venerdì 19 dicembre 2014

Marianna Madia, conferenza programmatica di Roma



 

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domenica 23 novembre 2014

Tra i sostenitori di Alessandra Moretti

Il mio viaggio tra i sostenitori di Alessandra Moretti continua. Registro altre opinioni a sostegno della candidatura di Alessandra alle primarie del PD per la scelta del candidato alla presidenza della regione Veneto. Valutazioni ed apprezzamenti convinti e attendibili che si integrano fra di loro. Le opinioni espresse secondo me vanno nella direzione giusta e rappresentano l’unica alternativa seria e credibile alla Giunta Zaia.
Si riportano le dichiarazioni delle persone che ho incontrato:
Clara Scapin, Sindaco di Legnago
"Io sostengo con convinzione Alessandra Moretti perché' dopo oltre 20 anni di governo di questo centrodestra il Veneto ha diritto di ritrovare la sua vera strada. Alessandra Moretti ha l'esperienza maturata come Amministratore di un Comune, di parlamentare, di eurodeputato, perciò' sa come si governa un territorio, cosa si può' chiedere al Governo, come ci si può' presentare in Europa!
Con Alessandra faremo ripartire il Veneto, recuperando le energie, l'orgoglio, la creatività' la laboriosità', la cultura dell'accoglienza e della solidarietà pilastri che hanno fatto grande la nostra terra . Con Alessandra e la sua squadra faremo tornare il Veneto uno dei motori per la ripresa di tutto il Paese e nello stesso tempo recupereremo credibilità in Europa come una Regione che può contribuire alla rinascita di un'Europa dei Popoli".
Sara Annechini, consigliere comunale di Castel d'Azzano
"Tenere i giovani in Veneto, far crescere i trasporti pubblici, garantire presidi medici territoriali e pari opportunità nell'accesso al mondo del lavoro. Quattro idee chiare per il nostro Veneto . Un programma semplice, compatto, lineare: con Alessandra Moretti è questo il futuro che reclamiamo e che possiamo costruire".
Vera Scola, Direzione PD Verona
"Ho deciso di sostenere Alessandra Moretti perché è una donna forte e decisa, che ho avuto modo di apprezzare soprattutto per le battaglie e l'impegno politico sul tema dei diritti civili e dell'uguaglianza di genere. Sono certa che metterà lo stesso slancio e la stessa determinazione nel governare il Veneto, in modo onesto e trasparente, ascoltando le persone e mettendole al centro del proprio operato, con un'attenzione particolare al lavoro e ai giovani.
Ritengo inoltre che Alessandra Moretti possa rappresentare, finalmente, quel fondamentale anello di congiunzione tra il nostro Veneto e l'Europa, rispetto allo sterile e controproducente euroscetticismo di chi ci ha governato negli ultimi anni".
Daniele Giacomazzi, Circolo PD di Sona
"Perché sostenere Alessandra Moretti? Perché solo con la sua chiarezza e semplicità possiamo convincere i Veneti che il nostro territorio e la nostra economia possono risollevarsi dalla pessima gestione Zaia. Le potenzialità del nostro territorio sono infinite: bellezze naturali e città d'arte, cultura enogastronomia ed eccellenza manifatturiera sono alcuni dei nostri punti di forza. Queste ricchezze però le abbiamo perse di vista annebbiando la vista dei veneti con promesse di indipendentismo che ci hanno chiuso molti orizzonti ed hanno lasciato la Regione ingovernata sui veri problemi: sanità, infrastrutture, formazione, turismo e tutela del territorio".
Con la forze e l'entusiasmo di Alessandra,il Veneto potrà trovare nuova fiducia per rilanciarsi in Italia ed in Europa a partire dalla grande occasione dell'Expo 2015 ".
Sostenere Alessandra Moretti è l’unica scelta semplice e chiara per tutti coloro che vogliono vedere il Veneto decollare e compiere delle scelte a vantaggio della comunità veneta. Rinnovamento, efficacia e trasparenza rappresentano i contenuti dell’impegno politico di Alessandra Moretti per il Veneto. Pertanto, partecipiamo alle primarie ed esprimiamo la preferenza a favore di Alessandra Moretti.

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venerdì 14 novembre 2014

Verona per Alessandra Moretti

Incontro con ampia partecipazione ieri sera a Verona presso il Centro Marani con Alessandra Moretti.
Ha introdotto i lavori Enzo Righetti e sono intervenuti tante persone: donne, uomini, giovani impegnati nel partito e nelle istituzioni ed amministratori. Alessandra Moretti ha richiamato un’ampia partecipazione grazie all’interesse che la sua presenza produce anche nel panorama politico veronese. Bisogna ricordare che Alessandra ha realizzato un ottimo rapporto con Verona fin dai tempi in cui era Vice-sindaco di Vicenza con i suoi interventi negli eventi organizzati soprattutto dai giovani del Partito Democratico di Verona.
Alessandra ha analizzato con puntualità le condizioni negative in cui si trova la Regione Veneto per l’incapacità di programmare il futuro e la mancanza di coraggio nelle scelte politiche ed amministrative della Giunta Zaia: dalla sanità ai trasporti, dai servizi sociali alla organizzazione dell’istituzione regionale.
Moretti non si è limitata solo a questo. Sarebbe stato troppo facile criticare e criticare. E’ andata oltre ha rappresentato le prospettive di sviluppo sociale ed economico del Veneto, le capacità potenziali non sfruttate e la bellezza del territorio che con una politica appropriata possono fare decollare la regione verso una migliore posizione competitiva nel Nord Est e nel contesto nazionale.
Ho raccolto le impressioni e le opinioni di alcuni sostenitori presenti all’incontro per approfondire le ragioni del loro impegno a sostegno di Alessandra Moretti. Ecco le opinioni:
Diego Zardini, deputato del PD
“Negli ultimi anni, abbiamo visto la Regione Veneto resistere a molte fatiche, come la crisi economica e amministrazioni miopi che hanno pesantemente segnato il tessuto socio economico di una delle regioni strategiche per l'economia italiana ed europea; anni in cui il benessere civico e del territorio è stato sacrificato al guadagno economico di pochi. Io credo che è urgente una svolta, penso che il cambiamento ora più che mai sia necessario e ritengo che sia fondamentale per questo cambiamento la candidatura alla presidenza della Regione Veneto di Alessandra Moretti, una donna, una madre, una persona con grandi capacità e una passione che la lega al nostro territorio ed all’esigenza di miglioramento dei veneti. Ha dimostrato di possedere una capacità politica e una sensibilità unica, soprattutto nelle tematiche dei diritti umani e della crescita sostenibile. Per questo ribadisco che per rilanciare il Veneto l'unica strada percorribile è quella di un cambio di rotta rispetto alle Amministrazioni precedenti, e un Presidente come Alessandra Moretti che ha la forza e le capacità per amministrare in modo efficace una regione fondamentale come il Veneto. Cambiamento e discontinuità sono i fattori che guideranno l’impegno di Alessandra Moretti.
Anna Maria Bigon, Sindaco di Povegliano Veronese
“Sostengo Alessandra Moretti perché rappresenta l'opportunità che una donna forte, competente e onesta riporti la buona politica al centro del Veneto. Alessandra ha dimostrato in questi anni di saper affrontare anche le sfide più difficili, mettendosi in gioco. Credo che questo coraggio, unito alla capacità di interpretare il bisogno di cambiamento, facciano di lei la persona ideale per guidare la nostra regione e per questo a lei va tutto il mio sostegno”.
Luca Granzarolo, consigliere di circoscrizione
“Ho deciso di sostenere Alessandra Moretti perché ho avuto modo di conoscerla qualche anno fa. So quanto è disponibile, preparata, competente ed entusiasta e queste sono doti fondamentali per una persona che si impegna in politica. Inoltre credo che queste elezioni regionali siano un'occasione unica. Possiamo davvero vincere, togliere il Veneto dalle sabbie mobili in cui è intrappolato e rilanciarlo. Per fare questo dobbiamo avere il migliore candidato, Alessandra risponde perfettamente a questo requisito".
Nell’incontro sono state espresse da parte dei partecipanti speranza e entusiasmo nei confronti di Alessandra Moretti che sicuramente guideranno il loro impegno per realizzare il tanto atteso e bistrattato cambiamento così come è avvenuto in altri territori del paese.
Molti politici scelgono nel loro impegno la prospettiva di sopravvivenza e la sicurezza del posto che occupano e non del cambiamento. Al contrario Alessandra Moretti si è messa in gioco ogni qual volta il Partito Democratico si è rivolta a lei per sostenere alcuni obiettivi ed ha dimostrato di avere un alto senso di appartenenza al PD. I miopi e gli interessati possono scambiare tale disponibilità in una forma di ricerca del potere. Se fosse vera tale affermazione Alessandra avrebbe scelto sicuramente di rimanere al suo posto in Parlamento e di non contribuire con la sua persona a far conseguire risultati migliori al Partito Democratico.
“Con le prossime elezioni regionali abbiamo l'opportunità di scrivere una nuova storia per il Veneto”, afferma Alessandra Moretti. “Sono convinta, conclude Alessandra Moretti, che la sfida la vinceremo solo se sapremo essere uniti, mettendo a disposizione le migliori competenze per un progetto che vuole ridare speranza e fiducia al nostro territorio. Scegliere il candidato Presidente della Regione Veneto attraverso le primarie segnerà, il prossimo 30 novembre, il primo passo verso un futuro di rinascita, lavoro, territorio, impresa. Un futuro che preferisce la comunità alla solitudine, il progresso alla conservazione, l'inclusione alle barriere”.

