L'intervista verrà pubblicata nel prossimo numero di "Sistemi & Impresa"
La manovra economica del Governo approvata dal Parlamento coincide con la divulgazione di rapporti e studi (Rapporto Istat, Considerazioni finali della Banca d’Italia, assemblea della Confindustria), i quali rappresentano la grave crisi economica dell’Italia con tutti i problemi che ne conseguono (Pil, spesa pubblica, rapporto indebitamento Pil, occupazione, disoccupazione giovanile) e nello stesso tempo consentono di valutare gli interventi effettuati dall’attuale Governo dal momento in cui si è insediato. Infatti non bisogna dimenticare che il Governo Berlusconi ha sempre sottovalutato la crisi affermando che “la crisi è alle spalle” e che bisogna “essere ottimisti”.
La manovra economica del Governo approvata dal Parlamento coincide con la divulgazione di rapporti e studi (Rapporto Istat, Considerazioni finali della Banca d’Italia, assemblea della Confindustria), i quali rappresentano la grave crisi economica dell’Italia con tutti i problemi che ne conseguono (Pil, spesa pubblica, rapporto indebitamento Pil, occupazione, disoccupazione giovanile) e nello stesso tempo consentono di valutare gli interventi effettuati dall’attuale Governo dal momento in cui si è insediato. Infatti non bisogna dimenticare che il Governo Berlusconi ha sempre sottovalutato la crisi affermando che “la crisi è alle spalle” e che bisogna “essere ottimisti”.
Ne discutiamo con Irene Tinagli, economista, che ha espresso la disponibilità a trattare alcuni argomenti di particolare interesse.
Irene Tinagli, laureata alla Bocconi di Milano, è ricercatrice presso l’Università Carlos III di Madrid dove insegna Economia delle Imprese. Ha conseguito il master in Public Policy e un Master of Science in Public Policy and Management presso la Carnegie Mellon University di Pittsburgh.
E’ esperta di innovazione, creatività e sviluppo economico. Le sue ricerche sul potenziale creativo ed innovativo sono state pubblicate da riviste internazionali come Harvard Business Review ed il Financial Times.
Ha lavorato come consulente per il Dipartimento Affari Economici e Sociali delle Nazioni Unite e per la Direzione Istruzione e Cultura della Commissione Europea.
È autrice e coautrice di report e pubblicazioni internazionali, tra cui Understanding Knowledge Societies (United Nations Publications, New York) e Europe in the Creative Age (Demos, Londra) e collabora con il quotidiano La Stampa.
Nel suo ultimo libro, Talento da Svendere (Einaudi, 2008), valuta i problemi dell’Italia nel contesto competitivo globale con particolare riferimento alla valorizzazione del talento ed offre delle prospettive nuove di intervento attraverso la catena del valore del talento.
Nel marzo 2010 è stata nominata Young Global Leader dal World Economic Forum.
Gli studi ed i rapporti presentati in quest’ultimo periodo ci obbligano a prendere coscienza della gravità della crisi economica e sociale in Italia. La manovra economica del Governo è sufficiente a far crescere il paese o si preoccupa soltanto di contenere alcuni fenomeni legati alla spesa ed all’indebitamento al fine di evitare di trovarsi nella medesima situazione della Grecia? Lei condivide alcuni giudizi che vedono nella manovra tagli indiscriminati e, quindi, non equi ed assenza di interventi strutturali e riforme?
La manovra è, forse, sufficiente a tenere a galla il paese e affrontare l’emergenza del debito. Ma certamente un rilancio della competitivita’ e della crescita del paese richiederebbe misure diverse. In particolare un’attenzione maggiore all’istruzione, alla formazione, alla ricerca, e riforme piu’ strutturali in materia di lavoro, liberalizzazioni, sistema fiscale.
Oltre alla crisi economica e sociale esistente in Italia vi è un problema di probità e di trasparenza (comitati di affari, cricca, associazioni segrete). Nel suo ultimo libro Daniel Goleman ed altri autori propongono la “trasparenza verso una nuova economia dell’onestà”. Lei ritiene che la scarsa trasparenza in Italia rappresenta una difficoltà per attrarre investimenti esteri e per facilitare una partecipazione dei cittadini alla vita politica?
Assolutamente si’. Lo vediamo nei risultati. Sul fronte investimenti esteri, l’Italia e’ tra i paesi europei con il piu’ basso tasso di investimenti stranieri. Sul fronte interno, con le ultime elezioni, abbiamo visto crollare anche la partecipazione dei cittadini al voto e alla vita politica del paese. Bruttissimi segnali.
