martedì 31 agosto 2010

Federico Testa sulle criticità del decreto relativo al mercato del gas

Nel sito dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas è stato pubblicata una nota su alcune criticità relative al Decreto legislativo 13 agosto 2010 n. 130, recante "misure per la maggiore concorrenzialità nel mercato del gas naturale ed il trasferimento dei benefici risultanti ai clienti finali".

In tale articolo “vengono riproposte alcune delle osservazioni a suo tempo formulate dal Partito Democratico in merito alla scelta del Governo di non recepire correttamente quanto deliberato, su nostra proposta, dalla commissione Attività Produttive della Camera" dichiara Federico Testa, responsabile Energia del PD.  "In particolare, continua Testa, attraverso il meccanismo di calcolo della quota di mercato, l'entità della compensazione e la possibilità per l'operatore dominante di partecipare alle aste, si rallenta il processo di apertura del mercato del gas nel nostro Paese, con pesanti conseguenze per famiglie e imprese, anche perché -non dimentichiamolo- la maggior parte della nostra energia elettrica viene prodotta utilizzando gas metano. Come giustamente ha sottolineato l'Autorità indipendente di regolazione, conclude Testa, gli effetti delle misure adottate nel Decreto faranno sì che nei fatti sarà consentito ad ENI di controllare fino al 65% del totale del gas consumato in Italia, i possibili benefici sui clienti civili e sulle piccole imprese saranno ancora molto incerti, l’impatto che le misure transitorie introdotte avranno sui corrispettivi di trasporto e bilanciamento determineranno un aumento delle componenti tariffarie in bolletta".

Ancora una volta il Governo disattende alcune proposte utili che avrebbero potuto incidere positivamente sulla capacità di spesa delle famiglie e delle piccole imprese.

Nota dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas
Nota "Casa e Clima"

Leggi tutto...

lunedì 30 agosto 2010

Intervista a Giandomenico Allegri

Un’estate ricca di avvenimenti politici che riguardano il futuro del paese e di dichiarazioni strumentali che non contribuiscono a superare l’attuale empasse ma a risolvere il problema della visibilità.
A livello nazionale gli argomenti più gettonati sono: la crisi della maggioranza di centro destra, elezioni immediate o meno, processo breve, alchimie per tutelare la persona di Berlusconi dalle vicende giudiziarie.
A livello locale (Veneto e Verona) ha assunto particolare importanza l’intervista a Giandomenico Allegri, segretario provinciale del PD di Verona, pubblicata su Corriere di Verona del 21 agosto che tratta il problema dell’immigrazione. Il titolo fuorviante e, a volte una lettura poco attenta, possono aver travisato la posizione espressa nell’intervista.
Per tale motivo ho pensato di andare alla fonte e richiedere direttamente a Giandomenico Allegri di rispondere ad alcune domande sui problemi dell’immigrazione al fine di evitare inutili fraintendimenti.

Quale è il suo pensiero rispetto alla bozza dello Statuto Regionale nella parte in cui la maggioranza di centro destra propone i seguenti slogans: “Prima i Veneti”, “Privilegi per coloro che hanno un legame con il territorio”.
Ritengo, anzitutto, che la posizione assunta dalla Lega sia ancora una volta solo ideologica. Nel tentativo di far passare un illogico (oltre che incostituzionale) privilegio nell’accesso ai servizi locali per chi gode di “origine veneta”, la bozza di Statuto Regionale - non potendo ovviamente parlare espressamente di priorità per i Veneti - cita in un comma un generico privilegio per quei cittadini che hanno sviluppato un particolare legame col territorio. Cosa significa? Di per sé nulla. Quindi il problema non sta nelle enunciazioni dello statuto, che a titolo personale ho trovato peraltro molto deboli, ma nelle leggi preannunciate dalla Lega in conseguenza di questa bozza di statuto. Come nel caso della proposta leghista, avanzata attraverso il capogruppo in Regione, di fissare una soglia di 15 anni di residenza per poter accedere ai servizi erogati dal Welfare locale. Una proposta che tra l’altro appare spropositata rispetto alla legge nazionale, per la quale ad esempio bastano 10 anni di residenza per ottenere la cittadinanza italiana. A chi gli ha fatto notare la sproporzione, il capogruppo ha risposto che anche 10 anni potevano andare bene. Siamo all’inverosimile, al pressapochismo allo stato puro. Dire 10 anni o dire 15 per questo illustre rappresentante leghista è la stessa cosa. Su questo punto c’è anche una prima importante distinzione politica da fare. Mentre la bozza di statuto è presentata dall’intera maggioranza (PDL+Lega), i progetti di legge sono invece presentati solo dalla Lega. E su alcune parti di essi il PDL stesso ha espresso tutta la sua perplessità.

Per quanto riguarda l’assegnazione delle Case Popolari, quali sono i criteri da seguire rispetto alla residenza ed alla cittadinanza? In quale misura dovranno essere presi in considerazione gli immigrati?
Non c’è una soluzione ideale precostituita, ma è certamente possibile individuare una linea politica ragionevole discutendone con serietà, mostrando innanzitutto rispetto ed attenzione per le vite di tutte quelle famiglie che poi - nel concreto - saranno condizionate proprio da queste decisioni. Attraverso l’intervista mi premeva ribadire un concetto che mi sembra largamente condiviso. Ritengo non sia scandaloso che possa essere assegnato un punteggio di merito a chi risiede in un Comune nel momento in cui viene presentata la domanda per l’assegnazione delle case popolari. E’ un principio di giustizia molto lontano dal tentativo leghista di fare la solita distinzione ideologica fra veneti e nuovi italiani. Trovo sbagliato fare distinzioni tra i “veneti” e i “non veneti”. Trovo legittimo invece che possa esistere una priorità per chi risiede da un tempo congruo in un Comune. Su sollecitazione del giornalista, che mi chiedeva una tempistica precisa, ho poi ipotizzato che 5 anni di residenza possano rappresentare la soglia massima da considerare per concedere questa agevolazione.

Quale politica di integrazione con gli immigrati bisogna realizzare nel Veneto, coniugando il valore della solidarietà con le esigenze della Regione?
In Veneto oggi abbiamo una presenza di 400.000 persone che non sono nate in Italia. E che vivono, lavorano, costruiscono il loro futuro assieme a noi. E’ una sfida nuova per la nostra società. Ci sono due modi per affrontarla. Quello di negare l’esistente e di dire che prima o poi queste persone se ne dovranno andare o quello di rendersi conto che assieme a queste persone costruiremo il nuovo Veneto. Credo nasca da qui la differenza nell’approccio al problema. I leghisti agiscono partendo dal primo approccio. Noi, come Democratici, dobbiamo partire dal secondo. Dobbiamo vedere in modo equilibrato come costruire le nuove regole dello stare assieme. Per questo sono convinto che se aprissimo una discussione con le associazioni che rappresentano i nuovi veneti potremmo far fare un grosso passo in avanti alla nostra proposta. E credo che sull’ipotesi di tutele per chi ha un percorso consolidato con la nostra Regione non troveremmo grandi tentativi di distinguo. Almeno su temi come il diritto alla casa o sul trattamento pensionistico.

Rispetto alle seguenti affermazioni come risponde: “Finalmente l’hanno capita anche loro”, “Non è mai troppo tardi …….; il punteggio che viene attribuito si basa sulla residenza e sulla cittadinanza”, “convergenze di comodo con la Lega”, “accordi verticistici con la Lega”.
Noi abbiamo lanciato un messaggio chiaro per risolvere una volta per tutte questa diatriba politica con serietà e toglierla dal tavolo della discussione. Partendo dai valori dell’eguaglianza e della solidarietà. Ora, se c’è una vera volontà di individuare soluzioni ragionate, sta alle altre forze politiche proseguire nel confronto. Se questo non avverrà sarà la chiara dimostrazione che qualcuno vuole usare un problema esistente solo per fini elettorali, quindi in modo strumentale, e non perché voglia risolvere il problema. Credo che una persona che viene a lavorare in Veneto voglia aver chiaro qual’è il percorso per potersi sentire a casa. Deve essere un percorso ben definito che, passo dopo passo, lo faccia sentire cittadino veneto a tutti gli effetti. Per questo sappiamo che sancire il diritto di voto è un passo fondamentale. E’ un riconoscimento dello status di nuovi cittadini. E’ la possibilità di portare a compimento un processo politico inclusivo. E come afferma più di un sondaggio, questo non stravolgerebbe affatto il quadro politico Veneto. Mi sembra chiaro che non c’è alcun accordo verticistico del PD con la Lega. Chi lo afferma non conosce evidentemente né la mia storia personale né quella del PD veronese.

Leggi tutto...

giovedì 26 agosto 2010

Pietro Ichino: Riflessioni sulla lettera del Capo dello Stato

Lettera sul lavoro di Pietro Ichino pubblicata sul Corriere della Sera il 26 agosto 2010
Caro Direttore, la risposta di Giorgio Napolitano ai tre lavoratori della Fiat di Melfi va letta per intero. E se vi si presta consenso, questo non può riguardare soltanto la sua parte più ovvia, cioè l’appello al rispetto della legge e delle decisioni dei giudici, rivolto a tutti i protagonisti della vicenda. C’è anche una parte assai meno ovvia: quella nella quale il Capo dello Stato menziona le “questioni di grande rilievo” per “il futuro dell’attività della maggiore azienda manifatturiera italiana e l’evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale” e rivolge un appello a tutte le parti in causa per un confronto sereno e fattivo in proposito.
Qui il Presidente della Repubblica compie un passo che non è per nulla rituale, e ancor meno può considerarsi scontato nella sostanza: egli manifesta preoccupazione per la necessità di un mutamento (“evoluzione”) del sistema delle relazioni industriali, indispensabile per lo sviluppo della nostra industria maggiore. È questa la parte di gran lunga più rilevante del messaggio, che però ieri non tutti i giornali hanno colto e sottolineato come meritava: l’invito della massima autorità dello Stato ai protagonisti del confronto sindacale ad affrontare sul serio la questione inerente alla riforma delle relazioni industriali posta dal piano di investimento che la Fiat presenta al nostro Paese. 
Qui il resto del post Nelle scarne – e proprio per questo chiarissime – parole del messaggio si può leggere addirittura, insieme all’apprensione per le sorti di questo piano di importanza vitale per la nazione, un impegno personale del Capo dello Stato per promuovere un dialogo sereno e senza preclusioni tra le parti sociali e politiche sui nodi cruciali della questione.

