di Emanuele Costa
Recentemente l'ISTAT ha pubblicato il Dossier "Noi Italia". Un documento che, attraverso un abile intreccio tra una sequenza di lettere per formare le parole ed un formicaio di numeri tradotti in percentuale, dà un senso compiuto alla situazione economico/sociale del Paese. Nella Sezione "Mercato del lavoro", un dato emerge con prepotenza: la situazione allarmante e, allo stesso tempo, preoccupante del malessere che circonda le legittime aspirazioni di quel mondo di giovani che si collocano in un range di età compreso tra i 15 ed i 24 anni, ossia quello che si configura come la "generazione del futuro". Nel 2009 il tasso di disoccupazione giovanile si è attestato al 25,4% (in crescita dal 21,3% registrato nel 2008) a fronte di una media europea del 19,8%. In altre parole, circa un quarto dei ragazzi non riesce a realizzare le proprie aspettative di entrare a pieno titolo nel mondo del lavoro. Per sottolineare la drammaticità del dato, quella che è stata definita come la "generazione del futuro" rischia di convertirsi in una "generazione senza speranza". Alla luce di queste informazioni statistiche, un interrogativo tarda ancora a trovare una risposta: «A cosa serve studiare se poi la realtà non offre alcuna prospettiva?». Nel giugno del 1851 Friedrich ENGELS scriveva a Joseph Arnold von WEYDEMEYER: «Se uno non studia sistematicamente, non arriverà mai a nessun risultato». Anche se il contesto cui si riferiva l'enunciazione del principio era tutt'altro, il suo significato rende, con maggiore incisività, l'idea intorno alla quale si confrontano le giovani generazioni di oggi e di domani. In una società priva di valori è facile perdere la bussola della ragione, intesa come comportamento razionale improntato alla costruzione del proprio futuro. Oggi appare ancora più evidente il senso di smarrimento che un giovane incontra di fronte ad un dilemma esistenziale, che si rispecchia nella forma interrogativa del postulato elaborato da Friedrich ENGELS oltre un secolo fa. Infatti, molti potrebbero, a ragione, contestarne l'assioma, prendendo tristemente atto che, in una società incapace di riconoscere i valori, è vero l'esatto contrario. Così sono molteplici coloro che, presi dallo sconforto, si domandano a cosa possa servire studiare sistematicamente se poi, alla luce dei fatti, non si riesce a raggiungere alcun traguardo, perché quelle abilità alle quali la società di oggi riconosce un valore, si identificano in altre qualità, che nulla hanno a che fare con il merito.
1 commento:
Ci sono troppi imbroglioni in giro. Parlo di quanti a parole dicono di preoccuparsi dei giovani e, invece, nella realtà non fanno nulla per loro. Occorre da subito un riequilibrio generazionale del potere in tutti i settori della società (politica, imprese, pubblica amministrazione, università..); occorre riconoscere le competenze in capo ai giovani. Occorre dare loro spazio per esprimere la loro creatività e lasciare loro esercitare le capacità e assumere le responsabilità.
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