Nel suo ultimo libro, Talento da svendere, pone attenzione al fattore conoscenza e lo colloca al primo posto tra i fattori produttivi che concorrono alla creazione della ricchezza. Vuole spiegare la catena del valore del talento e le sue connessioni con l’innovazione e la creatività? In che termini tale circolo virtuoso può essere applicato in Italia?
Saper valorizzare il talento delle persone e’ certamente un elemento chiave della competittvita’ di un paese. Tuttavia dobbiamo sempre ricordarci che il processo di valorizzazione e’ complesso e comprende varie fasi – si parte dalla formazione dei talenti, al modo in cui vengono utilizzati e impeigati nel mondo del lavoro, al modo in cui vengono stimolati e riconosciuti dal sistema sociale che li circonda. Questa e’ quella che io chiamo la “catena del valore del talento”; ogni fase è cruciale per far sì che il talento possa davvero essere messo in condizione di creare valore. Queste fasi sono strettamente interconnesse e chiamano in causa vari attori, dalle universita’ alle imprese ai sistemi locali e territoriali. Disfunzioni nell’una o nell’altra fase e, in particolare, nel modo in cui i vari soggetti si interfacciano e interagiscono tra loro possono far saltare tutta la catena.
E’ quello che e’ successo in Italia, dove abbiamo, da un lato, un mondo della formazione universitaria che non si e’ adeguato ai nuovi standard qualitativi e alle esigenze internazionali, ma dall’altro lato abbiamo anche, e non dobbiamo scordarlo, un sistema economico e produttivo che non e’ riuscito ad elevare il proprio livello tecnologico, innovativo e culturale per stare al passo con le evoluzioni dei mercati globali. Un tale sistema produttivo e’ incapace di assorbire e valorizzare le nuove generazioni di talenti e di funzionare a sua volta da stimolo per un ammodernamento del sistema della formazione e dell’Universita’.
All’ottimismo di Berlusconi lei ha contrapposto la valutazione reale di un’Italia bloccata e di un rallentamento della mobilità sociale. Quali interventi occorre effettuare per costruire un futuro dell’Italia più equo e solidale?
Chiaramente gli interventi sarebbero molti, ne cito 3:
1. Spingere di più su vere liberalizzazioni: oggi ci sono interi ambiti dell’economia del nostro paese, dalle libere professioni a molti servizi che sono protetti da scarsa competizione e supporti politici. Questo genera inefficienze, nepotismi, prezzi artificiosamente alti, tutte cose di cui pagano le conseguenze i cittadini normali, quelli che non hanno protezioni o scorciatoie.
2. Occorre riformare le politiche sociali, intese in senso ampio, dagli ammortizzatori alle borse di studio, in modo che sostengano davvero chi ne ha bisogno e ha voglia di mettersi in gioco, per mettere tutti in condizioni di crescere e migliorarsi. Invece troppo spesso le politiche sociali sono state usate per gestire consenso elettorale e hanno finito per creare sprechi, abusi e acuire ingiustizie anziche’ attenuarle.
3. Riformare il sistema fiscale che oggi penalizza eccessivamente i ceti medi, le famiglie che lavorano e le attivita’ economiche. E’ un sistema che premia le accumulazioni di capitali, le rendite di posizione, e disincentiva il lavoro, le attivita’ commerciali ed imprenditoriali “sane”. Con questo sistema e’ difficile crescere e costruire. E si alimenta il lavoro nero, che non è, come qualcuno dice, “la nostra salvezza”, ma la nostra condanna, perche’ il lavoro nero non investe in futuro, in formazione, in qualità e innovazione, serve solo a tirare a campare.
Dall’ultimo rapporto dell’Istat risultano 2 milioni di giovani che non lavorano e non studiano. L’emergenza della disoccupazione giovanile è legata alla crisi internazionale e, quindi, è momentanea o dipende dall’equilibrio strutturale dell’Italia? E’ possibile che nel terzo millennio i giovani non sono messi nelle condizioni di costruire il proprio futuro?
