I comuni sono impegnati ad allinearsi entro breve termine ai principi del D. Lgs. 150/2009 attraverso l’adeguamento del proprio regolamento degli uffici e dei servizi. Tale adeguamento rappresenta solo la prima fase perché dopo occorre attuare il ciclo della performance, il sistema di misurazione delle performance organizzativa e individuale ed altri strumenti manageriali importanti per avviare il cambiamento nei comuni.
Su queste problematiche abbiamo posto delle domande a Pietro Micheli, docente di politiche pubbliche ed ex membro della CiVIT.
Dopo l’approvazione del D. Lgs. n. 150/2009 si parla in Italia di Performance Management e di misurazione e valutazione della performance. Può chiarire tali concetti in relazione alla riforma delle PA?
L’espressione performance management si riferisce alla realizzazione di strategie e politiche (policy) attraverso l’utilizzo di sistemi di misurazione e valutazione, e alla coerenza tra tali strategie e le azioni intraprese dalle organizzazioni. In grande sintesi: Strategie e politiche à sistema di misurazione à azioni e risultati.
In questo senso, performance management e’ un concetto ampio che racchiude al suo interno i sistemi di misurazione e valutazione della performance, a livello sia organizzativo che individuale.
L’impostazione data nel decreto è, giustamente, quella di legare vari elementi in modo tale da generare cicli di miglioramento: il piano strategico (“piano della performance”), la misurazione, la valutazione e la reportistica. Molto importante è anche la connessione tra questi elementi e la trasparenza che deve essere assicurata dagli enti, cioè l’intelligibilità’ e l’accessibilità’ dei vari documenti, primo fra tutti il piano della performance.
Gli enti locali sono chiamati a realizzare il ciclo di gestione della performance. Quali sono i benefici per gli enti ed i contenuti che le disposizioni stabiliscono?
Legando strategia, misurazione, valutazione e reportistica si possono ottenere miglioramenti sostanziali sia a livello di efficienza che di efficacia e qualità dei servizi. Se vi è chiarezza in relazione agli obiettivi chiave dell’ente, sarà più facile indirizzare le azioni e i comportamenti dei dipendenti; se vi sono dati in relazione ai processi seguiti e ai risultati raggiunti, sarà possibile intraprendere azioni di miglioramento, ad esempio semplificando alcune procedure, coinvolgendo diversi stakeholder o introducendo innovazioni tecnologiche.
Il ciclo di gestione della performance su quali strumenti poggia al fine di essere realizzato in modo sostanziale?
Gli strumenti gestionali chiave sono: il piano della performance, il sistema di misurazione delle performance organizzative, il sistema di valutazione del personale e la relazione della performance. E’ importante sottolineare come questi strumenti, soprattutto i primi tre devono essere concepiti in sequenza, cioè non ha senso valutare i dipendenti se non si sa cosa fa l’organizzazione, né come sta andando, e non ha senso misurare le performance organizzative, se non si sa quali obiettivi si stanno perseguendo.
Ritiene che gli strumenti di pianificazione degli enti locali subiscono dei cambiamenti con l’introduzione del ciclo della performance e dei relativi strumenti?
Perché un vero ciclo di miglioramento possa entrare in azione, gli strumenti di pianificazione degli enti devono cambiare. Altrimenti si introduce l’ennesimo strumento gestionale (con relativi corposi documenti) che crea solo burocrazia e perdite di tempo. Per questo, quando ero commissario Civit ho lavorato con vari Comuni e con l’Anci per pensare a come adattare PEG e RPP, o come introdurre degli strumenti ex-novo (ad es., il piano della performance). Il punto fondamentale è che gli enti hanno bisogno di uno strumento di pianificazione con orizzonte pluriennale, che coniughi e specifichi priorità politiche e amministrative, e il cui contenuto sia poi valutabile. Al momento gli strumenti utilizzati dagli enti locali sono spesso troppo disgiunti in quanto rispondono a logiche diverse e sono redatti e gestiti da persone differenti.
