Intervista a cura di Antonino Leone al senatore Enrico Morando in corso di pubblicazione su Sistemi @ Impresa n. 2 – Febbraio 2011
L’economia italiana cresce in modo lento e al di sotto delle necessità del paese, la disoccupazione giovanile e femminile è esplosa e i giovani che non lavorano e non seguono programmi formativi continuano a crescere. Di tutto questo ne abbiamo discusso con il senatore Enrico Morando nell’intervista che segue.
Perché l’economia italiana viene definita bloccata?
Semplicemente perché non cresce, da troppo tempo. Nei dieci anni che vanno dal 1999 al 2009, l'Italia è cresciuta ad una media dello 0,5% all'anno. Nessuno, tra i 34 Paesi OCSE, ha fatto peggio di noi. Nei periodi buoni, cresciamo meno degli altri partners dell'area Euro. Nei due anni della Grande Recessione, siamo caduti di più. Per tornare dove stavamo nel 2007, impiegheremo almeno il doppio del tempo impiegato dalla Germania. È vero che siamo un Paese ad esasperato dualismo: il Nord è come e meglio della Francia, il Sud è decisamente peggio del Portogallo. Ma non riusciamo ad imprimere al Sud un ritmo di crescita più rapido, come ha saputo fare la Germania con l'Est, dopo l'unificazione.
In nostri tre fondamentali problemi (inefficienza economica, disuguaglianza crescente e debito pubblico troppo elevato) si aggravano progressivamente, impedendo ai fattori dinamici di sprigionare le loro potenzialità. Dunque, c'è bisogno di una coerente strategia della politica (che non può tutto, ma può ancora molto) che li aggredisca contemporaneamente: 1) riduzione del volume globale del debito, in tre mosse: regola di evoluzione della spesa in rapporto al Prodotto, un avanzo strutturale dello 0,5 del PIL per molti anni a venire; valorizzazione/alienazione di quote significative dell'ingente patrimonio pubblico (proposta Guarino); contributo straordinario per soli tre anni ad aliquota moderata (0,5% al massimo) esclusivamente sulla quota (50%) di patrimonio privato posseduta dal 10% patrimonialmente più dotato della popolazione (quindi, il ceto medio non c'entra proprio nulla). 2) Riforme che non costano, dalle liberalizzazioni (es. separazione proprietaria delle rete del gas da ENI) al nuovo modello contrattuale, capace di premiare la produttività; 3) Riforme che costano, dagli ammortizzatori sociali di tipo universale all'alleggerimento della pressione fiscale sul lavoro, sull'impresa e sul reddito da lavoro delle donne, finanziate la prima con risparmi di spesa da ristrutturazione della Pubblica Amministrazione, la seconda con i proventi da lotta all'evasione fiscale.
Si afferma che l’Italia non sia un paese per i giovani e per le donne? Quanto di vero c’è in queste affermazioni?La partecipazione delle donne alle forze di lavoro in Italia è la più bassa tra i grandi Paesi dell'UE. Questo significa che, specie al Sud, le donne giovani - in età di lavoro - sono così sfiduciate circa la possibilità di trovare un lavoro regolare che non lo cercano nemmeno più: o stanno a casa, o lavorano in nero. Risultato: gettiamo via la principale risorsa di cui il Paese dispone per reagire al lungo periodo di bassa crescita. E peggioriamo la qualità sociale e le stesse prospettive demografiche (altro che angelo del focolare: le donne che lavorano fanno più figli di quelle costrette alla disoccupazione). Tutto questo, mentre trovano sistematicamente conferma le valutazioni statistiche circa i migliori risultati delle ragazze rispetto ai coetanei maschi, sia a scuola, sia nel lavoro. Si può fare qualcosa, per reagire a questo stato di cose? Certamente sì, a partire dalle politiche di conciliazione (asili nido, anche privati, specie nel Sud; dote fiscale per i figli e persone non autosufficienti assistite in famiglia). Penso però che bisognerebbe andare oltre, aggredendo anche il lato "culturale" della questione. Per questo ho tradotto la splendida analisi di Alesina ed Andrea Ichino (L'Italia fatta in casa - Mondadori) in un disegno di legge per la riduzione del prelievo IRPEF sul reddito da lavoro delle donne. Quale che sia il tipo di lavoro: dipendente, autonomo, professionale, parasubordinato.... Mi rendo conto che è "roba forte", difficile da digerire. Ma quando ci vuole, ci vuole....