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giovedì 13 novembre 2014

Diego Zardini, politica e ambiente

Intervista a Diego Zardini a cura di Valentina Gallo e Tommaso Giacchetti pubblicata su Cultura Democratica l’8 novembre 2014
L’On. Diego Zardini è membro dell’VIII Commissione (ambiente, territorio, e lavori pubblici) e fa parte dell’Intergruppo Parlamentare Mobilità Nuova e Mobilità Ciclistica.
Come nasce l’Intergruppo Parlamentare Mobilità Nuova e Mobilità Ciclistica e quali obiettivi si pone?
Nel terzo millennio vi sono delle problematiche urgenti ed essenziali non più procrastinabili che comprendono a loro volta altri argomenti. E’ il caso della mobilità sostenibile che è correlata ai piani territoriali, alla qualità della vita, alla vivibilità dei centri urbani, alla tutela dell’ambiente, alla salute dei cittadini. Su tale argomento vi è una vasto consenso ed una particolare sensibilità che interessa i cittadini, le associazioni ed i partiti politici ed una coscienza ed un impegno unitario a prescindere dagli schieramenti politici. I parlamentari dell’Intergruppo sono quelli che per primi hanno preso coscienza di tale aspetto ed hanno costituito il gruppo Mobilità Nuova per affrontare unitariamente le problematiche correlate alla mobilità sostenibile.
Da tempo è possibile rilevare un interesse crescente da parte dei media e dei cittadini nei confronti della mobilità ciclistica e, complice anche la crisi economica, un numero crescente di persone si avvicinano all’uso della bicicletta per i propri spostamenti. Quali iniziative a supporto della mobilità ciclistica sono state attivate o sono in programma da parte dell’Intergruppo Parlamentare e dal governo per lo sviluppo della mobilità ciclistica in Italia?
I parlamentari dell’Intergruppo sono impegnati a sostenere la mobilità ciclistica con emendamenti e proposte di legge. Le principali iniziative intraprese sono: la proposta di legge De Caro ed altri per la creazione della rete ciclabile nazionale, la proposta di legge De Lorenzis per iniziative di contrasto al furto. È stato inoltre approvato il provvedimento per la riforma del codice della strada, cercando di porre al centro la mobilità ciclistica.
Personalmente ho presentato una proposta di legge, sottoscritta da altri 30 deputati appartenenti ai gruppi parlamentari di PD, di Sel e di Scelta Civica, finalizzata a rimuovere gli ostacoli ed i condizionamenti normativi che rendono impossibile l’uso della bicicletta per recarsi al lavoro. Infatti, il riconoscimento dell’infortunio e la corresponsione dell’indennità viene effettuata solo nei seguenti casi: assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto; non percorribilità a piedi del tragitto casa e lavoro e viceversa; incidente avvenuto solo all’interno di piste ciclabili o di zone interdette al traffico.
Tali condizioni rendono impossibile il riconoscimento dell’infortunio in itinere e la conseguente corresponsione da parte dell’INAIL del risarcimento per i lavoratori che utilizzano la bicicletta per recarsi al lavoro. Occorre liberare con urgenza l’uso necessitato della bicicletta da parte dei lavoratori che la usano nel tragitto casa e lavoro e viceversa per i benefici prodotti da tale mezzo di trasporto inerenti: l’impatto ambientale (inquinamento acustico, atmosferico ed emissione del gas serra); i costi legati alla mobilità urbana (benzina, ticket parcheggio); la tutela della salute dei cittadini (aspettativa di vita più lunga, riduzione dello stress); la riduzione del traffico sulle strade (decongestione del traffico, riduzione degli incidenti in itinere).
Come Think Tank riteniamo che il mobility management sia uno strumento molto interessante per coinvolgere imprese e cittadini nel cambiamento delle abitudini di mobilità e nello sviluppo di forme innovative di mobilità sostenibile. Il Ministero dell’Ambiente ed Euromobility hanno ribadito in diverse occasioni l’intenzione di rilanciare e potenziare la figura del Mobility manager. In che modo potrà essere potenziata questa figura.
La figura del Mobility manager è una figura essenziale che viene utilizzata dagli enti locali e dalle imprese al fine di affrontare i problemi relativi alle politiche della mobilità sostenibile del territorio. Inizialmente la figura del Mobility Manager si focalizzava sugli spostamenti casa-lavoro, coordinando le iniziative delle aziende in tale direzione.
Oggi invece la figura si è evoluta ed è impegnata anche nelle politiche territoriali della mobilità insieme agli enti locali. Inoltre, interviene anche nelle strutture scolastiche tra gli studenti per cambiare la cultura della mobilità. Per svolgere un lavoro proficuo è necessario dotarsi di un piano territoriale di mobilità ed intervenire nel rispetto di tale strumento, introdurre sistemi di misurazione e reporting dei benefici prodotti e costruire dei sistemi premianti ed incentivanti per i soggetti impegnati in azioni di mobility management.
Nel corso della European Mobility Week a Roma si è discusso del successo dei servizi di car sharing. Quale ruolo possono assumere questi servizi entro una visione complessiva della mobilità urbana? I servizi più noti sono gestiti da operatori privati. Ritiene che l’iniziativa privata nel settore e l’uso di questi servizi da parte degli abitanti debbano essere incentivati?
E’ necessario sostenere la mobilità sostenibile con una pluralità di interventi pubblici e privati, tra i quali il servizio di car sharing. Tale servizio deve essere correlato ai piani territoriali della mobilità sostenibile e, quindi, va valutato nel quadro programmatico di interventi a sostegno della mobilità urbana e non come un servizio a se stante.
A livello europeo sono in corso numerose iniziative per promuovere e sviluppare la mobilità elettrica. In Italia cresce l’interesse degli operatori privati ma sono più limitate le iniziative in corso. Qual è la posizione dell’Intergruppo Parlamentare e quali sono gli obiettivi e le iniziative del governo?
Le forme alternative di alimentazione dei mezzi di locomozione sono assolutamente da incentivare. L’intergruppo vede con assoluto favore le iniziative private che mirino all’innovazione del settore. È evidente che il nostro paese debba superare un gap significativo con altri paesi avanzati. Il Governo ed il Parlamento stanno portando avanti il cosiddetto collegato ambientale che ha il compito precipuo di introdurre misure che favoriscano l’innovazione tecnologica ed, in particolare, la green economy. A breve la discussione dovrebbe approdare in aula alla Camera dei Deputati e sarà un banco di prova per fare un salto di qualità.

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venerdì 31 ottobre 2014

Quali fattori per il cambiamento?

Negli ultimi decenni si è registrata nel pianeta un’accelerazione straordinaria in direzione del cambiamento. Alcuni studiosi hanno elaborato e proposto i fattori di cambiamento che le organizzazioni (imprese, istituzioni, partiti) dovevano utilizzare per adattarsi all’ambiente. Purtroppo in molti casi tali studi non sono stati considerati dalle organizzazioni con gravi ripercussioni nell’economia e nella società.
L’organizzazione tayloristica continua a sopravvivere con effetti negativi sul cambiamento. Questo purtroppo avviene nell’organizzazione statale (crisi della pubblica amministrazione), nei partiti sempre più lontani dai cittadini, nelle imprese che escono dal mercato perché non più competitive con effetti devastanti sull’occupazione.
La resistenza al cambiamento è un fatto reale e viene utilizzata da coloro che hanno paura di perdere ruolo e funzioni garantite dal permanere dello status quo. I vecchi strumenti di intervento non vengono sostituiti e le nuove visioni fanno fatica ad affermarsi al fine di realizzare una società equa e solidale. Si tratta di far saltare i vecchi equilibri per crearne dei nuovi ed in questi nuovi equilibri non viene garantita la permanenza di obsolete e logore figure del passato. Infatti, la nuova stagione del cambiamento non può essere affidata a coloro che fanno resistenza e non credono nella costruzione di un futuro diverso e migliore.
Diversi sono gli insegnamenti di studiosi per realizzare il cambiamento. Se ne citano alcuni molto significativi anche se datati ma comunque attuali.
“La conoscenza è l'unica risorsa importante. I tradizionali fattori di produzione – terra, cioè le risorse naturali, manodopera e capitale – non sono scomparsi. Ma sono diventati secondari. La conoscenza, che, nel suo nuovo significato, è conoscenza come utilità, conoscenza come mezzo per ottenere risultati sociali ed economici”(Peter Drucker, 1993). Per tale motivo occorre intervenire efficacemente sul sistema educativo e sulla formazione professionale poiché dalla qualità e dal livello della conoscenza deriva la produttività del lavoro e l’innovazione dalle quali dipende la posizione competitiva di un paese nel mondo globale.
Vi sono altri autori che individuano alcuni elementi di trasformazione che guidano l’evoluzione impetuosa: - Velocità; - Interconnessione; - Aspetti immateriali (conoscenza, informazioni). Le regole del passato collegate al mondo industriale oggi sono meno applicabili - produzione di massa, segmentazione dei prezzi, standardizzazione delle mansioni - (Stan Davis e Christopher Meyer, 1999). Occorre tenere presente che l’interconnessione e la rete hanno sostituito le vecchie regole dell’economia: - l’abbondanza genera valore; - il pensiero a sciame di tipo bottom up (Kevin Kelly, 1999).
John P. Kotter, docente emerito e guru del cambiamento, indica otto stadi per realizzare il cambiamento e tra questi: - Creare il senso dell’urgenza del cambiamento. Per ottenere l’indispensabile cooperazione a favore del cambiamento è essenziale comunicare ed accrescere il senso dell’urgenza, ridurre l’acquiescenza e l’autocompiacimento, scegliere persone non coinvolte nelle gestioni passate. Inoltre, occorre mettere in cantiere misure audaci e rischiose che non sempre vengono capite immediatamente.
Gli elementi indicati sono essenziali per realizzare nel nostro paese il cambiamento dopo tanti anni di immobilismo. Tale cambiamento interessa i partiti e la macchina dello stato come organizzazione.
In una intervista Piero Fassino, sindaco di Torino,afferma: “Io sono lieto di essermi formato in un grande partito ….. Ma quel partito era figlio del ‘900 e del fordismo, che non era solo un modo di organizzare la produzione, ma di organizzare la società; era fordista anche il Pci. ….. Creare nuove forme di presenza nel territorio e di coinvolgimento attivo dei cittadini. Puntare su forme di democrazia diretta come le primarie. Trasformare la rete e il web da strumento di stalking politico a strumento di partecipazione”. Inoltre, Fassino pone attenzione alle due variabili spazio e tempo ed afferma che la decisione politica è troppo lenta e tardiva.
Condivido le riflessioni di Fassino e credo che per avviare il \cambiamento occorre uscire dall’organizzazione tayloristica che ha creato indiscutibili benefici durante la prima rivoluzione industriale ma che oggi rappresenta un grande impedimento per le organizzazioni che intendono innovarsi.
Qualche governante del passato difende le scelte del suo Governo in tema di lavoro e non considera che è stato fatto meno di quello che il paese richiedeva e di quello che dovrà essere costruito. Infatti le condizioni del nostro paese derivano dalla gestione negativa degli ultimi 20-30 anni che si è accontentata di piccoli mutamenti che non hanno inciso o scalfito il sistema. A questa condizione va aggiunta la crisi finanziaria del 2007 che ha colto l’Italia impreparata ad affrontare i conseguenti effetti devastanti.
I contestatori del cambiamento radicale proposto da Renzi sono impegnati a sostituire il senso dell’urgenza, comunicato giustamente da Renzi al paese, con l’annuncite e a definire di destra la velocità, la quale è un fattore di misurazione e valutazione della qualità dei processi decisionali e di produzione delle organizzazioni.Tali denigratori dimenticano che sono di destra e conservatori tutti coloro che non intendono uscire dal Taylorismo e che si contrappongono alla costruzione del futuro.
Quasi tutti affermano di condividere i valori dell’equità, della solidarietà e della giustizia sociale. La differenza nasce dalla scelta degli strumenti per concretizzare i valori indicati.Alcuni prediligono continuare ad applicare i vecchi strumenti del passato, camuffandoli come nuovi, per contrastare la povertà e la disoccupazione e garantire i diritti delle persone, dimenticando che l’utilizzo di tali strumenti non ha prodotto nel passato risultati efficaci. Altri esponenti intendono sperimentare nuove vie: - tutelare le persone e non l’ingessatura dei posti di lavoro; - costruire una macchina statale snella e veloce; - uscire dalle anacronistiche metodologie di lavoro, le quali sembrano cerimonie religiose immutabili (concertazione), che hanno prodotto scarsi risultati rispetto ai bisogni del paese.
Occorre abbandonare la deformazione della realtà per interessi di bottega e le posizioni strumentali che sono infinite per affrontare in un quadro serio ed efficace di cambiamento i problemi concreti del paese con strumenti nuovi ed adeguati.
Oltre ai fattori di cambiamento descritti occorre una politica che si richiami alla trasparenza ed alla franchezza perché le bugie e l’opacità portano inevitabilmente ai disastri economici e sociali.

