che nella lettera di intenti alla Ue annuncia una nuova regolazione dei licenziamenti per motivi economici nei contratti a tempo indeterminato?
Troppo generico. Ricorda quel signore a cui chiedono “Lei sa suonare il pianoforte”, che risponde “Ora provo”. Una riforma di questa complessità e delicatezza non si inventa in una notte.
Sta dicendo che il governo pecca di improvvisazione?
Sì: dopo tre anni nei quali il governo ha continuato a teorizzare che il nostro era il mercato del lavoro più efficiente del mondo, non si può venire da un giorno all’altro ad annunciare una riforma come questa, senza indicare neppure a quale modello ci si vuole ispirare. Con questi annunci si ottiene soltanto di seminare ansia e provocare alzate di scudi.
Ma le sembra che sia stato compiuto anche un errore nel merito della questione sollevata dalla lettera della BCE o solo nel metodo seguito dal Governo?
Nella lettera del nostro governo alla UE il merito della questione non è neppure affrontato.
E qual’è secondo lei la questione?
Almeno due questioni. La prima riguarda la metà dei lavoratori dipendenti italiani ai quali l’articolo 18 non si applica: occorre riscrivere un diritto del lavoro capace di proteggere anche loro nel mercato del lavoro. La seconda riguarda la tecnica della protezione: quella dell’articolo 18 è sbagliata, perché è per un verso troppo rigida, porta di fatto all’ingessatura dei rapporti di lavoro; per altro verso insufficiente, perché quando viene l’acquazzone accade che il gesso si sciolga e il lavoratore resti con un pugno di mosche in mano.
La soluzione? Flexsecurity: coniugare la massima possibile flessibilità delle strutture produttive con la massima possibile sicurezza di tutti i lavoratori nel mercato del lavoro. Tutti, non soltanto metà. È la soluzione che ho proposto, con altri 54 senatori, nel disegno di legge n. 1873/2009. A costo zero per lo Stato.
E chi paga? Il ritardo che subiscono oggi le imprese nell’aggiustamento industriale per effetto del regime attuale costa molto caro. In quel che si risparmia rendendo possibile l’aggiustamento tempestivo ci sta dentro abbondantemente il costo di un trattamento alla danese.
A che punto è il confronto parlamentare su quel suo disegno di legge? Il 10 novembre scorso il Senato ha approvato quasi all’unanimità la mozione Rutelli, che impegnava il governo a varare una riforma ispirata a quel progetto. Oggi si potrebbe partire proprio da lì.
La lettera d’intenti ha ricompattato i sindacati che sono pronti a indire lo sciopero generale. Del resto il 21 settembre, con la firma dell’accordo interconfederale, Cgil, Cisl e Uil si erano impegnate a sterilizzare la norma sui licenziamenti dell’articolo 8 della manovra. É ipotizzabile un intervento su questo tema con tutto il fronte sindacale contrario? È ipotizzabile se si incomincia col chiarire che la riforma si applica soltanto ai nuovi rapporti di lavoro che si costituiranno da qui in avanti, a meno che i lavoratori già in forza scelgano a maggioranza di passare al nuovo regime. Questo sdrammatizzerebbe la questione ed esalterebbe l’effetto positivo sul piano occupazionale: mentre da un lato le aziende sarebbero molto più disponibili ad assumere, anche a tempo indeterminato, quelli che hanno un posto di lavoro stabile se preferiscono la vecchia disciplina se la possono tenere.

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