Oggi a Rimini, al meeting di Comunione e Liberazione, sarà Marchionne a intervenire. Se intende raccogliere l’appello e l’apertura del Presidente della Repubblica, egli deve innanzitutto trovare il modo per evitare che lo scontro procedurale sui tre licenziamenti di Melfi resti al centro delle polemiche (non è difficile: basterebbe l’impegno ad attenersi a quanto deciderà il giudice dell’esecuzione); e deve porre invece con forza come oggetto principale del dibattito i nodi che occorre con urgenza sciogliere, se si vuole che il grande piano industriale per l’“Azienda Italia” decolli davvero, e al tempo stesso si vuole lanciare un messaggio significativo ai mercati internazionali. Occorre una norma che stabilisca in modo chiaro i requisiti e le condizioni di efficacia, nei confronti di tutti i lavoratori interessati, di tutte le clausole di un accordo aziendale, anche di quelle che deroghino al contratto nazionale, e anche di quelle che dispongano la tregua sindacale per la durata del contratto (era una questione che già nel 2001 poneva il Libro Bianco di Marco Biagi: “In caso di disaccordo tra gli attori sociali sarà necessario [...] ricorrere alla regola della maggioranza, senza pretendere unanimismi che pregiudicherebbero il buon funzionamento dello stesso dialogo sociale”). Meglio se la norma sarà posta da un accordo interconfederale sottoscritto da tutti i sindacati maggiori; altrimenti provveda il legislatore in via sussidiaria e provvisoria. Sono disponibili, sì o no, Cgil, Cisl, Uil e Confindustria a trattare in tempi rapidi per arrivare a colmare queste due gravi lacune del nostro diritto sindacale attuale? È disponibile, sì o no, il Governo ad adoperarsi, una volta tanto, non per isolare la Cgil, ma per promuovere attivamente una convergenza di tutte le forze sindacali e imprenditoriali su questo obiettivo?
La piccola battaglia che si sta combattendo nello stabilimento di Melfi è stata giustamente definita nei giorni scorsi “di retroguardia”, perché ricorda le relazioni sindacali degli anni ’70: un’epoca morta e sepolta. Sarebbe davvero assurdo consentire che questo incidente fornisca alle parti l’alibi per non prendere posizione sulla questione cruciale che il piano della Fiat ci pone e che il messaggio del Capo dello Stato sottolinea: quella dell’attuale grave inadeguatezza del nostro sistema di relazioni sindacali – per difetto di democrazia sindacale – rispetto agli standard dell’occidente industrializzato e in particolare alle esigenze di un grande piano industriale fortemente innovativo. Se Marchionne saprà sgombrare il campo da quell’alibi, non solo la Cgil, ma anche tutti gli altri sindacati maggiori, e sull’altro versante Confindustria, saranno costretti ad abbandonare finalmente la tattica del surplace che sta impedendo da anni di sciogliere il nodo, e che contribuisce così a chiudere l’Italia agli investimenti delle multinazionali, fattore di innovazione e di crescita.
I sindacalisti e politici che ieri hanno manifestato pieno consenso al messaggio del Presidente della Repubblica non possono esimersi dal pronunciarsi in modo chiaro e netto sulla questione più importante che esso pone.

Leggi tutto...

mercoledì 25 agosto 2010

Famiglia Cristiana dalla parte della Costituzione

Editoriale di "Famiglia Cristiana" n.35, in edicola dal 25 agosto.
Berlusconi ha detto chiaro e tondo che nel cammino verso le elezioni anticipate – qualora il piano dei “cinque punti” non riceva rapidamente la fiducia del Parlamento – non si farà incantare da nessuno, tantomeno dai “formalismi costituzionali”. Così lo sappiamo dalla sua viva voce: in Italia comanda solo lui, grazie alla “sovranità popolare” che finora lo ha votato.
La Costituzione in realtà dice: «La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione». Berlusconi si ferma a metà della frase, il resto non gli interessa, è puro “formalismo”. Quanti italiani avranno saputo di queste parole? Fra quelli che le hanno apprese, quanti le avranno approvate, quanti le avranno criticate, a quanti non sono importate nulla, alle prese come sono con ben altri problemi? Forse una risposta verrà dalle prossime elezioni, se si faranno presto e comunque, come sostiene Umberto Bossi (con la Lega che spera di conseguire il primato nel Nord e, di conseguenza, il solo potere concreto che conta oggi in Italia). Ma più probabilmente non lo sapremo mai. La situazione politica italiana è assolutamente unica in tutte le attuali democrazie, in Paesi dove – almeno da Machiavelli in poi – la questione del potere, attraverso cento passaggi teorici e pratici, è stata trattata in modo che si arrivasse a sistemi bilanciati, in cui nessun potere può arrogarsi il diritto di fare quello che vuole, avendo per di più in mano la grande maggioranza dei mezzi di comunicazione.

Uno dei temi trattati in queste settimane dagli opinionisti è che cosa ci si aspetta dal mondo cattolico, invitato da Gian Enrico Rusconi su La Stampa a fare autocritica. Su che cosa, in particolare? La discesa in campo di Berlusconi ha avuto come risultato quello che nessun politico nel mezzo secolo precedente aveva mai sperato: di spaccare in due il voto cattolico (o, per meglio dire, il voto democristiano). Quale delle due metà deve fare “autocritica”: quella che ha scelto il Cavaliere, o quella che si è divisa fra il Centro e la Sinistra, piena di magoni sui temi “non negoziabili” sui quali la Chiesa insiste in questi anni? A proposito. Ivan Illich, famoso sacerdote, teologo e sociologo critico della modernità, distingueva fra la vie substantive (cioè quella che riassume il concetto di “vita” mettendo insieme, come è giusto, e come risponde all’etica cristiana, tutti i momenti di un’esistenza umana, dalla fase embrionale a quella della morte naturale) e ogni altro aspetto della vita personale o comunitaria, a cui un sistema sociale e politico deve provvedere.
Il berlusconismo sembra averne fatto una regola: se promette alla Chiesa di appassionarsi (soprattutto con i suoi atei-devoti) all’embrione e a tutto il resto, con la vita quotidiana degli altri non ha esitazioni: il “metodo Boffo” (chi dissente va distrutto) è fatto apposta.

Leggi tutto...

martedì 24 agosto 2010

Ripensare Motorcity

Franco Bonfante, vice-presidente del Consiglio Regionale del Veneto, ha presentato una proposta di legge per ricondurre il progetto Motorcity nei limiti dimensionali della grande distribuzione e non in deroga a tutte le norme in materia di programmazione commerciale regionale. La proposta di legge è stata firmata anche da Laura Puppato, capo gruppo del consiglieri regionali del PD, Diego Bottacin, Giuseppe Berlato Sella, Bruno Pigozzo e Roberto Fasoli.
La società Autodromo del Veneto Spa, società alla quale partecipa la regione con la sua controllata Veneto Sviluppo, prevede investimenti ingenti che sconvolgono i territori di Vigasio e Trevenzuolo (autodromo, aree residenziali e produttive, un parco divertimenti ed un centro commerciale).
Al momento sono stati presentati due ricorsi al Tar dalla Provincia di Mantova e da Legambiente contrari al progetto e ancora devono essere stipulati alcuni accordi con gli enti locali.
Occorre ripensare il progetto in quanto contrasta con il tipo di programmazione territoriale che si sono dati gli enti locali, la provincia e la Regione  e con lo sviluppo ambientale ed economico del Veneto.
Si riporta la relazione che accompagna la proposta di legge.
“La storia dell’Autodromo del Veneto, previsto con legge del 1999 s’intreccia con la storia recente della crisi internazionale, fatta di bolle immobiliari e finanziarie.
Partita con grande enfasi per far correre nel Veneto i campioni della Formula 1, oggi di questo non si parla più, mentre l’attenzione si è concentrata sulla realizzazione di un enorme centro commerciale, di una grande zona produttiva, di un ulteriore parco divertimenti.
Il presente progetto di legge si limita a ricondurre la previsione commerciale nei limi della programmazione, riparando ad un evidente errore od inganno, realizzato nel febbraio 2005, con un emendamento spacciato come tecnico e che invece ha letteralmente stravolto la programmazione commerciale della provincia di Verona e dell’intera Regione.
Il 9 febbraio 2005, infatti, veniva presentato un emendamento alla legge n. 27/1999 “Realizzazione di un autodromo nella Regione Veneto” sostituendo al comma 2 dell’articolo 3 le parole “e nei limiti dimensionali della grande distribuzione” con “e ai limiti dimensionali della grande distribuzione”.
Un Consigliere regionale chiese se si trattava di un emendamento tecnico; il Presidente rispose che sì “è un emendamento tecnico” che così, con l’inganno, venne approvato.
In realtà con tale modifica venne stravolta la programmazione commerciale regionale, permettendo la realizzazione di un centro commerciale in deroga a tutte le norme: una cosa inaudita, tanto più in una Regione ed in una Provincia già sature di piccoli, medi e grandi centri commerciali.
Il nuovo centro commerciale coprirebbe una superficie di vendita di 195.000 mq, quando la somma di tutti gli 11 centri della Provincia di Verona non arriva a 150.000 mq.
Ora la situazione, “il clima”, sembrano cambiati. Ci si rende conto che la politica dello sviluppo sfrenato, senza regole, si dimostra in realtà controproducente: l’occupazione oltre ad un certo limite non cresce in assoluto, ma solo facendo chiudere altri centri e aggravando la crisi dei negozi di vicinato; le costruzioni immobiliari non hanno un mercato infinito, e rischiano di rimanere invendute, in decadimento dopo aver consumato inutilmente il territorio.
Lo stesso neo Presidente veneto, in un’intervista ad un quotidiano nazionale rilasciata il 30 aprile 2010 dichiara “Da noi il problema è già superato dalla regole del mercato. Il calo dei clienti dei centri commerciali è costante. Ma ora le cose stanno cambiando, come per i capannoni industriali: ne hanno costruiti troppi, e ora sono vuoti.”

