venerdì 6 settembre 2013

La BCE deve sostenere la crescita

Articolo di Lucrezia Reichlin pubblicato sul Corriere della Sera il 5 settembre 2013
Il consiglio della Banca centrale europea, oggi, non ridurrà i tassi. Questa, almeno, è l'aspettativa dei mercati che guardano, invece, alla conferenza stampa che seguirà la riunione con il consueto messaggio di Mario Draghi. Saranno parole importanti per capire l'orientamento che adotterà l'istituto nei prossimi mesi e dovranno bastare per «domare» l'incertezza sulla politica monetaria dell'euro che deriva, paradossalmente, dalle buone notizie, cioè dai primi segnali di ripresa economica dell'area.
L'istituto dovrà rassicurare pubblico e mercati sul suo impegno a mantenere condizioni capaci di facilitare il credito per accompagnare una ripresa ancora fragile evitando che si formino pressioni sui tassi di interesse a lungo termine.
Nelle recenti conferenze stampa Mario Draghi ha modificato la comunicazione, dichiarando di impegnarsi a mantenere tassi bassi per un periodo prolungato. A differenza della Federal Reserve e della Banca d'Inghilterra, la Bce non è arrivata al punto di specificare un target - ad esempio il tasso di disoccupazione - da raggiungere prima di variare la politica monetaria, ma ha dato un segnale di discontinuità rispetto alla tradizione che non prevedeva nessun impegno ex-ante sulle scelte di politica monetaria futura. Tuttavia i mercati hanno creduto poco al suo messaggio. I tassi da uno a dieci anni sul Bund , che riflettono le aspettative sull'andamento futuro del tasso di rifinanziamento stabilito dalla Bce, hanno seguito gli annunci di politica monetaria di Ben Bernanke più di quelli di Mario Draghi. Sono aumentati troppo per corrispondere alle prospettive di crescita dell'eurozona, estremamente più incerte che negli Stati Uniti.
Per questo Draghi, oggi, dovrà dare nuova credibilità al suo messaggio, riaffermando il fermo impegno a mantenere i tassi ai minimi, fino a che la ripresa europea non sarà decollata in modo convincente e generalizzato. Per fronteggiare la grande crisi, le banche centrali hanno usato nuovi strumenti buoni per salvaguardare la stabilità finanziaria e sostenere l'economia: sono state spesso le uniche istituzioni capaci di intervenire in modo massiccio e tempestivo, in assenza dell'azione di altri agenti di politica economica. Ora stiamo entrando in un'altra fase che definirei di «progressiva normalizzazione». Questa fase comporta rischi e impone un percorso molto stretto per evitare che si creino condizioni troppo restrittive nella concessione del credito destinate a strozzare la ripresa incipiente. Tutto ciò è inoltre complicato dal fatto che, data l'integrazione dei mercati finanziari, è difficile per una banca centrale controllare tassi di mercato sempre più influenzati da fattori globali, in parte determinati dalla politica monetaria degli Stati Uniti.
Proprio per questo un impegno generico a mantenere i tassi bassi non basta. Il mercato, ma anche il grande pubblico, vuole capire se la Bce, come la Federal Reserve e la Banca d'Inghilterra, pur mantenendo il suo obiettivo in termini di inflazione nel medio periodo, terrà ben aperti gli occhi sulla crescita e sull'occupazione nel breve periodo. In economie appesantite dal debito e indebolite da una lunga recessione, un obiettivo in termini di inflazione di medio periodo, pur rimanendo un essenziale elemento della politica monetaria, non è sufficiente per guidarci fuori della crisi. Questo è il tema su cui tutte le banche centrali stanno riflettendo, battendo nuove strade, inclusa appunto quella di una comunicazione trasparente, che riveli le ragioni dell'azione presente e futura di politica monetaria.
Sarebbe molto grave se la Bce, prigioniera di sensibilità diverse all'interno del consiglio, rinunciasse alla chiarezza del messaggio o esprimesse un'eccessiva cautela. La trasparenza non è solo necessaria per legittimare l'indipendenza della banca centrale, ma è anche un mezzo per evitare la volatilità dei tassi. Definire una politica monetaria unica per Paesi diversi è molto complesso, ma non deve essere questa la ragione per rinunciare alla trasparenza. Al contrario è ancor piu necessaria proprio perché la legittimità della indipendenza di una banca centrale, in un'unione monetaria come quella dell'eurozona, è più fragile.
Non farlo avrebbe un prezzo elevato per il costo del credito di imprese e famiglie, in Italia, ma anche in Germania.

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