In questi ultimi giorni abbiamo letto le notizie riguardanti la ripresa economica dell’Italia, il sorpasso nei confronti dell’Inghilterra e la disoccupazione record degli USA.
Il sorpasso nei confronti dell’Inghilterra non tiene conto del tasso di cambio sterlina/euro e del tasso di svalutazione della sterlina.
Il confronto del PIL tra Italia e Regno Unito per essere significativo deve essere effettuato con i dati del Fondo Monetario Internazionale basati sulla parità dei poteri d’acquisto, depurando cosi gli effetti del tasso di cambio. Da un articolo di noiseFromAmerika emerge che l’Italia si trova posizionata dopo il Regno Unito.
La produzione industriale del 2009 dimostra che la crescita dell’Italia presenta dei dati negativi: - Primo trimestre -6%; Secondo trimestre -6%; Terzo trimestre -3,4%. I dati avvalorano che la produzione in Italia è in discesa e che dal terzo trimestre si prefigura una discesa rallentata.
I problemi dell’Italia non sono solo economici (produzione, esportazione, occupazione, competitività) ma derivano anche dalla spesa pubblica. Il rapporto deficit PIL dell’Italia è il seguente:
- 2008 = -2,73%;
- 2009 = -5,60%;
- 2010 = -5,63%.
Rispetto agli altri paesi europei il deficit dell’Italia aumenta superando di almeno il doppio il parametro richiesto dal trattato di Maastricht.
Inoltre, occorre considerare che l'economia italiana è caratterizzata da una bassa crescita e scarsa produttività.
Un’altra notizia preoccupante è quella dell’aumento della disoccupazione che raggiunge il 10,2% negli Stati Uniti nel momento in cui il PIL aumenta del 3,5%. Questo è un segnale allarmante in quanto la crescita economica potrebbe essere accompagnata da una base occupazionale più bassa rispetto al periodo anteriore alla crisi.
A questo punto occorre porsi per l’Italia le seguenti domande:
- L’equilibrio che si verrà a creare dopo l’uscita dalla crisi quale base occupazionale realizzerà?;
- Le imprese italiane soprattutto le PMI nel nuovo equilibrio che si verrà a creare saranno nelle condizioni di esprimere una competitività che consente loro di rimanere nel mercato globale?;
- La forbice tra ricchi e poveri si allargherà privilegiando i più ricchi ed estendendo la fascia dei poveri?
Gary Hamel in una intervista al Corriere della Sera del 26 ottobre afferma che le aziende “devono essere sempre più snelle ed efficienti, molto adattabili, capaci di cambiare anche il modello di business. Spesso ci vuole una crisi per cambiare, come è successo nella musica e come sta succedendo per editoria e banche. Ma bisognerebbe imparare ad adattarsi ai cambiamenti senza la pressione di una crisi, che è purtroppo costosa. L’innovazione è l’unico modo per crescere”.
Il Governo si è sempre rifiutato di varare delle riforme nel periodo di crisi al fine di aiutare le imprese ed i lavoratori ad affrontare con maggiori margini le difficoltà economiche.
Le imprese italiane, comprese le PMI, hanno innovato a sufficienza per affrontare il nuovo equilibrio che si verrà a creare dopo la crisi? Hanno inventato un modello di business adatto ai tempi?
Molte imprese e soprattutto le medie, piccole e micro imprese rischiano di uscire dal mercato a causa della diminuita domanda internazionale.
Tutte queste problematiche se non affrontate in tempo e con urgenza porteranno l’Italia ad uscire dalla crisi ma con un minor numero di imprese e con una base occupazionale meno ampia.
Ritengo che l’ottimismo di Berlusconi e di Tremonti è ininfluente sull’economia italiana e toglie attenzione ai problemi reali (competitività delle imprese italiane, base occupazionale, sostegno ai ceti più deboli).
Condivido le preoccupazioni di Epifani, il quale afferma che “la crisi non è ancora risolta, c’è una ripresa molto bassa ed i problemi della disoccupazione sono ancora irrisolti. Avendo tante piccolissime imprese e tanti artigiani è chiaro che una crisi cosi prolungata e un credito cosi difficile fa venir meno tante aziende e tanti lavoratori”.