Leggi tutto...

sabato 21 agosto 2010

Festa Democratica a Borgo Nuovo (VR)

Federico Benini al momento della sua elezione a Coordinatore del Circolo Enzo Biagi del Partito Democratico si era impegnato a realizzare la Festa del Circolo. La promessa è stata mantenuta grazie alla sua tenacia nel perseguire gli obiettivi ed all’impegno dei suoi collaborati, iscritti e simpatizzanti del Partito Democratico.
“Tutto il circolo, ha dichiarato Federico, ha lavorato con entusiasmo per la riuscita dell’evento, in un quartiere centrale della terza circoscrizione come Borgo Nuovo (Piazza dell'Oca Bianca e via Trapani). Stiamo collaborando con le associazioni del quartiere, che vedono La Festa come importante occasione di discussione delle problematiche di tutta la circoscrizione”. “Non è un caso, continua Federico, che tutti gli eletti del nostro circolo, dal consigliere di circoscrizione al consigliere regionale, si siano dati disponibili per La Festa, dal suo montaggio, al lavaggio delle stoviglie”.
La prima serata sarà focalizzata su ciò che il Circolo ha fatto in questi due anni, da Villa Pullè al Centro Anziani di San Massimo, dalle Case Ater ai parcheggi del quartiere Catena, dal contratto di quartiere alla Spianà. Gli amministratori del terzo circolo parleranno di tutto ciò, ascoltando i consigli di tutta la cittadinanza per migliorare le nostre proposte per il progetto “La circoscrizione che vorrei”
Ospiti importanti tracceranno il percorso della festa, dal senatore Enrico Morando al Presidente del Partito Democratico Rosy Bindi, dal sindaco di Padova Flavio Zanonato, al senatore Marco Follini. E’ previsto un incontro con i parlamentari veronesi e con i consiglieri regionali Franco Bonfante e Roberto Fasoli.
Non solo politica, ma soprattutto buona cucina, musica e spazio per i bambini con l’eccezionale Mastro Bottiglia.

Programma della prima Festa Democratica del Circolo PD Enzo Biagi

Giovedì 2 settembre
19.00 Inaugurazione prima festa circolo Enzo Biagi
Saluto di Giandomenico Allegri, segretario provinciale del PD, di Emanuele Amaini, coordinatore comunale del PD, e di Federico Benini, coordinatore del circolo Enzo Biagi.
19.30 Il circolo per la terza circoscrizione
Cosa abbiamo fatto e cosa faremo: Dal contratto di quartiere alla Spianà. Ne discuteremo con gli amministratori del terzo circolo
21.00 Amministrare una città? Idee a confronto
Confronto tra Vito Giacino, vicesindaco di Verona e Flavio Zanonato, sindaco di Padova

Venerdì 3 settembre:
18.30 Incontro con i parlamentari veronesi: Gianni Del Moro,  Giampaolo Fogliardi, Mariapia Garavaglia, Federica Mogherini, Federico Testa.
21.00 Incontro con Rosy Bindi

Sabato 4 settembre:
21.00 Musica funk e pop a cura dei Giovani democratici Verona
Dr Funkestein’s 2nd e Michey Manu’s

Domenica 5 settembre:
20.00 Veneto? Prendiamo la strada giusta
Incontro con i consiglieri regionali Franco Bonfante e Roberto Fasoli
21.30 Ricette economiche a confronto
Confronto tra il senatore Enrico Morando e il sottosegretario all’economia Alberto Giorgetti

Lunedì 6 settembre:
18.00 Questione morale, etica e chiesa
Incontro con il senatore Marco Follini
21.00 Presentazione libro Berlusconario
Incontro con gli autori Giovanni Belfiori e Giorgio Santelli

Considerata la gravità del periodo dal punto di vista economico, sociale e politico, la Festa Democratica organizzata dal Circolo E. Biagi rappresenta un'ottima occasione per ascoltare direttamente dai protagonisti, senza intermediari interessati, idee, speranze e prospettive per il nostro nostro paese.

Leggi tutto...

giovedì 19 agosto 2010

Qual'è l'effetto dell'indebitamento locale?

di Emanuele Costa
«Non c'è miglior strategia per nascondere una notizia inquietante che quella di renderla pubblica, distraendo, però, i lettori con altre informazioni e/o pettegolezzi che, solitamente, rappresentano l'ultima moda del periodo estivo. Il riferimento è alla situazione debitoria dei Comuni su base nazionale, augurandomi che quella locale possa costituire una best practice, se non, addirittura, ergersi ad eccellenza sotto il profilo meritocratico della sana gestione finanziaria. La stessa Magistratura contabile mette in luce evidenti criticità che emergono dai bilanci comunali: un debito accumulato nel tempo che oggi sfiora i 62 miliardi di euro, con la conseguente media pro-capite che va a collocarsi in un intorno ristretto ai 1.100,00 euro, che sale a 1.300,00 euro se si considera anche l'impatto delle Province. Qui il resto del post L'allarme lanciato dalla Corte dei Conti investe, soprattutto, non l'entità del debito, ma la sua sostenibilità futura, il cui onere è, oggi, sempre più coperto attingendo a risorse straordinarie, pur gravando interamente sui Cittadini. Se oggi non fossimo a fare i conti con una crisi economica che drena sempre più i redditi personali, l'alternativa sarebbe costituita dalla leva fiscale. Se fosse azionata, alto sarebbe il rischio di trasformarla in un boomerang per l'Amministrazione Locale. I Cittadini, purtroppo, non partecipano alle decisioni politiche del Sindaco, limitando la manifestazione del loro pensiero nell'urna elettorale al momento del voto. Il Primo Cittadino, una volta investito del mandato, è legittimato a prendere decisioni. Queste, però, dovrebbero consapevolmente e responsabilmente rispecchiare l'interesse collettivo. Il continuo ricorso all'indebitamento per risolvere i problemi locali o per attuare investimenti non produttivi, certamente non sembra andare nella giusta direzione. I Cittadini si trovano sempre più indebitati per scelte non dipendenti dalla loro volontà e senza poterne trarre alcun beneficio. Perché non viene spiegatata ai Cittadini la politica degli investimenti mettendoli anche al corrente degli oneri che, sotto forma di quota capitale e interessi, gravano sulle loro tasche? Probabilmente, perché il cosiddetto "effetto Trilussa" sarebbe svelato».

Leggi tutto...

Intervista a Franco Bonfante sul federalismo

pubblicata su L’Arena del 18 agosto 2010
Maggiori competenze e risorse economiche alle Regioni. «Questo è il vero federalismo, la cui base costituzionale, peraltro, è partita nel 2001 durante il governo di centrosinistra. E se la Lega abbandonerà certi slogan scriteriati e atteggiamenti a metà strada fra la xenofobia e il razzismo, noi ci stiamo». Parola di Franco Bonfante, veronese, esponente del Partito democratico, divenuto vicepresidente del neoeletto Consiglio regionale, al suo secondo mandato nell’assemblea politica veneta.

Bonfante, la Giunta Zaia vara la bozza del nuovo statuto regionale e il sindaco di Treviso e segretario della Liga Veneta Gobbo dice che la secessione fra nord e sud Italia «è già in atto» e che «se si ferma il federalismo c’è il rischio che succeda qualcosa di brutto, che va al di là della politica». Su quali basi il centrosinistra può costruire un’intesa con il centrodestra in Veneto?
Qui il resto del post Gobbo sostiene che bisogna stare attenti perché c’è una differenza forte fra nord e sud e sono convinto che in parte è la verità. La distanza aumenta, il meridione fa fatica a tenere il passo e questo è un rischio che temiamo tutti.

Quali proposte avanza?
Quasi tre anni fa il Pd in Consiglio regionale presentò una proposta di autonomia differenziata della Regione, condivisa con la maggioranza dell’allora presidente Galan, per dare competenze alle Regioni in 14 settori, fra cui l’istruzione, le infrastrutture e i beni architettonici. In tre anni, però, non si è fatto nulla per attuare quel disegno.

La Lega e il centrodestra parlano oggi di federalismo fiscale. Che ne pensa?
Bene, il centrosinistra condivide questa impostazione da quasi 10 anni. Ma i veneti vogliono fatti concreti. Se li vedremo, noi del Pd ci staremo. I segnali, però, non vanno in questa direzione.

E dove vanno?
Il fatto che il governo, e quindi anche la Lega, abbia assegnato finanziamenti a Catania, a Palermo, a Roma capitale o al progetto del ponte sullo stretto di Messina, sembra che smentisca la Lega. Quasi che le differenze fra nord e sud si vogliano enfatizzare.

Qual è la sua posizione sulla bozza di nuovo Statuto regionale?
A dire il vero noi una proposta l’abbiamo già avanzata, fondata appunto sull’autonomia differenziata del Veneto. Il che significherebbe arrivare al 90 per cento del federalismo. Poi puntiamo alle città metropolitane, fra cui Verona. E qui la Lega nazionale dovrà ottenere il riconoscimento dallo Stato. Ne ho accennato già al sindaco Tosi. Se Verona lo otterrà, il Pd del Veneto appoggerà questo progetto.

Che giudizio dà dei primi mesi di amministrazione targata Zaia?
Credo che lo stesso entourage di Zaia rilevi una certa staticità e delusione. Ci si aspettava qualche scelta forte, ma così non è stato. Un esempio? Il presidente Zaia ha balbettato sulla manovra finanziaria, facendosi scavalcare dai suoi colleghi Formigoni ed Errani che hanno guidato le Regioni nella richiesta di modificare la manovra, ma anche dai sindaci Tosi e Zanonato di Padova e dagli altri sindaci dei capoluoghi veneti.

A quali progetti sta lavorando?
Bisogna dare risposte al problema della disoccupazione, soprattutto giovanile, che oggi ha superato il 6 per cento e fino a qualche anno fa era sotto il 4, quindi praticamente inesistente. Poi aiutare le piccole imprese. Io ho presentato un progetto a difesa dei piccoli negozi e per ridurre il costo della politica, a cominciare dal togliere le auto blu in Regione, a cui io ho rinunciato. Quindi, eliminare enti inutili ed inefficienze. Io sto poi lavorando a un disegno di legge “anticricca”, per una maggiore trasparenza negli appalti pubblici.