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venerdì 26 settembre 2014

Replica a Angelo Rughetti

Al Sottosegretario alla semplificazione e pubblica amministrazione Angelo Rughetti ho replicato con la e-mail che viene di seguito riportata.
“La ringrazio per la disponibilità dimostrata rispondendo alla mia e-mail.
Ritengo che sia urgente in questo momento di grave crisi economica stabilire delle condizioni e degli strumenti affinché gli enti territoriali possano avviare un processo di cambiamento all’insegna della trasparenza, dell’efficienza e della efficacia dell’azione.
Alla luce dei risultati prodotti dal D. Lgs. n. 150/2009 si ritiene che occorre introdurre nelle autonomie locali, così come avviene in tutte le organizzazioni innovative, un sistema di misurazione e valutazione della performance e gli indicatori degli indicatori di efficienza e di efficacia. Inoltre, occorre superare gli anacronistici servizi di controllo interno e nuclei di valutazione e prevedere la costituzione degli Organismi indipendenti di valutazione. Per realizzare il benchmarking tra gli enti è necessario introdurre gli strumenti manageriali proposti.
Per quanto riguarda gli Organismi di valutazione le delibere della ex Civit, la quale ha dettato “criteri stringenti per l’adeguamento alla nuova normativa”, sono rivolte alle amministrazioni centrali dello Stato, agli enti pubblici non economici e solo alle autonomie locali che hanno costituito l’organismo indipendente di valutazione della performance. Pertanto, i comuni e le regioni continuano in gran parte ad utilizzare il vecchio organismo di valutazione e non sono soggette ai contenuti ed alle disposizioni emanate dalla ex Civit.
Ritengo che l’eliminazione della figura del Segretario comunale e le nuove norme rivolte alla dirigenza non sono sufficienti per le autonomie locali per avviare un percorso di cambiamento delle autonomie locali.
A mio modesto avviso ritengo che occorre nel disegno di legge delegare il Governo affinché possa dilegiferare nelle seguenti materie:
- Introduzione del sistema di misurazione e valutazione della performance;
- Adozione degli indicatori di performance;
- Costituzione dell’Organismo indipendente di valutazione della performance;
- Riorganizzazione della materia degli incentivi al personale, la cui erogazione deve essere condizionata alla introduzione del sistema di misurazione e valutazione della performance ed alla adozione degli indicatori della performance.
Inoltre, occorre che il disegno di legge delega modifichi e integri il D. Lgs. n. 150/2009 nel modo seguente:
- Abrogazione del c. 2 dell’art. 13 del Decreto al fine di far rientrare nell’area di controllo e di supporto della ex Civit (ora Dipartimento della Funzione Pubblica) le autonomie locali. Fino a questo momento la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e l’Anci non hanno prodotto i risultati sperati dal legislatore;
- L’estensione dei commi 1 e 2 dell’art. 14 del Decreto alle autonomie locali al fine di sostituire i servizi di controllo interno ed i nuclei di valutazione con l’Organismo indipendente di valutazione, disciplinato dal D. Lgs. n. 150/2009. I vecchi organismi di valutazione sono stati duramente criticati dalla letteratura manageriale per i risultati insufficienti conseguiti e per l’autoreferenzialità.
E’ necessario aprire un dialogo ed un confronto con l’Anci e la Conferenza delle regioni e delle province autonome e dopo sulla base dei risultati adottare gli appositi decreti legislativi.
Sono convinto che il disegno di legge delega è una occasione da non perdere a favore del cambiamento delle autonomie locali, superando i limiti del D. Lgs, n. 150/2009”.
Si fa presente che il management di una organizzazione privata o pubblica deve disporre di dati e informazioni sui processi produttivi per conseguire gli obiettivi programmati e guidare l’organizzazione stessa a realizzare il miglioramento continuo. In mancanza di tali informazioni l’organizzazione viene guidata a vista con i conseguenti errori di valutazione. Inoltre, per le organizzazioni viene disattesa la trasparenza totale nei confronti dei cittadini, i quali sono nell’impossibilità di partecipare e proporre i cambiamenti necessari.

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lunedì 22 settembre 2014

Angelo Rughetti risponde sulla riforma PA


Subito dopo la lettura del disegno di legge delega “Riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” ho inviato una e-mail ai deputati Alessia Rotta e Diego Zardini nella quale esprimevo le mie perplessità e preoccupazioni in quanto il D. L. n. 90/2014 ed il disegno di legge delega non prevedono, nonostante l’esperienza fallimentare, il superamento delle norme dettate dal D. Lgs. n. 150/2009 (decreto Brunetta) in materia di autonomie locali.
E-mail inviata ai deputati Alessia Rotta e Diego Zardini
“Sono molto preoccupato in quanto il D. L. n.90/2014 ed il disegno di legge delega sulla PA non prevedono cambiamenti nei confronti dei comuni e delle regioni. Pertanto rimangono in vigore le norme previste dalla legge Brunetta (D. Lgs. n. 150/2009) con tutti i loro limiti: Norme facoltative per le autonomie locali.
I Comuni potranno continuare a istituire il nucleo di valutazione anziché l’organismo indipendente di valutazione (OIV), obbligatorio solo per le amministrazioni dello Stato e per gli enti pubblici non economici. La letteratura manageriale ha espresso critiche fondate e pesanti nei confronti del nucleo di valutazione (autoreferenzialità, assenza di canali di comunicazione con l’esterno, assenza di indicatori di performance, risultati insufficienti ecc.).
Occorre nintrodurre nei comuni e nelle regioni il sistema di misurazione e valutazione della performance al fine di erogare servizi di qualità senza dispendio di risorse. Tale strumento non è obbligatorio per le autonomie locali.
Inoltre, non è previsto il benchmarking tra i comuni, classificati per popolazione, le Regioni e le strutture del Servizio sanitario nazionale. Per realizzare tale comparazione è necessario stabilire a livello centrale degli indicatori comuni di performance.
E’ necessario abrogare il c. 2 dell’art. 13 del D. Lgs n. 150/2009 perché svuota di poteri l’organo di controllo e valutazione (ex Civit ora Dipartimento della funzione pubblica) e realizzare con le associazioni (Anci e Conferenza delle Regioni) una consultazione prima di introdurre le norme obbligatorie per le autonomie locali (OIV, sistema di misurazione e valutazione della performance, indicatori di performance,benchmarking).
L’art. 19, c. 9, del D. L. n. 90/2014 conv. nella L. n. 114/2014 prevede il trasferimento delle competenze in materia di misurazione e valutazione della performance al Dipartimento della funzione pubblica. Questa decisione è uguale a quella di Brunetta che non ha voluto istituire un’Autorità ad hoc e si è limitato a creare l’ex Civit. In definitiva tali competenze verranno gestite da un organo che dipenderà dalla Presidenza del Consiglio e quindi non potrà operare in completa autonomia e indipendenza. Non bisogna dimenticare che accanto alla misurazione e valutazione occorre prevedere la trasparenza della performance affinché i cittadini possano prendere conoscenza dei risultati e delle risorse utilizzate.
Questi sono alcuni problemi della Riforma della PA.” …………
Alessia Rotta, ritenendo importante la mia comunicazione, ha girato l’e-mail al Sottosegretario Angelo Rughetti, il quale gentilmente mi ha inviato la seguente risposta.
“Ci riferiamo alla Sua email relativa al tema della valutazione negli enti locali. Siamo pienamente d’accordo sul fatto che la valutazione e la meritocrazia, intesa in senso ampio, delle persone e delle strutture, siano la chiave di volta per una Pubblica Amministrazione a servizio dei cittadini; crediamo tuttavia che per quanto riguarda il tema specifico della valutazione e della misurazione della performance negli Enti Locali, quanto accaduto negli ultimi anni ci imponga una riflessione particolare.

