domenica 25 novembre 2018

Martina: un partito dove si guida e non si comanda

Intervista a Maurizio Martina a cura di Goffredo De Marchis pubblicata su la Repubblica il 25 novembre 2018
«Le primarie devono essere il primo passo verso un nuovo soggetto politico. Per passare dal Partito democratico ai democratici. Al plurale». Vuol dire che questo sarà l’ultimo congresso del Pd? «O il primo di una nuova stagione». Maurizio Martina, segretario uscente, è il terzo tra i candidati più quotati a scendere in campo per la leadership. Dice che ha scelto di correre per tenere fede all’appello all’unità dell’ultima manifestazione di Piazza del Popolo, per trovare idee fresche per la sinistra, per realizzare una rottura generazionale che metta al centro giovani e donne. E «per non assistere a congresso referendum. E una candidatura di squadra, vogliamo uscire dalla logica di un confronto tra renziani e antirenziani. Altrimenti diventa una sfida tra tifoserie o peggio tra ultrà».
«Prima di tutto, direi, dobbiamo rispettare tutti i candidati e rifiutare il punto di partenza in cui c’è già un primo, un secondo, un terzo eccetera».
«Quello che intendo è che il congresso non deve diventare né un concorso di bellezza né un ring. Ciascuno metta in campo una proposta di partito che tenga conto della gravità del momento. La nostra corsa prova a rispondere a criteri di pluralità e unità».
E la differenza con Zingaretti e Minniti?
«Ce ne sono e si vedranno. Tutti possiamo mettere in campo grandi temi senza lacerarci. L’importante è non essere solo i anti o nostalgici. Dobbiamo guardare oltre le correnti e non fare un referendum, ripeto, perché sotto sotto aleggiano ipotesi di divisioni radicali. Non ce le possiamo permettere».
Il vicesegretario di Renzi, cioè lei, non è responsabile della batosta del 4 marzo quanto il segretario?
«Sento il peso di quel voto. Come lo sentono i gruppi dirigenti. Dopo il 4 marzo mi sono preso una responsabilità e voglio essere coerente con la mia ispirazione ad aprire ed unire che non nasce oggi. E di fronte alla sconfitta è doveroso mettersi in discussione con umiltà e tenacia. Controvento, cerchiamo di rompere le logiche correntizie».

Si ricorda quando disse: ripartiamo dai fischi ai funerali di Genova? La presero in giro.
«Invece era giusto. In questi mesi siamo andati in luoghi dove il Pd non si vedeva da tempo. Ripartire da dove è più forte la frattura con i cittadini è l’unica strada».
Renzi sarà il convitato di pietra delle primarie?
«Può contribuire con la sua personalità alla riuscita del congresso. In grande libertà, senza diventare un ossessione per nessuno».
I comitati civici che lanciati dall’ex segretario sono una buona iniziativa?
«Bisogna vedere se concorrono ad unire e allargare oppure no. Nel primo caso mi auguro che ci sia una condivisione con il Pd ».
Lei però propone di aprirsi alle esperienze di opposizione fuori dal Pd.
«Assolutamente sì. Penso anche che andranno rappresentate nelle nostre liste alle Europee. Da Torino alle mamme di Lodi, il Pd deve mettersi al servizio di tante energie che cercano un’alternativa alla destra. Come diceva Bobbio: attenti al pericolo di un popolo senza politica e di una politica senza popolo. Noi non bastiamo».
Il Pd ha le spalle abbastanza larghe da essere contaminato senza perdersi definitivamente?
«Se diventa un partito come pensiamo noi, credo di sì. Un partito dove si guida e non si comanda, dove c’è maggioranza e minoranza e non opposizione. Dove si parla di scuola, ecologia e lavoro e dell’enorme questione salariale. Dove si riparte dalla lotta alle diseguaglianze. Dove ci si infila nella frattura tra i ceti produttivi che sta creando questo governo. Eppoi, cambiando radicalmente al Sud. Chi si è messo in fila per il reddito di cittadinanza lo ha fatto anche perché si era stancato di mettersi in fila invano dove dovevano arrivare risposte che non sono arrivate».
C’è il rischio grave che alla fine ci possa essere uno scambio tra correnti, se nessuno prende il 51 per cento.
«Usciamo dalla logica della conta fine a se stessa. Noi ci muoviamo per evitare questi schemi e unire il Pd. Vogliamo proporre ai cittadini, a quelle centinaia di migliaia di persone che partecipano alle primarie una riorganizzazione delle idee e del pensiero della sinistra, oltre che della forma organizzativa. Così il congresso può diventare il primo passo per una vera costituente dei democratici e dei progressisti».
Zagrebelesky, nel suo articolo su Repubblica, immagina di poter arrivare alla disobbedienza civile contro la deriva gialloverde. Lei come se la immagina?
«Io la vedo già nelle manifestazioni di Torino o di Roma. E più allarghiamo il fronte di chi vuole reagire a questo esecutivo, meglio è. Saremo miti, ma non timidi. Lo spazio dell`alternativa è più grande di quello che vediamo».

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