mercoledì 27 aprile 2011

Provincia di Verona: contratto con il sindacato

Il Tribunale di Verona, giudice dott.ssa Cristina Angeletti, ha accolto il ricorso presentato da CGIL, CISL e UIL contro la Provincia di Verona, dichiarando illegittima la delibera n. 240 del 9 novembre 2010 tramite la quale la Giunta aveva adottato unilateralmente il contratto decentrato 2009 – 2010, senza la sottoscrizione del sindacato.
Nella sentenza si legge che “l’ente territoriale può senza dubbio adottare i provvedimenti urgenti e provvisori per colmare il vuoto generato dall’assenza di accordo fra le parti collettive; è, tuttavia, antisindacale, recepire quale accordo decentrato, una proposta contrattuale non accettata, poiché in tale modo è violato chiaramente l’art. 65 del D. Lgs. citato, nella parte in cui concede tempo fino al 31/12/2012 per concludere i nuovi contratti integrativi e, simbolicamente, è svilito il ruolo e la forza contrattuale del sindacato”. E ancora “accerta e dichiara l’antisindacalità della delibera 240/2010, limitatamente al punto 3 della sua parte dispositiva …….
Su questo problema Vincenzo D’Arienzo, segretario provinciale del PD, ha dichiarato che “con quel contratto, le destre: riducevano le indennità, gli incentivi e i premi di produttività; non rispettavano l’accordo triennale 2007/2009 coinvolgente quasi 400 dipendenti che nel corso dell’anno maturavano i requisiti per accedere alla progressione; intendevano sopprimere l’indennità di rischio per numerosi dipendenti, ridurre l’indennità di disagio e tagliare i salari accessori alle posizioni più basse, ma soprattutto avevano tentato di escludere i sindacati dalle trattative. Un’arroganza politica senza precedenti.
I sindacati CGIL, CISL e UIL, forti della sentenza che dichiara illegittima la decisione della Giunta, chiedono al Presidente e alla Giunta:
- “di prendere atto del fallimento della linea imposta dai dirigenti al tavolo negoziale, che ha comportato la rottura delle relazioni sindacali e posto l’Amministrazione contro il personale, sprecando inutilmente tempo risorse e denaro pubblico;
- di adottare le misure necessarie per la riapertura immediata del tavolo negoziale, nel pieno riconoscimento del ruolo del sindacato garantendo pari dignità delle parti al tavolo trattante, per discutere tutti gli istituti contrattuali, comprese le progressioni orizzontali che, sebbene il giudice non abbia rilevato in tale ambito un comportamento antisindacale della Provincia, ha comunque espresso di “non condividere la posizione della stessa nella parte in cui qualifica i “presunti” impegni come inesistenti e non vincolanti”.
Da questa vicenda esce sconfitta la Giunta Provinciale per aver adottato delle decisioni contrarie alla contrattazione sindacale e per aver assunto una posizione politica, al di là delle interpretazioni giuridiche, senza tentennamenti orientata a far fuori dalla contrattazione le organizzazioni sindacali. Questa posizione sostenuta da Luigi Olivieri, dirigente della Provincia, in un articolo, smentito lo stesso giorno da una sentenza del Tribunale di Torino, è stata fatta propria dalla Giunta senza riflettere sulle conseguenze sociali e politiche che simile decisione avrebbe comportato.
Nella Provincia nella fase attuale sembra che prevalgono le posizioni della burocrazia, tutto diritto e niente sensibilità sociale, e non le posizioni politiche di una Giunta all’altezza dei problemi e dotata di senso politico e sociale e capace di prevedere le eventuali conseguenze nei confronti dei dipendenti dell’Ente.
La provincia non ha ancora adeguato l’ordinamento provinciale ai principi al Titolo III Merito e Premi del D. Lgs. n. 150/2009 ed ha escluso dall’attuazione del Decreto il piano della performance e l’Organismo indipendente di valutazione. Un altro errore sostenuto dalla burocrazia provinciale che non si rende conto che la Provincia ha bisogno di cambiamenti per mantenere o migliorare la propria posizione strategica. Tra i motivi che hanno indotto la Giunta ad optare per il Nucleo di valutazione si riscontra il mantenimento nell’organismo del segretario/direttore generale, il quale per motivi di incompatibilità, stabiliti dalla CiVIT, non potrebbe essere nominato nell’Organismo di valutazione indipendente.
Il Presidente della Provincia dichiara che la riapertura della trattativa dipende dalla decisione della commissione indipendente. Se Miozzi si riferisce al Nucleo di valutazione sbaglia in quanto tale organismo non è per niente indipendente. Indipendente ed imparziale è l'Organismo indipendente di valutazione previsto dal D. Lgs. n. 150/2009 che la Giunta non ha voluto istituire.
Se la Giunta continuerà ad appiattirsi strumentalmente sulle posizioni ossequiose della burocrazia collezionerà errori come quello della delibera n. 240/2010.
Ma è così difficile per la Giunta assumere posizioni autonome dalla burocrazia nell’attuazione del D. Lgs. n. 150/2009?
Il problema è che l’Amministrazione Provinciale e la burocrazia provinciale hanno le medesime posizioni: la Giunta stabilisce la linea “tagli dei costi della contrattazione” e la burocrazia di riflesso si adegua a sostenere tesi poi smentite dal giudice.
Occorre che l’Amministrazione Provinciale faccia una seria valutazione tra i giuristi ed il management in quanto molto spesso i primi, non possedendo capacità e conoscenze organizzative, assumono posizioni in netto contrasto con il miglioramento della performance della Provincia e nel caso specifico contrarie alla legge.

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martedì 26 aprile 2011

Gli investimenti esteri bloccati dal protezionismo

Intervento del senatore Pietro Ichino al Senato durante la sessione antimeridiana del 20 aprile 2011, nel corso dell’esame dell’articolo 7 del decreto-legge 31 marzo 2011 n. 34 (c.d. “decreto Omnibus”) – In argomento v. anche la relazione introduttiva svolta a Ferrara il 5 novembre 2010 e il saggio del 2007 Che cosa impedisce ai lavoratori di scegliersi l’imprenditore - Inoltre l’intervento del Presidente di Assonime Stefano Micossi del 13 e 14 aprile 2011, prossimamente on line su questo sito.
Signor Presidente, l’articolo 7 di questo decreto-legge è, in ordine di tempo, l’ultimo capitolo di una storia troppo lunga, che deve finire: quella di un’Italia che, quando le imprese straniere si propongono di investire i loro capitali in aziende italiane, alza le barricate per impedirlo.
Abbiamo visto questa storia – e mi limito all’ultimo decennio – quando le barricate venivano alzate contro la olandese Abn Amro che intendeva investire sulla Banca Antonveneta: e allora abbiamo visto mobilitarsi per disporre i cavalli di Frisia addirittura la Banca d’Italia del Governatore Fazio, con le sue truppe guidate da Giampiero Fiorani. Qui il resto del postMa era ancora la stessa storia quando la statunitense AT&T osò attentare all’italianità di Telecom Italia; o quando la spagnola Abertis osò fare altrettanto con Autostrade. Lo stesso è accaduto, anche se in modo meno aperto, in difesa della pochissimo prestigiosa italianità delle nostre Ferrovie e delle nostre Poste. E ultimamente la stessa storia si è ripetuta quando si è trattato di respingere Air France-KLM che intendeva rilevare Alitalia e si presentava con un assegno da un miliardo, più la disponibilità ad accollarsi i debiti della nostra Compagnia di bandiera per un altro miliardo e mezzo: abbiamo preferito rinunciare a quei due miliardi e mezzo e metterci di tasca nostra un altro miliardo o giù di lì, fra prestiti senza ritorno per tenere in vita l’azienda con la respirazione bocca a bocca e Cassa integrazione settennale per i dipendenti non assorbiti nella nuova impresa. Oltre a mettere in campo la clausola di esenzione per la nuova impresa dalle regole antitrust, in modo che il suo mantenimento in vita potesse essere garantito giorno per giorno dai viaggiatori ai quali l’italianissima Alitalia può far pagare, sulle rotte Milano-Roma e Torino-Roma, 300 euro per un biglietto che sulla rotta Londra-Glasgow ne costa soltanto 80.
Ora aggiungiamo il capitolo delle barricate contro Lactalis che intende investire su Parmalat. Non se ne sentiva davvero il bisogno.
Questo discorso critico, beninteso, non riguarda soltanto una politica del centrodestra: esso è rivolto semmai contro un’intesa protezionistica implicita, mai verbalizzata, cui nell’ultimo mezzo secolo hanno contribuito in qualche misura tutte le parti politiche, nessuna esclusa (se eccettuiamo alcune piccole formazioni interne ai grandi schieramenti contrapposti). Un’intesa protezionistica tacita nella quale alla parte più vecchia e conservatrice dell’establishment industriale ha fatto da sponda la parte più vecchia e conservatrice del nostro movimento sindacale. Il risultato di questa intesa sta nel dato che – come è stato sottolineato in quest’aula l’altro ieri da Enrico Morando e ieri da Maria Leddi, vede l’Italia penultima in Europa per capacità di intercettare gli investimenti nel mercato globale dei capitali: dietro a noi c’è soltanto la Grecia.
Per avere un’idea di quanto questa chiusura costi al nostro sistema economico, basti pensare che se l’Italia avesse la stessa capacità di aprirsi agli investimenti stranieri di un Paese europeo che in quella classifica occupa una posizione mediana, come l’Olanda (che riceve mediamente ogni anno un flusso di investimenti stranieri pari al 5 per cento del suo Pil), questo significherebbe per il nostro Paese ricevere un maggior flusso rispetto a quello attuale pari a circa il 3,6 per cento del Pil italiano, cioè un maggior flusso pari a poco meno di 60 miliardi di euro ogni anno. In altre parole, questo significherebbe per noi ricevere ogni anno maggiori investimenti pari a circa 29 volte quello che la Fiat di Sergio Marchionne ci ha prospettato con il progetto “Fabbrica Italia”.
Non possiamo, dunque, esimerci dal chiederci che cosa chiuda così rovinosamente il nostro Paese agli investimenti stranieri. Ed è la stessa domanda che si è posta Confindustria con la recente costituzione del Comitato Investitori Esteri presieduto da Giuseppe Recchi. Le risposte a questa domanda sono, certo, molte. Tra le cause principali di questa chiusura va innanzitutto annoverato il difetto di efficienza delle nostre amministrazioni pubbliche, con il conseguente eccesso di burocrazia che pesa su tutte le attività produttive.
Contribuiscono a questa chiusura, poi, i costi dell’energia e dei servizi alle imprese, nettamente più alti in Italia rispetto al resto d’Europa, anche per difetto di concorrenza nei rispettivi mercati.
Vi contribuisce, certo, anche un sistema delle relazioni industriali che gli osservatori stranieri qualificano come “vischioso e inconcludente”, a causa della perdurante grave lacuna di norme chiare in materia di rappresentanza e democrazia sindacale.
Vi è infine – non ultimo per importanza – il capitolo delle regole: regole con basso tasso di effettività, per difetto di senso civico diffuso e di cultura della legalità (e qui va detto che gli operatori stranieri sono riluttanti a impegnarsi in un Paese nel quale occorre anche “sapersi arrangiare” nella zona grigia della semi-legalità, quando non addirittura nell’illegalità piena: zone, queste, nelle quali occorre possedere un know-how molto particolare, di cui tipicamente gli indigeni dispongono in maggiore misura). Per applicare le regole occorre innanzitutto poterle conoscere facilmente; le nostre, invece, sono inconoscibili, perché caotiche (come questo decreto “Omnibus” che stiamo discutendo), sono disorganiche, scarsamente suscettibili di traduzione in inglese; ma anche perché cambiano in continuazione; e talvolta – come nel caso della norma di cui stiamo discutendo – perché vengono cambiate deliberatamente “in corso di partita” al fine di ostacolare l’investimento straniero. Magari per garantire a qualche produttore di latte padano la conservazione di una piccola rendita di posizione che potrebbe essere altrimenti insidiata dai concorrenti. Con buona pace della “frustata liberalizzatrice” annunciata dal Presidente del Consiglio meno di due mesi fa.
Non venga, signor ministro, a dirci che questo è necessario per ritorsione nei confronti di analoghe norme protezionistiche che in Francia assistono alcune produzioni considerate “strategiche”: perché se questo dovesse davvero portarci a considerare come “strategici” anche lo yogurt e lo stracchino, allora non si comprenderebbe più perché mezzo secolo fa abbiamo dato vita al mercato comune europeo. E comunque la storia insegna che gli investimenti stranieri, in linea generale, fanno bene a chi li riceve, portando con sé energie manageriali preziose, domanda di lavoro aggiuntiva, piani industriali innovativi che consentono di aumentare la produttività delle aziende e del lavoro che in esse si svolge, allargando così i margini per il miglioramento del trattamento dei lavoratori.
Signor ministro, diciamo le cose come stanno: la norma che stiamo discutendo è l’ultimo capitolo di una pluridecennale storia infelice, che ha contribuito a ritardare gravemente la crescita del nostro Paese; una storia della quale tutti in qualche misura portiamo una parte di colpa. Ma l’Italia ha un bisogno vitale di recuperare la capacità di attrarre quelle decine di miliardi che ogni anno restano fuori dai suoi confini: questa è l’unica leva di cui disponiamo per tornare a crescere in modo vigoroso, pur nella lunga e severa stagione di finanza pubblica all’osso che ci attende.
Oggi più che mai dobbiamo avere il coraggio di riconoscere gli errori del passato e di rompere una volta per tutte quella tacita intesa protezionistica che tanto male ha fatto al nostro Paese.