Già il CCNL del 31.03.1999 aveva introdotto negli enti locali l’obbligo di definire strumenti di valutazione ai fini della erogazione dei premi di produttività; questo precettoè stato ulteriormente rafforzato con il dlgs 150/2009, artt. 18 e 54, che, pur lasciando agli enti locali ed alle Regioni l’autonomia nelle modalità di adeguamento, ha posto un vincolo valevole per tutte le amministrazioni, ivi compresi gli enti locali, ai quali è vietata ogni forma di distribuzione delle risorse destinate alla produttività in assenza dell’adozione degli strumenti di valutazione della performance, la violazione di tale vincolo determina responsabilità erariale a carico dell’Amministrazione.
Allo stesso modo, per quanto riguarda il tema degli Organismi di Valutazione, la CIVIT (ora A.N.A.C) con proprie Delibere ha dettato criteri molto stringenti per l’adeguamento alla nuova normativa anche da parte degli enti locali, tenuti a rivedere i propri Nuclei di valutazione conformandosi ai precetti vincolanti contenuti nelle citate Delibere.
A fronte di tutto ciò, abbiamo assistito in questi anni alla produzione da parte di tantissimi Comuni di elaborati piani della performance, all’adozione di complessi regolamenti sui nuovi organismi di Valutazione, il cui risultato spesso però in termini complessivi di efficienza e premialità non è stato, purtroppo, quello atteso.
Non crediamo, quindi, sia un problema di introdurre nuovi obblighi ma di capire dove e in che termini questo modello va rivisto, anche alla luce del nuovo contesto socio economico nell’ambito del quale ci muoviamo; nella riforma della PA che abbiamo avviato con il DL n. 90/2014 e, soprattutto, con il Disegno di legge Delega AS n. 1577, abbiamo puntato allo sviluppo di una PA – statale, regionale e locale -, semplice e fluida nonché sulla responsabilizzazione degli attori coinvolti, in primis i dirigenti pubblici, assegnando alla valutazione del loro operato un peso fondamentale e concreto, anche ai fini del rinnovo degli incarichi.
Ovviamente, c’è tanto ancora da fare; la ringraziamo quindi per le sollecitazioni e per le considerazioni”.
Considerazioni a caldo
Dalla risposta del sottosegretario Angelo Rughetti si evince chiaramente la volontà di non affrontare nell’immediato le questioni relative alle autonomie locali nel disegno di legge delega sulla riforma delle PA.
Non è sufficiente aver superato la figura del Segretario comunale ed aver previsto nuove norme sulla dirigenza per realizzare un percorso di cambiamento delle autonomie locali.
Ritengo che le problematiche ancora aperte che riguardano le autonomie locali (Regioni, Città metropolitane e Comuni) devono essere affrontate con lo strumento del disegno di legge delega e non più rinviate. In un momento in cui occorre eliminare gli sprechi ed i doppioni e recuperare risorse e qualità dei servizi, è urgente porre le basi per la riorganizzazione delle autonomie locali, le quali, pur essendo formalmente in linea con i principi del D. Lgs. n. 150/2009 confermano lo status quo, sperperano risorse utilizzando strumenti inefficaci (servizi di controllo interno e nuclei di valutazione).
Si fa presente che le norme “stringenti” della Civit riguardano solamente gli enti territoriali che hanno adottato l’organismo indipendente di valutazione e non quelli che continuano ad utilizzare i vecchi organismi di valutazione.
Il sistema di incentivazione legato ai piani come può essere applicato negli enti territoriali dove manca completamente un sistema di misurazione e valutazione della performance? Tuttavia vi sono enti locali che hanno distribuito gli incentivi pur non avendo introdotto un sistema di misurazione e valutazione efficace e gli indicatori di efficacia e di efficienza.
A mio avviso occorre riordinare la materia degli incentivi al personale, la cui erogazione deve essere condizionata alla introduzione del sistema di misurazione e valutazione della performance e alla adozione degli indicatori della performance.
Si ritiene fondamentale per facilitare tale percorso modificare ed integrare il D. Lgs. n. 150/2009 nel modo seguente:
- Abrogazione del c. 2 dell’art. 13 del Decreto al fine di far rientrare nell’area di controllo e di supporto della ex Civit (ora Dipartimento della Funzione Pubblica) le autonomie locali. Fino a questo momento la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome e l’Anci non hanno prodotto i risultati sperati dal legislatore;
- L’estensione dei commi 1 e 2 dell’art. 14 del Decreto alle autonomie locali al fine di sostituire i servizi di controllo interno ed i nuclei di valutazione con l’Organismo indipendente di valutazione, disciplinato dal D. Lgs. n. 150/2009. I vecchi organismi di valutazione sono stati duramente criticati dalla letteratura manageriale per i risultati insufficienti conseguiti e per l’autoreferenzialità.
Inoltre, occorre prevedere nel disegno di legge delega il conferimento del potere al Governo affinchè possa legiferare nelle seguenti materie:
- La introduzione del sistema di misurazione e valutazione della performance;
- L’adozione degli indicatori di performance;
- La costituzione dell’Organismo di valutazione della performance in sostituzione dei servizi di controllo interno ed i nuclei di valutazione;
- La rivisitazione del sistema premiale al personale ed ai dirigenti.
Ritengo che il Ministero della semplificazione e la pubblica amministrazione può avviare una fase di consultazione e di confronto con le associazioni degli enti territoriali al fine di concordare l’introduzione degli strumenti di performance management e avviare una stagione di cambiamento anche nelle autonomie locali.
Il primo passo che deve essere compiuto è quello di prevedere nel disegno di legge la delega al Governo di intervenire per migliorare lo stato delle autonomie locali con gli strumenti indicati. Dopo è necessario aprire un dialogo con l’Anci e la Conferenza delle regioni e delle province autonome e, quindi, adottare un apposito decreto legislativo.
Il disegno di legge delega “Riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche” è una occasione da non perdere altrimenti si sceglie di non contrastare le inefficienze e gli sprechi nelle autonomie locali e di non migliorare la qualità dei servizi e il rapporto tra le istituzioni territoriali ed i cittadini.



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mercoledì 27 agosto 2014

Prima Festa dell’Unità ad Oppeano

Molte sono le Feste dell’Unità che si sono realizzate e che si svolgeranno in Provincia di Verona. Questi eventi rappresentano la vitalità del Partito Democratico e l’entusiasmo di tante persone, giovani e meno giovani, che con il loro impegno al servizio del PD e dei cittadini rendono possibile la realizzazione di tali eventi politici e sociali. Le Feste dell’Unità rappresentano un luogo di incontro e confronto su temi attuali che interessano i cittadini.
Ne parliamo con Serena Capodicasa del circolo PD di Oppeano e organizzatrice della Festa.
Ci vuole tanto coraggio per organizzare una Festa Democratica in un ambiente non certamente favorevole?
“C'è chi dice che più che coraggio bisogna essere un po' matti! A parte gli scherzi, ci vuole coraggio e soprattutto tanta volontà e pazienza. Ci vuole una squadra e ci vuole, come nel nostro caso, un forte Partito alle spalle, che con i circoli vicini, in particolar modo quello di Bovolone e di Isola della Scala, e tutti coloro che ognuno del nostro circolo ha incontrato nella sua esperienza non solo politica ci stanno aiutando o ci aiuteranno nei prossimi giorni”.
Quali sono gli eventi politici più interessanti?
“Gli eventi politici in programma sono tre, tutti per noi molto interessanti.
Il 29 Agosto ci saranno Franco Bonfante e Giorgio Anselmi, dei Federalisti Europei, che dialogheranno su tematiche europee.
Il 30 Agosto  avremo invece un bell'incontro tra amministratori locali, con i sindaci Achille Variati, sindaco di Vicenza, Annamaria Bigon, sindaco di Povegliano, e Federico Vantini, sindaco di San Giovanni Lupatoto, insieme ai consiglieri comunali Serena Marchi e   Claudio Marafetti della Lista Oppeano Città Viva.
Il 31 Agosto  invece avremo con noi Angelo Rughetti, sottosegretario alla pubblica amministrazione e alla semplificazione, che insieme ai deputati Alessia RottaDiego Zardini e a Antonino Leone, della direzione provinciale del PD, parlerà della Riforma della Pubblica Amministrazione e delle sue implicazioni nella vita dei cittadini”.
La Festa rappresenta l'inizio di un percorso del circolo PD di Oppeano per mettersi in relazione con la comunità?
“Il motivo di questa Festa è proprio questo: si tratta di un passo di svolta, nel percorso del PD di Oppeano, che ci porti a diventare un concreto punto di riferimento: culturale, sociale, politico.
L'ambizione è che questa festa diventi un appuntamento fisso, da portare nelle varie frazioni di Oppeano, assieme ad altre iniziative ed eventi soprattutto culturali da regalare al nostro paese”.
E’ importante partecipare alla Festa dell’Unità di Oppeano per due motivi principali: - Incoraggiare e sostenere il percorso di cambiamento del circolo PD; - Partecipare agli incontri su argomenti molto importanti ed interessanti.

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lunedì 18 agosto 2014

Affrontare l’emergenza in Europa


Articolo di Lucrezia Reichlin pubblicato sul Corriere della Sera il 15 agosto 2014
L’Italia non è il solo Paese che sta attraversando una fase di contrazione: la crescita del Prodotto interno lordo nel secondo trimestre è risultata negativa anche in Francia e in Germania; il Pil dell’area dell’euro nel suo insieme - con una crescita dello 0,05 rispetto ai tre mesi precedenti - è praticamente piatto e stride con lo 0,97 degli Stati Uniti e lo 0,8 del Regno Unito. La doccia fredda di questo secondo trimestre era annunciata: è da marzo che i numeri della produzione industriale, le indagini sui sentimenti dei produttori e dei consumatori, i dati di import ed export danno segnali negativi. Dalla grande crisi, l’eurozona è uscita con una ripresa nel 2009-2010 per poi ripiombare in una seconda recessione nel terzo trimestre del 2011. Nonostante qualche segnale positivo nel 2013, da questa seconda recessione non ci siamo veramente mai ripresi: il Pil continua a oscillare intorno allo zero e l’occupazione è stagnante. Nonostante la recessione del 2008 abbia avuto caratteristiche simili a quella degli Stati Uniti - per tempi, durata, profondità - dal 2011 l’andamento ciclico dell’area euro è stato molto diverso. Questo scollamento è un fatto unico dal Dopoguerra. Ed è questo che deve farci riflettere, non solo il dato sul Pil del secondo trimestre.
La mancanza di riforme strutturali non può spiegare il fatto inedito e recente di uno scollamento dell’andamento ciclico tra noi e gli Stati Uniti, come non può spiegare la debolezza diffusa dell’Unione che tocca anche il Paese che ne è motore: la Germania. Questo non significa negare l’importanza delle riforme, ma suggerisce che un difetto su questo fronte non può essere la causa di tutti i nostri mali. La fondamentale differenza tra noi e gli Stati Uniti sta nelle politiche monetarie, fiscali e finanziarie messe in atto dal 2008 in poi. Le caratteristiche di quelle Usa sono state tre: tempestiva e massiccia espansione fiscale; tempestiva e massiccia politica di acquisto di titoli finanziari e pubblici da parte della Banca centrale (quantitative easing ); tempestiva azione di ricapitalizzazione delle banche. Al contrario, nella zona euro la risposta fiscale è stata nel suo insieme restrittiva: si è enfatizzato il problema del consolidamento del debito invece che concentrarsi sullo stimolo alla domanda. La politica monetaria, inizialmente tempestiva ed efficace per affrontare la crisi di liquidità delle banche, ha poi rallentato lo stimolo: da due anni il bilancio delle Banche centrali dell’euro-sistema è in contrazione e si esita a usare lo strumento del quantitative easing nonostante l’inflazione - il cui dato più recente è un tasso annuale dello 0,4% - sia in ribasso dal 2011. Il terzo elemento è il ritardo, sei anni dalla crisi per la precisione, con cui abbiamo affrontato il problema della ricapitalizzazione delle banche.
Il risultato è stato non solo la debolezza persistente dell’economia reale, ma, paradossalmente, un aumento del rapporto tra debito totale (privato e pubblico) e Pil invece della sua auspicata diminuzione. Ci sono molte ragioni che spiegano questa inerzia. Per la politica fiscale, il problema è la differenza del livello del debito pubblico tra diversi Paesi dell’Unione, differenza che preoccupa i Paesi creditori perché non vogliono esserne gli impliciti garanti. Una simile preoccupazione spiega anche l’avversione della Bce a politiche monetarie che possano suggerire un implicito finanziamento al debito pubblico di alcuni Paesi. Per l’azione di ricapitalizzazione delle banche, l’inerzia è spiegata da risorse nazionali limitate in una zona economica integrata in cui i bilanci delle banche sono tipicamente molto grandi rispetto a quelli dei Paesi in cui risiedono legalmente.
I problemi sono complessi e le preoccupazioni motivate. Ma è arrivato il momento per i governi dei Paesi dell’Unione e per le nostre istituzioni federali di dirsi che questa complessità non può più frenare un’azione coraggiosa e rapida che faccia ripartire l’economia. Il problema da affrontare non è quello della convivenza tra una Germania forte e una «periferia» europea debole, ma la debolezza dell’Unione nel suo insieme. Va dichiarata l’emergenza e va disegnato un piano di azione che coordini politiche monetarie e fiscali. Il percorso è difficile perché comporta il coordinamento tra un’autorità federale indipendente, la Bce, e diverse autorità nazionali di bilancio, i governi. Tutto questo in un contesto in cui il Trattato stabilisce regole per garantire la stabilità, ma non ne prevede per l’emergenza e per un’azione atipica di rilancio dell’economia. C’è dunque un vuoto che va colmato, con prudenza, ma anche coraggio.

