mercoledì 6 maggio 2015

Il lavoro flessibile

Articolo di Klaus F. Zimmermann, direttore dell’Institute for the Study of Labor, pubblicato sul Corriere della Sera 4 maggio 2015
Molti sognano da tempo di essere meno incatenati al lavoro, e conciliare la propria attività con il tempo libero. Altri sognano di non dover più svolgere compiti monotoni, ripetitivi. Quel mondo non è mai stato così vicino ad avverarsi. Eppure oggi le domande sono: perderemo il lavoro? Oppure, ci sarà un lavoro per me in futuro? Queste preoccupazioni sono condivise da quasi tutti i Paesi, sviluppati ed emergenti. Attualmente, d’altronde, persino nell’industria manifatturiera cinese il focus è sull’impiego massiccio di robot industriali, anche a causa della massima dimensione raggiunta della forza lavoro cinese, a lungo oggetto delle preoccupazioni occidentali per il trasferimento delle mansioni di assemblaggio.
In tutto il mondo, i laureati - sia dei Paesi sviluppati sia in quelli emergenti - scoprono che il loro titolo accademico non basta a garantire un posto. I cosiddetti robot di servizio e l’informatizzazione inoltre si ripercuoteranno su una serie di professioni - dai piloti aeronautici e camionisti ai chirurghi e cuochi. I dati finora raccolti indicano una ricaduta occupazionale negativa per i lavoratori poco qualificati e per alcuni con qualifiche medie. Tuttavia, i ricercatori dell’università di Oxford prevedono che, entro 20 anni, tale impatto negativo potrebbe interessare metà delle professioni, incluse quelle considerate più qualificate. Per orientare le politiche, dovremo seguire questi sviluppi con attenzione.
Il cambiamento è sempre fastidioso e, per quanto la visione del futuro sia incerta, ne conosciamo le linee chiave. L’impiego a vita in azienda e persino i contratti formali di lavoro saranno più rari. Una maggiore «informalità» negli accordi di lavoro - a lungo considerata un fenomeno prevalente nei Paesi emergenti - sta prendendo piede anche nei Paesi avanzati, come fattore di omologazione globale. Per quanto riguarda i Paesi sviluppati, alcune società sono più preparate di altre a contare su se stesse - ad una realtà di assunzione del rischio da parte del singolo. In particolare, il modello sociale degli Stati Uniti ha sempre responsabilizzato il singolo per i rischi economici e finanziari legati alla sua esistenza. Questo significa che il cambiamento dello schema mentale sarà più difficile per gli europei, abituati a un modello in cui certi rischi vengono assunti dalla società più che dall’individuo. Ed è qui la chiave del dilemma: per molti aspetti, la «nuova economia» offre ciò che la gente ha chiesto: meno gerarchie, più flessibilità e maggiore orientamento ai risultati. Ma questo guadagno di flessibilità ha un prezzo. Il punto è fare in modo che questo «mondo nuovo» non conduca a un drastico trasferimento del rischio dalle aziende (e dal capitale) alla persona. In questo contesto, la migliore previsione che gli economisti del lavoro possono fare non è che ci sarà meno occupazione, bensì che il lavoro avrà forme diverse. Sono necessarie innovazioni importanti: elaborare nuove modalità di assicurazione e tutele per proteggere i trattamenti di fine rapporto dalle oscillazioni dei mercati finanziari.
Mentre emerge questo nuovo mondo del lavoro, possiamo osservarne l’intrinseca dialettica. Da una parte, gli smartphone ci aiutano a superare la separazione formale tra lavoro e «gioco», dall’altra, ci portiamo il lavoro a casa, quasi letteralmente, in tasca. Di conseguenza, il classico lavoro dalle 9 alle 5 sta velocemente scomparendo. Questo spostamento verso modelli di lavoro più flessibili implica anche nuove sfide. Il lavoro flessibile può essere troppo imprevedibile per programmare altri impegni, come gli appuntamenti medici difficili da ottenere, o per ritagliare qualche ora per svolgere altrove qualche altro lavoro.
Inoltre, questa flessibilità significa effettivamente che la linea di confine tra lavoro e tempo libero è sempre più labile, causando potenzialmente uno stress notevole. I lati positivi e negativi della trasformazione dei lavoratori e dei luoghi di lavoro dovrà essere quindi soppesata con attenzione e intelligenza. Dopo tutto, in passato, le economie mondiali hanno affrontato cambiamenti ben più grandi. Basta guardare al passato per ritrovare la grande agitazione collettiva - dalla letteratura alla filosofia, alla politica - sulle implicazioni sociali dell’avvento di una diffusa industrializzazione, meccanizzazione e elettrificazione. Le trasformazioni delle ere passate, come lo spostamento di milioni di persone dai campi alle città, furono sconvolgenti, ma ciò portò a un miglioramento delle condizioni di vita. I prossimi cambiamenti offriranno opportunità inimmaginabili. Per arrivare a quel punto, le economie emergenti dovranno continuare le loro trasformazioni, mentre le economie europee e nordamericane dovranno adattarsi a realtà diverse. La novità è che ora saremo coinvolti tutti insieme in questo riallineamento, indipendentemente da dove viviamo.

Nessun commento: