mercoledì 1 agosto 2012

Ermes Ponti: dalla bottega all’impresa di qualità

Intervista a Paolo Ponti a cura di Antonino Leone in corso di pubblicazione su Sistemi e Impresa settembre 2012
 Dietro il successo di un’impresa vi è quasi sempre la storia, i sacrifici e la visione innovativa delle persone che hanno saputo immaginare e costruire il futuro.
I momenti più difficili di un’impresa familiare sono il passaggio generazionale in quanto i successori devono farsi carico del patrimonio di conoscenze che l’impresa rappresenta e coniugarlo alla domanda ed alle esigenze del mercato.
In Ermes Ponti il passaggio generazionale, da Walter a Paolo Ponti, è avvenuto in un continuo, superando gli ostacoli ed i problemi che senz’altro si sono presentati.  
L’avventura della famiglia Ponti inizia nel 1937 quando Walter apre, insieme ad un fratello, un laboratorio di falegnameria.
Più tardi Walter continua ad impegnarsi nel settore con un proprio laboratorio ed investe nell’acquisto di macchinari. L’azienda si consolida e produce mobili che “avevano un certo stile e gusto moderno che li differenziava dall’offerta allora disponibile”.
Nel 1957 avviene una grande innovazione: “Walter fu contattato da un rappresentante di poliestere, allora utilizzato per impermeabilizzare auto e barche. Secondo il rappresentante se appositamente modificato, poteva essere utilizzato anche per i mobili. Seguirono alcuni mesi di sperimentazione, durante i quali Walter ne migliorò l’affidabilità, trasformandolo prima in vernice e poi in prodotto industriale”.
L’azienda presentò tale prodotto innovativo alla Fiera Campionaria di Milano e venne conosciuta anche fuori dell’ambito territoriale di Mantova. 
Alla fine degli anni ’60 Ermes succede al padre Walter e realizza una produttiva collaborazione con
Gio Ponti, famoso designer e architetto milanese, che consente di introdurre nell’impresa  l’importanza del progetto, del design, dell’innovazione non solo nel fare, ma anche nel pensare il prodotto”.
Si arriva così a Paolo Ponti, architetto, che decide di impegnarsi nell’azienda di famiglia. Da questo momento in poi nell’azienda vengono introdotte le best practice manageriali.


Paolo Ponti, come qualsiasi azienda di successo, ha dovuto ridisegnare i fattori essenziali dell’organizzazione dell’impresa: adattamento continuo all’incessante cambiamento del pianeta; leadership cooperativa; organizzazione snella e veloce; strategia con obiettivi chiari e tempi certi; metodo di lavoro e processi di produzione di qualità;  l’uso delle energie e delle risorse in direzione del cambiamento e non della difesa dello status quo.
Per capirne di più ne parliamo direttamente con l’architetto Paolo Ponti.
Quali sono state le motivazioni che l’hanno indotta ad entrare nell’azienda di famiglia e le condizioni che eventualmente ha posto per effettuare tale scelta?
La motivazione principale è stata la responsabilità che ho sentito nei confronti della gente che lavorava in azienda; una trentina di famiglie, quasi tutte del territorio, da San Biagio a San Benedetto Po, nella bassa mantovana; ci sono dei maestri falegnami che lavorano qui da quando avevano quattordici anni; molti vengono a lavorare in bici, abitano qui in paese, sono famiglie monoreddito.
Sono artigiani molto bravi che hanno ancora dieci quindici anni di lavoro e possono formare una nuova generazione di falegnami -come li intendo io- “falegnami evoluti”; una figura che sa coniugare la migliore tradizione artigianale italiana con le tecnologie d’avanguardia in questo settore.
Quale era la sua visione iniziale da introdurre nell’azienda?
La mia visione è quella della grande famiglia o della piccola cellula sociale; un micro mondo felice dove le persone lavorano per crescere; non solo per portare a casa lo stipendio o andare in pensione prima possibile, ma per realizzarsi professionalmente e relazionarsi umanamente in modo positivo. In questo senso ho pensato alla figura del “falegname evoluto”, non più come operaio con un ruolo puramente esecutivo, ma come artigiano consapevole e responsabile della qualità eccellente del suo lavoro,  che partecipa della progettazione esecutiva degli arredi che costruisce e poi va ad installare nelle città di tutto il mondo.
Quali cambiamenti ha introdotto nell’azienda?
Fin dal mio primo ingresso in azienda ho cercato di creare un’organizzazione del lavoro flessibile che ci consentisse di essere più performanti rispetto alle richieste del mercato.
Per ottenere questo risultato ho cercato di unificare il processo progettuale e quello produttivo, massimizzando la qualità del progetto e del prodotto e minimizzando i tempi e i relativi costi; i risultati in questi ultimi anni sono stati davvero incoraggianti; per i nostri clienti ancor più che per noi: questo è il motivo della evidente fidelizzazione della nostra clientela che si evince anche semplicemente leggendo le referenze degli ultimi anni.
Considerata la crisi economica che mette in evidenza i problemi di sopravvivenza delle imprese, la sua impresa quali fattori utilizza per superare tali difficoltà? 
La crisi attuale è stata per noi quasi una benedizione; è la crisi che ci ha fatto cambiare, cercare nuovi esigenti clienti, e gli strumenti progettuali, organizzativi e produttivi per soddisfare le loro esigenze.
Più che a una crisi passeggera credo che ci troviamo di fronte ad un cambiamento epocale; nel nostro piccolo noi cerchiamo tutti i giorni di offrire un servizio-prodotto di qualità eccellente ad un prezzo competitivo.
Ci ispiriamo ogni giorno agli studi che abbiamo fatto del rinascimento italiano e ai metodi straordinari con i quali funzionavano le nostre botteghe rinascimentali; l’amore per il proprio lavoro portato all’eccellenza fino a far sconfinare l’artigianalità in arte questo dobbiamo riscoprire come sostengono da anni quelli dell’associazione The Renaissance Link, alla quale abbiamo aderito un anno e mezzo fa per la straordinaria affinità che ci lega ai punti fondamentali del loro manifesto; consiglio a tutti di leggerli nel sito e nei saggi introduttivi ai libri che hanno prodotto raccogliendo 20 positive esperienze di aziende italiane oggi, tra le quali  anche la nostra.
Come viene attuata la ricerca e l’innovazione  di prodotto nella sua impresa al fine di mantenere un livello di competitività accettabile?
Noi progettiamo e produciamo tutti i giorni commesse custom-made; ogni progetto è una ricerca e ogni realizzazione è un’innovazione in qualche suo aspetto: non esiste soluzione di continuità tra progetto, prodotto e ricerca.
Spesso la competitività è una delle “condizioni al contorno” da rispettare per risolvere l’equazione di uno specifico progetto.
Quali sono le competenze distintive della sua impresa molto apprezzate dal mercato?
La competenza che ci distingue sul mercato è l’unificazione delle competenze progettuali e architettoniche e di quelle esecutivo-produttive con una gestione del cantiere totalmente integrata. Abbiamo unito teoria e pratica, come diceva il Vasari. Un unico referente, competente e responsabile di tutto.
La dispendiosità del nostro sistema contract tradizionale sta oggi proprio nella separazione netta tra competenze progettuali e competenze pratiche; questo crea dei “mostri” di inefficienza  che il mercato - fortunatamente-   fa sempre più fatica ad accettare e, dispendiosamente,   finanziare.
Che tipo di leadership esercita nell’impresa e quali sono i rapporti con il personale per conseguire gli obiettivi programmati ed un prodotto di qualità?
Io non mi sento un leader, ma un padre di famiglia; i rapporti con la mia gente sono rapporti di lunghissima data costruiti con una lunga esperienza lavorativa fianco a fianco; a otto anni, dopo la scuola, andavo a lavorare in bottega e ancora oggi, in installazione, mi tolgo la giacca e lavoro con loro.
Sono io che decido in azienda ma li ascolto tutti, uno per uno; idee, obiettivi, problemi.
Un giorno qualcuno mi disse che un vero imprenditore sa ascoltare tutti e decidere, responsabilmente,  da solo.
Considerato che la sua impresa compete a livello internazionale, le chiedo cosa pensa della globalizzazione e quali sono i fattori che utilizza nella competizione globale?
Come dicevo condivido sinceramente l’ottimismo realistico con il quale tanti studiosi – primo fra tutti Francesco Morace che ha un blog su nova 24-  vedono il futuro del Made in Italy.
Nonostante gli sprechi e la cattiva gestione endemica dei nostri governi, in Italia abbiamo un patrimonio culturale, ambientale, industriale invidiabile che se fosse meglio gestito o meno ostacolato, ci potrebbe far diventare in poco tempo leader mondiali in tanti campi…
I motivi che hanno reso possibile l’internazionalizzazione della ermesponti, come di molte altre piccole grandi aziende del Made in Italy, sono essenzialmente due; l’eccellenza della qualità prodotto/servizio offerto e la competitività del relativo costo, comparato con quello prodotti più scadenti.
Credo che la globalizzazione sia una sfida da vincere con le armi delle nostre piccole grandi imprese affilate dalla nostra millenaria cultura, dal nostro innato senso del bello e del benfatto, dal nostro inestimabile know-how produttivo sia artigianale che industriale.
Ovunque nel mondo i clienti chiedono la stessa cosa: la qualità più alta ad un prezzo competitivo.
Credo che questo amore per l’eccellenza ad un prezzo adeguato e contenuto sia la strada dell’italian way; non tutti potremo comprare una Ferrari, ma un Illy caffè…

La foto del post è di Martino Lombezzi, Contrasto, Milano.

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