venerdì 2 settembre 2011

Pierpaolo Romani, le Mafie al Nord

Intervista a Pierpaolo Romani, coordinatore nazionale di Avviso Pubblico, a cura di Antonino Leone effettuata in occasione della Festa Democratica di Borgo Nuovo (Verona).

Un anno fa nella trasmissione televisiva “Vieni via con me” lo scrittore Saviano dichiarò: "Dove si sviluppa il più alto tasso d’investimenti criminali. Milano è la capitale degli affari ‘ndranghetisti. Non è roba da terroni. Al Nord le cosche parlano con la Lega, vogliono incontrare un consigliere leghista”. A queste affermazioni alcuni parlamentari leghisti sono intervenuti per contestare tali dichiarazioni e Saviano ha confermato quanto dichiarato senza indietreggiare di un solo passo. Per iniziare questo incontro ritengo necessario che gli ospiti rispondano chiaramente ad alcune domande ovvie e semplici. La Mafia ha dei limiti territoriali? Opera oltre i confini territoriali del Sud?
Le mafie sono delle organizzazioni criminali segrete che esistono in Italia da circa 150 anni. La prima organizzazione sorta è la camorra campana. Storicamente, le mafie sono nate nel Mezzogiorno d’Italia ma, dalla fine degli anni ’50, inizio anni ’60, sono presenti anche nel Nord Italia. Nel 1994, la Commissione parlamentare antimafia ha scritto che in Italia “non esistono” isole felici, vale a dire che non esistono territori immuni dalla presenza del crimine organizzato.