Leggi tutto...

venerdì 13 agosto 2010

La partecipazione dei lavoratori

Lettera di Pietro Ichino pubblicata su Il Corriere della Sera del 12 agosto 2010
Caro Direttore, proprio un anno fa, alla sospensione estiva dei lavori parlamentari, i membri della Commissione Lavoro del Senato si salutarono dandosi appuntamento a settembre per l' approvazione di un testo unificato di quattro diversi disegni di legge di iniziativa parlamentare sulla partecipazione dei lavoratori nelle imprese. Su quel testo, frutto del primo anno di lavoro della Commissione, si era realizzato il consenso di tutte le parti politiche. A fine agosto il ministro del Lavoro rinviò di un anno questa iniziativa parlamentare, per consentire il censimento delle esperienze in corso e alcuni necessari approfondimenti. Ora il censimento e gli approfondimenti sono stati fatti: sono in molti ad attendersi che l' iter parlamentare del progetto riparta. Il testo unificato bipartisan indica nove diverse forme possibili di partecipazione dei lavoratori nelle imprese, da quella più elementare consistente nell' esercizio di diritti di informazione, alla presenza dei lavoratori nel Consiglio di sorveglianza, alla partecipazione agli utili, fino alla partecipazione azionaria, disponendo alcune agevolazioni fiscali per queste ultime ipotesi, in linea con le migliori esperienze straniere. Nessun obbligo per aziende e sindacati di adottare una o più di queste forme di partecipazione: il principio cardine è quello della volontarietà, che si concreta nella necessità di un «contratto aziendale istitutivo», stipulato secondo regole di democrazia sindacale.L' obiettivo non è di promuovere questo o quel modello di partecipazione, ma di promuovere la fioritura di una grande pluralità di esperienze in questo campo, lasciando che modelli diversi si confrontino e competano tra loro. Anche per cercare di riavvicinare il tasso italiano di imprese «partecipate» a quello assai più alto dei maggiori Paesi europei. Un anno fa le sole perplessità su questo disegno di legge erano state espresse da Confindustria e Cgil.
La contrarietà della maggiore associazione imprenditoriale è difficilmente spiegabile: se il motivo fosse la preoccupazione di evitare l' apertura di nuovi fronti di contrattazione al livello aziendale, esso mal si concilierebbe con la firma da parte della stessa Confindustria, nell' aprile 2009, del nuovo accordo interconfederale tendente proprio a spostare verso le aziende il baricentro del sistema della contrattazione collettiva. Il fatto che il disegno di legge elaborato dalla Commissione Lavoro del Senato favorisca in qualche misura il decentramento della contrattazione - inevitabilmente depotenziando, nella stessa misura, il contratto collettivo nazionale - costituiva invece comprensibilmente il motivo della freddezza della Cgil. Ma ora la Cgil dovrebbe avere un ottimo motivo per superare questa freddezza e sollecitare la riapertura dell' iter parlamentare di quel progetto. Il quinto e ultimo articolo del disegno di legge, dedicato alla partecipazione dei lavoratori nei piani industriali innovativi, ammette la contrattazione, in funzione appunto di uno di questi piani, di deroghe al contratto nazionale in materia di organizzazione del lavoro, orari, o struttura della retribuzione; ma stabilisce che essa sia riservata alla coalizione sindacale rappresentativa della maggioranza dei lavoratori interessati. Questo principio di democrazia sindacale costituisce una rivendicazione storica della Cgil. Ma oggi quel principio le sarebbe particolarmente utile nella vicenda della Fiat di Pomigliano, dove essa rischia di essere esclusa, a causa del proprio rifiuto dell' accordo aziendale, da un sistema di relazioni industriali nel quale «se non firmi non esisti». L' efficacia dell' accordo stipulato in quello stabilimento da Cisl e Uil senza la Cgil, in mancanza di quel principio di democrazia sindacale, è gravemente in forse per via della deroga al contratto nazionale; per questo la Fiat sta progettando di trasferire lo stabilimento a una nuova società (la «newco») non iscritta a Confindustria, quindi sottratta al campo di applicazione del contratto nazionale dei metalmeccanici, in modo che l' accordo aziendale in deroga possa applicarsi nello stabilimento senza problemi. La Cgil, così, resterebbe esclusa dal sistema di relazioni industriali della nuova impresa. Se invece quel principio di democrazia sindacale venisse introdotto, da un accordo interconfederale o dalla legge sulla partecipazione, la Cgil potrebbe continuare a far parte del sistema di relazioni industriali a Pomigliano, come sindacato minoritario ma pur sempre riconosciuto, rispettoso delle prerogative dei sindacati maggioritari e titolare, al pari di questi, di una sua rappresentanza aziendale con tutti i diritti di attività sindacale in azienda. Il varo di quella legge non solo risolverebbe il problema che la Fiat deve affrontare a Pomigliano, e domani in altri stabilimenti italiani, ma rafforzerebbe, allentandone le tensioni, l' intero sistema nazionale delle relazioni industriali.

Pietro Ichino
senatore del PD www.pietroichino.it

Leggi tutto...

giovedì 12 agosto 2010

Italia senza leader

Il "Primopiano" pubblicato sul n. 33 di Famiglia Cristiana, in edicola dall'11 agosto.
Ha sollevato una grande bagarre la recente denuncia della Chiesa circa l’assenza in Italia di una classe dirigente all’altezza della situazione. In una stagione densa di sfide e problemi, essa lamenta un vuoto di leadership. In tutti i settori. La politica, anzitutto, non svolge la funzione che dovrebbe competerle. Ma analoghe carenze si riscontrano nel mondo imprenditoriale, nella comunicazione e nella cultura. Persino nella società civile e nell’associazionismo.
Mancano persone capaci di offrire alla nazione obiettivi condivisi. E condivisibili. Non esistono programmi di medio e lungo termine. Non emerge un’idea di bene comune, che permetta di superare divisioni e interessi di parte. Se non personali. Si propone un federalismo che sa di secessione. Senz’anima e solidarietà. Un Paese maturo, che deve mirare allo sviluppo e alla pacifica convivenza dei cittadini, non può continuare con uomini che hanno scelto la politica per “sistemare” sé stessi e le proprie “pendenze”. Siamo lontani dall’idea di Paolo VI, che concepiva la politica «come una forma di carità verso la comunità», capace di aiutare tutti a crescere.
L’opinione pubblica, sebbene narcotizzata dalle Tv, è disgustata dallo spettacolo poco edificante che, quasi ogni giorno, ci viene offerto da una classe politica che litiga su tutto. Lontana dalla gente e impotente a risolvere i gravi problemi del Paese. La richiesta della Chiesa di “uomini nuovi” trova ampi consensi tra la gente. Anche se non sono mancate critiche, da chi si sente nel mirino della denuncia. C’è chi ha parlato di mancanza di gratitudine, per il sostegno che una parte politica dà ai “valori irrinunciabili” e alle opere della religione. Soprattutto in un Paese difficile da governare. E refrattario a qualsiasi riforma di grande respiro.
Tra le reazioni più forti, c’è chi s’è chiesto da che pulpito venga la predica. Perché mai la Chiesa si chiama fuori dalle responsabilità? Non fa parte, essa stessa, della classe dirigente del Paese? E perché non guarda alle carenze di quel mondo cattolico fortemente intrecciato nelle vicende nazionali? Accuse solo in parte giustificate. Nel richiamare al senso del bene comune quanti occupano posti di alta responsabilità, la Chiesa è cosciente che anche il mondo cattolico deve fare la sua parte. E assumersi di più i ruoli che contano.
Da tempo, Papa e vescovi hanno lanciato l’appello: «Giovani politici cattolici cercansi». Per invitare i credenti più impegnati a misurarsi con il destino della nazione. In ruoli di grande responsabilità pubblica, così come sono ben presenti nel volontariato e nell’associativismo. Sono molte le figure autorevoli nella comunità ecclesiale. Tanto più queste cresceranno, tanto più se ne gioverà l’intero Paese. Ma la Chiesa è anche chiamata a valutare quanto, di fatto, i propri quadri più alti rappresentino dei punti di riferimento etico e spirituale per tutta la nazione.

Leggi tutto...

lunedì 9 agosto 2010

Irene Tinagli, problemi emergenti dell’Italia

L'intervista verrà pubblicata nel prossimo numero di "Sistemi & Impresa"
La manovra economica del Governo approvata dal Parlamento coincide con la divulgazione di rapporti e studi (Rapporto Istat, Considerazioni finali della Banca d’Italia, assemblea della Confindustria), i quali rappresentano la grave crisi economica dell’Italia con tutti i problemi che ne conseguono (Pil, spesa pubblica, rapporto indebitamento Pil, occupazione, disoccupazione giovanile) e nello stesso tempo consentono di valutare gli interventi effettuati dall’attuale Governo dal momento in cui si è insediato. Infatti non bisogna dimenticare che il Governo Berlusconi ha sempre sottovalutato la crisi affermando che “la crisi è alle spalle” e che bisogna “essere ottimisti”.
Ne discutiamo con Irene Tinagli, economista, che ha espresso la disponibilità a trattare alcuni argomenti di particolare interesse.
Irene Tinagli, laureata alla Bocconi di Milano, è ricercatrice presso l’Università Carlos III di Madrid dove insegna Economia delle Imprese. Ha conseguito il master in Public Policy e un Master of Science in Public Policy and Management presso la Carnegie Mellon University di Pittsburgh.
E’ esperta di innovazione, creatività e sviluppo economico. Le sue ricerche sul potenziale creativo ed innovativo sono state pubblicate da riviste internazionali come Harvard Business Review ed il Financial Times.
Ha lavorato come consulente per il Dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite e per la Direzione Istruzione e Cultura della Commissione Europea.
È autrice e coautrice di report e pubblicazioni internazionali, tra cui Understanding Knowledge Societies (United Nations Publications, New York) e Europe in the Creative Age (Demos, Londra) e collabora con il quotidiano La Stampa.
Nel suo ultimo libro, Talento da Svendere (Einaudi, 2008), valuta i problemi dell’Italia nel contesto competitivo globale con particolare riferimento alla valorizzazione del talento ed offre delle prospettive nuove di intervento attraverso la catena del valore del talento.
Nel marzo 2010 è stata nominata Young Global Leader dal World Economic Forum.

Gli studi ed i rapporti presentati in quest’ultimo periodo ci obbligano a prendere coscienza della gravità della crisi economica e sociale in Italia. La manovra economica del Governo è sufficiente a far crescere il paese o si preoccupa soltanto di contenere alcuni fenomeni legati alla spesa ed all’indebitamento al fine di evitare di trovarsi nella medesima situazione della Grecia? Lei condivide alcuni giudizi che vedono nella manovra tagli indiscriminati e, quindi, non equi ed assenza di interventi strutturali e riforme?
La manovra è, forse, sufficiente a tenere a galla il paese e affrontare l’emergenza del debito. Ma certamente un rilancio della competitivita’ e della crescita del paese richiederebbe misure diverse. In particolare un’attenzione maggiore all’istruzione, alla formazione, alla ricerca, e riforme piu’ strutturali in materia di lavoro, liberalizzazioni, sistema fiscale.

Oltre alla crisi economica e sociale esistente in Italia vi è un problema di probità e di trasparenza (comitati di affari, cricca, associazioni segrete). Nel suo ultimo libro Daniel Goleman ed altri autori propongono la “trasparenza verso una nuova economia dell’onestà”. Lei ritiene che la scarsa trasparenza in Italia rappresenta una difficoltà per attrarre investimenti esteri e per facilitare una partecipazione dei cittadini alla vita politica?
Assolutamente si’. Lo vediamo nei risultati. Sul fronte investimenti esteri, l’Italia e’ tra i paesi europei con il piu’ basso tasso di investimenti stranieri. Sul fronte interno, con le ultime elezioni, abbiamo visto crollare anche la partecipazione dei cittadini al voto e alla vita politica del paese. Bruttissimi segnali.

