lunedì 20 giugno 2011

Conferenza sul lavoro del PD e precari

Il documento preparato da Stefano Fassina è stato approvato dai partecipanti alla conferenza nazionale sul lavoro del Pd. Vi è stata una grande mobilitazione e partecipazione e degli interventi molto interessanti. Peccato che il responsabile, Stefano Fassina, non ha fatto nessuno sforzo per condurre ad unità le diversità sul lavoro che esistono all’interno del PD. Questo rappresenta un limite della conferenza che avrebbe potuto sancire una visione unitaria non difficile da realizzare ed una sintesi che utilizzasse le capacità e le intelligenze di tutti coloro che si sono spesi per dare una identità al PD su un tema fondamentale per il futuro dell’Italia e dei lavoratori.
L’integrazione delle posizioni poteva realizzarsi facilmente in quanto Fassina ha espresso delle proposte di politica economica e Pietro Ichino è entrato in merito alla normativa che regola le relazioni industriali, il mercato del lavoro e, quindi, l’eliminazione del fenomeno del precariato in una prospettiva nuova di stabilità e sicurezza del lavoro dipendente diversa da quella attuale, la quale non assicura una politica attiva del lavoro (garanzia del posto di lavoro, servizi di outplacement e di riqualificazione professionale) nel momento in cui l’impresa entra in crisi.
Perché questo non è avvenuto? Perché Stefano Fassina non ha tentato una mediazione culturale tra l’immediato, il breve ed il medio termine? Ritengo che la risposta vada trovata nel fatto che la Cgil, in particolare la Fiom, ancora una volta, è in ritardo sulle questioni cruciali del paese e dei lavoratori e coltiva vecchi equilibri che risalgono agli anni ’70 e ’80 superati dagli avvenimenti e dai cambiamenti intervenuti nel pianeta.
Le posizioni del Governatore della Banca d’Italia, della Confindustria e di molti imprenditori, della Commissione Europea in tema di lavoro sul PNR dell’Italia, dei lavoratori di Cisl e Uil e di alcuni esponenti e categorie della Cgil non hanno influito nel percorso prestabilito da Stefano Fassina, prima nelle conferenze locali e poi nella conferenza nazionale. Eppure Pietro Ichino nel suo intervento aveva espresso la proposta di considerare il documento “Per dare valore al lavoro” un contributo in una prospettiva non immediata.
Il primo limite è rappresentato dall’inadeguatezza o dall’assenza di volontà a condurre ad unità le capacità e le competenze espresse da diversi esponenti del PD da diverso tempo. Ma la cosa più strana è rappresentata dal fatto che non esistono oggi nel PD delle proposte organiche alternative a quella di Ichino che restituiscano nelle mani dei precari il loro futuro rubato e cristallizzato da un Governo insensibile ed incapace.
Ritengo che abbia prevalso la tattica, considerata la crisi del sistema politico e probabilmente le elezioni politiche a breve termine, e non la strategia tramite la quale si costruisce il futuro dell’Italia. Ma questa analisi è insufficiente da sola se si considerano le posizioni elettorali di coloro che contrastano le tesi di Ichino e che da diverso tempo non votano PD.
Un altro aspetto non considerato è rappresentato dalla urgenza di ridefinire il lavoro (dipendente, autonomo, professionale, artigiano) in maniera che si applichi la tracciabilità del lavoro stesso attraverso le banche dati dell’Inps e dell’Agenzia delle Entrate per evitare elusioni ed evasioni. Ichino per il lavoro dipendente ha proposto la dipendenza economica caratterizzata da: continuità della prestazione, monocommittenza, limite di reddito. Questa trasparenza serve al sistema Italia per applicare l’informazione analitica nel mondo del lavoro, superando i controlli degli ispettori che producono alti costi e pochi risultati.
Un terzo limite è rappresentato dall’allineamento della contribuzione previdenziale dei lavoratori con contratti atipici a quella dei lavoratori dipendenti che pretende di risolvere il problema del precariato. Questa proposta non fa distinzione tra le false collaborazioni autonome ed i veri autonomi per i quali crea una discriminazione ed un sopruso. Inoltre, tale misura non inverte la tendenza delle imprese a favore del rapporto di lavoro dipendente rispetto ai contratti a progetto ed ai rapporti con partita iva poiché gli imprenditori alla scadenza dei contratti atipici sono liberi di rinnovarli o meno. Pertanto, non si risolve in questo modo il problema dei lavoratori precari.
Perché in assemblea Fassina non ha proposto delle misure alternative nel caso in cui l’allineamento delle contribuzioni non dovesse funzionare a vantaggio dei lavoratori precari? Domanda questa che ha posto prima di me Ichino alla quale Fassina non ha ancora risposto.
Ogni volta che affronto il tema della centralizzazione e del decentramento mi viene in mente il libro Senza Leader di Ori Brafman e Rod A. Beckstrom, i quali espongono l’organizzazione a stella marina.
Le organizzazioni obsolete funzionano a ragno nel senso che la testa dell’organizzazione è al centro e le parti del corpo eseguono i comandi ricevuti (centralizzazione). Le nuove organizzazioni sono caratterizzate da un tipo di organizzazione a stella marina dove la testa è rappresentata da tutto il corpo con pochi controlli dall’alto (decentramento).
Pur rimanendo valida la contrattazione collettiva nazionale in particolar modo per quei lavoratori che non sono coperti dalla contrattazione aziendale, occorre che la contrattazione aziendale assuma maggiore rilevanza per affrontare le specificità di una impresa o di un territorio in quanto il contratto collettivo non è in grado di sostenere. In tal senso occorre allargare gli spazi di derogabilità del contratto nazionale per avviare processi di innovazione e cambiamento a livello aziendale molto favorevoli alla sopravvivenza dell’impresa nell’economia globale.
In definitiva non possiamo permetterci il lusso di far uscire dal mercato imprese in nome del principio della contrattazione centralizzata.
Il documento presenta delle insufficienze rispetto agli stage. Bastava ascoltare l’intervento della mia amica Eleonora Voltolina per aggiornare il documento. 
I lavoratori precari rappresentano oggi l’anello più debole del mondo del lavoro e non hanno nemmeno la possibilità di entrare nelle organizzazioni sindacali ed avviare un processo di cambiamento che consideri i loro problemi.
Le OO.SS. rappresentano solo i lavoratori dipendenti titolari di un livello di tutela e sicurezza stabile, lasciando fuori energie e capacità molto importanti del mondo del lavoro rappresentate dai precari. Questa divisione non giova ai precari ed alle organizzazioni sindacali che non si rinnovano e non ampliano gli spazi di partecipazione.
La storia sindacale testimonia che in diverse occasioni le OO.SS. hanno espresso concretamente la loro disponibilità per risolvere i problemi economici dell’Italia. Al contrario nel caso dei lavoratori precari non tutte le OO.SS. sono ugualmente disponibili a realizzare forme di tutela e sicurezza per tutti i lavoratori sostanzialmente dipendenti nella prospettiva di realizzare un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Per tale motivo non condivido le posizioni di chi non accetta o rimanda i cambiamenti necessari per porre fine ad una discriminazione assurda che restringe gli spazi di democrazia sindacale e nega il futuro ai lavoratori precari.
Rimandare i problemi significa non considerare un fattore di cambiamento che è rappresentato dalla velocità, la quale si riscontra nelle organizzazioni più innovative del pianeta. Il Partito Democratico deve tenerne conto in quanto è un’organizzazione politica.

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