mercoledì 15 settembre 2010

Intervista a Pietro Ichino dopo le contestazioni di Milano

a cura di Luisa Ciuni, pubblicata su il Giorno - Quotidiano Nazionale il 15 settembre 2010
Professor Ichino, che cosa pensa di chi ha cercato di impedirle di parlare l’altro ieri sera, alla Festa Democratica di Milano?
Gli episodi come l’aggressione a Raffaele Bonanni a Torino e come il tentativo di ieri sera di non lasciarmi parlare fanno parte di un armamentario politico fallimentare, del quale la vecchia sinistra non si è ancora del tutto liberata.

Quale?
Quello che tende a demonizzare la persona che la pensa diversamente, a creare intorno ad essa un cordone sanitario, per evitare che possa aprirsi con lei una discussione vera, sulle cose. Ma chiudendo in questo modo la discussione ci si preclude di capire le idee altrui, di affrontare per davvero i problemi, di conoscere la realtà circostante. E la realtà va avanti senza attendere chi si comporta in questo modo.

C’è un effettivo problema “precari” nel nostro paese?
C’è un problema di vero e proprio apartheid nel mondo del lavoro tra protetti e non protetti. Sono troppi, ormai, i modi in cui un’impresa può decidere di eludere totalmente il diritto del lavoro: dal ricorso alla partita Iva all’appalto alla “cooperativa di lavoro”, a molte altre forme di simulazione.

C’è una maniera per rendere meno dura la vita dei precari facendo in modo che lavorino il giusto, invece che essere sfruttati?
Occorre un nuovo diritto del lavoro, che sia davvero applicabile a tutti i rapporti di lavoro sostanzialmente dipendente destinati a costituirsi da oggi in avanti, e che sia semplice, leggibile e comprensibile da parte dei molti milioni di persone chiamate ad applicarlo, e anche traducibile in inglese: perché, se vogliamo essere capaci di attirare il meglio dell’imprenditoria straniera nel nostro Paese dobbiamo rendere leggibile il nostro diritto del lavoro anche per loro.

Bellissimo programma. Ma non sembra facile da realizzare.
Ho presentato, con altri 55 senatori dell’opposizione, i due disegni di legge necessari per ridurre l’intero nostro diritto del lavoro a un codice di 70 articoli: sono i d.d.l. 1872 e 1873 dell’11 novembre 2009 (sono disponibili sul sito del Senato e sul mio). Si potrà dissentire su questa o quella soluzione che abbiamo proposto in un articolo o in un altro, e cambiarla. Ma il progetto dimostra che la cosa è non solo tecnicamente, ma anche politicamente possibile.

Una ipotetica strada verso un maggiore equilibrio di giustizia sociale è possibile?
E’ possibile, a patto che l’Italia torni a crescere. E per crescere l’Italia ha la necessità urgente e assoluta di aprirsi agli investimenti stranieri. Altrimenti, continuerà a prendere soltanto la parte cattiva della globalizzazione, cioè le delocalizzazioni e la concorrenza dei lavoratori dei Paesi emergenti nelle fasce professionali più basse, ma non la parte buona, che consiste nella possibilità di attrarre i migliori piani industriali e i relativi investimenti da tutte le parti del mondo.

Il segretario del PD di Milano, Roberto Cornelli sui fatti avvenuti alla Festa Democratica di Milano ha dichiarato: "Condanniamo fermamente quanto avvenuto ieri alla Festa Democratica da parte di una trentina di esponenti dei centri sociali che hanno tentato di impedire a Ichino lo svolgimento del dibattito in corso".
"Provocazioni, fischi e urla rappresentano, conclude Cornelli, una modalità di protesta inaccettabile segnata dall'intolleranza. La festa del Pd di Milano e' aperta, e' uno spazio democratico di incontri e dibattiti in cui opinioni diverse si confrontano liberamente. Il gruppo di antagonisti ha anche compiuto gesti vandalici contro lo stand dell'Aler ospite della festa. Un gesto che condanniamo fermamente".
Ritengo che i fatti di Milano sono da condannare senza alcuna giustificazione perchè non rappresentano un fatto democratico e, quindi, eliminano qualsiasi confronto e si muovono contro gli interessi del mondo del lavoro, il quale non può rimanere fermo ed ha bisogno di cambiamenti per conseguire una migliore giustizia sociale.

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