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Precarietà un male che non si vuole curare

Articolo di Tommaso Nannicini pubblicato da http://www.qdrmagazine.it/
Antefatto: Pietro Ichino, Luca di Montezemolo e Nicola Rossi hanno firmato a sei mani un intervento sul Corsera contro l'apartheid del mercato del lavoro, schierandosi a favore di un nuovo diritto del lavoro che garantisca tutti nello stesso modo attraverso un contratto unico a protezione crescente e un esteso sistema di welfare, ma senza nessuna inamovibilità per motivi economici e organizzativi. Apriti cielo. Il rottamatore Civati ha subito sparato a zero contro la sortita, rilanciando un post critico dal sito Prossima Fermata Italia. Il responsabile economia del Pd Fassina non è stato da meno sul suo blog e sull' Unità , scagliandosi contro un "paradigma culturale sbagliato e subalterno". Su Left Wing, Massimo D'Antoni ha bollato la proposta come "di destra", perché, a quanto pare, quelli di sinistra sanno bene che "i diritti tendono a crescere in modo solidale, che in qualche modo tutela chiama tutela, che essi traggono forza dalla loro indivisibilità e dal fatto di essere applicati in modo quanto più possibile esteso e uniforme".
Qui il resto del post Di questi attacchi, pur nella loro diversità, colpiscono due elementi. Primo: il tono liquidatorio e ostile. Come ci insegna Toqueville, l'arma di ogni dispotismo culturale è semplice: non la pensi come me? Ebbene, da oggi, tu sei "straniero tra noi". Sei di destra all'interno della comunità della sinistra (versione Left Wing). Oppure, sei un "fuoriuscito" o uno in procinto "di fuoriuscire" (versione Prossima Fermata Italia). Peccato che l'eccesso di zelo di alcuni non si limiti a voler epurare i riformisti, ma finisca per epurare una bella fetta di elettori del Pd (passati o potenziali). Secondo elemento: l'assenza di un'analisi del mercato del lavoro che abbia un qualche appiglio con la realtà. Fedeli alla massima di Bakunin per cui "la rivoluzione è sempre per tre quarti fantasia e per un quarto realtà", gli interventi di cui sopra hanno un rapporto disinvolto con il mondo che ci circonda. Può valere la pena, allora, di ricordare qualche fatto beatamente ignorato o apertamente contestato da queste analisi.
Primo dato di fatto: la legge Biagi non ha creato il dramma della precarietà in Italia. Chiunque lo sostenga mente sapendo di mentire. Le nuove forme di lavoro flessibile introdotte da quella legge o non hanno attecchito nel nostro mercato, o si sono limitate a completare il percorso del pacchetto Treu del 1997.
Secondo dato di fatto: da noi il livello del lavoro temporaneo non ha raggiunto le dimensioni patologiche di altri paesi come la Spagna. Negli ultimi quindici anni, la frazione di lavoro temporaneo è aumentata, ma non esplosa. Questo può voler dire solo una cosa: visto che gran parte dei nuovi contratti è di natura temporanea, una parte di questi conduce alla stabilizzazione (in caso contrario, la frazione di lavoro temporaneo dovrebbe crescere esponenzialmente nel tempo). Ciò non toglie che molti lavoratori restino in una condizione di precarietà troppo a lungo, ma non dimentichiamoci che l'Italia degli anni '90 arrivava da decenni di disoccupazione a due cifre. Il formidabile riassorbimento della disoccupazione (prima della crisi degli ultimi anni), soprattutto quella di lunga durata e anche in presenza di una crescita vicina allo zero, è stato favorito dalle riforme del lavoro. Ed è meglio essere precari (con una ragionevole speranza di stabilizzazione) che disoccupati. Certo, alcune fasce di lavoratori deboli restano incastrate in una trappola di precarietà permanente. Ma vanno aiutati con strumenti di welfare e investimento in capitale umano, non vendendo loro illusioni o cavalcandone le (legittime) frustrazioni.
Terzo dato di fatto: la flessibilità del lavoro introdotta negli ultimi due decenni e l'aggiustamento della spesa pubblica sono stati realizzati scaricandone i costi sulle giovani generazioni. Il combinato disposto di (1) riforma delle pensioni, (2) mancata estensione degli ammortizzatori sociali, (3) mancato snellimento della pubblica amministrazione e (4) riforma del lavoro flessibile soltanto "al margine" (lasciando immutate le rigidità del lavoro standard) ha prodotto una situazione difficile per i giovani. Fassina, CGIL & company possono scandalizzarsi quanto vogliono contro chi denuncia le iniquità generazionali, ma il rapporto tra il reddito da lavoro di chi ha meno di 30 anni e chi ne ha più di 65 era intorno al 150% nei primi anni '70 ed è sceso sotto l'80% nel 2008 (dati Banca d'Italia). E, per tutelare il "diritto alla pensione" dei padri (passando dal metodo retributivo al contributivo senza utilizzare il pro-rata), si è regalato alle giovani generazioni aspettative pensionistiche da fame. Tra l'altro, il problema della precarietà non riguarda solo il privato e i "padroni". In molte amministrazioni pubbliche, per far quadrare i conti, molti giovani meritevoli e con voglia di lavorare sono assunti con contratti di collaborazione. Perché Fassina non propone di espellere dal partito sindaci e presidenti che utilizzano questi metodi? Semplicemente, perché quegli amministratori gli risponderebbero che stanno facendo gli interessi dei cittadini, e che sarebbero felici di stabilizzare o pagare il doppio tanti giovani volenterosi, a patto di potere licenziare, spostare ad altre sedi o ridurre lo stipendio per miriadi di inamovibili. Le rigidità dei padri tarpano le ali ai sogni dei figli. Nessun pasto è gratis.
Quarto dato di fatto: i diritti costano e chi lo nega prende in giro l'onestà intellettuale di chi l'ascolta e le speranze di chi ha bisogno di quei diritti. I diritti materiali hanno un costo e per questo, a differenza dei diamanti, non sono per sempre. È compito della politica, di volta in volta, indicare le priorità: quali interessi sono meritevoli di tutela e quali sono chiamati a farcela da soli. C'è una strana alleanza tra il conservatorismo di chi agisce da stanco custode delle priorità e degli strumenti dettati dalla politica di ieri, e il liberismo di chi chiede alla politica di fare un passo indietro definitivo rispetto al domani. Entrambi tolgono alla politica il compito di ridisegnare le priorità. Chi ama i diritti, invece, li vuole redistribuire, per fronteggiare le compatibilità imposte da un'economia che cambia. Conosco l'obiezione: ecco i soliti riformisti malati di economicismo, nelle vesti di tristi ragionieri che predicano la dura legge dei vincoli. Niente di più falso. Chi pone questi problemi è l'alfiere del cambiamento possibile. Gli altri vendono fumo. Come ci insegnano Stephen Holmes e Cass Sunstein: "una teoria dei diritti non disposta a calarsi dalle vette della morale nel mondo reale, dove le risorse sono scarse, sarà profondamente incompleta perfino dalla prospettiva morale".
Insomma, il programma riformista di redistribuzione dei diritti è in campo (basta leggere, solo per fare qualche nome, Pietro Ichino, Maurizio Ferrera, Tito Boeri, Andrea Ichino e Michele Salvati). A quanto pare, la pattuglia dei suoi detrattori all'interno del Pd è nutrita, anche se non proprio compatta. Civati si limita a cavalcare le litanie anti-precarietà. D'Antoni propone più diritti per tutti (chi paga? Berlusconi quando rivenderà la casa di Lampedusa?). Fassina mischia in un unico calderone vis polemica anti-liberale, posizioni da socialdemocrazia classica (tutela del lavoro dipendente, politica industriale, redistribuzione) e proposte ispirate al buon senso su cui sarebbe bene discutere (come l'innalzamento della pressione contributiva sui contratti flessibili). Ma l'impianto politico-culturale di questi attacchi alle proposte Ichino è chiaro: fermiamo qualsiasi tentativo di spostare i democratici italiani su posizioni da sinistra liberale alla Blair.
Sarebbe bello se, un po' come avviene con i referendum dei cantoni svizzeri, il Pd convocasse subito un congresso tematico su lavoro e welfare. A quel punto, tutti i dirigenti del Pd dovrebbero dire da che parte stanno rispetto a piattaforme alternative. Veltroni in qualche modo ha già scelto, iscrivendo le proposte Ichino nell'impianto del Lingotto. Bersani, Letta, Franceschini e Zingaretti che cosa pensano del lodo Fassina e del suo impianto culturale? E Renzi cosa pensa delle posizioni del sito dei rottamatori? Per favore: dite qualcosa. Anche non di riformista, ma qualcosa. L'Italia ha un disperato bisogno di politica.
Tommaso Nannicini. Economista. Docente di econometria all'Università Bocconi di Milano. PhD in economia presso l'Istituto Universitario Europeo, ha insegnato all'Università Carlos III di Madrid e svolto attività di ricerca al Fondo Monetario Internazionale e al MIT di Boston. Passioni: politica e baseball.