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venerdì 15 agosto 2014

Riforma del lavoro urgente

Articolo di Maurizio Ferrera pubblicato sul Corriere della Sera il 13 agosto 2014
Per la politica italiana, agosto è sempre stato il mese delle dichiarazioni a effetto e dei ballons d’essai sui temi più controversi. Non stupiscono dunque né la recente proposta di Angelino Alfano sull’abolizione dell’articolo 18 «entro la fine d’agosto”, né la lapidaria risposta di Marianna Madia, secondo cui l'art. 18 «non è un problema».
Matteo Renzi sta gettando acqua sul fuoco. Anche per il presidente del Consiglio non è il caso di aprire una simile discussione. Ma le regole vanno senz’altro cambiate, con un intervento di più ampia portata che magari porti a «riscrivere l’intero Statuto dei lavoratori».
Tra le righe di questi diverbi estivi, apparentemente innocui, si nasconde un problema serio: il governo sta incontrando grandi difficoltà nel delineare un quadro di riferimento chiaro e dettagliato sulla riforma del lavoro, compresa l’inevitabile questione dei rapporti contrattuali e della flessibilità in uscita. Senza un tale quadro, a settembre si rischiano pericolose tensioni politiche.
Non tutti lo ricordano, ma l’articolo 18 ha già subito dei ritocchi con la riforma Fornero del 2012. In caso di controversie sul licenziamento, il datore di lavoro e il dipendente possono ora avviare una procedura di «conciliazione» e accordarsi su una indennità monetaria, che varia in base all’anzianità di servizio. Il ricorso al giudice resta comunque possibile. La riforma ha modificato il «rito» giudiziale, cercando di renderlo più leggero e veloce.
Quale è stato l’effetto di questi ritocchi? Non lo sappiamo. Nel rapporto di monitoraggio dello scorso gennaio, la «valutazione» del nuovo articolo 18 è contenuta in una paginetta (su più di 50), da cui si evince che il numero di conciliazioni avviate è di circa 20 mila. Poche? Tante? In che tipo di imprese? Con quali risultati? Nessun dato, nessuna risposta.
Come si fa a parlare di articolo 18 (nel bene e nel male) senza una base empirica di riferimento? In una recente intervista il ministro del Lavoro Giuliano Poletti (cui spetterebbe il compito di raccogliere informazioni e valutare) ha detto che quell’articolo non è un totem e che, come tutte le norme umane, può essere modificato (una posizione fatta propria nelle ultime ore dallo stesso Renzi).
Senza argomenti e proposte serie, l’immagine del totem però si rinforza, i contrasti si polarizzano in base a principi inconciliabili. Così si va dritti verso quello scenario che si vorrebbe scongiurare.
In attesa di valutazioni circostanziate della riforma Fornero, il governo può naturalmente fare molte altre cose in tema di relazioni contrattuali. Le più ragionevoli sono la semplificazione del codice del lavoro e la sperimentazione di nuove forme di assunzione a tempo indeterminato, ispirate alle pratiche virtuose di altri Paesi e rispettose delle norme protettive previste dalla Ue.
Il disegno di legge delega sul lavoro (il cosiddetto Jobs Act) sembrava andare proprio in questa direzione. Sul contratto «a tutele crescenti» (proposto da Pietro Ichino) si è tuttavia aperta una accesa controversia all’interno della maggioranza, che ha bloccato tutto. Cosa intende fare il governo alla riapertura del Parlamento?
La domanda è cruciale non solo sul piano dei contenuti, ma anche dei tempi. La previsione è quella di far approvare la legge delega entro dicembre. Poi il governo dovrà predisporre i decreti delegati, superando il vaglio di conformità del Parlamento. Infine ci vorranno i famigerati provvedimenti attuativi.
Con questa scaletta saremo fortunati se la riforma entrerà in vigore fra un anno e mezzo. Solo a quel punto avremo il nuovo codice e potranno avviarsi le sperimentazioni. In tutti i Paesi le riforme contemplano provvedimenti di attuazione. Solo in Italia questo processo richiede tempi biblici (e non è unicamente colpa del bicameralismo).
Le regole non «creano» lavoro, siamo d’accordo. Ma alcune facilitano, altre ostacolano le assunzioni (quelle «buone», a tempo indeterminato) da parte delle imprese. Da noi prevalgono le seconde e le conseguenze sono pagate soprattutto dai giovani. Perciò non possiamo aspettare la fine del 2015 per avere la riforma.
Francesco Giavazzi e Alberto Alesina hanno proposto di accelerare drasticamente i tempi, in modo da presentare a Bruxelles i decreti delegati insieme alla legge di stabilità per il 2015 (Corriere, 8 agosto). Credo che sarebbe già un bel risultato approvare entro ottobre la legge delega, magari con una sintesi di ciascun decreto delegato che il governo intende poi varare e un cronoprogramma.
A torto o a ragione, gli investitori internazionali si aspettano il superamento del «totem». Se non li convinceremo in tempi rapidi che con il Jobs Act il governo italiano intende cambiare nel profondo tutto il nostro mercato del lavoro (circoscrivendo così anche la portata e la rilevanza dell’articolo 18), dovremo rassegnarci alla recessione. E sarà solo colpa nostra.

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giovedì 14 agosto 2014

Esistono ancora gli esodati?

Lettera di Pietro Ichino pubblicata sul Corriere della Sera 12 agosto 2014
Caro Direttore, a quasi tre anni dalla riforma delle pensioni del 2011, tra coloro che si qualificano come “esodati” non ce n’è più uno che possa essere indicato come tale secondo il significato originario del termine. I provvedimenti di “salvaguardia” adottati nel 2011 e 2012 hanno infatti esentato dall’applicazione dei nuovi requisiti per il pensionamento tutti coloro che avevano perso il lavoro prima della riforma per effetto di un accordo individuale o collettivo di incentivazione all’esodo, stipulato in considerazione di un prossimo pensionamento secondo la vecchia disciplina. Sono stati poi “salvaguardati” anche tutti i lavoratori licenziati negli anni 2007-2011, i quali fossero destinati a maturare i requisiti per la pensione secondo le vecchie regole entro tre anni dalla riforma, cioè entro il 2014.
Qual è, dunque, la situazione delle persone che frequentano le trasmissioni telefoniche e radiofoniche presentandosi come “esodate” e rivendicando un diritto a essere prepensionate? In gran parte, quando non si tratta di persone che per poche settimane o mesi di differenza sono state costrette a rimanere al lavoro più a lungo di quanto desideravano, sono ultracinquantenni che hanno perso la loro ultima occupazione, per i motivi più vari, uno, cinque, dieci o quindici anni fa. Così stando le cose, dobbiamo metterci d’accordo: se riteniamo che, perso il lavoro, gli ultracinquantenni non possano ritrovarlo e debbano quindi essere in qualche modo accompagnati alla pensione, come si faceva normalmente fino al novembre 2011, allora diciamo apertamente che intendiamo abrogare la riforma. Però, allora, diciamo anche che consideriamo giusto continuare ad accollare la pensione di questi cinquantenni e sessantenni alle nuove generazioni, che in pensione andranno a 70 anni o poco prima: perché, con una attesa di vita di oltre 80 anni, l’anzianità contributiva normale di 30-40 anni con cui si andava in quiescenza nei decenni passati non basta per il finanziamento di un trattamento decente destinato a durare 20 o 25 anni. E diciamo chiaramente che rinunciamo ad allineare il tasso di occupazione degli italiani tra i 50 e i 65 anni di età (oggi circa uno su tre) alla media europea (uno su due).
Se invece consideriamo giusti gli obiettivi della riforma del 2011, riteniamo cioè necessario aumentare il tasso di occupazione degli anziani e darci un sistema previdenziale capace di camminare sulle sue gambe; se consideriamo – sulla base dei dati forniti dal ministero del Lavoro – che nell’ultimo anno 1,6 milioni di contratti regolari in Italia sono stati stipulati con persone ultracinquantenni e circa un quarto di questi con ultrasessantenni; se infine siamo convinti che il sistema ante 2011 di prepensionare tutti i cinquantenni o sessantenni che perdevano il posto sia, oltre che sbagliato, anche improponibile sul piano politico in Europa oggi; se di tutto questo siamo convinti, allora dobbiamo affrontare il problema di questi disoccupati nei termini appropriati: cioè come un problema, appunto, di disoccupazione, reso più difficile dall’età degli interessati. Se disponiamo di risorse da destinare alla sua soluzione, istituiamo per queste persone una indennità non finalizzata alla loro espulsione definitiva dal mercato del lavoro, ma, al contrario, condizionata al loro rimanere in esso attive e disponibili; consentiamo a chi le assume di beneficiare di un contributo correlato alla parte non goduta dell’indennità; istituiamo la possibilità di pensionamento parziale combinabile con il part-time o altre forme di flessibilità dell’età di pensionamento. Ma sempre con l’obiettivo di promuovere e incentivare l’invecchiamento attivo, evitando tutto ciò che invece lo disincentiva.
L’errore peggiore, comunque, è quello del rimanere in mezzo al guado, del fare e disfare, come accadde nel 2007, quando il ministro Damiano disfece la riforma del suo predecessore Maroni. Se non vogliamo tornare indietro, dobbiamo orientare tutti gli interventi a un mutamento profondo della nostra cultura diffusa, che è alla base dei comportamenti e delle vecchie strategie di vita dalle quali è nato il problema degli “esodati” vecchi e nuovi. Mi riferisco alla cultura della job property, che rende vischiosissimo il nostro mercato del lavoro; quella per cui la progressione retributiva è affidata non alla possibilità effettiva di spostarsi dove il proprio lavoro è meglio valorizzato, ma agli scatti di anzianità, che frenano pesantemente la mobilità dei più anziani; quella per cui se il “diritto fondamentale” al posto di lavoro viene “leso” con il licenziamento, l’unico risarcimento possibile è la cassa integrazione per anni e poi il prepensionamento.
Tutto si tiene. Dobbiamo passare da un vecchio equilibrio di sistema a uno nuovo. E, come sempre, spostarsi da un equilibrio a un altro è tutt’altro che facile. Ma non abbiamo alternative: di vie facili d’uscita dalla nostra arretratezza non ce ne sono.
Scheda tecnica pubblicata su http://www.pietroichino.it/?p=32174