Nel suo ultimo libro, Talento da svendere, pone attenzione al fattore conoscenza e lo colloca al primo posto tra i fattori produttivi che concorrono alla creazione della ricchezza. Vuole spiegare la catena del valore del talento e le sue connessioni con l’innovazione e la creatività? In che termini tale circolo virtuoso può essere applicato in Italia?
Saper valorizzare il talento delle persone e’ certamente un elemento chiave della competittvita’ di un paese. Tuttavia dobbiamo sempre ricordarci che il processo di valorizzazione e’ complesso e comprende varie fasi – si parte dalla formazione dei talenti, al modo in cui vengono utilizzati e impeigati nel mondo del lavoro, al modo in cui vengono stimolati e riconosciuti dal sistema sociale che li circonda. Questa e’ quella che io chiamo la “catena del valore del talento”; ogni fase è cruciale per far sì che il talento possa davvero essere messo in condizione di creare valore. Queste fasi sono strettamente interconnesse e chiamano in causa vari attori, dalle universita’ alle imprese ai sistemi locali e territoriali. Disfunzioni nell’una o nell’altra fase e, in particolare, nel modo in cui i vari soggetti si interfacciano e interagiscono tra loro possono far saltare tutta la catena.
E’ quello che e’ successo in Italia, dove abbiamo, da un lato, un mondo della formazione universitaria che non si e’ adeguato ai nuovi standard qualitativi e alle esigenze internazionali, ma dall’altro lato abbiamo anche, e non dobbiamo scordarlo, un sistema economico e produttivo che non e’ riuscito ad elevare il proprio livello tecnologico, innovativo e culturale per stare al passo con le evoluzioni dei mercati globali. Un tale sistema produttivo e’ incapace di assorbire e valorizzare le nuove generazioni di talenti e di funzionare a sua volta da stimolo per un ammodernamento del sistema della formazione e dell’Universita’.

All’ottimismo di Berlusconi lei ha contrapposto la valutazione reale di un’Italia bloccata e di un rallentamento della mobilità sociale. Quali interventi occorre effettuare per costruire un futuro dell’Italia più equo e solidale?
Chiaramente gli interventi sarebbero molti, ne cito 3:
1. Spingere di più su vere liberalizzazioni: oggi ci sono interi ambiti dell’economia del nostro paese, dalle libere professioni a molti servizi che sono protetti da scarsa competizione e supporti politici. Questo genera inefficienze, nepotismi, prezzi artificiosamente alti, tutte cose di cui pagano le conseguenze i cittadini normali, quelli che non hanno protezioni o scorciatoie.
2. Occorre riformare le politiche sociali, intese in senso ampio, dagli ammortizzatori alle borse di studio, in modo che sostengano davvero chi ne ha bisogno e ha voglia di mettersi in gioco, per mettere tutti in condizioni di crescere e migliorarsi. Invece troppo spesso le politiche sociali sono state usate per gestire consenso elettorale e hanno finito per creare sprechi, abusi e acuire ingiustizie anziche’ attenuarle.
3. Riformare il sistema fiscale che oggi penalizza eccessivamente i ceti medi, le famiglie che lavorano e le attivita’ economiche. E’ un sistema che premia le accumulazioni di capitali, le rendite di posizione, e disincentiva il lavoro, le attivita’ commerciali ed imprenditoriali “sane”. Con questo sistema e’ difficile crescere e costruire. E si alimenta il lavoro nero, che non è, come qualcuno dice, “la nostra salvezza”, ma la nostra condanna, perche’ il lavoro nero non investe in futuro, in formazione, in qualità e innovazione, serve solo a tirare a campare.

Dall’ultimo rapporto dell’Istat risultano 2 milioni di giovani che non lavorano e non studiano. L’emergenza della disoccupazione giovanile è legata alla crisi internazionale e, quindi, è momentanea o dipende dall’equilibrio strutturale dell’Italia? E’ possibile che nel terzo millennio i giovani non sono messi nelle condizioni di costruire il proprio futuro?
La crisi internazionale ha acuito un problema di cui l’Italia ha sempre sofferto, perche’ l’Italia ha sempre avuto un alto livello di disoccupazione giovanile, legato ad un mercato del lavoro orientato a proteggere il posto del “capofamiglia”, più che a cercare dinamismo e crescita. Sì, e’ assolutamente possibile che nel terzo millennio i giovani facciano piu’ fatica a costruire il proprio futuro delle generazioni precedenti per due fattori, collegati tra loro. Da un lato il sistema economico oggi e’ assai piu’ complesso che in passato, richiede competenze piu’ elevate, maggiore velocita’ di adattamento alle nuove tecnologie e cosi’ via. Dall’altro la competizione si è intensificata, perche’ anche il mercato del lavoro, non solo quello delle merci, si è globalizzato. Questo significa, per esempio, che oggi i giovani italiani competono più che in passato con i giovani francesi, spagnoli, indiani, cinesi. Sia nel senso che questi giovani sono piu’ mobili e potrebbero venire a lavorare in Italia, sia nel senso che le aziende sono anch’esse piu’ mobili e possono decidere di investire in paesi esteri dove trovano giovani piu’ preparati e adeguati alle loro esigenze. Questo pone molte piu’ pressioni sui giovani di oggi.

In questo ultimo periodo Tremonti e Berlusconi sono impegnati a far capire che la Costituzione è un ostacolo alla libertà d’impresa. Sono intervenuti autorevoli esponenti come Valerio Onida e Pietro Ichino che hanno contestato tale posizione. E’ davvero necessario ed urgente modificare l’art. 41 della Costituzione per eliminare la burocrazia e l’eccesso di regole che frenano la libertà d’impresa e la competitività del nostro Paese? Vi sono altre strade da percorrere in alternativa alla modifica della Costituzione e quali sono?
No, non credo sia necessario modificare la Costituzione. Basta guardare alle varie richieste fatte dagli imprenditori in questi anni: troviamo richieste sul costo del lavoro, sull’irap, sulle infrastrutture, etc. ma non ricordo d’aver mai letto o sentito Confindustria reclamare a gran voce la modifica dell’articolo 41. La libertà d’impresa è frenata da una pubblica amministrazione lenta e frammentata, con sistemi informativi vecchi che non comunicano tra di loro e obbligano a decine di passaggi burocratici inutili e ripetitivi, con tempi infiniti. Ed e’ frenata da un sistema fiscale complesso, iniquo e sbilanciato. Tutte cose che possono essere cambiate senza andare a fare modifiche costituzionali.

Il Governo ha parificato l’età pensionale delle donne a quella degli uomini nel pubblico impiego dopo l’intervento dell’Unione Europea, la quale non ha condiviso il provvedimento graduale deciso a suo tempo dal Governo italiano. Ritengo che il sistema ingiusto verso le donne è saltato ed occorre creare un nuovo equilibrio senza più discriminazioni nei confronti delle donne. Dopo la parificazione dell’età pensionabile che interventi occorre effettuare affinché la parità di genere non rimanga un fatto teorico nella società, nella famiglia e nel lavoro?
Occorre investire in servizi di supporto per la famiglia e l’infanzia: asili, agevolazioni per le famiglie che lavorano e che abbiano bisogno di aiuto. Sottolineo per le famiglie e non solo “le donne”, perche’ un’altra cosa fondamentale che occorre fare e’ superare quella mentalita’ per cui la creazione di asili sia un aiuto solo per la donna, come se la funzione genitoriale spettasse solo a lei. Questo salto culturale devono farlo le donne per prime: finche’ si sentiranno le sole responsabili delle cure familiari, si sentiranno in dovere di essere le prime a rinunciare al lavoro o alle proprie ambizioni e si autocondanneranno ad una vita di rinunce ed inferiorità. I servizi e gli aiuti statali potranno rendere questa condizione di imparità meno gravosa ma non eliminarla se non ci sarà questa emancipazione culturale.

Lei come donna che difficoltà ha incontrato in Italia che l’hanno spinta a perseguire i propri obiettivi lavorativi all’estero?
Ho lavorato in Italia due anni e mezzo prima di andarmene, e ammetto che ho incontrato alcune difficoltà, soprattutto pregiudizi ed invidie. Una giovane donna che inizia a lavorare in Italia deve abituarsi ad essere spesso inascoltata, essere scambiata per la segretaria del capo (quando le va bene...), ed essere soggetta a mille insinuazioni quando ottiene un risultato positivo. La cosa più triste per me e’ stato constatare che le cattiverie vengono spesso dalle altre donne anche piu’ che dagli uomini. Molto avvilente.

Leggi tutto...