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sabato 23 aprile 2011

Chiara Chiappa candidata Sindaco di Isola della Scala

Cosa devo dire di Chiara? E' una donna capace ed intelligente, molto sensibile ai temi sociali ed ai diritti civili e una donna che stimo tanto per i suoi valori e la sua determinazione. La candidatura di Chiara è un motivo di orgoglio per le donne di Isola della Scala che rappresentano la metà degli elettori.
Gli uomini di Isola della Scala devono imparare a fidarsi delle donne per le loro specifiche capacità come nel caso di Chiara Chiappa.
I giovani, donne ed uomini, che apprezzano il cambiamento e sono in attesa di costruire il loro futuro troveranno in Chiara Chiappa un interlocutore sensibile, attento e preparato.
Per i motivi esposti è necessario che nasca una vasta partecipazione dal basso per sostenere la candidatura di Chiara che rappresenta le speranze ed i sogni dei cittadini di Isola della Scala.
Mercoledì 27 aprile, alle ore 20,45, presso l’auditorium Santa Maria Maddalena di Isola della Scala in via Roma 35 verrà presentata la lista di Chiara Chiappa “Isola nostra il Bene Comune. Si parlerà di trasparenza, sviluppo sostenibile, rispetto e valorizzazione dell’ambiente, scuola, cultura, lavoro e sicurezza sociale. Questi sono alcuni temi con cui si intende dare dar voce alla speranza di una svolta significativa per Isola della Scala.
E’ una lista che nasce dal basso e dalla società civile e non si avvale dei posti di potere già occupati in altre amministrazioni.
Si parla tanto di etica nella politica e intanto si occupa l’incarico di Presidente della Provincia, di membro del Consiglio di Amministrazione di Acque Veronesi e …. dopo si esige di essere eletti a Sindaco di Isola della Scala. Il centro destra ama il cumulo delle cariche e si diletta a concentrare le responsabilità di gestione degli enti su pochi uomini.
Bisogna rompere questo circolo vizioso con responsabilità e determinazione che fa male al paese ed allontana sempre di più la politica dai cittadini onesti.
Un grazie a Chiara Chiappa, la quale si candida a Sindaco di Isola della Scala per rompere le incrostazioni di potere e realizzare la trasparenza affinché i cittadini di Isola siano informati di tutto quello che avviene nelle sale del potere e possano partecipare con proposte e valutazioni alla vita politica del comune.
Chiara ha 49 anni e vive a Isola della Scala dal 1990. E’ sposata e ha due figlie, Cecilia e Novella, di 21 e 12 anni.
E’ cresciuta a Tarmassia, dove ha imparato il grande senso di comunità e solidarietà che ancora oggi vi si respira. Dopo la maturità scientifica si è trasferita a Verona, dove ha lavorato fino al 1989 in una cooperativa agricola sociale per l’ inserimento al lavoro di giovani con disagio sociale, una esperienza professionale e soprattutto umana, che considera solo momentaneamente sospesa.
Nel 1993 ha iniziato ad occuparsi di amministrazione del personale: da 11 anni ha aperto uno Studio Associato di Consulenza del Lavoro a Verona in cui lavorano tutte donne. E’ iscritta all’Albo dei Consulenti Tecnici d’Ufficio del Tribunale di Verona ed è delegata della Fondazione dei Consulenti per il Lavoro alle attività di ricerca e selezione e intermediazione del personale.
La sua professione le permette di conoscere in modo capillare l’economia del territorio, capire le potenzialità delle imprese e individuarne le possibilità di sviluppo, promuovere la conciliazione delle esigenze dei lavoratori con quelli delle aziende
La sua attività politica e di volontariato è cominciata nel 1978 con le ACLI: dal 1985 al 1988 ha avuto poi la prima esperienza amministrativa come Consigliere Comunale a Isola della Scala. Da allora ha continuato a partecipare attivamente in associazioni culturali, ambientaliste e di promozione sociale. Nel 2009 è stata eletta nella Assemblea Nazionale del Partito Democratico.
“Ho deciso di candidarmi, dichiara Chiara, per diventare il nuovo sindaco di Isola della Scala, per garantire alla nostra città un futuro di sviluppo che non comprometta le nostre risorse naturali, che abbia come priorità i servizi per le famiglie e non solo i centri commerciali e l’edificazione selvaggia”.
“So di rappresentare, conclude Chiara, il desiderio di tutti coloro che vogliono vedere tornare una gestione del bene comune trasparente e senza sprechi, so di rappresentare le aspirazioni di chi vuole bene a questa terra e vuole che i suoi figli trovino qui le opportunità per esprimere al meglio il proprio talento. Ci vorrà un grande impegno, ci vorrà una grande partecipazione, ma Isola, la Nostra Isola, deve essere un posto dove sia bello vivere, crescere, prosperare, in armonia con il mondo che la circonda”.
Sito di Chiara Chiappa

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lunedì 18 aprile 2011

Diego Zardini, collaborazione tra Università e Provincia

In attuazione del D. Lgs. n. 150/2009 e di rinnovamento dei comuni della provincia di Verona, Diego Zardini, capogruppo del PD alla Provincia di Verona, ha inviato una lettera al Predidente della Provincia, Giovanni Miozzi, all’Assessore, Giuliano Zigiotto, al Presidente del Consiglio ed ai Capigruppo Consiliari con la proposta di un progetto tra la Provincia e l’Università.
Nella lettera Diego Zardini rileva “quanto sia fondamentale su tale argomento il ruolo, anche politico, che può e, a mio avviso deve, giocare la Provincia di Verona con la proposta che si potrà declinare in misura larga e condivisa fino ad arrivare ad un testo da portare in Consiglio. Non è escluso che un esperimento del genere, se trovasse positivi riscontri, potrebbe fungere da apripista anche per altre amministrazioni provinciali nel prossimo futuro. Si tratta di una proposta di collaborazione tra Amministrazione Provinciale e Università di Verona”.
“Il gruppo consiliare del PD in Provincia di Verona, dichiara Diego Zardini capo gruppo del PD in consiglio provinciale, in stretta collaborazione con Antonino Leone, responsabile Riforma della PA del PD, ha portato avanti un serio confronto con le amministrazioni locali e provinciali circa l'attuazione del decreto legislativo 150/2009 sulla riforma della pubblica amministrazione.
Abbiamo cercato in ogni modo di favorire una trasparente discussione sugli obiettivi e sulle modalità di raggiungere determinati risultati in un settore strategico per il rilancio dello sviluppo e della crescita, ovvero la trasparenza, l'efficienza e l'innovazione nel settore delle pubbliche amministrazioni”.
“La Riforma detta Brunetta, conclude Zardini, è piena di lacune e sbaglia profondamente la filosofia per raggiungere i risultati tutta protesa verso slogan d'effetto ma inefficaci e controproducenti, tuttavia è diventata occasione per il PD di fare proposte concrete e specifiche sul territorio e produrre quel cambiamento che i cittadini veronesi ci chiedono. E' ben chiaro al PD che la riforma della PA non può essere slegata dalla riforma federale e della politica, unita ad un sano realismo dovuto all'applicazione del patto di stabilità. Per questo è stato proposto agli altri gruppi presenti in consiglio provinciale di implementare un progetto in collaborazione con l'Università di Verona, in due fasi, per un serio monitoraggio dell'applicazione degli elementi fondanti della riforma e poi un contributo tecnico-scientifico ai piccoli comuni per individuare risorse e strategie di attuazione”.
La proposta è molto interessante e proficua, dichiara Antonino Leone, responsabile PA del PD, per realizzare nella Provincia di Verona una rete di collaborazione tangibile tra le istituzioni al fine di avviare un cambiamento positivo nei comuni veronesi. Si ritiene che la proposta possa essere valutata positivamente dai gruppi consiliari della Provincia nell’unico interesse delle comunità locali.
Si riporta la proposta del consigliere provinciale Diego Zardini.
Progetto Università e Provincia per il D. Lgs. n. 150 del 2009
“Considerato che
l’economia italiana, a causa della grave crisi economica, registra una bassa e lenta crescita della ricchezza che non è sufficiente a creare prospettive positive ai problemi sociali del paese;
le Pubbliche Amministrazioni rappresentano un fattore che influisce sulla crescita economica dell’Italia. Le PA efficienti ed efficaci aiutano a superare la crisi economica in quanto intervengono sulla qualità della vita dei cittadini e sulla competitività delle imprese, le quali oggi subiscono i tempi lunghi ed i costi della burocrazia;
il D. Lgs. n. 150/2009 rappresenta un’opportunità da cogliere per avviare un cambiamento positivo nelle Amministrazioni Centrali dello Stato ed in particolare negli enti locali;
il processo di cambiamento, avviato dal D. Lgs. n. 150/2009, interessa i comuni della Provincia di Verona e va sostenuto da interventi innovativi realizzati nel territorio;
I comuni veronesi che hanno aderito al progetto “Performance e Merito” dell’Anci sono solo 5 e, pertanto, solo questi potranno ricevere assistenza e supporto.
i comuni di piccole dimensioni non essendo dotati di management e di capacità finanziaria incontrano notevoli difficoltà ad attuare i cambiamenti necessari per migliorare la qualità dei servizi erogati. Per tali problemi il sistema degli enti locali è poco propenso ad innovare e ricorre a scelte difensive che non creano valore per i cittadini;
Si propone
di realizzare un progetto tra la Provincia e l’Università di Verona, Facoltà di Economia, al fine di conoscere la situazione organizzativa dei comuni veronesi in rapporto al D. Lgs. n. 150/2009 e di intervenire a supporto dell’adeguamento dei comuni ai principi del medesimo decreto;
Il progetto che si propone consta delle seguenti fasi:
- Prima fase, studio e ricerca sullo stato di attuazione del D. Lgs. n. 150/2009 nei comuni della Provincia di Verona;
- Seconda Fase, scegliere e sostenere degli ambiti territoriali o aggregati di comuni omogenei che si trovano in difficoltà a realizzare la riforma.
Si ritiene che il coinvolgimento dell’Università su questa problematica sia molto importante al fine di avviare un cambiamento positivo nei comuni veronesi.
Con tale progetto si intensifica il rapporto tra l’Università di Verona ed il territorio e si creano rapporti di collaborazione proficui e produttivi nell’interesse delle comunità locali.
La presente proposta, aperta ai contributi di tutti i gruppi consiliari della Provincia, rappresenta la fase iniziale di un progetto unitario nell’unico interesse dei comuni della provincia di Verona. Per tale motivo devono essere coinvolti i gruppi consiliari con pari dignità al fine di pervenire ad una proposta unitaria da approvare in Consiglio Provinciale.
All’Amministrazione Provinciale verrà delegata la proposta operativa di attuazione di tutti gli atti e rapporti necessari alla realizzazione del progetto”.