Il sorpasso nei confronti dell’Inghilterra non tiene conto del tasso di cambio sterlina/euro e del tasso di svalutazione della sterlina.
Il confronto del PIL tra Italia e Regno Unito per essere significativo deve essere effettuato con i dati del Fondo Monetario Internazionale basati sulla parità dei poteri d’acquisto, depurando cosi gli effetti del tasso di cambio. Da un articolo di noiseFromAmerika emerge che l’Italia si trova posizionata dopo il Regno Unito.
La produzione industriale del 2009 dimostra che la crescita dell’Italia presenta dei dati negativi: - Primo trimestre -6%; Secondo trimestre -6%; Terzo trimestre -3,4%. I dati avvalorano che la produzione in Italia è in discesa e che dal terzo trimestre si prefigura una discesa rallentata.
I problemi dell’Italia non sono solo economici (produzione, esportazione, occupazione, competitività) ma derivano anche dalla spesa pubblica. Il rapporto deficit PIL dell’Italia è il seguente:
- 2008 = -2,73%;
- 2009 = -5,60%;
- 2010 = -5,63%.
Rispetto agli altri paesi europei il deficit dell’Italia aumenta superando di almeno il doppio il parametro richiesto dal trattato di Maastricht.
Inoltre, occorre considerare che l'economia italiana è caratterizzata da una bassa crescita e scarsa produttività.
Un’altra notizia preoccupante è quella dell’aumento della disoccupazione che raggiunge il 10,2% negli Stati Uniti nel momento in cui il PIL aumenta del 3,5%. Questo è un segnale allarmante in quanto la crescita economica potrebbe essere accompagnata da una base occupazionale più bassa rispetto al periodo anteriore alla crisi.
A questo punto occorre porsi per l’Italia le seguenti domande:
- L’equilibrio che si verrà a creare dopo l’uscita dalla crisi quale base occupazionale realizzerà?;
- Le imprese italiane soprattutto le PMI nel nuovo equilibrio che si verrà a creare saranno nelle condizioni di esprimere una competitività che consente loro di rimanere nel mercato globale?;
- La forbice tra ricchi e poveri si allargherà privilegiando i più ricchi ed estendendo la fascia dei poveri?
Gary Hamel in una intervista al Corriere della Sera del 26 ottobre afferma che le aziende “devono essere sempre più snelle ed efficienti, molto adattabili, capaci di cambiare anche il modello di business. Spesso ci vuole una crisi per cambiare, come è successo nella musica e come sta succedendo per editoria e banche. Ma bisognerebbe imparare ad adattarsi ai cambiamenti senza la pressione di una crisi, che è purtroppo costosa. L’innovazione è l’unico modo per crescere”.
Il Governo si è sempre rifiutato di varare delle riforme nel periodo di crisi al fine di aiutare le imprese ed i lavoratori ad affrontare con maggiori margini le difficoltà economiche.
Le imprese italiane, comprese le PMI, hanno innovato a sufficienza per affrontare il nuovo equilibrio che si verrà a creare dopo la crisi? Hanno inventato un modello di business adatto ai tempi?
Molte imprese e soprattutto le medie, piccole e micro imprese rischiano di uscire dal mercato a causa della diminuita domanda internazionale.
Tutte queste problematiche se non affrontate in tempo e con urgenza porteranno l’Italia ad uscire dalla crisi ma con un minor numero di imprese e con una base occupazionale meno ampia.
Ritengo che l’ottimismo di Berlusconi e di Tremonti è ininfluente sull’economia italiana e toglie attenzione ai problemi reali (competitività delle imprese italiane, base occupazionale, sostegno ai ceti più deboli).
Condivido le preoccupazioni di Epifani, il quale afferma che “la crisi non è ancora risolta, c’è una ripresa molto bassa ed i problemi della disoccupazione sono ancora irrisolti. Avendo tante piccolissime imprese e tanti artigiani è chiaro che una crisi cosi prolungata e un credito cosi difficile fa venir meno tante aziende e tanti lavoratori”.
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