Quali sono i fattori negativi che impediscono la crescita dell’economia italiana? Il senatore Pietro Ichino afferma che il sistema delle relazioni sindacali non attira gli investimenti delle grandi multinazionali. Lei condivide l’affermazione e perché? Noi non attiriamo investimenti diretti esteri per molte ragioni, che hanno a che fare col cattivo funzionamento della Pubblica Amministrazione - la giustizia civile, in primo luogo - con regole contrattuali vecchie e inefficaci, con la persistente incapacità dello Stato di tenere ben saldo nelle sue mani il monopolio della violenza, specie nel Sud.
La recente vicenda FIAT - se ce ne fosse stato bisogno - costituisce un'ulteriore conferma di questo giudizio. Di fronte ad un Piano di investimenti e di ristrutturazione particolarmente impegnativo, il nostro sistema delle relazioni tra le parti ha mostrato tutti i suoi difetti, su due temi cruciali: la partecipazione dei lavoratori alla gestione della azienda, così da poter fare una scommessa di lungo periodo sul successo dell'azienda stessa; e le regole della rappresentanza. Su entrambi questi aspetti, abbiamo da tempo presentato - col senatore Pietro Ichino - precise proposte di soluzione, anche legislative. Non se ne è fatto niente, col risultato di giungere del tutto impreparati all'appuntamento di Pomigliano e Mirafiori. Speriamo almeno che la lezione sia servita.
Si afferma che l’Italia non sia un paese per i giovani e per le donne? Quanto di vero c’è in queste affermazioni?La partecipazione delle donne alle forze di lavoro in Italia è la più bassa tra i grandi Paesi dell'UE. Questo significa che, specie al Sud, le donne giovani - in età di lavoro - sono così sfiduciate circa la possibilità di trovare un lavoro regolare che non lo cercano nemmeno più: o stanno a casa, o lavorano in nero. Risultato: gettiamo via la principale risorsa di cui il Paese dispone per reagire al lungo periodo di bassa crescita. E peggioriamo la qualità sociale e le stesse prospettive demografiche (altro che angelo del focolare: le donne che lavorano fanno più figli di quelle costrette alla disoccupazione). Tutto questo, mentre trovano sistematicamente conferma le valutazioni statistiche circa i migliori risultati delle ragazze rispetto ai coetanei maschi, sia a scuola, sia nel lavoro. Si può fare qualcosa, per reagire a questo stato di cose? Certamente sì, a partire dalle politiche di conciliazione (asili nido, anche privati, specie nel Sud; dote fiscale per i figli e persone non autosufficienti assistite in famiglia). Penso però che bisognerebbe andare oltre, aggredendo anche il lato "culturale" della questione. Per questo ho tradotto la splendida analisi di Alesina ed Andrea Ichino (L'Italia fatta in casa - Mondadori) in un disegno di legge per la riduzione del prelievo IRPEF sul reddito da lavoro delle donne. Quale che sia il tipo di lavoro: dipendente, autonomo, professionale, parasubordinato.... Mi rendo conto che è "roba forte", difficile da digerire. Ma quando ci vuole, ci vuole....
Quali sono i fattori negativi che impediscono la crescita dell’economia italiana? Il senatore Pietro Ichino afferma che il sistema delle relazioni sindacali non attira gli investimenti delle grandi multinazionali. Lei condivide l’affermazione e perché? Noi non attiriamo investimenti diretti esteri per molte ragioni, che hanno a che fare col cattivo funzionamento della Pubblica Amministrazione - la giustizia civile, in primo luogo - con regole contrattuali vecchie e inefficaci, con la persistente incapacità dello Stato di tenere ben saldo nelle sue mani il monopolio della violenza, specie nel Sud.
La recente vicenda FIAT - se ce ne fosse stato bisogno - costituisce un'ulteriore conferma di questo giudizio. Di fronte ad un Piano di investimenti e di ristrutturazione particolarmente impegnativo, il nostro sistema delle relazioni tra le parti ha mostrato tutti i suoi difetti, su due temi cruciali: la partecipazione dei lavoratori alla gestione della azienda, così da poter fare una scommessa di lungo periodo sul successo dell'azienda stessa; e le regole della rappresentanza. Su entrambi questi aspetti, abbiamo da tempo presentato - col senatore Pietro Ichino - precise proposte di soluzione, anche legislative. Non se ne è fatto niente, col risultato di giungere del tutto impreparati all'appuntamento di Pomigliano e Mirafiori. Speriamo almeno che la lezione sia servita.
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