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Over Meccanica di Verona in crisi

 

Una delegazione del Partito Democratico formata dal Segretario Provinciale del PD, Vincenzo D’Arienzo, dalla senatrice Mariapia Caravaglia, dal deputato Gianni Del Moro, dai consiglieri regionali, Franco Bonfante e Roberto Fasoli, e dal responsabile Lavoro, Diego De Carlo ha incontrato i lavoratori della Over al fine di concordare le azioni e le soluzioni possibili per superare questo momento di grave crisi.
Il Partito Democratico di Verona, già impegnato con interrogazione parlamentare, raccolta fondi e supporto ai lavoratori in presidio presso l'azienda, chiama all'impegno tutti gli attori della città perché con l'unita' di tutti che si possono superare le difficoltà. L'obiettivo e' aiutare la Over Meccanica a uscire dalla crisi e, per questo, il Governo attivi un tavolo tra le parti interessate per giungere in tempi rapidi alla soluzione più adeguata e per operare nei confronti delle banche creditrici per difendere un'importante azienda italiana, utilizzando eventuali strumenti che vengono ipotizzati in questi giorni per altre realtà industriali italiane.
La Over occupa circa 250 dipendenti, produce con tecnologie all’avanguardia e prodotti richiesti dal mercato. La crisi è finanziaria che può essere superata con adeguati investimenti ed azioni concordate con le banche creditrici. 

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La testimonianza di Pietro Micheli



Pietro Micheli, docente di Performance in Inghilterra, è intervenuto al convegno di Verona su "Pubbliche Amministrazioni: Riforma o Controriforma?"

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La testimonianza di Mauro Bonaretti



Mauro Bonaretti, direttore generale del Comune di Reggio Emilia, è intervenuto al convegno di Verona su "Pubbliche Amministrazioni: Riforma o Controriforma

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domenica 17 aprile 2011

Verona: formazione professionale a rischio

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La cattiva gestione finanziaria della regione Veneto con i relativi tagli indiscriminati si ripercuote sulle provincie venete nel settore della formazione professionale. Minori finanziamenti alle provincie si traducono in minore formazione professionale.
Se non si interviene tempestivamente c'è il reale pericolo che i tre centri professionali della Provincia di Verona, Verona per il settore grafico, Bovolone per la lavorazione del legno e Zevio per la lavorazione del ferro siano costretti a chiudere per mancanza di fondi.
"Il territorio non può permettersi di perdere queste specialità formative, dichiara Diego Zardini, capogruppo provinciale del PD, strettamente integrate con i settori di eccellenza del sistema produttivo che da anni assicurano l'inserimento lavorativo al 100% dei giovani a distanza di pochi mesi dal termine del corso di studio. SEnza lo sforzo rivolto a ripristinare tali stanziamenti il futuro del territorio e della nostra economia sarà più cupo.
Alla conferenza stampa hanno partecipato i consiglieri provinciali del PD ed il consigliere regionale Franco Bonfante.

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Pubbliche amministrazioni: Riforma o Controriforma?



Gli altri video
- Vincenzo D'Arienzo e on. Oriano Giovannelli , rispettivamente segretario PD Verona e Presidente Forum Riforma PA del PD nazionale;
- Mauro Bonaretti, direttore generale del comune di Reggio Emilia;
- Pietro Micheli, docente Gestione della performance ed ex membro CiVIT.

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venerdì 15 aprile 2011

Stoviglie biodegradabili in mense, feste e sagre

Presentato nelle commissioni consiliari competenti il Progetto di Legge n.140 a cura del Gruppo Consiliare del Partito Democratico Veneto
Il Progetto di Legge del PD, primo firmatario Roberto Fasoli, è finalizzato alla riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti derivanti da attività di ristorazione presso mense, feste e sagre. Nasce da una sollecitazione di una serie di associazioni che lo hanno sostenuto e che vanno ringraziate per il lavoro svolto a sostegno del progetto e più in generale per l’impegno sui temi della tutela e della promozione dell’ambiente.
Il progetto legislativo prevede che la Regione disponga, con le risorse del fondo ambientabile, istituito dall’articolo 46, comma 3, della Legge Regionale n.3 del 2000 (alimentato ogni anno dal 20 per cento dei proventi dell'ecotassa sui rifiuti conferiti in discarica) contributi a favore di soggetti che svolgono in qualsiasi forma, pubblica o privata, attività di ristorazione nelle mense scolastiche, negli ospedali o nei luoghi di cura e di assistenza o nel corso di feste pubbliche, sagre e attività di ristorazione collettiva adottando piatti e posate riutilizzabili, bicchieri e caraffe 'a rendere', oppure stoviglie biodegradabili, realizzate cioè con compostabili in mais o in polpa di cellulosa. Per aver accesso ai contributi regionali si prevede, inoltre, che tali soggetti effettuino la raccolta differenziata dei rifiuti prodotti.
Qui il resto del post"Si tratta - precisa Fasoli - di un tassello di una strategia più generale, che intende considerare il rifiuto come "materia seconda". Si ispira ad una concezione economica, sociale e culturale che si interroga sui limiti dello sviluppo e sugli stili di vita. Non solo, quindi - ribadisce l'esponente del Pd - l'incentivo ad usare stoviglie riutilizzabili o biodegradabili e a distribuire cibi e bevande "sfusi" o per ridurre gli imballi, ma anche una spinta alla raccolta differenziata, scelta in grado di attenuare l'impatto dei problemi legati alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, oltre a favorire un consistente risparmio energetico. E’ un progetto incentivante con un forte contenuto promozionale rivolto ad un cambiamento di mentalità nei confronti dei rifiuti”.
Il progetto si fonda su due fonti legislative.
La prima è l'articolo 179 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 "Norme in materia ambientale", che recepisce il principio comunitario della riduzione dei rifiuti alla fonte e dispone che le pubbliche amministrazioni perseguano "iniziative dirette a favorire prioritariamente la prevenzione e la riduzione della produzione e della nocività dei rifiuti". Fra tali iniziative, in particolare, la norma statale indica: "l'immissione sul mercato di prodotti concepiti in modo da non
contribuire o da contribuire il meno possibile, per la loro fabbricazione, il loro uso o il loro smaltimento, ad incrementare la quantità e la nocività dei rifiuti e i rischi di inquinamento " e "lo sviluppo di tecniche appropriate per l'eliminazione di sostanze pericolose contenute nei rifiuti al fine di favorirne il recupero ".
La seconda fonte è l'articolo 50, comma 1, lettera f ) della legge regionale 21 gennaio 2000, n. 3
"Nuove norme in materia di gestione dei rifiuti" che prevede - fra le iniziative regionali per la prevenzione dei rifiuti ed il loro recupero - la "promozione e l'incentivazione del non utilizzo di stoviglie monouso nelle mense e nelle feste pubbliche o aperte al pubblico ".
La Giunta Regionale dovrà emanare il Regolamento e pubblicare i bandi di concorso.
Le risorse potranno essere attinte dal Fondo regionale destinato ad interventi di tutela ambientale.
“C’è da augurarsi- conclude Fasoli- che vista l’importanza dell’argomento e visto che le risorse necessarie sono reperibili da un fondo già previsto dalla legge regionale vigente, il progetto possa avere un iter accelerato ed essere approvato in breve tempo.

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Il cambiamento nelle PA veronesi