domenica 8 agosto 2010

Emanuele Fiano, interrogazione sull’aeroporto Catullo di Verona

Emanuele Fiano, parlamentare del Partito Democratico e membro della commissione Trasporti, ha presentato la seguente interrogazione sull’aeroporto Valerio Catullo di Verona:
Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
- Per sapere - premesso che:
l'aeroporto Valerio Catullo di Verona è, in ragione dei traffici passeggeri e merci, tra i primi quindici d'Italia;
secondo i dati ufficiali dell'ENAC, Ente nazionale aviazione civile, nel 2009 l'aeroporto Valerio Catullo ha, in particolare, registrato una movimentazione di oltre tre milioni di passeggeri, attestandosi al quattordicesimo posto fra gli aeroporti italiani;
al fine di incentivare l'adeguamento delle infrastrutture del sistema aeroportuale di cui il predetto aeroporto, con altro presente in regione diversa, fa parte, è stata addirittura approvata una modifica all'articolo 17 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, «Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini e della partecipazione italiana a missioni internazionali» in base al quale l'Ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC) è autorizzato a stipulare contratti di programma «in deroga alla normativa vigente in materia», introducendo sistemi di tariffazione pluriennale che, tenendo conto dei livelli e degli standard europei, siano orientati ai costi delle infrastrutture e dei servizi, a obiettivi di efficienza e a criteri di adeguata remunerazione degli investimenti e dei capitali, con modalità di aggiornamento valide per l'intera durata del rapporto. Tale contratto, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, può consentire sostanziali modifiche tariffarie e lo stesso prolungamento senza gara del contratto di gestione, favorendo, in tal modo, visibilmente, ad avviso dell'interrogante, la società di gestione rispetto alla normativa ordinaria vigente;
secondo quanto annunziato nel corso di una conferenza stampa del 15 giugno 2010 da Fabio Bortolazzi e Massimo Soppani, rispettivamente presidente e direttore generale della società di gestione dell'aeroporto Valerio Catullo, insieme alla responsabile Ryanair per l'Italia Melisa Corrigan, lo scalo ha definitivamente aperto ai vettori a basso costo, stipulando proprio in quei giorni con la nota compagnia irlandese un nuovo accordo che ha già portato nuovi voli a Verona e che prevede addirittura una modifica dello scalo che, in pratica, si sdoppierà con strutture e servizi separati per i voli low- cost;
l'aeroporto di Verona è, inoltre, dotato di un avanzatissimo sistema antinebbia che consente l'operatività dello scalo anche in condizioni di visibilità critiche e grazie a questo sistema, operativo dall'inizio del 2003, l'aeroporto scaligero è abilitato ad operare in categoria IIIB, ovvero fino alla visibilità critica di 75 metri, con ciò diventando, in caso di criticità da nebbia su altri aeroporti del Nord Italia meno attrezzati, meta alternativa dei voli, fatto che provoca, in tali occasioni meteorologiche, il sovraccarico di tutti i servizi connessi con l'accoglienza dei vettori, compresi i servizi di sicurezza aeroportuale;
nel 2009 è stato rinnovato per un periodo di tre anni, dalla società di gestione dei servizi aeroportuali, la s.p.a. «Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca», alla società «La Ronda» di Verona, facente parte del «Gruppo FIDELITAS», di cui azionista di maggioranza è la Franco Gnutti Holding s.p.a., l'appalto per i servizi di sicurezza aeroportuale dello scalo «Valerio Catullo»;
la Società di gestione dei servizi aeroportuali sopradetta è partecipata dall'Associazione industriali di Mantova, dal Banco popolare di Verona e Novara, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno ed Ancona, dalle camere di commercio, industria ed artigianato di Brescia, di Mantova, di Trento, Vicenza, Verona, dai comuni di Bardolino, Brenzone, Bussolengo, Desenzano sul Garda (farmacia comunale), Garda, Lazise, Limone, Malcesine, Mantova, Nago Torbole, Riva del Garda, Rovigo, Salò, Sommacampagna, Sona, Torri del Benaco, Verona, Villafranca di Verona, della Comunità del Garda, dalla provincie autonome di Bolzano e Trento, dalle provincie di Brescia, Mantova, Rovigo, Verona, Vicenza, nonché dalle Società Promofin srl (emanazione dell'Associazione Industriali di Verona), Veneto sviluppo s.p.a. (posseduto con quota maggioritaria dalla Regione Veneto e da enti privati) e Azienda provinciale trasporti Verona s.p.a. cosicché può affermarsi che, essendo maggioritariamente partecipata da capitali pubblici, essa deve essere assoggettata al controllo della Corte dei conti;
l'appalto prevede, tra l'altro, che per il servizio debbano essere assunti (articoli 16/A, 16Bb, 16/C, 16/D e 16/E dell'appalto): 1 direttore tecnico, 6 supervisori coordinatori, 28 supervisori operativi, 115 guardie giurate specializzate;
lo stesso appalto prevede altresì che possano essere impiegate, nei periodi di punta e per speciali esigenze aeroportuali, anche ulteriori contingenti di guardie giurate specializzate, senza che la ditta possa nulla opporre alla società di gestione aeroportuale;
presso l'aeroporto, a mente di quanto previsto dal contratto d'appalto, devono essere coperti i seguenti servizi giornalieri 10 archetti per passeggeri in partenza, per 4 unità ad archetto per 2 turni (ciascuno della durata di 8 ore, dalle 06.00 alle 14.00 e dalle 14.00 alle 22.00), per un complessivo di 80 guardie giurate (articolo 16/A dell'appalto); 1 archetto per controllo equipaggi e operatori aeroportuali, per 4 unità per due turni come sopra, pari a 8 guardie giurate; 1 postazione controllo radioscopico dei bagagli da stiva, per 2 unità, per due turni, pari a 4 guardie giurate;
1 postazione controllo radioscopico delle merci, posta e plichi dei corrieri espressi, per 1 unità, per due turni di servizio, pari a 2 guardie giurate; 1 «gruppo» per «ogni altro controllo di sicurezza richiesto espressamente dai vettori aerei, dal gestore e/o da altri operatori come previsto dall'articolo 3 del decreto ministeriale 85/99», (ovvero vigilanza ed ispezione aeromobili, scorta bagagli, merci, catering, reiterazione controlli in sale d'imbarco, e altro) che, in assenza di un'espressa previsione di capitolato, si può quantificare in 4 unità per due turni, pari ad 8 guardie giurate;
per tali servizi è dunque necessario, in un'ottica di corretta gestione aziendale, un numero minimo ed indispensabile di guardie giurate «dedicate» all'aeroporto Valerio Catullo che, anche andando al di sotto della soglia prevista dall'appalto, non potrà mai essere inferiore a 125 unità, e ciò al fine di assicurare le fisiologiche turnazioni per le ferie, le malattie, i riposi, le assenze giustificate e l'addestramento;
per tali servizi di sicurezza la società di gestione aeroportuale percepisce, a carico di ogni passeggero, specifiche tasse per la sicurezza aeroportuale, la cui somma, nei tre anni, supererebbe, peraltro notevolmente, l'importo previsto per l'appalto dei servizi aeroportuali e come detto, tali tasse ai sensi dell'articolo 17 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, sono destinate ad aumentare con nuovi introiti per la società di gestione;
risulterebbe all'interrogante che l'istituto di vigilanza privata «La Ronda» non abbia mai avuto in forza il numero di guardie giurate specializzate previste dall'appalto, nemmeno nei periodi di certificato maggior impegno operativo, con conseguenti richieste di turnazioni e prestazioni di lavoro straordinario ai lavoratori della sicurezza privata che sono state oggetto di numerose proteste ed incontri in prefettura;
nelle sedi istituzionali, ovvero presso la prefettura di Brescia, i titolari della licenza dell'Istituto di vigilanza «La Ronda» avrebbero a più riprese formalmente assicurato, nel corso di incontri tenutisi in prefettura, che le carenze organiche sarebbero state ripianate con assunzioni e conseguente formazione di consistenti, aliquote di personale, per portare la forza disponibile al minimo di 125 unità, senza, tuttavia, che ciò sia mai avvenuto, assistendosi, invece, solo ad un accentuato turn over.
il 2 luglio 2007, quando peraltro ancora non erano entrate in vigore le norme europee che hanno poi aumentato il numero di guardie giurate necessarie per l'effettuazione dei servizi di controllo passeggeri per ogni singolo archetto, sarebbe stato lo stesso rappresentante legale de «La Ronda» a dichiarare che il numero minimo di lavoratori era di 75 unità;
attualmente il numero di guardie giurate impiegate presso l'aeroporto Valerio Catullo sembrerebbe oscillare tra le 68 unità, come comunicato con esposto al prefetto di Verona del 27 febbraio 2010 dal predetto SAVIP, e le 72, come di recente rilevato, riportando peraltro anche numeri relativi a guardie giurate che non esplicano servizi operativi, e peraltro tali numeri appaiono comunque del tutto insufficienti a garantire regolari servizi nel periodo estivo, quando si verifica un maggior transito di passeggeri, ma anche nelle altre stagioni dell'anno, in occasione dei picchi che si registrano nei periodi delle fiere;
altre guardie giurate, benché specializzate nei servizi di sicurezza aeroportuale, sarebbero stabilmente impiegate dall'Istituto di vigilanza «La Ronda» per servizi «ordinari» di vigilanza in provincia di Verona (fiera, sala operativa, e altro);
a fronte di tali scelte imprenditoriali dell'Istituto «La Ronda» nell'allocazione del personale specializzato nella sicurezza aeroportuale, si assisterebbe ad uno sfruttamento intensivo del personale addetto alla sicurezza aeroportuale, con turni straordinari che hanno impegnato guardie giurate su fasce di oltre 12 ore;
impiegare in turni di lavoro anomali le guardie giurate rappresenta un fin troppo evidente fattore di rischio per la sicurezza aeroportuale e dei viaggiatori, in ragione della caduta del livello di attenzione e dell'affievolimento delle energie psicofisiche dei lavoratori;
il rispetto delle norme di appalto è anche finalizzato ad assicurare che l'utente dei servizi aeroportuali, ovvero chi spedisce le merci o i viaggiatori, abbia sempre un servizio qualitativamente all'altezza delle «tasse» che sono corrisposte per la sicurezza aeroportuale;
a norma dei regolamenti comunitari e delle convenzioni internazionali cui l'Italia aderisce, i servizi di sicurezza aeroportuale, così come espressamente previsto nel contratto di appalto sottoscritto da «La Ronda», devono comunque essere svolti nel rispetto degli standard, nonché in quello di tutte le indicazioni fornite dalla società di gestione, dalla direzione aeroportuale, dalla polizia di frontiera ed, eventualmente, da altre autorità aeroportuali come da disposizioni emanate dal locale comitato di sicurezza aeroportuale;
in particolare, il regolamento (CE) 300/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio e quello (CE) 72/2010 della Commissione europea, prevedendo norme comuni per garantire, in ambito europeo, la sicurezza aeroportuale, stabiliscono anche le modalità comuni e riservate per l'effettuazione delle ispezioni;
i servizi di sicurezza aeroportuali dovrebbero essere soggetti alla vigilanza e a periodiche ispezioni istituzionali da parte di appositi organismi ispettivi incaricati dalle autorità europee, nazionali e locali, ma le ispezioni ai dispositivi di sicurezza dell'aeroporto Valerio Catullo nulla hanno fin ad oggi rilevato;
le attuali modalità di controllo ad avviso dell'interrogante non consentono di verificare adeguatamente se gli standard di sicurezza siano effettivamente rispettati presso il predetto aeroporto ed, in particolare, se la società «La Ronda» adotti effettivamente le cure dovute nella disposizione dei servizi;
l'appaltatore, ovvero l'istituto di vigilanza «La Ronda», prescindendo dai controlli ispettivi, si è comunque impegnato a rispettare qualsiasi disposizione, raccomandazione e/o ulteriori accorgimenti eventualmente risultanti da dette ispezioni ed imposte dagli organi di controllo, al fine di poter sempre garantire il normale svolgimento del traffico aereo;
l'appaltatore, tra l'altro, dovrebbe, quale titolare della licenza e nel rispetto delle leggi italiane in materia di lavoro, pubblicare all'albo i turni di servizio delle guardie giurate;
non è altresì noto quanto sia corrisposto all'istituto di vigilanza privata per i servizi di sicurezza aeroportuali e, in concreto, quali siano i servizi «minimi» che debbono essere quotidianamente resi per la gestione dell'aeroporto;
risulterebbe che, da parte della questura di Verona, siano stati posti in essere comportamenti che hanno di fatto impedito al SAVIP l'accesso ai servizi dell'Istituto «La Ronda», in quanto organo di vigilanza sull'Istituto in questione;
in conseguenza di tali comportamenti la commissione nazionale sugli accessi amministrativi ha imposto, a norma di quanto previsto dalla legge n. 241 del 1990, al questore di produrre gli atti al SAVIP:
se si ritenga di dover disporre che le verifiche degli ispettori dell'ENAC presso l'aeroporto Valerio Catullo di Verona siano effettuate con le minime garanzie di riservatezza, al fine di non comprometterne l'incisività;
se, sulla base degli obblighi derivanti dalla concessione e dalle normative europee in materia, siano previsti impieghi minimi di guardie giurate per la sicurezza aeroportuale e quale debba essere questo numero con riferimento alle dimensioni ed ai movimenti di persone e merci dell'aeroporto Valerio Catullo;
quale sia il corrispettivo mensilmente erogato a favore dell'Istituto di Vigilanza «La Ronda», dalla data di rinnovo dell'appalto ad oggi, per i servizi di sicurezza aeroportuale effettuati presso l'aeroporto Valerio Catullo e a quali prestazioni, in via analitica, essi siano riferibili, con particolare riferimento al numero di guardie specializzate richiesto ed a quello effettivamente impiegato;
quali servizi di sicurezza «minimi» debbano essere garantiti al viaggiatore e agli altri utenti del trasporto aereo presso l'aeroporto Valerio Catullo di Verona, sulla base del contratto d'appalto stipulato con l'Istituto di vigilanza privata «La Ronda», atteso che esso sembra atteggiarsi come «contratto a misura»;
se, ai sensi dell'articolo 5 del regolamento (CE) n. 300/2008, i fondi rivenienti dalle tasse per la sicurezza aeroportuale versate dai passeggeri dell'aeroporto Valerio Catullo con ogni biglietto siano stati e siano integralmente spesi per assicurare il potenziamento dei servizi e delle dotazioni per la sicurezza dell'Aeroporto in questione;
se i rappresentanti degli enti pubblici che partecipano alla società di gestione aeroportuale abbiano mai mosso rilievi all'atto dell'approvazione del bilancio e nella determinazione delle politiche di sicurezza dell'aeroporto;
se risulti quali siano i turni di servizio normalmente svolti dalle guardie giurate presso l'aeroporto Valerio Catullo e se risulti che l'istituto di vigilanza privata abbia impiegato le sue guardie giurate in aeroporto con turnazioni non rispettose dei limiti previsti dalle norme vigenti e dagli impegni assunti con l'appaltante;
se sia stato garantito il diritto delle guardie giurate a normali turni di servizio e, con essi quello alla sicurezza dei passeggeri, degli utenti e degli operatori professionali dell'aeroporto in quetione;
quali interventi siano stati operati dalla locale prefettura a seguito del dettagliato esposto del SAVIP del 27 febbraio 2010, con il quale si ricostruiscono documentalmente le inadempienze organizzative dell'Istituto di vigilanza «La Ronda», al fine di verificare l'adeguatezza organizzativa dell'istituto «La Ronda» alle esigenze del servizio preso in appalto presso l'aeroporto Valerio Catullo e, soprattutto, di ripianare secondo le consolidate e non rispettate intese l'organico del nucleo di guardie giurate destinate alla sicurezza aeroportuale;
se, a seguito dell'accordo intervenuto con Ryanair, sia previsto un ulteriore impegno di guardie giurate e se, con l'apertura dell'annunciata nuova area, dedicata ai voli low cost, sia previsto un potenziamento dei servizi di sicurezza aeroportuale ed, in caso affermativo, se sia stato previsto dalla società di gestione dell'aeroporto quale incremento di guardie giurate sarà necessario per assicurare i servizi minimi;
quali provvedimenti siano stati adottati per assicurare che, nel solco degli impegni assunti con la stipula dell'appalto e, ancor prima, con riguardo a quelli che l'Italia ha preso nelle sedi internazionali, sia garantito nell'aeroporto Valerio Catullo di Verona il rispetto degli standard di sicurezza aeroportuale e, nel contempo, un adeguato ed efficace servizio di controllo dei passeggeri che eviti attese non compatibili con un'efficiente gestione dei servizi di sicurezza aeroportuale;
se non si ritenga di dovere disporre un'ispezione ministeriale al fine di verificare le numerose incongruenze di servizio qui esposte.