Molti ricordano che la Mafia opera nell’agricoltura, nell’edilizia e nei movimenti di terra in particolar modo nel settore delle opere pubbliche. Recenti pubblicazioni segnalano che la Mafia si è adattata e professionalizzata ed interviene nel mondo della finanza e dell’economia. Queste affermazioni sono vere? Quali sono le modalità che la mafia usa per essere presente nei gangli essenziali del paese? Secondo la Commissione parlamentare antimafia, il giro d’affari delle mafie italiane si può stimare intorno ai 150 miliardi di euro l’anno. La maggior parte di questo denaro viene realizzato attraverso il traffico internazionale di sostanze stupefacenti. Questa enorme ricchezza fa sì che le mafie non siano semplicemente dei gruppi criminali, ma delle vere e proprie holding economico-finanziarie. Secondo la Banca d’Italia, il riciclaggio del denaro sporco incide per il 10% sul PIL del nostro Paese. Questo significa che i mafiosi, in particolare nel centro-nord Italia e all’estero, investono molto denaro nel sistema economico legale, avvalendosi dei servizi che vengono loro offerti da stimati professionisti: commercialisti, avvocati d’affari, notai, imprenditori. Con un’espressione potremmo dire che la vera forza delle mafie sta fuori delle mafie, sta in quel pezzo di società che il Procuratore nazionale antimafia ha definito “borghesia mafiosa L’Italia vive una grave crisi economica e le imprese hanno bisogno di liquidità e di credito per sopravvivere e superare questo momento difficile. La mafia si insinua in queste situazioni di difficoltà per riciclare il denaro di illecita provenienza e per investire il proprio patrimonio? La mafia amministra in modo eccellente il proprio patrimonio? Certamente il momento di grave crisi economica che stiamo vivendo è una manna per i mafiosi che dispongono di molto denaro e in forma liquida. In Veneto, nell’aprile di quest’anno, l’indagine “Serpe” condotta dalla Dia di Padova e dalla DDA di Venezia ha scoperto che molte piccole e medie imprese del Nord-Est erano finite in un circuito usuraio gestito da un gruppo mafioso collegato al clan camorristico dei casalesi. A Roma, recentemente, si è scoperto che la ‘ndrangheta ha acquisto il Cafè de Paris in via Veneto e il Bar Chigi in Piazza Colonna, di fronte alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. I mafiosi prestano soldi non per far soldi, ma per impossessarsi delle proprietà. Al 1° luglio di quest’anno sono stati confiscati 11.552 beni immobili, di cui di cui 1427 aziende. Al primo posto per numero di beni confiscati resta sempre la Sicilia, con 5.113 beni. Seguono Campania (1.722), Calabria (1.640), Lombardia (971) e Puglia (964). In dati percentuali, la Sicilia detiene il 44,26% dei beni confiscati, seguita da Campania (14,91%), Calabria (14,20%),Lombardia (8,41%) e Puglia (8,34%). Le mafie per allargare i propri affari e renderli sempre più redditizi hanno bisogno di connivenze, di legami soffocanti e condizionanti con le istituzioni specificatamente con la classe politica che detiene il potere e con i colletti bianchi. Fino a che punto questo circolo vizioso è arrivato e come ci si può liberare da queste relazioni che inquinano le istituzioni e la società? Come Avviso Pubblico, da tempo sosteniamo che non può esistere la mafia senza rapporti con la politica, ma deve esistere una politica senza rapporti con la mafia. Gli obiettivi dei mafiosi sono quelli dell’arricchimento rapido e la ricerca dell’impunita. Ecco perché è importante il rapporto con i politici. Questi ultimi, a certi livelli, hanno il potere di fare (o non fare) le leggi e di bandire gli appalti. Il politico, quindi, è indispensabile. Si pensi a questo dato: dal 1991 al marzo del 2011 sono stati emessi ben 200 decreti di scioglimento di consigli comunali per infiltrazione mafiosa. L’ultimo comune italiano sciolto per mafia è stato Bordighera, in provincia di Imperia, nella scorsa primavera. Il rapporto mafia e politica non si può spezzare solo con l’intervento della magistratura. Occorre che i partiti non candidino persone che hanno avuto, hanno o possono avere problemi giudiziari. La Commissione parlamentare antimafia ha approvato un codice di autoregolamentazione dei partiti che, in buona parte, è stato disatteso. Anche i cittadini devono fare la loro parte. È fondamentale che essi votino e sostengano le persone perbene e, se se la sentono, che si mettano in gioco, candidandosi essi stessi. Nel Veneto ed a Verona vi sono stati alcuni avvenimenti che lasciano presupporre che le mafie si siano inserite anche in questo tessuto sociale. Quale è il livello di infiltrazione delle mafie nel Veneto e nella provincia di Verona? La Regione e gli enti locali come possono contrastare questo fenomeno criminale? Tra la metà degli anni ’70 e la metà degli anni ’90 del XX secolo in Veneto ha operato la “Mafia del Brenta”, creatura nata tra le province di Padova e Venezia grazie al contributo di mafiosi siciliani e campani che si trovavano in quei territori a causa della legge sul soggiorno obbligato. In Veneto, inoltre, sono presenti 81 beni immobili e 4 aziende confiscate a persone appartenenti al mondo della criminalità organizzata. Nella provincia di Verona i beni sono 25, di cui 1 azienda a Sanguinetto. A Zimella e a Gazzo Veronese, un mese fa, sono stati sequestrati beni per un valore di 3,5 milioni di euro ad un esponente della ‘ndrangheta calabrese. Gli ultimi dati sui sequestri di droga forniti dal Ministero dell’Interno pongono il Veneto al secondo posto delle regioni del Nord Italia, dopo la Lombardia. La Regione e gli enti locali possono fare molto per prevenire l’infiltrazione mafiosa. Come Avviso Pubblico organizziamo dei corsi di formazione per amministratori pubblici e funzionari della pubblica amministrazione per far conoscere le caratteristiche del fenomeno mafioso e per illustrare buone prassi che si possono adottare nel settore degli appalti, del contrasto all’usura e alla corruzione. La Regione può fare due cose importanti: approvare una legge specifica, come ha recentemente fatto l’Emilia Romagna, e dare vita ad un Osservatorio permanente che, collaborando con le forze dell’ordine e le istituzioni, contribuisca a monitorare il fenomeno, a pubblicare un rapporto annuale, a coinvolgere le scuole, le università, le associazioni, il mondo dell’imprenditoria, della finanza e degli enti locali.

1 commento:

marcodepa94 ha detto...

Secondo me, tutti coloro che minimizzano il problema della mafia sono responsabili della sua diffusione a macchia d'olio. Il problema diventa più grave se a negare sono i politici, come successe in passato con Letizia Moratti (sicura che la mafia non ci fosse a Milano) che fortunatamente non è stata rieletta! A questa purtroppo diffusa "disattenzione" si aggiunge la collusione di certi politici (come Cosentino o Dell'Utri) con la criminalità organizzata, vero fulcro delle attività mafiose ad alti livelli.