L’Organismo indipendente di valutazione pur non essendo obbligatorio per gli enti locali può rappresentare un elemento strategico per il cambiamento degli enti territoriali?
L’idea di avere un organismo indipendente deriva dalle esperienze accumulate negli ultimi cinquant’anni nei paesi nord-europei e anglosassoni. In alcuni casi si sono costituiti dei nuclei indipendenti a livello locale, in altri si e’ creato un ente indipendente a livello centrale, in altri ancora sono stati introdotti entrambi. Tipicamente questi organismi svolgono funzioni di performance audit e value for money audit (cioè valutano quanto e’ stato fatto e se gli obiettivi sono stati raggiunti) e di accompagnamento, dato che gli enti spesso non hanno le risorse e/o le capacità per affrontare in modo efficace le sfide che il performance management presenta. Questo è chiaramente il caso italiano e quindi reputo fondamentale che siano costituiti OIV (anche consociando vari enti), purché siano composti da persone competenti e capaci di esprimere critiche sostanziate e costruttive verso l’operato dell’ente.
Alcuni studiosi affermano che la previsione dettagliata del modello organizzativo e uguale per tutte le PA, prevista nel D. Lgs. n. 150/2009, può rappresentare un limite al cambiamento che potrà essere realizzato soltanto da una minoranza di enti più maturi dal punto di vista organizzativo e manageriale mentre gli altri possono ricorrere a comportamenti opportunistici e di free riding. Non si rischia di rimanere fermi dal punto di vista legislativo ad un modello organizzativo che senz’altro può essere superato dal tempo?
Capisco bene la sua domanda, ma in realtà il decreto lascia spazio all’introduzione di modelli e approcci molto diversi tra loro. Nella delibera Civit 89, infatti, avevamo proposto una panoramica di possibili alternative, rifuggendo dall’idea che ci possa essere un modello preconfezionato e identico per tutte le amministrazioni – una mostruosità da un punto di vista gestionale! Ad esempio, alcuni enti potrebbero iniziare introducendo alcuni indicatori comuni ad enti comparabili e, contemporaneamente, introdurre alcuni indicatori “locali” sviluppati in collaborazione con i cittadini e gli stakeholder principali. Altri enti, più avanzati, potrebbero creare sistemi più complessi in cui unire autovalutazione, confronto con altri enti e indicatori di natura strategica.
Se lei fosse un amministratore di un comune quali strumenti adotterebbe per migliorare la performance dei servizi pubblici?
Innanzitutto punterei alla realizzazione del piano della performance in collaborazione col vertice politico e, il più possibile, con gli stakeholder chiave (cittadini, sindacati, imprese, ecc.). In questa fase iniziale e’ fondamentale la costituzione dell’OIV, visto che sarà chiamato ad accompagnare e valutare criticamente e in modo propositivo l’operato dell’ente.
Una volta identificati gli obiettivi principali (sia di breve-medio periodo, che di impatto nel medio-lungo termine), procederei allo sviluppo di indicatori che nel tempo mi spieghino come sto andando e quali risultati ho raggiunto. Sia gli obiettivi che gli indicatori devono essere di numero contenuto, altrimenti finirei per soffocare l’ente. Inoltre, tutti questi piani e sistemi sono sempre migliorabili e devono essere rivisti nel tempo; per questo inizierei gradualmente, senza introdurre strumenti fantasmagorici che nessuno saprebbe come utilizzare. Dopo varie iterazioni, cioè in presenza di un piano condiviso e ben strutturato e di sistema di indicatori robusto, inizierei a legare la misurazione alla valutazione individuale.
L’importante è di essere chiari sulla filosofia di fondo: non si arriva mai, ma si può far sempre meglio.
Quali indicatori consiglia di introdurre inizialmente? Ne può indicare qualcuno per i grandi comuni e per i piccoli comuni?