Leggi tutto...

sabato 7 agosto 2010

Federico Testa, dichiarazione di voto in materia di energia

Il decreto sull'energia approvato alla Camera è un'occasione persa per intervenire efficacemente su una materia particolarmente delicata. Per questo il Partito Democratico ha  votato contro. Nel provvedimento approvato c'è uno squilibrio a favore del potere centrale a scapito delle autonomie locali. E questo non va bene, non solo per motivi giuridici e di legislazione concorrente tra governo centrale e Enti locali, ma anche perché alle autonomie locali non devono essere imposte dall'alto le opere ma devono poter diventare protagoniste di ciò che le riguarda. Nel decreto manca poi un disegno complessivo sull'energia, materia sulla quale continua a pesare l'assenza ormai da più di tre mesi del ministero allo Sviluppo economico. Assenza grave per quanto riguarda la materia dell'energia ma altrettanto grave anche per quello che riguarda la politica industriale in un momento di crisi economica come questo.
A.C. 3660 SEDUTA DI MARTEDÌ 3 AGOSTO 2010
Signor Presidente,
questo provvedimento nasce per dare esecuzione alla sentenza della Corte costituzionale n. 215 del giugno 2010, che ha prodotto alcune incertezze ed alcuni problemi in materia di interventi urgenti per le reti di energia e di nomina dei commissari; quindi, i primi quattro commi dell'articolo 4 del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, sono stati novellati con questo provvedimento.
Secondo una prassi frequente, quanto discutibile, questo provvedimento è stato successivamente integrato da una serie di questioni specifiche, che hanno occupato buona parte della nostra discussione.
Mi soffermerò brevemente sul tema principale, che è quello dell'articolo 1 di questo provvedimento. È un tema non banale, certamente, perché credo si tratti di trovare un punto di equilibrio tra due esigenze, entrambe legittime e degne di tutela, che sono quelle, da un lato, di fare le opere necessarie, perché questo serve allo sviluppo del Paese e della nostra economia, e, dall'altro lato, di non fare queste opere contro le popolazioni che da esse sono coinvolte e interessate.
Si tratta di un punto di equilibrio non facile - non voglio banalizzare il tema - che mi pare che in questo caso non sia stato, ancora una volta, trovato. Infatti, il testo mantiene una disciplina surrogatoria in caso di mancata intesa, che avviene con deliberazione motivata del Consiglio dei ministri a cui sia stato invitato a partecipare il presidente della regione o della provincia autonoma interessata.
Questa disciplina surrogatoria, che sostanzialmente è analoga a quella individuata nel decreto sui siti nucleari, alla fin fine sposta questo equilibrio a favore del potere centrale e contro le comunità interessate.
Questo a mio modo di vedere non è corretto, non solo per un problema squisitamente giuridico di legislazione concorrente tra potere centrale e poteri periferici, ma anche perché le infrastrutture, tanto più pesano sulla collettività, tanto più dovrebbero essere condivise con la collettività. Chiaramente questo non può dare a nessuno il diritto di veto, però sono convinto che attraverso la procedura della condivisione e della costruzione del consenso si affrontino questi temi e non certamente con le imposizioni dall'alto.
Ho già detto nella discussione sulle linee generali come avevamo proposto un emendamento, teso a mettere in discussione quella brutta norma sull'idroelettrico, che è stata introdotta in manovra e che fa fare un passo indietro ai processi di liberalizzazione nel nostro Paese in tema di energia, ma non è stato possibile trovare il consenso sufficiente per approvare questa nostra proposta.
In Commissione abbiamo lavorato per migliorare il testo e le soluzioni individuate sulla questione del Sulcis, sulla proroga dei tempi per l'entrata in esercizio per gli impianti rinnovabili sono certamente positive e frutto di un lavoro condiviso all'interno della Commissione, con un buon rapporto con il relatore e la presidente che ringrazio, ma purtroppo per le cose fin qui rilevate, per l'assenza di un disegno organico sul tema dell'energia, cui si aggiunge, l'assenza, anzi la colpevole assenza del Ministro per lo sviluppo economico nel momento di scelte estremamente delicate non solo in tema di energia, ma più in generale di politica industriale per il nostro Paese, preannuncio il voto contrario del Partito Democratico a questo provvedimento (Applausi dei deputati dei gruppi Partito Democratico e Italia dei Valori).
Comunicato dell’on.le Federico testa
"Il decreto sull'energia approvato oggi alla Camera è un'occasione mancata dal governo per intervenire efficacemente su una materia delicata come questa. Anche se abbiamo contribuito a migliorare il provvedimento, il Pd vota contro". Lo ha detto Federico Testa, deputato Pd in commissione Attività produttive della Camera durante la dichiarazione di voto nell'Aula di Montecitorio sul decreto in materia di energia.
"Poteva essere - ha proseguito Testa - l'occasione per trovare un punto di equilibrio tra il fare le opere necessarie allo sviluppo del paese e dell'economia e il tenere conto delle legittime aspirazioni delle popolazioni che vivono nei territori interessati dalle opere stesse. Punto di equilibrio non facile da individuare che ancora una volta non è stato trovato. Nel provvedimento approvato c'è un surrogato su questo punto che sposta l'equilibrio a favore del potere centrale a scapito delle autonomie locali. E questo non va bene, non solo per motivi giuridici e di legislazione concorrente tra governo centrale e Enti locali, ma anche perché alle autonomie locali non devono essere imposte le opere ma devono poter diventare protagoniste di ciò che le riguarda. Oltre a questo, è stato bocciato il nostro emendamento per ridiscutere l'idroelettrico così come deliberato nella manovra economica di pochi giorni fa che mette pesantemente in discussione il processo di liberalizzazione dell'energia in Italia. È invece positiva la soluzione trovata per il Sulcis e per l'entrata in esercizio degli impianti e fonte rinnovabile. Nel decreto manca un disegno complessivo sull'energia, materia sulla quale continua a pesare l'assenza ormai da tre mesi del ministero allo Sviluppo economico. Assenza grave per quanto riguarda la materia dell'energia ma altrettanto grave anche per quello che riguarda la politica industriale in un momento di crisi economica come questo".
Video dell’intervento
Articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore del 22 luglio 2010

Leggi tutto...