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giovedì 7 agosto 2014

Federico Testa è il commissario di Enea

Articolo pubblicato dal sito  http://www.pianetauniversitario.com/
Federico Testa, direttore del dipartimento di Economia aziendale e ordinario di Economia e Gestione delle imprese è stato nominato Commissario dell'Enea, l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, ente di ricerca pubblico che si occupa di tematiche energetiche e ambientali. La nomina è arrivata nella mattinata di oggi, mercoledì 6 agosto, con Decreto del ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi. La carica di Commissario assomma in sé sia il ruolo del Presidente che dell'Amministratore delegato.
"Anche se la denominazione ufficiale dell’ente è diversa da alcuni anni - spiega Testa - la “e” e la “a” di Enea stanno a richiamare l'energia e l'ambiente. Due risorse fondamentali in cui investire per l'uscita dalla crisi del nostro Paese. Si tratta di sviluppare ulteriormente la ricerca nel settore e di renderla disponibile alle imprese italiane così da aumentarne la competitività sui mercati internazionali. Anche per quello che riguarda le famiglie un uso più “intelligente" e consapevole dell'energia può portare a risparmi significativi e a un miglioramento della qualità della vita".
Federico Testa, veronese, classe '54, si è laureato nel 1978 con il massimo dei voti e la lode in Economia e Commercio all'Università di Padova. Negli anni successivi, collabora alla ricerca sui bilanci energetici regionali promossa dallo Iefe, Istituto di Economia delle Fonti di Energia dell'università Bocconi di Milano. Contemporaneamente ha iniziato a collaborare con la Cgil di Verona, prima come coordinatore dell'Ufficio studi quindi come responsabile dell'Agro-Industria. Nel 1986 è stato chiamato a far parte del Comitato Consultivo per la Zootecnia della Comunità Economica Europea. Ha partecipato ai lavori della Commissione Produttività di Federelettrica, la Federazione italiana delle Imprese elettriche municipalizzate. Dall'ottobre 1994 è stato ricercatore in Tecnica Industriale e Commerciale all'Istituto di Studi industriali, bancari e del terziario dell'università degli Studi di Verona. Nello stesso anno viene nominato dal sindaco di Verona nel Consiglio di Amministrazione dell’Azienda generale servizi municipalizzati (Agsm). Negli anni successivi ha partecipato a ricerche del Murst, ministero dell'Università e della Ricerca scientifica e tecnologica e del Cnr. Nel settembre '95 ha rappresentato l'Università di Verona nel gruppo di lavoro per il Parco Scientifico e Tecnologico di Verona. Nel 1998 è diventato professore associato, dal 1999 ha ricoperto l’insegnamento di Tecnica industriale e commerciale alla Facoltà di Economia dell’Università di Verona.
Nell’ottobre 2002, risultato idoneo al concorso per professore ordinario è chiamato dalla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere dell’Università di Verona sulla Cattedra di Economia e Gestione delle Imprese. Nel novembre 2002 è stato nominato vice-presidente di Agsm spa. Nel giugno 2005 è stato nominato membro del Comitato Esecutivo dell’Aeroporto Valerio Catullo spa. Nella primavera del 2006 è stato eletto alla Camera dei Deputati ed è entrato a far parte della Commissione Attività Produttive, Commercio e Turismo. Viene rieletto nelle elezioni del 2008 e ha assunto l’incarico di responsabile nazionale per l’energia ed i servizi pubblici del Partito Democratico. Nel 2013 è stato chiamato a presiedere il Comitato Scientifico dello Smart Energy Expo, la prima manifestazione internazionale dedicata all’efficienza energetica. Nel 2014 è stato nominato dall’Enea nel gruppo di esperti di elevata e comprovata esperienza per la valutazione delle proposte nell’ambito del progetto “Idee per lo sviluppo sostenibile”. Dottore Commercialista e revisore contabile, ha svolto attività di revisione presso Amministrazioni Locali e importanti società private, anche multinazionali. Ha altresì collaborato con associazioni imprenditoriali ed imprese singole nello sviluppo di programmi rivolti alla crescita imprenditoriale, competitiva e di marketing delle piccole e medie imprese, facendo altresì parte del panel di esperti di energia dell’Aspen Institute. Fa parte del Cda di numerose Fondazioni di ricerca e di sostegno al mondo del volontariato.

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domenica 27 luglio 2014

Verona e Udine approvano Al lavoro in bicicletta

La mozione a sostegno della proposta di legge, presentata da Diego Zardini e da altri 30 deputati del Partito Democratico, Sinistra Ecologia e Libertà e Scelta Civica per l’Italia, allarga i consensi grazie all’approvazione unanime della mozione da parte dei consigli comunali di Verona e Udine.
La proposta di legge prevede di liberare dall’uso necessitato della bicicletta per recarsi al lavoro al fine di riconoscere in modo completo l’infortunio in itinere nel caso in cui si verificassero incidenti. Al momento l’infortunio in itinere e la conseguente erogazione della relativa indennità sono  soggetti a tanti e tali condizionamenti  di carattere normativo che non consentono nel caso di incidente il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Inail a favore di coloro che percorrono il tragitto casa-lavoro in bicicletta.
“Anche Verona, dichiara Damiano Fermo primo firmatario della mozione, approva il sostegno al disegno di legge che vuole riconoscere la copertura assicurativa per i cittadini nei casi di incidente in itinere in bici. Se il Parlamento, sollecitato da ormai tantissimi Comuni italiani, approverà la legge, significherà eliminare uno dei grandi ostacoli che stanno impedendo il più ampio sviluppo della mobilità ciclabile in Italia”.
“Ad oggi i ciclisti, continua Fermo, che si recano al lavoro non sono coperti dalla previdenza sociale in caso di incidente, cosa invece prevista per chi si reca al lavoro su mezzi pubblici o auto propria. Questa “discriminazione” è un evidente ostacolo per chi volontariamente  vorrebbe usare la bicicletta per un tragitto frequentissimo, quello casa-lavoro appunto”.
“Le ricadute positive di questa proposta di legge, conclude Damiano Fermo, sono dunque importanti, sia per la persona (risparmio, salute, benessere) che per la collettività e la pubblica amministrazione (decongestionamento traffico, abbattimento spese sanitarie). Questa, da Verona, è quindi una bella notizia per chi, sulla promozione della ciclabilità, ha speso parte della propria vita. Un grazie a tutti loro”.
“L'approvazione all’unanimità della mozione"Adesione e sostegno alla proposta di legge per il riconoscimento dell'infortunio in itinere per i lavoratori che usano la bicicletta durante il percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro”, dichiara Michele Bertucco capo gruppo del PD in consiglio comunale, da parte del consiglio comunale di Verona rappresenta un importante riconoscimento della bicicletta come mezzo di trasporto”.
“L’utilizzo della bicicletta per recarsi al lavoro è una buona abitudine da diffondere quanto più possibile a Verona. Perché rende meno caotici i nostri quartieri, alleggerisce il problema del traffico e riduce i livelli di inquinamento. E, in un ambiente più sano, aiuta chi la utilizza a mantenersi in salute, afferma Michele Bertucco”.
Michele Bertucco entra nel merito della questione: “La mozione approvata nasce da una proposta di Legge che vede come primo firmatario il deputato veronese Diego Zardini ed affronta un problema vero. In Italia, la legislazione attuale consente il riconoscimento dell’infortunio in itinere e di conseguenza la corresponsione del relativo indennizzo solo nei seguenti casi: assenza o insufficienza dei mezzi pubblici di trasporto; – non percorribilità a piedi del tragitto casa e lavoro e viceversa: – incidente avvenuto solo all’interno di piste ciclabili o di zone interdette al traffico”.
“Le condizioni sono talmente restrittive, conclude Michele Bertucco, che disincentivano l’utilizzo della bicicletta per raggiungere il luogo di lavoro in quanto solo in pochissimi casi viene riconosciuto l’infortunio in itinere e la relativa indennità, penalizzando proprio il mezzo che non inquina, non congestiona i centri abitati e non rappresenta quasi alcun pericolo per gli altri utenti della strada. Ci auguriamo, ora, una rapida approvazione della proposta di Legge che consenta il riconoscimento della bicicletta come mezzo di trasporto”.
Anche il consiglio comunale di Udine su proposta del consigliere Marilena Motta ha approvato all’unanimità la mozione Zardini, sottoscritta anche da Mario Canciano Canciani.
Si segnala che Massimiliano Montagnini ha depositato la mozione a sostegno della proposta di legge a prima firma dell’on. Diego Zardini per promuovere l'uso della bicicletta per recarsi al lavoro.
“Esprimo grandissima soddisfazione, ha dichiarato Diego Zardini, per l'approvazione unanime in consiglio comunale di Verona della mozione che sostiene la mia proposta di legge per estendere la copertura assicurativa per l'infortunio in itinere a chi si reca al lavoro in bicicletta. Il sostegno degli enti locali e degli amministratori è fondamentale per portare a compimento l'approvazione della legge, un grazie a tutti coloro che hanno consentito questo risultato”. Grazie anche a Marilena Motta che si è prodigata a presentare la mozione nel consiglio comunale di Udine che è stata approvata all’unanimità”.
Occorre proseguire nell’impegno perché con una piccola modifica normativa, rappresentata dalla proposta Zardini, rivoluziona la mobilità urbana a vantaggio dell’ambiente e della salute dei cittadini.

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mercoledì 9 luglio 2014

Codice Semplificato e contratto a protezione crescente

Intervista a Pietro Ichino a cura di Roberto Giovannini, pubblicata su La Stampa il 6 luglio 2014
Professor Pietro Ichino, senatore di Scelta Civica, il suo emendamento al Jobs Act sta mettendo in crisi la maggioranza?
«L’avevo preparato nella convinzione che potesse essere appoggiato da tutti: non fa altro che attuare, alla lettera, ciò su cui si era impegnata tutta la maggioranza con la “premessa” al decreto Poletti, frutto di un preciso accordo tradotto dal governo in un emendamento. A meno di due mesi da quell’accordo il PD non può rinnegarlo».
Ci spiega a cosa mira la sua proposta?
L’emendamento mira ad adempiere i due impegni che avevano preso a suo tempo Letta e Renzi: Codice semplificato del lavoro e contratto a protezione crescente. Su entrambi i punti la formulazione lascia larga discrezionalità al governo. D’altra parte, oggi nel testo del disegno di legge la delega per il Codice semplificato non c’è; ed è un punto molto importante per rendere il Paese più attrattivo per gli investimenti stranieri. Quanto al contratto a protezione crescente, in occasione della discussione del decreto Poletti abbiamo raggiunto un accordo politico preciso: non deve essere il contratto unico che elimina tutti gli altri, ma neanche un tipo di contratto aggiuntivo rispetto a quelli già esistenti».
E che cosa deve essere, dunque?
«È il contratto ordinario a tempo indeterminato, ridisciplinato. Il fulcro centrale di una vera riforma del mercato del lavoro sta qui, nel voltar pagina, dopo mezzo secolo, rispetto al regime dijob property. L’emendamento serve anche a eliminare una contraddizione, perché l’attuale testo parla di uno sfrondamento dei contratti esistenti, allude a una riduzione, ma poi aggiunge un nuovo tipo di contratto».
E di conseguenza, in pratica l’articolo 18, come lo conosciamo, per i nuovi contratti non si applicherà più. Ma se invece fosse un contratto aggiuntivo?
«Se il contratto a protezione crescenti si aggiunge al contratto ordinario a tempo indeterminato, non c’è la riforma annunciata del mercato del lavoro, ma solo un ennesimo intervento “al margine”, come ne abbiamo fatti tanti negli ultimi vent’anni, proprio per non toccare il contratto a tempo indeterminato. Col solo risultato di comprimere l’area del tempo indeterminato ed allargare quella del lavoro a termine. In contrasto anche con la direttiva europea 70/99, che dice che il contratto a tempo indeterminato dev’essere la norma e non l’eccezione. Ma oggi su 100 nuove assunzioni in Italia solo 16 sono a tempo indeterminato, 68 sono a termine e altre 15 in forme ulteriori variamente precarie. Insomma, dopo il decreto Poletti, se vogliamo dare competitività nuova al tempo indeterminato non possiamo non intervenire proprio qui. Il mio emendamento, del resto, lascia al Governo una amplissima discrezionalità nella scelta tra i possibili modelli di contratto “a protezione crescente”, tra il modello Boeri-Garibaldi, che flessibilizza solo il primo triennio, e il modello proposto da me, che lascia la flessibilità anche dopo il primo triennio coniugandola con misure per dare maggiore sicurezza economica e professionale al lavoratore nel mercato. Il ministro del Lavoro è uomo del Pd: sarà lui a interpretare la delega; il Pd non ha motivo di opporsi».
E se la sua proposta non passasse?
«Sarebbe il venir meno dell’Italia a uno degli impegni presi e ribaditi, anche di recente, dal presidente del Consiglio nei confronti dei suoi interlocutori a Bruxelles. L’Italia perderà il potere negoziale che ha acquisito negli ultimi mesi in Europa; e sarà molto più difficile ottenere la flessibilità sui conti che ci serve».