La crisi internazionale ha acuito un problema di cui l’Italia ha sempre sofferto, perche’ l’Italia ha sempre avuto un alto livello di disoccupazione giovanile, legato ad un mercato del lavoro orientato a proteggere il posto del “capofamiglia”, più che a cercare dinamismo e crescita. Sì, e’ assolutamente possibile che nel terzo millennio i giovani facciano piu’ fatica a costruire il proprio futuro delle generazioni precedenti per due fattori, collegati tra loro. Da un lato il sistema economico oggi e’ assai piu’ complesso che in passato, richiede competenze piu’ elevate, maggiore velocita’ di adattamento alle nuove tecnologie e cosi’ via. Dall’altro la competizione si è intensificata, perche’ anche il mercato del lavoro, non solo quello delle merci, si è globalizzato. Questo significa, per esempio, che oggi i giovani italiani competono più che in passato con i giovani francesi, spagnoli, indiani, cinesi. Sia nel senso che questi giovani sono piu’ mobili e potrebbero venire a lavorare in Italia, sia nel senso che le aziende sono anch’esse piu’ mobili e possono decidere di investire in paesi esteri dove trovano giovani piu’ preparati e adeguati alle loro esigenze. Questo pone molte piu’ pressioni sui giovani di oggi.
In questo ultimo periodo Tremonti e Berlusconi sono impegnati a far capire che la Costituzione è un ostacolo alla libertà d’impresa. Sono intervenuti autorevoli esponenti come Valerio Onida e Pietro Ichino che hanno contestato tale posizione. E’ davvero necessario ed urgente modificare l’art. 41 della Costituzione per eliminare la burocrazia e l’eccesso di regole che frenano la libertà d’impresa e la competitività del nostro Paese? Vi sono altre strade da percorrere in alternativa alla modifica della Costituzione e quali sono?
No, non credo sia necessario modificare la Costituzione. Basta guardare alle varie richieste fatte dagli imprenditori in questi anni: troviamo richieste sul costo del lavoro, sull’irap, sulle infrastrutture, etc. ma non ricordo d’aver mai letto o sentito Confindustria reclamare a gran voce la modifica dell’articolo 41. La libertà d’impresa è frenata da una pubblica amministrazione lenta e frammentata, con sistemi informativi vecchi che non comunicano tra di loro e obbligano a decine di passaggi burocratici inutili e ripetitivi, con tempi infiniti. Ed e’ frenata da un sistema fiscale complesso, iniquo e sbilanciato. Tutte cose che possono essere cambiate senza andare a fare modifiche costituzionali.
Il Governo ha parificato l’età pensionale delle donne a quella degli uomini nel pubblico impiego dopo l’intervento dell’Unione Europea, la quale non ha condiviso il provvedimento graduale deciso a suo tempo dal Governo italiano. Ritengo che il sistema ingiusto verso le donne è saltato ed occorre creare un nuovo equilibrio senza più discriminazioni nei confronti delle donne. Dopo la parificazione dell’età pensionabile che interventi occorre effettuare affinché la parità di genere non rimanga un fatto teorico nella società, nella famiglia e nel lavoro?
Occorre investire in servizi di supporto per la famiglia e l’infanzia: asili, agevolazioni per le famiglie che lavorano e che abbiano bisogno di aiuto. Sottolineo per le famiglie e non solo “le donne”, perche’ un’altra cosa fondamentale che occorre fare e’ superare quella mentalita’ per cui la creazione di asili sia un aiuto solo per la donna, come se la funzione genitoriale spettasse solo a lei. Questo salto culturale devono farlo le donne per prime: finche’ si sentiranno le sole responsabili delle cure familiari, si sentiranno in dovere di essere le prime a rinunciare al lavoro o alle proprie ambizioni e si autocondanneranno ad una vita di rinunce ed inferiorità. I servizi e gli aiuti statali potranno rendere questa condizione di imparità meno gravosa ma non eliminarla se non ci sarà questa emancipazione culturale.
Lei come donna che difficoltà ha incontrato in Italia che l’hanno spinta a perseguire i propri obiettivi lavorativi all’estero?
Ho lavorato in Italia due anni e mezzo prima di andarmene, e ammetto che ho incontrato alcune difficoltà, soprattutto pregiudizi ed invidie. Una giovane donna che inizia a lavorare in Italia deve abituarsi ad essere spesso inascoltata, essere scambiata per la segretaria del capo (quando le va bene...), ed essere soggetta a mille insinuazioni quando ottiene un risultato positivo. La cosa più triste per me e’ stato constatare che le cattiverie vengono spesso dalle altre donne anche piu’ che dagli uomini. Molto avvilente.
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