venerdì 6 agosto 2010

Questione morale

Pubblicato sul N. 32 di Famiglia Cristiana del 5 agosto 2010
La questione morale agita il dibattito politico dal lontano 1981, da quando cioè – undici anni prima di Mani pulite – l’allora segretario del Pci, Enrico Berlinguer, ne parlò per primo. La Seconda Repubblica nacque giurando di non intascar tangenti, di rispettare il bene pubblico, di debellare malaffare e criminalità. Bastano tre cifre, invece, per dirci a che punto siamo arrivati. Nel nostro Paese, in un anno, l’evasione fiscale sottrae all’erario 156 miliardi di euro, le mafie fatturano da 120 a 140 miliardi e la corruzione brucia altri 50 miliardi, se non di più.
Il disastro etico è sotto gli occhi di tutti. Quel che stupisce è la rassegnazione generale. La mancata indignazione della gente comune. Un sintomo da non trascurare. Vuol dire che il male non riguarda solo il ceto politico. Ha tracimato, colpendo l’intera società. Prevale la “morale fai da te”: è bene solo quello che conviene a me, al mio gruppo, ai miei affiliati. Il “bene comune” è uscito di scena, espressione ormai desueta. La stessa verità oggettiva è piegata a criteri di utilità, interessi e convenienza.
Qui il resto del post Se è vero, come ha detto il presidente del Senato Renato Schifani, che «la legalità è un imperativo categorico per tutti, e in primo luogo per i politici, e nessuno ha l’esclusiva», è altrettanto indubbio che c’è, anche ad alti livelli, un’allergia alla legalità e al rispetto delle norme democratiche che regolano la convivenza civile. Lo sbandierato garantismo, soprattutto a favore dei potenti, è troppo spesso pretesa di impunità totale. Nonostante la gravità delle imputazioni. L’appello alla legittimazione del voto popolare non è lasciapassare all’illegalità. Ci si accanisce, invece, contro chi invoca più rispetto delle regole e degli interessi generali. Una concezione padronale dello Stato ha ridotto ministri e politici in “servitori”. Semplici esecutori dei voleri del capo. Quali che siano. Poco importa che il Paese vada allo sfascio. Non si ammettono repliche al pensiero unico. E guai a chi osa sfidare il “dominus” assoluto.
Che ne sarà del Paese, dopo la rottura avvenuta tra Berlusconi e Fini? La scossa sarà salutare solo se si tornerà a fare “vera” politica. Quella, cioè, che ha a cuore i concreti problemi delle famiglie: dalla disoccupazione giovanile alla crescente povertà. Bisogna avere l’umiltà e la pazienza di ricominciare. Magari con uomini nuovi, di indiscusso prestigio personale e morale. Soprattutto se si aspira alle più alte cariche dello Stato. Giustamente, i vescovi parlano di «emergenza educativa». Preoccupati, tra l’altro, dalla difficoltà di trasmettere alle nuove generazioni valori, comportamenti e stili di vita eticamente fondati.
Contro l’impotenza morale del Paese, il presidente Napolitano ha invocato i «validi anticorpi» di cui ancora dispone la nostra democrazia e la collettività. Famiglia, scuola e, soprattutto, mondo ecclesiale sono i primi a essere chiamati a dare esempi di coerenza e a combattere il male con più forza. Anche di questo si dibatterà a Reggio Calabria, dal 14 al 17 ottobre, nella 46ª edizione delle Settimane sociali dei cattolici italiani. Dei 900 delegati, 200 sono giovani. Una scelta. Un investimento. Un piccolo segnale di speranza.
Intervista a Enrico Berlinguer a cura di Eugenio Scalfari pubblicata su Repubblica nel 1981

Leggi tutto...

lunedì 2 agosto 2010

Irene Tinagli e Pietro Ichino sulla riforma universitaria

Editoriale di Irene Tinagli pubblicato su la Stampa il 30 luglio 2010
Dopo tante polemiche e dopo tanta pazienza, Mariastella Gelmini finalmente esulta. E ha molte ragioni per farlo.
La sua Riforma è stata approvata ieri in Senato, con un impianto sostanzialmente integro, non stravolto dalle centinaia di emendamenti che rischiavano di snaturarlo completamente. Ma l’approvazione del ddl non è solo un ottimo successo per il ministro, ma anche, nel complesso, un buon passo avanti per l’Università Italiana.
Alcune delle misure introdotte rappresentano delle innovazioni «culturali» sicuramente di rilievo, perché per la prima volta si introduce l’idea di valutazione sia sulle attività degli Atenei che sulle attività dei singoli docenti, anche i professori quelli già inseriti nel sistema. Le valutazioni non sono drastiche e mieteranno forse meno vittime del previsto, ma intanto viene introdotto nel sistema il «germe» della valutazione, del «merito», quel cambiamento culturale che per anni è stato oggetto di tanta retorica e annunci, ma rarissime azioni concrete.
Il decreto prevede numerose novità anche nella gestione e nella governance accademica, ma il punto che ha suscitato maggiori polemiche e che più tende a rompere vecchie logiche di funzionamento è quello che riguarda la figura dei ricercatori, che diventano a tempo determinato, per un massimo di 6 anni (quindi niente più ricercatori a vita), e le procedure di assunzione dei nuovi professori, che passeranno tutte attraverso un concorso di abilitazione nazionale (con commissione tirata a sorte) di fronte al quale ogni concorrente sarà trattato alla pari. Nessun favoritismo o priorità per chi è già nel sistema, magari da anni, nessuna ope-legis: tutti uguali di fronte al concorso. Certo, una volta ottenuta l’abilitazione, si entra in una lista unica e le Università sono libere di chiamare e dare priorità a chi vogliono all’interno di tale lista, ma per facilitare la mobilità è l’immissione di «esterni» il decreto prevede che tra i nuovi assunti di ciascuna Università ci sia una quota minima (un terzo per i professori di prima fascia) di persone che non erano già nell’Ateneo in questione.
L’introduzione di queste «quote outsider» mette forse un po’ di tristezza, facendoli apparire quasi come specie da proteggere, ma visto come sono andate le cose fino ad oggi, appare l’unico modo per arginare vecchie pratiche di assunzioni «incestuose» dentro gli Atenei. Queste regole sull’assunzione saranno ancora più efficaci se saranno veramente abbinate a tutte le misure citate dall’articolo 5 del decreto, in cui si prevedono valutazione e premi per le università che avranno effettivamente seguito criteri aperti e internazionali nell’assunzione dei nuovi docenti, nonché’ valutazioni regolari delle attività dei docenti anche dopo che sono stati assunti. Tali misure purtroppo sono solo citate nel decreto e demandate a successivo decreto attuativo del Governo, ma, se attuate secondo le modalità e gli indirizzi indicati nel decreto, rappresenterebbero una mezza rivoluzione e renderebbero molto più completa la Riforma.
Nel complesso, questo insieme di nuove regole, se riuscisse a passare indenne anche l’approvazione della Camera e venire poi supportata da buoni decreti attuativi, potrebbe davvero incoraggiare gli studenti più bravi a perseguire la carriera accademica e forse anche a convincere molti «cervelli» italiani emigrati all’estero a tentare la strada del rientro.
C’è un solo pezzo che manca, di cui nessuno parla, ovvero l’apertura del sistema non solo ai giovani italiani, ma anche a quelli stranieri. Su quel fronte la nuova riforma difficilmente potrà far fare grossi progressi. Il sistema ancora in piedi dei concorsi nazionali (in quale lingua?), con relativi iter burocratici, gazzetta ufficiale e così via, per non parlare dei salari ancora bassi, assai poco competitivi nel panorama internazionale, così come i fondi di ricerca ridotti all’osso non renderanno il nostro nuovo sistema universitario particolarmente attraente per gli stranieri. Quindi, anche se gli Atenei avranno incentivi all’internazionalizzazione del loro corpo docenti, difficilmente riusciranno ad attrarre docenti dall’estero, soprattutto i più bravi. Ad ogni modo, c’è da sperare che, una volta create le condizioni di un mercato interno più funzionale, meritocratico e trasparente, il resto si possa costruire su su. Insomma, un passo forse non totalmente sufficiente, ma certamente necessario.

Editoriale di Pietro Ichino per la Newsletter n. 114 - 2 agosto 2010
Nella home page di questo sito compare stabilmente, fin dalla sua nascita, il patto sulla base del quale due anni e mezzo fa accettai la candidatura al Parlamento nelle liste del Pd: lealtà verso il partito nel voto in Aula e in Commissione, lealtà verso lettori ed elettori nel dire sempre tutto quello che penso, anche se in contrasto con la linea del Partito. A questo patto mi sono attenuto nella discussione in Senato sul disegno di legge della ministra Gelmini: ho votato, secondo le indicazioni del mio gruppo, contro il disegno di legge; ma ho il dovere di chiarire che, se fosse dipeso solo da me, avrei votato a favore. A me sembra – e su questo mi trovo, per questa e questa sola volta, a concordare con la posizione assunta in Senato da Francesco Rutelli e dalla sua Alleanza per l’Italia – che la riforma muova nella direzione giusta sia con l’introduzione della valutazione sugli Atenei e sui singoli professori e ricercatori, sia con la previsione dell’assunzione a termine dei ricercatori e del principio up or out (“alla scadenza del contratto, o vieni promosso, o vai a lavorare nella scuola media superiore, utilizzando il titolo acquisito”), sia con la nuova disciplina dei concorsi, sia infine con la nuova ripartizione delle prerogative di governo degli Atenei fra senato accademico e consiglio di amministrazione, con maggiore spazio ai finanziatori esterni. I motivi di questa mia opinione sono – a grandi linee – gli stessi che si trovano espressi nell’editoriale di Irene Tinagli sulla Stampa di venerdì scorso e in quello della stessa economista del 24 luglio, ma anche negli editoriali di Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 22 luglio scorso e di Michele Salvati sullo stesso quotidiano del giorno dopo.
C’è il problema dei tagli economici recati dalla manovra di Tremonti, i quali certo soffocano la nostra Università. Ma se questa fosse capace finalmente di stanare, attraverso un rigoroso processo di valutazione, tutti i professori che da decenni non aggiornano i propri corsi, o che li scaricano sui propri ricercatori e assegnisti, così come tutti i professori o ricercatori che da anni non producono alcun contributo scientifico apprezzabile, se l’Università incominciasse a individuare ed eliminare queste situazioni di vera e propria rendita parassitaria, essa potrebbe recuperare risorse molto superiori rispetto a quelle che i tagli di Tremonti le tolgono. Gli strumenti per fare questo in parte già ci sarebbero, se presidi e rettori esercitassero fino in fondo le proprie prerogative; in parte vengono rafforzati dal disegno di legge Gelmini. Sono ancora insufficienti? Rivendichiamo maggiore incisività e determinazione. Ma non è questo un buon motivo per opporci al primo passo che viene compiuto, con questo disegno di legge, in una direzione che mi sembra proprio quella giusta.

Leggi tutto...