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sabato 5 luglio 2014

Grillo arriva fuori tempo massimo

Articolo di Roberto D’Alimonte pubblicato su il Sole 24 Ore il 4 luglio 2014
Non sarà Grillo l'interlocutore di Renzi sulle riforme istituzionali. Almeno non per ora. È questo il senso dell'incontro di ieri tra Renzi e Berlusconi. Il patto del Nazareno tiene. Il M5S è arrivato tardi. A gennaio avrebbe forse potuto essere un interlocutore influente.
Dopo tutto il modello di riforma elettorale proposto ora dal M5S non è lontano da uno dei tre modelli indicati da Renzi. Ma a gennaio è stata fatta una scelta diversa che ieri è stata confermata. Ricominciare da capo non ha senso. Per la riforma elettorale si andrà avanti con l'Italicum. Ed è bene che sia così. La proposta del M5S non è campata per aria ma, oltre ad essere arrivata tardi, ha dei limiti che la rendono meno preferibile dell'Italicum. L'obiettivo principale del nuovo sistema elettorale deve essere quello di garantire che la sera delle elezioni si sappia chi ha vinto. Quello che in gergo si chiama la "decisività" del voto degli elettori. Sono i cittadini a scegliere il governo. Su questo pare che anche il M5S sia d'accordo. Quanto meno immaginiamo che lo sia. Bene, questo obiettivo si potrebbe certamente realizzare anche con il grillinum, ma al costo di sacrificare con il grillinum, ma al costo di sacrificare eccessivamente la rappresentatività. Infatti per ottenere questo risultato si dovrebbero fare circoscrizioni elettorali molto piccole, cioè con pochi seggi da assegnare. Solo in questo modo il sistema elettorale potrebbe produrre un livello di disproporzionalità – vale a dire una distorsione voti-seggi – tale da assicurare che il partito o la coalizione con la maggioranza relativa dei voti ottenga la maggioranza assoluta dei seggi. Però, battendo questa strada, si finisce col penalizzare fortemente la rappresentanza delle formazioni minori.
Lo stesso obiettivo si può ottenere con l'Italicum in maniera più semplice e più trasparente. Infatti con questo sistema di voto se un partito supera una certa soglia – che sia parte di una coalizione o no – avrà comunque un certo numero di seggi. Così anche le formazioni minori sono rappresentate. L'importante è che la soglia non sia troppo elevata. E soprattutto che sia unica per tutti i partiti. E in questo l'Italicum, come abbiamo scritto più volte, andrebbe rivisto. Le soglie attualmente previste sono troppe, troppo elevate e troppo distorsive.
Il vero vantaggio dell'Italicum sul grillinum però è un altro. Si chiama ballottaggio. Nel nostro paese sono in tanti quelli che ancora pensano che proporzionalità e democrazia siano la stessa cosa. E allora è bene che se un partito o una coalizione non ha i voti per ottenere la maggioranza assoluta dei seggi in base alle prime preferenze degli elettori ci sia un secondo turno in cui contino anche le seconde preferenze. Dopodiché alla maggioranza dei voti corrisponderà necessariamente la maggioranza dei seggi. Detto altrimenti: il meccanismo del ballottaggio legittima meglio la disproporzionalità rispetto a quello delle piccole circoscrizioni. Nella attuale versione dell'Italicum il ballottaggio è previsto solo se un partito o una coalizione non arriva al 37% dei voti al primo turno.
In questo caso sono gli elettori che vanno a votare al secondo turno a scegliere il vincitore tra i primi due competitori. Se invece un partito o una coalizione arrivano al 37% al posto del ballottaggio c'è un premio pari al 15% dei seggi che si aggiungono a quelli naturalmente ottenuti da chi arriva primo in termini di voti. È un altro modo di produrre disproporzionalità, ma è peggio del ballottaggio. Per questo sarebbe più funzionale che la soglia del 37% sia alzata. Non si sa se questo sia stato un argomento discusso ieri. Si sa invece che tra Renzi e Berlusconi si è parlato di preferenze. Per il premier è un argomento ostico. Berlusconi è da sempre contrario. Il M5S ne ha fatto un cavallo di battaglia e la stessa cosa si appresta a fare una parte del Pd. Dare la possibilità agli elettori di scegliere i candidati suona bene. E lo stesso si può dire del Senato eletto direttamente dal popolo anziché dai consigli regionali. Il fatto che le preferenze e l'elezione diretta dei membri della seconda camera siano istituti rarissimi nelle altre democrazie non conta. Ma questo è un dettaglio che si perde nel vortice della retorica politica che caratterizza la discussione su questi temi. Alla fine, se fosse per il premier le preferenze si potrebbero anche introdurre ma è difficile che Berlusconi faccia marcia indietro. E allora vale la pena di far saltare tutto? Una buona riforma elettorale val bene una lista bloccata.

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Le prospettive di garanzia giovani

Articolo di Maurizio Ferrera pubblicato sul Corriere della Sera il 3 luglio 2014
La disoccupazione giovanile continua a crescere, soprattutto fra le donne. Due mesi fa ha preso avvio il programma «Garanzia giovani», cofinanziato dall’Unione Europea, il cui obiettivo è proprio quello di aiutare chi ha meno di 29 anni a inserirsi nel mondo del lavoro. Otto settimane non bastano certo a produrre risultati concreti. È però lecito chiedersi a che punto siamo e che cosa possiamo aspettarci da questa ambiziosa iniziativa.
Quasi 100 mila giovani si sono già iscritti al portale Internet e molti sono stati anche intervistati dai servizi per l’impiego. La vera sfida comincia adesso. La «Garanzia» prevede infatti che entro quattro mesi il disoccupato riceva una proposta concreta di inserimento. Sul portale si legge che le aziende per ora hanno segnalato circa 2 mila occasioni di lavoro: un numero davvero esiguo, anche tenendo conto della crisi. Bisogna migliorare con urgenza i flussi informativi sulle posizioni vacanti in tutti i settori dell’economia.
Il compito di attuare la «Garanzia» spetta alle Regioni. Quelle del Centro-Nord (in parte anche la Puglia) sembrano sulla buona strada. Lombardia, Toscana e Lazio hanno già incontrato più di un terzo dei loro iscritti. Le Regioni del Mezzogiorno sono invece quasi ferme. E ciò che sta accadendo solleva, purtroppo, più di una preoccupazione. Nel piano di spesa della Sicilia, ad esempio, quasi due terzi dei 178 milioni di euro disponibili verranno destinati all’«accoglienza» e alla formazione, solo il 6 per cento ad attività concrete come l’apprendistato. Per quest’ultima voce («già incentivata da altre leggi») la Sardegna non prevede neppure un euro, mentre abbonda in sussidi a formatori e mediatori. La Calabria dal canto suo ha appena chiuso un bando per 500 tirocini con modalità di selezione che rischiano di riprodurre sotto nuove spoglie le tradizionali logiche clientelari. Dati questi segnali, vi è un’alta probabilità che la «Garanzia» fallisca proprio nelle aree del Paese dove è più necessaria. Invece di innescare dinamiche virtuose nei mercati del lavoro del Mezzogiorno, le risorse europee rischiano di alimentare, come in passato, il sottosviluppo assistito. Bruxelles è preoccupata e non ha ancora formalmente approvato il piano italiano: non una bella figura per il Paese che più aveva insistito per mobilitare i fondi Ue e che ora detiene la presidenza di turno.
Per evitare il fallimento, il governo deve attivarsi subito su almeno due fronti. Innanzitutto imponendo alle Regioni il rispetto di criteri minimi di trasparenza ed efficacia nella fornitura dei servizi (costi standard, pagamento sulla base dei risultati, apertura alle agenzie del lavoro private e così via). In secondo luogo, collegando la «Garanzia giovani» in modo più diretto al mondo delle imprese. Occorrono incentivi, accordi, politiche di livello nazionale. Nel Mezzogiorno ciò significa attrarre investimenti, avviare una seria politica per il turismo e per i servizi, in modo da facilitare anche iniziative dal basso di autoimpiego e di start-up. Un’opportunità concreta di mettersi in gioco nel mercato, in base alle proprie capacità e ai propri talenti: questa è la vera «garanzia» che dobbiamo offrire ai giovani italiani. Iniziando da quelli (troppi) che oggi non riescono a uscire con le proprie gambe dalle trappole dell’inattività, della disoccupazione e dell’assistenzialismo.