Il convegno organizzato dal PD è riuscito grazie alle capacità ed esperienze espresse dai relatori ed alla presenza attenta dei partecipanti. Non poteva essere diversamente in quanto la presenza dell’on. Oriano Giovannelli, responsabile del Forum PA del PD ed ex sindaco di Pesaro, di Pietro Michele, esperto di performance a livello internazionale, di Mauro Bonaretti, direttore generale del comune di Reggio Emilia ed esperto di performance management, hanno consentito di guardare la provincia di Verona al di fuori degli angusti limiti del municipalismo.
Vincenzo D’Arienzo, segretario Provinciale del PD, nell’aprire i lavori ha affermato che “il Partito Democratico è il partito delle autonomie locali: lo è stato nel passato grazie alle culture a cui fa riferimento, lo è oggi per l’impegno politico che esprime a favore delle autonomie locali. Il PD di Verona è coerente realmente a questa ispirazione e lo dimostra con il convegno di oggi, con la ricerca sullo stato di attuazione del D. Lgs. n. 150/2009 nei comuni veronesi, con la proposta di cambiamento nei comuni della provincia, con l’elaborazione della proposta di un progetto di collaborazione tra la Provincia e l’Università di Verona per conoscere lo stato d attuazione della riforma e per sostenere i comuni in difficoltà”.
Qui il resto del postE’ intervenuto dopo l’on. Oriano Giovannelli che dopo aver sottolineato le problematiche relative al D. Lgs. 150/2009 che possono far fallire la riforma ha dichiarato che “l’Italia ha bisogno di una PA moderna per uscire dalla crisi e questo è un compito che il PD si assume pienamente. Il centro destra ha governato 8 degli ultimi 10 anni ed ha fallito. Oggi l’Italia ha una pubblica amministrazione demotivata che spende molto di più e funziona meno, dove sono aumentate le “cricche”, le clientele e la corruzione. L’obiettivo è porsi al servizio del cittadino e delle imprese in un momento di grave crisi e questo comporta rigore nella spesa (se solo il 10% degli acquisti dei ministeri si facessero tramite CONSIP si risparmierebbero 500milioni l’anno!), poche regole certe e capacità continua di produrre innovazione colpendo inefficienze, sprechi, privilegi. Noi vogliamo restituire dignità e professionalità a chi lavora nel settore pubblico e offrire servizi efficienti ai cittadini e alle imprese che ne usufruiscono; e vogliamo uscire da una stupida contrapposizione fra pubblico e privato proponendo al contrario un patto per lo sviluppo e la modernizzazione del paese”.
Mauro Bonaretto ha posto l’attenzione sul fatto che la PA può essere riformata e migliorata non con un intervento settoriale e corporativo ma con una visione di sistema. Pertanto, occorre porre attenzione alla crescita, all’occupazione, al Welfare ed ai lavoratori della conoscenza, presenti nelle PA, che possono esprimere le loro capacità professionali e motivazionali in una organizzazione che li valorizzi come persone e non in una struttura tayloristica dove si utilizza il bastone e la carota come elemento motivazionale.
Pietro Michele dopo aver presentato e chiarito i concetti di performance e di organizzazione al servizio dei cittadini ha dichiarato: “E’ importante che gli amministratori locali utilizzino le loro capacità e la loro intuizione insieme a un approccio più sistematico a favore del miglioramento dei servizi pubblici. Pianificazione, misurazione, valutazione e risoluzione dei problemi (problem-solving) sono quattro aree che possono essere di grandissimo aiuto agli amministratori, soprattutto in presenza di risorse scarse. Il comune deve essere capace di articolare un piano strategico (o “piano delle performance”) che articoli le modalità e i soggetti che possono contribuire all’erogazione efficiente ed efficace dei servizi pubblici. Per rendere concreto il piano strategico, il comune può dotarsi di un sistema di misurazione attraverso il quale potrà anche comprendere lo stato di avanzamento dei propri lavori, confrontare le proprie performance con quelle di altri comuni (e non solo), e utilizzare le proprie risorse in modo più sostanziato. A questo seguirà un sistema di valutazione, a livello organizzativo e individuale, per identificare gli eventuali scostamenti dai risultati attesi e per erogare premi (o sanzioni) quando possibile. Infine il comune potrà usare degli strumenti semplici e ampiamente collaudati per attivare cicli di “miglioramento continuo”. C’e’ da ricordare, comunque, che l’utilizzo di questi strumenti e approcci deve essere accompagnato da comunicazione, coinvolgimento e formazione di soggetti (stakeholder) esterni (cittadini, imprese, organizzazioni no profit, ecc.) e interni: sono questi a rendere ogni miglioramento possibile”.
“L’attuazione del D. Lgs. n. 150/2009, ha dichiarato Antonino Leone responsabile PA del PD di Verona, pur con i suoi limiti e contraddizioni può rappresentare un’opportunità per avviare un processo di rinnovamento nei comuni veronesi soltanto se gli amministratori locali accolgono gli strumenti previsti dal decreto e dal performance management e non si pongono in una posizione di difesa del passato. Dai risultati della ricerca sugli enti locali veronesi emerge una scarsa propensione al dialogo ed al confronto. Infatti, il 32% degli enti locali veronesi ha deliberato in Giunta in assenza dei criteri generali approvati dal Consiglio Comunale. Nella scelta dell’organismo di valutazione si sono dimostrati refrattari al cambiamento: hanno preferito per il 42% il vecchio Nucleo di Valutazione e per il 34% l’Organismo indipendente di valutazione. Il 24% dei comuni non effettuato alcuna scelta. Gli strumenti manageriali previsti dalla riforma non sono stati introdotti (sistema di misurazione e valutazione della performance, gestione del ciclo della performance, trasparenza delle fasi del ciclo della performance) e si rischia di trasformare la riforma in un adempimento formale e burocratico”.
La prima riforma del centro destra viene messa in crisi nei comuni governati dal centro destra per incapacità e per mancanza di conoscenze giuridiche e manageriali.
All’incontro non ha potuto partecipare Davide Zoggia, responsabile nazionale Enti Locali del PD, che ha fatto pervenire il seguente messaggio: “Il cammino federale nel nostro Paese è a un bivio. E’ indispensabile compiere uno sforzo per impedire che una conquista si trasformi in un sistema capace solo di rendere irreversibili le sperequazioni esistenti. Bisognerebbe ragionare in modo serio e sereno sul futuro ma il primo problema risiede, come sappiamo bene tutti, nel manico. La Lega Nord, infatti, persegue un modello che cerca di spostare, per l’appunto, al Nord quante più risorse possibili. In questi mesi solo grazie al lavoro puntuale, serio e coraggioso fatto dal Pd in parlamento è stato possibile impedire il tracollo finanziario che la riforma preparata dal governo avrebbe prodotto. Continueremo, quindi, a lavorare affinché si giunga all’approvazione di una riforma federale e non di una truffa ai danni del Paese. In questi mesi noi abbiamo segnalato delle criticità di fronte alle quali il governo ha preferito fare finta di nulla. La diminuzione delle competenze dell’Amministrazione centrale derivante dal trasferimento delle funzioni amministrative a Regioni ed Enti locali e, nel contempo, la stessa valutazione delle funzioni pubbliche da “dismettere” sarebbe dovuto essere il cardine dei provvedimenti. L’obiettivo deve essere quello di superare un modello centralistico e burocratico. Peccato che ciò non sia avvenuto.
Gli ultimi testi approvati, il federalismo municipale e quello fiscale, sono stati imposti dal governo tradendo lo spirito stesso del federalismo. Ma la reale attuazione dei principi del federalismo non può prescindere da un giusto e puntuale funzionamento della macchina amministrativa. Una macchina che il governo ha colpito in maniera durissima con tagli che si stanno traducendo in una diminuzione dei servizi e un aumento dei costi. Ma questo non è l’unico problema. Abbiamo a che fare con un sistema che procede a velocità differenti tra Nord e Sud. Basta pensare alla differente qualità di offerta di servizi e infrastrutture tra una regione e l’altra. E’ chiaro che con la necessità di risorse che hanno gli enti locali - anche a causa dei tagli del governo- gli aumenti, pur se opzionali, diverranno una scelta di fatto automatica. I rincari colpiranno indiscriminatamente i cittadini. In alcune regioni come Lazio, Molise, Campania e Calabria, a causa delle condizioni dei bilanci le addizionali Irpef potrebbero salire enormemente. In pratica può diventare una tassa sulla miseria perché si rifiuta di considerare, oltre ai costi, anche le prestazioni standard, che nel Mezzogiorno sono drammaticamente sotto la media nazionale ed europea. Questo è il cuore del problema. Infatti il federalismo di Bossi e Tremonti è la negazione del dettato costituzionale: non è solidale e soprattutto estromette le regioni più deboli. L’Italia, proprio per le profonde disparità economiche esistenti tra le diverse regioni impone una attenzione particolare nella realizzazione di un sistema omogeneo e coerente di federalismo fiscale. Per questo ci batteremo affinché il fondo di perequazione non sia una serie di caratteri trascritti su un documento ma uno strumento realmente operativo. Non sarà, è ovvio, la soluzione dei problemi. Ma serve uscire da una logica puramente difensiva, perché di fatto il federalismo leghista opera in un’ottica ristretta. Bisogna infatti intervenire sul patto di stabilità interno. Noi chiedevamo un allentamento intelligente che avrebbe da un lato consentito di premiare le amministrazioni virtuose mettendo in circolo risorse necessarie e dall’altra di stimolare quelle meno efficienti. L’esecutivo ha preferito fare finta di niente. Anzi l’unica cosa a cui abbiamo assistito sono stati i tagli di Tremonti contro i quali ci siamo battuti duramente riuscendo, almeno in parte, a contenerli.
Gli amministratori locali sono stati chiamati in prima linea dal governo ma senza che fossero dati loro gli strumenti necessari per operare. Anche per questo motivo dobbiamo impegnarci per battere l’asse Pdl-Lega. Le amministrative sono un banco di prova fondamentale e sono sicuro che tutti noi, ad ogni livello e in ogni parte del paese, daremo il massimo per vincere”.
Occorre attrezzarsi di impegno e stare con il fiato sul collo degli amministratori locali del centro destra e informare i cittadini sullo stato di attuazione del D. Lgs. 150/2009. IL centro destra non può sventolare la bandiera del fare e delle riforme e nello stesso tempo dimostrare incapacità a realizzare le riforme stesse. Oggi non è sufficiente fare, cosa che non avviene, ma saper fare e gli amministratori del centro destra in provincia di Verona non conoscono le “loro” riforme e non sanno realizzarle.

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giovedì 14 aprile 2011

Enti locali veronesi, ricerca del PD di Verona

La ricerca sullo stato di attuazione del D. Lgs. 150/2009 negli enti locali veronesi è stata effettuata su un campione di 76 enti su 99 e si è conclusa il 14 aprile 2011.
Adeguamento al D. Lgs. n. 150 del 2009
La prima fase del processo di riforma negli enti locali è rappresentata dall’applicazione delle norme obbligatorie e dall’adeguamento del Regolamento degli uffici e dei servizi degli Enti ai principi del D. Lgs. 150/2009. Dai risultati della ricerca emerge chiaramente una scarsa propensione al dialogo ed al confronto. Infatti, il 32% degli enti locali veronesi ha deliberato in Giunta in assenza dei criteri generali approvati dal Consiglio Comunale, non considerando i seguenti aspetti:
- Politico. Gli enti che hanno adottato delibere di Giunta hanno chiuso tutti gli spazi di confronto con la minoranza in Consiglio Comunale sull’attuazione della riforma. Tale comportamento ha escluso a priori eventuali proposte migliorative provenienti dalla minoranza e fa assumere le responsabilità di realizzazione del D. Lgs. 150/2009 agli organi deliberanti;
- Giuridico. Il D. Lgs. n. 267/2000 all'articolo 42, c. 2, lettera a), assegna ai Consigli Comunali l’approvazione dei “criteri generali in materia di ordinamento degli uffici e dei servizi” ed all’art. 48, c. 3, stabilisce che è di “competenza della giunta l'adozione dei regolamenti sull'ordinamento degli uffici e dei servizi, nel rispetto dei criteri generali stabiliti dal consiglio”.


La riforma incide sulle regole comuni di gestione dell’ente locale e, pertanto, si ritiene che dovevano essere riscritte nel rispetto delle competenze degli organi. (2)
Organo di valutazione
Gli enti locali veronesi nella scelta dell’organismo di valutazione si sono dimostrati refrattari al cambiamento. Infatti, i comuni interessati dalla ricerca hanno scelto per il 42% il vecchio Nucleo di valutazione e per il 34% l’Organismo indipendente di valutazione (OIV). Il 24% dei comuni non ha effettuato alcuna scelta.


