lunedì 10 giugno 2013

Emergenza Energia

Intervista a Federico Testa, docente di Economia e gestione dell’impresa presso l’Università degli Studi di Verona ed esperto del settore energetico
La separazione della rete gas di Snam dall’Eni, sostenuta nella passata legislatura da Lei e da Enrico Morando, quali effetti positivi ha prodotto nel paese?
Separare dal punto di vista proprietario la rete di trasporto nazionale del gas dal principale operatore nell’importazione e nella vendita significa garantire la vera terzietà ed indipendenza della gestione della rete, che essendo un asset strategico e non replicabile è lo snodo principale per garantire l’esistenza di un mercato concorrenziale. Cosa tanto più importante in un Paese come il nostro, dove il gas è anche la principale fonte di produzione dell’energia elettrica, e quindi gioca un ruolo fondamentale per la competitività delle imprese.
Quali sono le cause che determinano un costo alto dell’energia rispetto agli altri competitori internazionali con conseguenze gravi per i consumatori e per le imprese?
Le ragioni dell’alto costo dell’energia possono a mio avviso essere fatte risalire ad un complesso di non-scelte, o scelte parziali, di cui è stata protagonista la classe dirigente del nostro Paese nel dopoguerra. L’ideologizzazione della scelta sul nucleare, la concentrazione su un’unica fonte primaria (il gas), per di più in una situazione di mercato scarsamente trasparente e poco competitiva, con il sostanziale abbandono del carbone, il tardivo sostegno alle rinnovabili in qualche modo “espiato” con incentivi troppo alti e concentrati su fonti rispetto alle quali non si è fatta crescere una filiera produttiva italiana, ci hanno portato ad un costo dell’energia certamente più caro dei competitors, con le evidenti conseguenze in termini di praticabilità della sopravvivenza di alcuni settori manifatturieri. E’ quindi certamente urgente intervenire per allineare il costo dell’energia a quello degli altri paesi.
Quali sono le sue proposte per allineare il costo dell’energia a quello dei competitori internazionali e superare questo gap che incide negativamente nella competitività delle imprese?
Credo che ora si imponga una riflessione che, nel perseguimento dello sviluppo al massimo potenziale delle fonti rinnovabili nel nostro Paese, consenta anche:
- di ottenere una ricaduta significativa sul tessuto produttivo/industriale italiano. Ad oggi questo avviene in misura parziale ed insufficiente, vuoi perché nella filiera produttiva rilevano molto i differenziali di costo di produzione (fotovoltaico in Cina), vuoi perché il ritardo accumulato ha fatto sì che la leadership tecnologica venisse acquisita da altri Paesi (eolico in Germania). E’ quindi opportuno concentrare gli sforzi sulla ricerca e sullo sviluppo tecnologico di tecnologie meno mature, rispetto alle quali tuttora conserviamo leadership e competenze di prima fila, quali ad esempio il solare a concentrazione e la produzione di biocarburanti di seconda generazione;
- di favorire l’incentivazione di impianti rinnovabili che abbiano una sostenibilità economica intrinseca di medio lungo periodo: quindi basta ad impianti che si sostengono solo grazie a incentivi troppo generosi ed a meccanismi di rendita finanziaria che spesso portano con sé speculazioni, uso distorto del territorio, possibili ruoli non chiari della criminalità organizzata, anche a causa degli onerosi procedimenti autorizzativi. Ragionamenti analoghi possono farsi su impianti a terra nelle pianure, che spesso sottraggono per motivi speculativi risorse preziose all’agricoltura;
- di aprire una discussione su cosa va in bolletta e cosa va in tassazione generale (evidentemente situazione economica permettendo): voci come i regimi tariffari speciali per le ferrovie od altre di natura più generica andrebbero infatti spostate a carico del bilancio dello stato;
conseguentemente, di decidere chi paga e chi no in bolletta, individuando innanzitutto le priorità di politica industriale (settori energivori/di base, rilevanti per la competitività di sistema ed esposti a concorrenza internazionale), a cui concedere le agevolazioni, con una selezione di merito che consenta di superare quindi gli attuali criteri quantitativi;
- di chiedere ai produttori di energia rinnovabile di farsi carico degli oneri di bilanciamento del sistema, dotandosi (singolarmente o in forma associata) delle necessarie strutture di accumulo, così da fornire l'energia "piatta”, con continuità. Accumuli che se invece predisposti da Terna o Enel finirebbero necessariamente in bolletta, e quindi pagati ancora una volta prevalentemente da famiglie e PMI;
- di spingere sullo sviluppo della generazione distribuita ad alta efficienza (così da minimizzare i costi di produzione), individuando un nuovo paradigma di sistema elettrico che superi il modello di produzione accentrata ed i conseguenti costi in infrastrutture, consentendo progressivamente di ridurre i costi di trasporto,  dispacciamento e bilanciamento;
- di collegare la diffusione delle fonti rinnovabili con lo sviluppo delle reti, sia in senso quantitativo (oggi ci sono zone del Paese dove la rete di trasmissione non è in grado di ricevere e smistare l’energia prodotta dagli impianti rinnovabili, che peraltro viene pagata lo stesso..) che in senso qualitativo. L’energia da fonti rinnovabili dovrà essere gestita da reti “intelligenti” (le cd smart grid): ne sono la dimostrazione i costi di trasmissione e dispacciamento, quadruplicati (!!!!!) dal 2004 al 2012, vuoi per la remunerazione riconosciuta a Terna, vuoi perché le rinnovabili sono discontinue e aumentano gli oneri di bilanciamento del sistema;
- di accelerare gli investimenti di interconnessione con gli altri paesi europei, al fine di valorizzarne le peculiarità del mix produttivo e valorizzare appieno l’efficienza e la flessibilità del nostro parco di cicli combinati, che ben si presta a modulare le produzioni meno flessibili di altri paesi.

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