Non ci sono degli indicatori specifici che si possono proporre, visto che per un’utile misurazione della performance è indispensabile conoscere il contesto. In ogni caso, raccomanderei di iniziare introducendo pochi indicatori (soprattutto nei piccoli comuni) che siano il più possibile rilevanti per gli utenti dei servizi e che quindi esprimano aspetti relativi ad accessibilità, tempestività e qualità dei servizi. Mi terrei invece il più lontano possibile da indicatori “binari” (il documento annuale è stato redatto? sì / no) o di semplice attività (numero di pratiche evase, numero di km percorsi ecc.).
L’impostazione data nel decreto è, giustamente, quella di legare vari elementi in modo tale da generare cicli di miglioramento: il piano strategico (“piano della performance”), la misurazione, la valutazione e la reportistica. Molto importante è anche la connessione tra questi elementi e la trasparenza che deve essere assicurata dagli enti, cioè l’intelligibilità’ e l’accessibilità’ dei vari documenti, primo fra tutti il piano della performance.
Gli enti locali sono chiamati a realizzare il ciclo di gestione della performance. Quali sono i benefici per gli enti ed i contenuti che le disposizioni stabiliscono?
Legando strategia, misurazione, valutazione e reportistica si possono ottenere miglioramenti sostanziali sia a livello di efficienza che di efficacia e qualità dei servizi. Se vi è chiarezza in relazione agli obiettivi chiave dell’ente, sarà più facile indirizzare le azioni e i comportamenti dei dipendenti; se vi sono dati in relazione ai processi seguiti e ai risultati raggiunti, sarà possibile intraprendere azioni di miglioramento, ad esempio semplificando alcune procedure, coinvolgendo diversi stakeholder o introducendo innovazioni tecnologiche.
Il ciclo di gestione della performance su quali strumenti poggia al fine di essere realizzato in modo sostanziale?
Gli strumenti gestionali chiave sono: il piano della performance, il sistema di misurazione delle performance organizzative, il sistema di valutazione del personale e la relazione della performance. E’ importante sottolineare come questi strumenti, soprattutto i primi tre devono essere concepiti in sequenza, cioè non ha senso valutare i dipendenti se non si sa cosa fa l’organizzazione, né come sta andando, e non ha senso misurare le performance organizzative, se non si sa quali obiettivi si stanno perseguendo.
Ritiene che gli strumenti di pianificazione degli enti locali subiscono dei cambiamenti con l’introduzione del ciclo della performance e dei relativi strumenti?
Perché un vero ciclo di miglioramento possa entrare in azione, gli strumenti di pianificazione degli enti devono cambiare. Altrimenti si introduce l’ennesimo strumento gestionale (con relativi corposi documenti) che crea solo burocrazia e perdite di tempo. Per questo, quando ero commissario Civit ho lavorato con vari Comuni e con l’Anci per pensare a come adattare PEG e RPP, o come introdurre degli strumenti ex-novo (ad es., il piano della performance). Il punto fondamentale è che gli enti hanno bisogno di uno strumento di pianificazione con orizzonte pluriennale, che coniughi e specifichi priorità politiche e amministrative, e il cui contenuto sia poi valutabile. Al momento gli strumenti utilizzati dagli enti locali sono spesso troppo disgiunti in quanto rispondono a logiche diverse e sono redatti e gestiti da persone differenti.
L’Organismo indipendente di valutazione pur non essendo obbligatorio per gli enti locali può rappresentare un elemento strategico per il cambiamento degli enti territoriali?
L’idea di avere un organismo indipendente deriva dalle esperienze accumulate negli ultimi cinquant’anni nei paesi nord-europei e anglosassoni. In alcuni casi si sono costituiti dei nuclei indipendenti a livello locale, in altri si e’ creato un ente indipendente a livello centrale, in altri ancora sono stati introdotti entrambi. Tipicamente questi organismi svolgono funzioni di performance audit e value for money audit (cioè valutano quanto e’ stato fatto e se gli obiettivi sono stati raggiunti) e di accompagnamento, dato che gli enti spesso non hanno le risorse e/o le capacità per affrontare in modo efficace le sfide che il performance management presenta. Questo è chiaramente il caso italiano e quindi reputo fondamentale che siano costituiti OIV (anche consociando vari enti), purché siano composti da persone competenti e capaci di esprimere critiche sostanziate e costruttive verso l’operato dell’ente.