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domenica 29 giugno 2014

Pietro Ichino scrive al PD sul lavoro

Articolo di Pietro Ichino pubblicato sul Corriere della Sera il 29 giugno 2014
Cari amici e colleghi democratici, entro il mese di luglio il PD è chiamato a mantenere in Parlamento una promessa ripetuta ben cinque volte dall’inizio di quest’anno: quella dell’emanazione di un Codice semplificato del lavoro centrato su di un contratto a tempo indeterminato “a protezione crescente”, cioè caratterizzato da una stabilità minima nella fase iniziale, destinata ad aumentare gradualmente con l’anzianità di servizio della persona interessata.
Il primo impegno in questo senso è contenuto nella ENews dell’8 gennaio scorso con la quale Matteo Renzi, appena eletto segretario del PD, annuncia i contenuti essenziali del suo Jobs Act: al primo posto la “presentazione entro otto mesi di un codice del lavoro che racchiuda e semplifichi tutte le regole attualmente esistenti e sia ben comprensibile anche all’estero”, con la previsione del “contratto a protezione crescente”. Questo impegno viene ribadito da Enrico Letta, in qualità di presidente del Consiglio, un mese dopo, il 12 febbraio, con il documento programmatico Impegno Italia 2014, dove, sotto il titolo del secondo capitolo “Adottare il Codice del lavoro semplificato”, si legge “Il diritto del lavoro è attualmente troppo complesso e scarsamente accessibile, anche e soprattutto per gli operatori stranieri che vogliono investire in Italia. Ci impegniamo a […] raccogliere e riordinare in un testo unico breve e facilmente comprensibile la disciplina del lavoro”.
Lo stesso impegno compare ancora – ed è la terza volta – nella settima slide presentata un mese dopo da Matteo Renzi, neo-premier, nella famosa conferenza-stampa del 12 marzo. La quarta conferma viene il 5 maggio dal PD, insieme a tutte le altre componenti della maggioranza, in sede di discussione in Senato del decreto-Poletti sul contratto a termine; in quella sede, avendo io presentato un emendamento aggiuntivo, mirato a inserire nel decreto anche il “contratto a protezione crescente”, il ministro mi chiede di ritirare l’emendamento per collocare questa materia nella legge-delega, il cui esame incomincerà di lì a pochi giorni; accolgo la richiesta a fronte di un impegno in questo senso di tutta la maggioranza, consacrato in una “premessa” che viene inserita con un emendamento del Governo: essa annuncia l’“emanazione di un testo unico semplificato della disciplina dei rapporti di lavoro, con la previsione sperimentale del rapporto di lavoro a tempo indeterminato a protezione crescente, salva l’attuale articolazione delle tipologie dei contratti di lavoro”. Quest’ultimo inciso sta a significare che il contratto a protezione crescente non è né un “contratto unico” destinato a sostituire tutti gli altri tipi contrattuali, né un tipo di contratto aggiuntivo rispetto a quelli oggi esistenti: esso non è altro che il contratto ordinario a tempo indeterminato disciplinato in modo nuovo, per tener conto del nuovo contesto economico e anche della nuova disciplina del contratto a termine recata dal decreto Poletti.
Questo stesso preciso impegno viene infine confermato dal PD insieme a tutte le altre componenti della maggioranza alla Camera, in sede di approvazione definitiva del decreto Poletti in terza lettura a metà maggio. Una settimana dopo il PD stravince le elezioni europee con il 40 per cento dei voti: gli italiani colgono il significato straordinario della svolta in corso nel partito guidato da Renzi, e scommettono su di essa.
Si arriva così all’esame in prima lettura in Senato del disegno di legge-delega sul lavoro, che costituisce il luogo di adempimento di quell’impegno. Presento un emendamento che ripropone testualmente, come oggetto della delega legislativa al Governo, quanto indicato nella “premessa” del decreto Poletti. Senza questo emendamento, la delega legislativa non consentirebbe al Governo di adempiere l’impegno, tante volte rinnovato, di emanare il testo unico semplificato, cioè una riscrittura integrale della legislazione sul lavoro (la formulazione che compare nel disegno di legge – “riordino delle forme contrattuali” – non ha certamente questo significato). L’emendamento viene sottoscritto da tutte le componenti della maggioranza, ma non dal PD: alcuni dei suoi dirigenti di vertice affermano ora che la riforma non potrà toccare né la disciplina del contratto di lavoro a tempo indeterminato né, in particolare, lo Statuto dei lavoratori, vecchio ormai di 44 anni. L’impegno per il Codice semplificato e il contratto di lavoro a protezione crescente è improvvisamente svanito nel nulla?
Se il PD nei giorni prossimi verrà meno a questo impegno, non soltanto esso perderà gran parte dei nuovi consensi conquistati il 25 maggio, ma farà perdere all’Italia gran parte del nuovo potere contrattuale acquisito negli ultimi mesi in Europa anche sulla base della promessa di una incisiva riforma del lavoro. Per questo vi scongiuro, amici e colleghi democratici: evitate alla politica italiana questa ricaduta nella vecchia inconcludenza; e al Paese la nuova umiliazione che ne conseguirebbe.

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mercoledì 25 giugno 2014

Welfare: Rotta e Zardini scrivono a Faraone

“E' partita la campagna del PD, afferma Davide Faraone responsabile Welfare del PD, in tutto il paese, gireremo ogni città, incontreremo le famiglie, gli assistenti sociali, gli insegnanti, il non profit. Raccoglieremo le denunce e le proposte. Promuoveremo naturalmente i servizi che funzionano, e li proporremo come modello per l'Italia. Tuttavia molte cose possono essere fatte, già da ora, senza l'intervento del legislatore, con semplici provvedimenti amministrativi, dai comuni, dall'Inps e dalle Asl".
"Il nostro paese è un generatore di frustrazioni per persone disabili e un moltiplicatore di disperazione per le famiglie, continua Faraone. A cominciare dalla via crucis che porta al riconoscimento della condizione invalidante. Carte, verbali, iter stressanti, soprattutto per i minori disabili: 4, 5 visite tra Asl ed Inps per il rilascio della certificazione. Tempi biblici per l'attesa dei verbali e per la liquidazione dell'indennizzo economico. Revisioni ogni due anni o anche meno che costringono al ripetersi dell'intera procedura senza alcun motivo”.
Occorre realizzare maggiore collaborazione ed integrazione da parte delle pubbliche amministrazioni in particolar modo nel caso in cui le fasi di lavorazione del processo di produzione del servizio sono assegnate a enti o organi pubblici diversi. Si pensi ai tempi troppo lunghi di definizione delle richieste di invalidità civile che sono assegnate alle Asl ed all’Inps e al reclutamento delle categorie protette nel rispetto dei limiti delle quote di riserva.
Su quest’ultimo problema i deputati Alessia Rotta e Diego Zardini hanno scritto a Davide Faraone per sollecitare un intervento urgente a favore delle persone disabili. Si riporta la comunicazione:
“La tua iniziativa “Disabili e burocrazia, ecco cosa si può fare subito” è apprezzabile e condivisibile perché è finalizzata a migliorare l’offerta dei servizi alle persone disabili che rappresentano le fasce più deboli e bisognose di sostegno e di una corsia preferenziale.
Spesse volte si commette l’errore di pensare che il miglioramento continuo possa avvenire soltanto ed unicamente con le grandi riforme legislative quando invece può essere realizzato anche con la legislazione vigente ed a costi zero. I processi di produzione di prodotti e servizi nelle pubbliche amministrazioni sono obsoleti e, quindi, mal si adattano al miglioramento continuo ed ai cambiamenti che avvengono nella società italiana e nel pianeta. Pertanto, occorre ripensare e ridisegnare i processi di produzione dei servizi della macchina statale per renderli snelli e veloci e sottrarre il disegno organizzativo delle strutture pubbliche al vincolo normativo.
Con questa nota si intende sottoporti il grave problema dell’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro e specificatamente nelle pubbliche amministrazioni. La legislazione vigente lo consente e le pubbliche amministrazioni sono troppo lente per dare attuazione agli adempimenti previsti dalle disposizioni di legge.
La materia delle assunzioni dei soggetti disabili da parte delle pubbliche amministrazioni è attualmente regolata dalle seguenti disposizioni normative:
- Legge 12 marzo 1999, n. 68, avente la finalità di “promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro”. L’articolo 3, comma 1, della medesima legge disciplina le assunzioni obbligatorie e le quote di riserva a favore dei soggetti disabili;
- Decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla Legge 30 novembre 2013, n. 125, il quale prevede all’art. 7 una deroga a favore delle categorie protette, incluse le persone disabili, al divieto di nuove assunzioni nel caso in cui le pubbliche amministrazioni una situazione di soprannumerarietà e di eccedenza di personale. Il comma 6 e 7 disciplinano rispettivamente la rideterminazione del numero di assunzioni obbligatorie delle categorie protette e l’assegnazione al Dipartimento della Funzione pubblica il compito di monitorare l’osservanza dell’obbligo da parte delle pubbliche amministrazioni.
Alla luce dell’attuale legislazione non esistono ostacoli di ordine legislativo a dare attuazione all’articolo 7, comma 6 e 7, del Decreto Legge n. 101/2013 in materia di assunzioni delle categorie protette nelle amministrazioni pubbliche nei limiti delle quote di riserva stabilite dalle disposizioni normative. Purtroppo si assiste a tempi troppo lunghi da parte della burocrazia pubblica nell’espletare gli adempimenti previsti rispetto alle aspettative delle categorie protette, le quali da molto tempo aspirano ad entrare nel mondo del lavoro.
Si cita il caso Inps, il quale dopo aver espletato il processo di selezione ed inviato la richiesta della documentazione alle persone risultate idonee ha bloccato in data 11 febbraio 2013 il reclutamento a causa delle disposizioni di legge antecedenti al D. L. n. 101/2013. All’inizio di aprile 2014 l’Istituto ha richiesto per la seconda volta la documentazione alle persone risultate idonee alle prove di selezione ed interessate all’assunzione e da tale data non si ha alcuna notizia sui tempi di definizione delle assunzioni.
Considerata la mancanza di notizie certe sui tempi di attuazione del D. L. n. 101/2013 e l’urgenza di avviare l’assunzione delle categorie protette nelle pubbliche amministrazioni, si è provveduto a presentare diverse interrogazioni finalizzate a velocizzare l’attuazione del reclutamento delle persone disabili da parte delle pubbliche amministrazioni:
- Interrogazione 4/01464 del 24/07/2013 firmatari Diego Zardini, Alessia Rotta ed altri deputati http://bit.ly/1ntMkpw
- Ordine del giorno su P.D.L. 9/01682-A/084 del 24/10/2013 presentato da Diego Zardini ed accolto dal Governo http://bit.ly/1nW1ln7
- Interrogazione 5/ 01607 del 28/11/2013 firmatari Diego Zardini e altri parlamentari
http://bit.ly/1nW1ln7
- Interrogazione 5/03015 del 18/06/2014 firmatari Alessia Rotta e Diego Zardini
http://bit.ly/1p5jt1z
Si fa presente che alle interrogazioni non vi è stata alcune risposta e che l’o.d.g. pur condiviso dal Governo non ha portato ai cambiamenti auspicati.
Si ritiene urgente e importante avviare e concludere il processo di reclutamento delle persone disabili nelle pubbliche amministrazioni in un momento in cui non occorrono modifiche normative e non serve la copertura finanziaria in quanto è prevista dal Decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito con modificazioni dalla Legge 30 novembre 2013, n. 125.
Si rimane in attesa di conoscere gli interventi che verranno effettuati presso il Ministero del Lavoro per risolvere la problematica descritta”.
Alessia Rotta
Diego Zardini

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