Si indicano i motivi che hanno indotto gli enti locali veronesi a scegliere il Nucleo di valutazione:
- eludere l’applicazione delle delibere della Civit in materia di requisiti e selezione dei membri dell’Oiv (delibera n. 4/2010 e n. 121/2010 della Civit), le quali richiedono alta professionalità e trasparenza nel processo di selezione e nomina;
- costituire un organismo dipendente dall’organo di indirizzo politico amministrativo e, quindi, al servizio di interessi localistici e clientelari;
- l’erronea interpretazione dell’art 14 inteso come autonomia della costituzione dell’OIV e non discrezionalità nel definire struttura, composizione e funzioni del nuovo organismo;
- la sottovalutazione dell’art. 7, richiamato dall’art. 16, comma 2 che stabilisce i principi ai quali le autonomie locali devono adeguare il proprio ordinamento, che affida all’OIV la funzione di misurazione e valutazione della performance e la proposta annuale di valutazione dei dirigenti di vertice.
Negli enti locali veronesi il Segretario/Direttore Generale è un membro del Nucleo ed assume la presidenza dell’organismo. I requisiti richiesti ai membri del Nucleo sono bassi rispetto a quelli stabiliti dalla CiVIT per gli OIV e la trasparenza in materia di nomine è inesistente (requisiti, verbale di valutazione, curriculum).
Il contributo dei Nuclei di valutazione, istituiti negli anni ’90 e rapportati a quel periodo storico, allo sviluppo del performance management è stato molto modesto. Tali organismi operano in un’ottica prettamente amministrativa e formalistica, si limitano a poche riunioni l’anno, per la maggior parte dedicate agli aspetti formali della erogazione dei premi legati al risultato e non hanno inciso sullo sviluppo e miglioramento dei servizi e dell’organizzazione del lavoro. Inoltre, non è stato realizzato un canale di comunicazione con i portatori di interessi esterni e un benchmarking tra le amministrazioni e non sono stati introdotti indicatori di performance degli enti locali, tranne poche eccezioni.
Considerate le esperienze negative dei nuclei di valutazione, si ritiene essenziale istituire nei comuni gli Organismi indipendenti di Valutazione anche in forma associata in rapporto alle dimensioni dell’ente.
L’OIV va scelto per i suoi aspetti positivi tra i quali si indicano: Indipendenza ed autonomia dall'organo politico amministrativo e, quindi, una valutazione indipendente sulle attività esercitate; - Requisiti di professionalità alti e processo di selezione trasparente; Competenze attribuite che incidono positivamente sulla eprformance del comune.
Tra le competenze assegnate si ricordano: - funzione di misurazione e valutazione della performance della struttura; - proposta annuale di valutazione dei dirigenti di vertice; - altri compiti che l’autonomia normativa ed organizzativa degli enti locali consente di scegliere (art. 14 del D. Lgs. n. 150/2009).
La conferma del Nucleo di valutazione è una scelta che ha come orizzonte il passato con tutti i suoi limiti e difetti. Al contrario occorre costruire il futuro dei comuni attraverso nuove prospettive e tra queste vi è la istituzione dell’OIV.
Associazioni tra i comuni
I comuni dell’unione Verona Est, Dall’Adige al Fratta ed i comuni di Gazzo Veronese, Isola della Scala e Zevio hanno scelto di costituire l’OIV in forma associata. Hanno preferito il nucleo di valutazione i comuni aderenti all’unione Adige - Guà.
I comuni dell’Unione Sant'Anna d'Alfaedo ed Erbezzo, Unione dei Comuni di Roveré V., Velo e San Mauro, Destra Adige e Tartaro Tione non hanno effettuato alcuna scelta associativa per l’attuazione del D. Lgs. 150/2009.
Alcuni comuni hanno previsto di gestire in forma associata l’OIV senza pervenire al momento ad alcuna intesa.
Nessun comune veronese ha scelto di gestire in forma associata il sistema di misurazione e valutazione della performance ed il conseguente sistema informatico. (3)
Trasparenza totale
Durante la ricerca sono stati visitati i siti web dei comuni al fine di trovare informazioni utili alla ricerca. Il link “Trasparenza, valutazione e merito” dei comuni è aggiornato con le informazioni (c.v. e retribuzioni dei dirigenti, codice disciplinare, tasso di assenteismo, consulenze) richieste dalla normativa antecedente al Decreto. Pertanto, non risultano le informazioni concernenti gli aspetti dell’organizzazione, gli indicatori di efficienza e di efficacia, l’utilizzo delle risorse in rapporto agli obiettivi programmati, le fasi del ciclo di gestione della performance.
L’aggiornamento dei siti ha lo scopo di consentire il controllo da parte dei cittadini e la loro partecipazione alla gestione dei servizi erogati con osservazioni, interventi e prese di posizioni e di effettuare ricerche, studi ed elaborare proposte da parte di giornalisti, studiosi, e ricercatori indirizzate al miglioramento della performance.
La trasparenza interna dell’andamento gestionale (cruscotto aziendale in tempo reale) guida il management ed i dipendenti a conseguire gli obiettivi prestabiliti.
Strumenti manageriali
Questa che doveva essere la parte più interessante della ricerca si è rivelata un flop per assenza di dati ed informazioni in quanto l’attività degli enti si è fermata alle prime fasi di attuazione della riforma: - Modifica dell’ordinamento per adeguarlo ai principi del D. Lgs. n. 150/2009; - Istituzione dell’organismo di valutazione.
Gli strumenti manageriali previsti dal “Performance Management” e dal Decreto non sono stati ancora introdotti e precisamente: - Sistema di misurazione e valutazione della performance (scadenza 31/12/2010); - Gestione del ciclo della performance (scadenza entro i termini di approvazione del Bilancio 2011); Indicatori di efficienza ed efficacia; Trasparenza delle fasi del ciclo della performance; - Impatto dei risultati sui bisogni dei cittadini.
Si rischia che la riforma venga trattata come un adempimento formale e burocratico.
La Provincia e Verona sono dotati di un sistema di controllo supportato da strumenti informatici. Tale sistema è stato introdotto prima del Decreto e, pertanto, si ritiene che debba essere rivisitato ed aggiornato ai principi del Decreto. Questa esigenza organizzativa è avvertita dal Comune di Verona e non dalla Provincia, la quale disconosce tale adeguamento. Dal 2011 è obbligatorio introdurre la gestione del ciclo della performance coordinandola con il PEG (Piano esecutivo di gestione), inserendo indicatori, target, outcome ed obiettivi strategici correlati ai bisogni dei cittadini.
La Provincia ed il Comune di Verona sono tenuti ad applicare l’art. 11, c. 1 e 3, del D. Lgs. n. 150/2009 in materia di trasparenza per rendere possibile qualsiasi valutazione e proposta migliorativa da parte dei cittadini, ricercatori, giornalisti e gruppi politici.
Università di Verona e D. Lgs. n. 150 del 2009
Si propone di affidare all’Università di Verona, Facoltà di Economia, un progetto di studio e di ricerca sullo stato di attuazione del D. Lgs. n. 150/2009 nella provincia e di sostegno ai comuni veronesi che incontrano difficoltà a realizzare la riforma.
La proposta del PD di Verona verrà presentata dal proprio gruppo consiliare alla Provincia e sottoposta a tutti i gruppi per pervenire ad una posizione comune. Con tale progetto si intensifica il rapporto tra l’Università di Verona ed il territorio e si creano rapporti di collaborazione proficui e produttivi nell’interesse delle comunità locali. Si ritiene che il coinvolgimento dell’Università su questa problematica sia molto importante al fine di avviare un cambiamento positivo nei comuni veronesi.
I Comuni veronesi che hanno aderito al progetto “Performance e Merito” dell’Anci sono solo 5 e, pertanto, solo questi potranno ricevere assistenza e supporto.
I comuni di piccole dimensioni non essendo dotati di management incontrano notevoli difficoltà ad attuare i cambiamenti necessari per migliorare la qualità dei servizi istituzionali. Inoltre, gli enti locali per i tagli che hanno subito sono poco propensi ad innovare e ricorrono a scelte difensive che non creano valore per i cittadini.
Breve valutazione politica
Al di là delle critiche e dei rilievi che possono essere mossi facilmente ai comportamenti del Ministro Brunetta ed al D. Lgs. n. 150/2009 occorre considerare che la legge n. 15/2008 ed il conseguente Decreto sono stati migliorati grazie alle proposte del Partito Democratico, approvate dal Parlamento, in materia di trasparenza, valutazione indipendente e benchmarking. Senza tali fattori il Decreto sarebbe stata anonimo e non innovativo. La proposta del PD dell’istituzione di un’autorità centrale ed indipendente non è stata accolta a suo tempo ed oggi la riforma paga un prezzo molto alto a causa dell’assenza di tale fattore.
Dalla ricerca emerge che il Decreto presenta dei limiti riguardo ai comuni tra i quali si indicano: - Il Comune di Milano e quello di Ferrara di Monte Baldo (218 abitanti) sono destinatari della medesima normativa, la quale non prevede una classificazione dei comuni rispetto alla dimensione e le conseguenti linee di indirizzo; - La discrezionalità dei comuni di istituire l’OIV è accompagnata dalla possibilità di effettuare la scelta degli antiquati Nuclei di valutazione; - L’introduzione del sistema di misurazione e valutazione (Balance scorecard, Performance prism, Common assessment frame work) e della gestione del ciclo della performance comporta una capacità di spesa che molti comuni non possiedono nell’attuale congiuntura economica; - L’assenza di coordinamento e di armonizzazione tra gli strumenti di programmazione dei comuni ed il piano della performance (scelta discrezionale) implica il disconoscimento di tale piano per non introdurre un ulteriore strumento di pianificazione; - La non previsione di una Commissione regionale di sostegno e di raccordo tra i Comuni e la Civit pone gli enti locali in una condizione di isolamento.
Il primo anello della catena della gestione del ciclo della performance è la conoscenza dei bisogni dei cittadini e subito dopo gli obiettivi strategici. A tal fine è necessario che i comuni utilizzino le informazioni analitiche e svolgano un’indagine di customer satisfaction affinché gli obiettivi strategici da conseguire rappresentino i problemi reali dei cittadini.


