Lettera sul lavoro di Pietro Ichino pubblicata sul Corriere della Sera il 26 agosto 2010
Caro Direttore, la risposta di Giorgio Napolitano ai tre lavoratori della Fiat di Melfi va letta per intero. E se vi si presta consenso, questo non può riguardare soltanto la sua parte più ovvia, cioè l’appello al rispetto della legge e delle decisioni dei giudici, rivolto a tutti i protagonisti della vicenda. C’è anche una parte assai meno ovvia: quella nella quale il Capo dello Stato menziona le “questioni di grande rilievo” per “il futuro dell’attività della maggiore azienda manifatturiera italiana e l’evoluzione delle relazioni industriali nel contesto di una aspra competizione sul mercato globale” e rivolge un appello a tutte le parti in causa per un confronto sereno e fattivo in proposito.
Qui il Presidente della Repubblica compie un passo che non è per nulla rituale, e ancor meno può considerarsi scontato nella sostanza: egli manifesta preoccupazione per la necessità di un mutamento (“evoluzione”) del sistema delle relazioni industriali, indispensabile per lo sviluppo della nostra industria maggiore. È questa la parte di gran lunga più rilevante del messaggio, che però ieri non tutti i giornali hanno colto e sottolineato come meritava: l’invito della massima autorità dello Stato ai protagonisti del confronto sindacale ad affrontare sul serio la questione inerente alla riforma delle relazioni industriali posta dal piano di investimento che la Fiat presenta al nostro Paese.
Qui il resto del post Nelle scarne – e proprio per questo chiarissime – parole del messaggio si può leggere addirittura, insieme all’apprensione per le sorti di questo piano di importanza vitale per la nazione, un impegno personale del Capo dello Stato per promuovere un dialogo sereno e senza preclusioni tra le parti sociali e politiche sui nodi cruciali della questione.
Oggi a Rimini, al meeting di Comunione e Liberazione, sarà Marchionne a intervenire. Se intende raccogliere l’appello e l’apertura del Presidente della Repubblica, egli deve innanzitutto trovare il modo per evitare che lo scontro procedurale sui tre licenziamenti di Melfi resti al centro delle polemiche (non è difficile: basterebbe l’impegno ad attenersi a quanto deciderà il giudice dell’esecuzione); e deve porre invece con forza come oggetto principale del dibattito i nodi che occorre con urgenza sciogliere, se si vuole che il grande piano industriale per l’“Azienda Italia” decolli davvero, e al tempo stesso si vuole lanciare un messaggio significativo ai mercati internazionali. Occorre una norma che stabilisca in modo chiaro i requisiti e le condizioni di efficacia, nei confronti di tutti i lavoratori interessati, di tutte le clausole di un accordo aziendale, anche di quelle che deroghino al contratto nazionale, e anche di quelle che dispongano la tregua sindacale per la durata del contratto (era una questione che già nel 2001 poneva il Libro Bianco di Marco Biagi: “In caso di disaccordo tra gli attori sociali sarà necessario [...] ricorrere alla regola della maggioranza, senza pretendere unanimismi che pregiudicherebbero il buon funzionamento dello stesso dialogo sociale”). Meglio se la norma sarà posta da un accordo interconfederale sottoscritto da tutti i sindacati maggiori; altrimenti provveda il legislatore in via sussidiaria e provvisoria. Sono disponibili, sì o no, Cgil, Cisl, Uil e Confindustria a trattare in tempi rapidi per arrivare a colmare queste due gravi lacune del nostro diritto sindacale attuale? È disponibile, sì o no, il Governo ad adoperarsi, una volta tanto, non per isolare la Cgil, ma per promuovere attivamente una convergenza di tutte le forze sindacali e imprenditoriali su questo obiettivo?
La piccola battaglia che si sta combattendo nello stabilimento di Melfi è stata giustamente definita nei giorni scorsi “di retroguardia”, perché ricorda le relazioni sindacali degli anni ’70: un’epoca morta e sepolta. Sarebbe davvero assurdo consentire che questo incidente fornisca alle parti l’alibi per non prendere posizione sulla questione cruciale che il piano della Fiat ci pone e che il messaggio del Capo dello Stato sottolinea: quella dell’attuale grave inadeguatezza del nostro sistema di relazioni sindacali – per difetto di democrazia sindacale – rispetto agli standard dell’occidente industrializzato e in particolare alle esigenze di un grande piano industriale fortemente innovativo. Se Marchionne saprà sgombrare il campo da quell’alibi, non solo la Cgil, ma anche tutti gli altri sindacati maggiori, e sull’altro versante Confindustria, saranno costretti ad abbandonare finalmente la tattica del surplace che sta impedendo da anni di sciogliere il nodo, e che contribuisce così a chiudere l’Italia agli investimenti delle multinazionali, fattore di innovazione e di crescita.
I sindacalisti e politici che ieri hanno manifestato pieno consenso al messaggio del Presidente della Repubblica non possono esimersi dal pronunciarsi in modo chiaro e netto sulla questione più importante che esso pone.
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