Alcuni studiosi affermano che la previsione dettagliata del modello organizzativo e uguale per tutte le PA, prevista nel D. Lgs. n. 150/2009, può rappresentare un limite al cambiamento che potrà essere realizzato soltanto da una minoranza di enti più maturi dal punto di vista organizzativo e manageriale mentre gli altri possono ricorrere a comportamenti opportunistici e di free riding. Non si rischia di rimanere fermi dal punto di vista legislativo ad un modello organizzativo che senz’altro può essere superato dal tempo?
Capisco bene la sua domanda, ma in realtà il decreto lascia spazio all’introduzione di modelli e approcci molto diversi tra loro. Nella delibera Civit 89, infatti, avevamo proposto una panoramica di possibili alternative, rifuggendo dall’idea che ci possa essere un modello preconfezionato e identico per tutte le amministrazioni – una mostruosità da un punto di vista gestionale! Ad esempio, alcuni enti potrebbero iniziare introducendo alcuni indicatori comuni ad enti comparabili e, contemporaneamente, introdurre alcuni indicatori “locali” sviluppati in collaborazione con i cittadini e gli stakeholder principali. Altri enti, più avanzati, potrebbero creare sistemi più complessi in cui unire autovalutazione, confronto con altri enti e indicatori di natura strategica.
Se lei fosse un amministratore di un comune quali strumenti adotterebbe per migliorare la performance dei servizi pubblici?
Innanzitutto punterei alla realizzazione del piano della performance in collaborazione col vertice politico e, il più possibile, con gli stakeholder chiave (cittadini, sindacati, imprese, ecc.). In questa fase iniziale e’ fondamentale la costituzione dell’OIV, visto che sarà chiamato ad accompagnare e valutare criticamente e in modo propositivo l’operato dell’ente.
Una volta identificati gli obiettivi principali (sia di breve-medio periodo, che di impatto nel medio-lungo termine), procederei allo sviluppo di indicatori che nel tempo mi spieghino come sto andando e quali risultati ho raggiunto. Sia gli obiettivi che gli indicatori devono essere di numero contenuto, altrimenti finirei per soffocare l’ente. Inoltre, tutti questi piani e sistemi sono sempre migliorabili e devono essere rivisti nel tempo; per questo inizierei gradualmente, senza introdurre strumenti fantasmagorici che nessuno saprebbe come utilizzare. Dopo varie iterazioni, cioè in presenza di un piano condiviso e ben strutturato e di sistema di indicatori robusto, inizierei a legare la misurazione alla valutazione individuale.
L’importante è di essere chiari sulla filosofia di fondo: non si arriva mai, ma si può far sempre meglio.
Quali indicatori consiglia di introdurre inizialmente? Ne può indicare qualcuno per i grandi comuni e per i piccoli comuni?
Non ci sono degli indicatori specifici che si possono proporre, visto che per un’utile misurazione della performance è indispensabile conoscere il contesto. In ogni caso, raccomanderei di iniziare introducendo pochi indicatori (soprattutto nei piccoli comuni) che siano il più possibile rilevanti per gli utenti dei servizi e che quindi esprimano aspetti relativi ad accessibilità, tempestività e qualità dei servizi. Mi terrei invece il più lontano possibile da indicatori “binari” (il documento annuale è stato redatto? sì / no) o di semplice attività (numero di pratiche evase, numero di km percorsi ecc.).
1 commento:
Che il prof. Micheli sia più utile fuori dalla Commissione Civit? Cogliamo per quanto possibile questa opportunità e vediamo anche con la sua collaborazione di utilizzare quanto c'è di virtuoso nel decreto 150, auspicando e operando per cancellarne le norme controproducenti (soprattutto quelle punitive nei confronti del personale).
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