(1) Ricerca su un campione di 76 enti su 99
Provincia di Verona; Verona; Albaredo d'Adige; Arcole; Badia Calavena; Bardolino; Bevilacqua; Bonavigo; Boschi Sant'Anna; Bosco Chiesanuova; Bovolone; Brentino Belluno; Brenzone; Bussolengo; Buttapietra; Caldiero; Caprino Veronese; Casaleone; Castagnaro; Castel d’Azzano; Castelnuovo del Garda; Cavaion Veronese; Cazzano di Tramigna; Cerea; Cerro Veronese; Cologna Veneta; Colognola ai Colli; Dolcè; Fumane; Garda; Gazzo Veronese; Grezzana; Illasi; Isola della Scala; Isola Rizza; Lavagno; Lazise; Legnago; Malcesine; Marano di Valpolicella; Mezzane di Sotto; Minerbe; Montecchia di Crosara; Monteforte d'Alpone; Negrar; Nogarole Rocca; Pescantina; Peschiera del Garda; Povegliano Veronese; Pressana; Roverè Veronese; Roveredo di Guà; Salizzole; San Bonifacio; San Giovanni Lupatoto; San Martino Buon Albergo; San Pietro in Cariano; San Zeno di Montagna; Sommacampagna; Terrazzo; Tregnago; Valeggio sul Mincio; Veronella; Villafranca di Verona; Zevio; Zimella.
(2) Enti che hanno aderito al progetto “Performance e Merito” dell’Anci
Verona, Bussolengo, Cazzano di Tramigna, Lazise, San Giovanni Lupatoto.
Enti che non hanno adottato alcuna deliberaBelfiore; Brentino Belluno; Castel d’Azzano; Cazzano di Tramigna; Grezzana; Lazise; Pescantina; San Bonifacio; San Zeno di Montagna.
Enti che hanno adottato la delibera di Giunta Provincia di Verona; Verona; Boschi Sant'Anna; Bosco Chiesanuova; Bovolone; Brenzone; Bussolengo; Castagnaro; Cerro V.; Cologna Veneta; Dolcè; Fumane; Garda; Gazzo V.; Illasi; Isola Rizza; Lavagno; Legnago; Marano di Valpolicella; Minerbe; Mozzecane; Peschiera del Garda; Povegliano V.; Pressana; Roveredo di Guà; Salizzole; San Giovanni Lupatoto; San Pietro in Cariano; Terrazzo; Veronella; Villafranca di Verona; Zimella.
(3) Enti che hanno scelto l’Organismo indipendente di Valutazione
Albaredo d'Adige; Arcole; Bevilacqua; Bonavigo; Boschi Sant'Anna; Bovolone; Caldiero; Casaleone; Cavaion V.; Colognola ai Colli; Dolcè; Gazzo Veronese; Illasi; Isola della Scala; Legnago; Mezzane di Sotto; Minerbe; Montecchia di Crosara; Mozzecane; Peschiera del Garda; Sommacampagna; Terrazzo; Tregnago; Valeggio sul Mincio; Villafranca di Verona; Zevio.
Enti che hanno scelto il Nucleo di valutazione
Provincia di Verona; Verona; Badia Calavena; Bardolino; Brenzone; Bussolengo; Buttapietra; Castagnaro; Castelnuovo del Garda; Cologna Veneta; Fumane; Garda; Isola Rizza; Lavagno; Malcesine; Marano di Valpolicella; Monteforte d’Alpone; Negrar; Nogara; Nogarole Rocca Povegliano V.; Pressana; Ronco all’Adige: Roverè V.; Roveredo di Guà; Salizzole; San Giovanni Lupatoto; San Martino Buon Albergo; Sant’Ambrogio di Valpolicella; Soave; Veronella; Zimella.
Unione dei comuni della Provincia di Verona - Unione Adige – Guà: Cologna Veneta, Pressana, Roveredo di Guà, Veronella, Zimella; - Unione Comuni dall'Adige al Fratta: Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant’Anna, Minerbe, Terrazzo; - Unione Comuni di Sant'Anna d'Alfaedo ed Erbezzo; - Unione dei Comuni di Roveré, Velo e San Mauro; - Unione Destra Adige: Angiari,Isola Rizza, Roverchiara, San Pietro di Morubio; - Unione Verona Est: Caldiero, Colognola ai Colli, Illasi, Mezzane di Sotto; - Unione Veronese Tartaro Tione: Erbè, Mozzecane, Nogarole Rocca, Trevenzuolo, Vigasio.

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mercoledì 13 aprile 2011

Dai bisogni dei cittadini agli obiettivi strategici

Il PD di Verona, dopo aver approfondito i contenuti della riforma e valutato i risultati della ricerca, ha elaborato una proposta di cambiamento e di miglioramento della gestione degli enti locali che prevede l’utilizzo di strumenti innovativi al fine di elevare la qualità della vita dei cittadini. Esempi di questo cambiamento sono le città di Torino, Reggio Emilia e Cesena che hanno introdotto innovazioni nei servizi erogati in epoca anteriore al D. Lgs. n. 150/2009. Questo significa che il cambiamento radicale ed il miglioramento continuo è possibile a prescindere dagli obblighi di legge che molto spesso sono visti ed applicati come adempimenti formali.
Oggi i comuni si trovano stretti tra le crescenti aspettative dei cittadini e le limitazioni finanziarie imposte dall’alto. Queste ultime sono state causate dai tagli lineari ed indiscriminati adottati dal Governo per far quadrare i conti in un momento di grave crisi economica e dall’assenza di una strategia di crescita per il paese che avrebbe potuto far aumentare le risorse. In tale contesto i comuni dovrebbero reagire con una strategia di cambiamento che renda possibile il miglioramento dei risultati prodotti, la creazione del valore dal punto di vista dei cittadini e la riduzione dei costi. Non mancano esempi di comportamenti virtuosi da parte dei comuni che si ispirano ai seguenti principi: cambiamento, obiettivi strategici, processi, interazione con la comunità locale e creazione del valore per i cittadini.
Nel settore dei servizi comunali i cittadini non possono abbandonare l’organizzazione inefficiente ed insoddisfacente e rivolgersi ad altri per assenza di concorrenza. Nello stesso tempo non viene garantita alle comunità locali la possibilità di far sentire la propria voce, di intervenire, di stare con il fiato sul collo agli amministratori al fine di partecipare attivamente al miglioramento della performance. Sembra che sia stata assegnata ai cittadini un’unica opzione: la fedeltà passiva ed acritica verso i comuni.
Occorre ricreare un nuovo equilibrio attraverso la partecipazione delle comunità locali, la quale per essere produttiva di effetti positivi ha bisogno di essere informata compiutamente con dati e informazioni, relative alla performance, elaborate in tempo reale ed accessibili a tutti: cittadini, associazioni degli utenti, giornalisti, studiosi e ricercatori.
Per fare ciò occorre che venga introdotto nei comuni il performance management, strumento manageriale nato circa 16 anni fa che permette di realizzare un sistema di misurazione e valutazione della performance che comprenda gli obiettivi strategici, gli indicatori di efficienza ed efficacia dei servizi (ambiente, sicurezza, servizi sociali, territorio) ed i risultati per i cittadini. Tale sistema consente di: - realizzare un legame tra politica, strategia ed operatività; - coordinare gli strumenti di programmazione ed il piano della performance; - orientare attraverso la trasparenza interna i comportamenti del management e dei dipendenti al perseguimento degli obiettivi strategici; - intervenire durante lo svolgimento dei processi con azioni correttive nel caso in cui si verifichino scostamenti per adeguare l’andamento della produzione dei servizi agli obiettivi strategici.
Il primo anello della catena è la conoscenza dei bisogni dei cittadini e subito dopo gli obiettivi strategici. A tal fine è necessario utilizzare le informazioni analitiche e svolgere un’indagine di customer satisfaction affinché gli obiettivi strategici da conseguire rappresentino i problemi dei cittadini. Da non sottovalutare l’efficacia delle risorse utilizzate nel generare valore per i cittadini al fine di non disperdere risorse ed indirizzare le azioni a vantaggio della comunità locale.
La valutazione della performance per l’importanza che essa riveste per le organizzazioni e per i cittadini deve essere affidata ad organismi indipendenti altrimenti gli interventi conseguenti possono rivelarsi errati perché corrispondenti ad una valutazione di parte.
Ai comuni di piccole dimensioni conviene introdurre il sistema di performance management e gli organismi indipendenti di valutazione in forma associata ad altri comuni al fine di contenere i costi di investimento e di gestione.
Occorre realizzare un modello di comune aperto ai cittadini, i quali possono individuare gli sprechi e le inefficienze che le amministrazioni devono colmare prima di un eventuale crollo, ed agli altri comuni per attuare un processo sistematico di comparazione che consenta a ciascun comune di avvalersi della strategia replicativa.
Lo slogan “cambiare tutto per non cambiare nulla” va sostituito con “fare la cosa giusta e farla nel modo giusto”. Per tale motivo occorre partire dai bisogni dei cittadini, stabilire gli obiettivi e scegliere le azioni per perseguirli. Il rischio è che la riforma prevista dal D. Lgs. n. 150/2009 diventi il solito adempimento formale se non introdotta come un cambio di paradigma e di cultura manageriale.

Vincenzo D’Arienzo
Segretario provinciale
del PD di Verona

Antonino Leone
Responsabile PA

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martedì 12 aprile 2011

San Bonifacio in ritardo sulla valutazione e performance

San Bonifacio è un comune di circa 20mila abitanti e non ha ancora adottato alcun provvedimento riguardo all’attuazione del D. Lgs. n. 150 del 2009. Il ritardo è molto grave perché in questo caso si tratta di un comune di medie dimensioni.
La Giunta Comunale è inadempiente in quanto avrebbe dovuto:
- convocare il consiglio comunale per deliberare i criteri generali di modifica del Regolamento degli uffici e dei servizi per adeguarlo ai principi stabiliti dal Decreto;
- riunire la Giunta è deliberare le modifiche del Regolamento.
Dopo tali fasi iniziali la Giunta avrebbe dovuto introdurre il sistema di misurazione e valutazione della performance, il piano di performance ed attuare la gestione del ciclo della performance.
Le scadenze sono state superate abbondantemente e non si conoscono le prospettive della Giunta.
“Il 14 Gennaio scorso il Gruppo Consigliare del PD, dichiara Stefano Piccoli consigliere comunale del PD a San Bonifacio, ha presentato una interrogazione per avere chiarimenti in merito allo stato di attuazione del Decreto Legislativo 150/2009 che disciplina la riforma della pubblica amministrazione. Da allora non abbiamo mai ricevuto notizie, ma sappiamo che se il Sindaco fosse venuto in Consiglio comunale avrebbe dovuto informare che fino ad oggi non si è fatto ancora nulla”. “In altri comuni, continua Piccoli, si sono adottate delibere o, come a Verona o a San Giovanni Lupatoto, si è aderito al progetto “Performance e merito” promosso dall’ANCI. San Bonifacio è uno dei comuni ancora inadempienti, alla faccia dell’essere l’amministrazione “del fare” che il Sindaco Casu ha tanto propagandato. Questa inadempienza non è solo l’ennesimo sintomo di una Giunta priva di capacità di gestione della cosa pubblica ma finirà col penalizzare quei dipendenti pubblici meritevoli che non potranno vedersi erogare premi legati alla qualità della loro performance lavorativa”.
Il Gruppo Consigliare del PD di San Bonifacio, conclude Piccoli, chiede che si provveda ad attuare concretamente la riforma della pubblica amministrazione nel nostro territorio e che il Consiglio Comunale venga chiamato a dare opportuni atti di indirizzo su questo tema. Il Partito Democratico e il Gruppo Consigliare continueranno a battersi per portare un cambiamento positivo nella pubblica amministrazione, individuando obiettivi strategici da perseguire, processi atti al miglioramento, e interagendo con la comunità locale al fine di creare una P.A. amica del cittadino.
Il paradosso: una Giunta di centro destra non attua la prima riforma di centro destra.

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lunedì 11 aprile 2011

Legge bipartisan per i piccoli comuni

L'Aula della Camera ha approvato le disposizioni per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni. Il testo riproduce sostanzialmente quelli già delle due precedenti legislature che però non sono mai diventati legge in quanto non sono stati approvati da entrambi i rami del Parlamento. Ora si spera, ha spiegato il relatore Massimo Vannucci (Pd) che il Senato riesca a approvare questo tempo prima della fine della legislatura'.
Il provvedimento, su cui si è registrata la convergenza di maggioranza ed opposizione, mira alla promozione e al sostegno delle attività economiche, sociali, ambientali e culturali svolte nell'ambito territoriale dei piccoli comuni, a tutelarne il patrimonio naturale, rurale, storico-culturale e architettonico e ad adottare misure a vantaggio sia dei cittadini che vi risiedono, sia delle attività produttive, con riferimento, in particolare, al sistema di servizi territoriali, con l'obiettivo di stimolare e incrementare anche il movimento turistico.
Il testo si riferisce ai comuni o frazioni con popolazione pari o al di sotto dei cinquemila abitanti; particolarmente a quelli che presentano un dissesto idrologico o altre criticità ambientali, arretratezza economica, decremento della popolazione, disagio abitativo, un elevato indice di vecchiaia o una percentuale di disoccupati molto alta, difficoltà di comunicazione o dove il territorio è molto ampio rispetto all'insediamento.
Ecco alcune tra le più significative innovazioni: SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA: Ai piccoli comuni non sarà applicata la grande programmazione richiesta alle grandi città.
Avranno nuove norme più semplici per la valutazione dei responsabili degli uffici, e potranno avvalersi dei concessionari del monopolio, dei tabaccai per pagare imposte, tasse e tributi. Potranno stipulare convenzioni con le diocesi cattoliche e potranno avvalersi dei fondi per il gioco del lotto. Inoltre, potranno acquisire stazioni ferroviarie dismesse e case cantoniere ANAS dismesse.
RIEQUILIBRIO ANAGRAFICO: Si potranno registrare le nascite nei piccoli comuni anche se avvenute altrove, solo a fini statistici.
SERVIZI POSTALI: Il contratto di programma che il Governo deve stipulare con l'amministrazione postale mirerà ad offrire ai piccoli comuni la possibilità di fare convenzioni per salvaguardare il servizio postale. Ad esempio, affidando le tesorerie comunali alle Poste per mantenere aperti sportelli dove le Poste vorrebbero chiuderli.
ARRIVA LA LOTTERIA. Si chiamerà 'Piccoli comuni' e sarà ad estrazione istantanea: il gettito andrà ai piccoli comuni.
Dichiarazione di voto dell’on. Salvatore Margiotta
Signor Presidente, mi riservo anch'io di richiedere la pubblicazione del testo integrale della mia dichiarazione di voto. Vorrei solo due minuti di tempo, non più di due, per dire pochissime cose. Intanto è importantissimo che questa proposta di legge abbia trovato l'unanimità della Camera. Voglio poi dare atto e merito al collega Ermete Realacci che da anni lavora su questo tema e ottiene insieme a tutti noi l'approvazione da parte della Camera della proposta di legge, così come voglio ringraziare i bravi relatori, i colleghi Vannucci e Guido Dussin. L'Italia è questa, è una mirabile sintesi di ricchezze storiche, culturali, paesaggistiche, ambientali ed enogastronomiche disseminate in tutti i borghi del nostro territorio, quei borghi che vogliamo valorizzare con questo provvedimento e in cui vogliamo che continuino a vivere le persone ed i giovani in maniera particolare.
Di tutti gli aspetti che questa proposta di legge affronta, ne tocco solo uno: la ricchezza dei prodotti tipici del nostro Paese che caratterizzano le aree interne ed i piccoli comuni. È in corso «Vinitaly», l'anno scorso, anno di crisi mondiale dell'economia, le esportazioni italiane in vini hanno avuto un valore di 3 miliardi e mezzo, quest'anno ci saranno valori anche maggiori. Ogni regione ha prodotti tipici, ogni contrada, ogni zona. Penso alla mia regione, la Lucania, all'Aglianico del Vulture, al pecorino di Moliterno e Filiano, ai fagioli di Sarcone, alle acque minerari del Vulture, all'olio di Barile. È un settore in cui possono lavorare giovani, con il proprio entusiasmo, il proprio dinamismo, la loro voglia di fare, la loro creatività. Penso ad un'associazione di giovani potentini, Cibò, ed alla passione che mette in questo settore nel valorizzare i prodotti dei piccoli comuni.
Concludo, signor Presidente, con una bella frase di Bob Kennedy che dice che «la politica serve a rendere più dolce la vita dei cittadini su questa terra»: se questa frase è vera, oggi siamo andati in questa direzione e abbiamo fatto una buona politica.
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Pietro Micheli a Verona

Pubbliche Amministrazioni: riforma o controriforma? è il tema dell’incontro organizzato dal Partito Democratico di Verona che si terrà giovedì, 14 aprile, alle ore 18,30 presso il Liston 12, piazza Bra, di Verona.
Modera l’incontro Vincenzo D’Arienzo, segretario provinciale del PD di Verona.
I relatori sono:
- Prof. Pietro Micheli, Docente Gestione della performance ed ex membro CiVIT;
- Davide Zoggia, Responsabile Nazionale Enti Locali;
- On. Oriano Giovannelli, Presidente Forum Riforma PA;
- Antonino Leone, Responsabile PA del PD Verona.
Interverranno all’incontro: Paolo Tovo, responsabile Enti Locali PD Verona, Stefania Sartori e Diego Zardini, capi gruppo al Comune di Verona ed alla Provincia, Franco Bonfante e Roberto Fasoli, consiglieri regionali del Veneto.
Nell’incontro verrà presentata la ricerca sullo stato di attuazione del D. Lgs. n. 150 del 2009 negli enti locali della Provincia di Verona e la proposta del PD di Verona per migliorare la performance dei comuni veronesi.
L’incontro riveste molta importanza per gli argomenti trattati (riforma delle PA, enti locali, lo stato dei comuni veronesi), per la qualità dei relatori che rivestono responsabilità di primo piano nel processo di cambiamento delle Pubbliche Amministrazioni e per la concretezza dei contenuti che verranno esposti. L’evento interessa i cittadini veronesi che sono i beneficiari dei servizi locali per il ruolo partecipativo che dovranno assumere nel contesto locale e gli amministratori locali al fine di attuare i cambiamenti necessari per migliorare la performance dei comuni.
Pietro Micheli risponde ad alcune domande che gli ho posto sui comuni.

Basta la sola intuizione agli amministratori locali per migliorare la performance dei comuni?
E’ importante che gli amministratori locali utilizzino le loro capacità e la loro intuizione insieme a un approccio più sistematico a favore del miglioramento dei servizi pubblici. Pianificazione, misurazione, valutazione e risoluzione dei problemi (problem-solving) sono quattro aree che possono essere di grandissimo aiuto agli amministratori, soprattutto in presenza di risorse scarse.

Quali strumenti manageriali i comuni devono introdurre per far funzionare la struttura organizzativa e per migliorare i benefici a favore dei cittadini?
Innanzitutto, un comune deve essere capace di articolare un piano strategico (o “piano delle performance”) che articoli le modalità e i soggetti che possono contribuire all’erogazione efficiente ed efficace dei servizi pubblici. Per rendere concreto il piano strategico, il comune può dotarsi di un sistema di misurazione attraverso il quale potrà anche comprendere lo stato di avanzamento dei propri lavori, confrontare le proprie performance con quelle di altri comuni (e non solo), e utilizzare le proprie risorse in modo più sostanziato. A questo seguirà un sistema di valutazione, a livello organizzativo e individuale, per identificare gli eventuali scostamenti dai risultati attesi e per erogare premi (o sanzioni) quando possibile. Infine il comune potrà usare degli strumenti semplici e ampiamente collaudati per attivare cicli di “miglioramento continuo”. C’e’ da ricordare, comunque, che l’utilizzo di questi strumenti e approcci deve essere accompagnato da comunicazione, coinvolgimento e formazione di soggetti (stakeholder) esterni (cittadini, imprese, organizzazioni no profit, ecc.) e interni: sono questi a rendere ogni miglioramento possibile.

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Katty Gerardo: speranza per Castagnaro

Katty Gerardo è una giovane donna, avvocato ed iscritta al Partito Democratico che ha deciso di candidarsi a Sindaco di Castagnaro.
Non sempre vi è la possibilità di sostenere una donna giovane e capace in politica. Molto spesso le donne non sono valorizzate e rimangono ai margini. Adesso vi è la possibilità concreta di scegliere una donna capace, dotata di tanto entusiasmo e di creatività, che si mette al servizio della comunità di Castagnaro per invertire la tendenza di una gestione non brillante del Comune.
Da questa pagina si lancia un appello alle donne ed agli uomini di Castagnaro per sostenere la candidatura di Katty che rappresenta il rinnovamento di un certo modo di fare politica nel territorio.
“Da lunghi anni il Comune di Castagnaro, dichiara Katty Gerardo candidata a Sindaco nel comune di Castagnaro, è amministrato da persone che rispondono solo alle esigenze di pochi. La mia candidatura nasce della spinta di chi mi ha detto: "Katty basta dire che occorre cambiare, facciamolo noi!" Da lì è partita la sfida di un gruppo di persone di area del centro sinistra. Il nostro obiettivo principale è rilanciare il Paese, sviluppare le aree artigiani e industriali, create e poi abbandonate, ridare i servizi che ora non ci sono più, collaborare con le associazioni di categoria, che negli ultimi anni sono state del tutto ignorate. Noi non pensiamo alle grandi "opere faraoniche che" e inutili, unico pensiero degli ultimi amministratori. Era ora di cercare di cambiare e ci vogliamo provare”. “Occorre, conclude Katty Gerardo, avviare un cambiamento positivo nell’organizzazione del Comune con una diversa applicazione del D. Lgs. n. 150/2009 rispetto a quella iniziata dall’Amministrazione Comunale uscente”.
La Giunta Comunale ha previsto la istituzione del vecchio Nucleo di Valutazione con tutti i difetti ed i limiti che tale organo ha dimostrato fin dalla sua origine.
Ritengo che occorre introdurre gli strumenti manageriali previsti dal performance management e istituire l’Organismo indipendente di valutazione in associazione con altri comuni, il quale per le alte professionalità richieste e per la sua indipendenza ed autonomia dall’organo politico amministrativo potrà espletare le proprie competenze con effetti positivi sulla performance del Comune.
La Giunta Comunale è intervenuta su questa materia con una deliberazione di Giunta, esprimendo una bassa propensione al dialogo ed al confronto. Tutto questo è avvenuto nonostante che la normativa preveda che i criteri generali per la modifica del Regolamento degli uffici e dei servizi vadano deliberati dal Consiglio Comunale.
Katty Gerardo sarà presente all’incontro “Pubbliche Amministrazioni: Riforma o Controriforma” che si terrà il giorno 14 aprile, alle ore 18,30, presso il Liston 12 di Verona.

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