Proposta approvata dall’Assemblea nazionale Pd, 5 febbraio 2011
Costruire anche in Italia un’amministrazione al servizio dei cittadini e delle imprese, basata su regole certe e trasparenti che favoriscano la garanzia dei diritti di tutti e la libera competizione nel mercato. È questo il nostro obiettivo. Il settore pubblico in Italia è spesso percepito come una zavorra per cittadini ed economia. È una logica da ribaltare: una Pubblica Amministrazione al servizio dei cittadini è condizione di civiltà e di democrazia.
Costruire anche in Italia un’amministrazione al servizio dei cittadini e delle imprese, basata su regole certe e trasparenti che favoriscano la garanzia dei diritti di tutti e la libera competizione nel mercato. È questo il nostro obiettivo. Il settore pubblico in Italia è spesso percepito come una zavorra per cittadini ed economia. È una logica da ribaltare: una Pubblica Amministrazione al servizio dei cittadini è condizione di civiltà e di democrazia.
Usando una metafora, dobbiamo immaginare la PA non come una “macchina” in cui burocrati svolgono compiti di routine ma come la “spina dorsale” del Paese: un sistema ramificato e complesso, ma, al contempo, snello, in grado di dare opportunità alle persone (di spostarsi, di curarsi, avviare un’attività imprenditoriale, raggiungere i massimi gradi di istruzione indipendentemente dalla propria condizione sociale ecc..,).
Il governo in questi anni ha adottato una politica demagogica, peggiorando le cose: sia il settore pubblico che chi ci lavora è stato mortificato per privilegiare gli interessi privati, specie se di “amici” e cricche. Sprechi e corruzione hanno gonfiato di costi il bilancio dello Stato, mentre i servizi offerti sono peggiorati. Noi, al contrario, riteniamo che la dignità e la professionalità di chi lavora nel settore pubblico vadano tutelate e valorizzate, e che sia urgente passare da una visione “taylorista” e caricaturale dell'amministrazione, ad una opposta: che ponga al centro i risultati dell'azione pubblica, senza dare mai nulla per scontato.
La spesa pubblica nei prossimi anni dovrà essere necessariamente ridotta. Bisogna fare meglio e con meno. Una sistematica spending review deve eliminare ogni fenomeno di spesa pubblica inerziale: di ogni euro che esce da una amministrazione pubblica occorre verificare rigorosamente la congruità dei risultati utili per la collettività. L'esatto opposto della logica dei tagli lineari e uniformi: la politica ha il compito di decidere le priorità. Scegliere significa senz’altro scontentare qualcuno, ma una revisione generale di tutta la spesa pubblica, settore per settore, ci potrà consentire di portare ai livelli europei, da cui siamo assai lontani, gli investimenti per le politiche per la competitività, la mobilità, la coesione: anzitutto istruzione, ricerca, welfare per giovani, infanzia e famiglia. Negli anni Novanta fu il centrosinistra, con Cassese e Bassanini, a realizzare una stagione di riforme della PA che ha riguardato temi decisivi: semplificazioni amministrative, disciplina della dirigenza, contrattualizzazione del rapporto di lavoro.
I governi Berlusconi sono stati inutili e dannosi e non hanno coltivato questa grande eredità. Oggi la riforma Brunetta ha dimostrato la sua debolezza sia sul piano progettuale che su quello della gestione del cambiamento. Anziché rincorrere perennemente la grande riforma della PA, velleità che produce (come Brunetta dimostra) un inaccettabile processo di centralizzazione e conduce al fallimento, pensiamo che si debba dare continuità ai processi di riforma, attraverso una costante e mirata manutenzione delle leggi esistenti e delle riforme necessarie dove e quando servono. Attuazione, manutenzione, miglioramento dei processi, riforme mirate che siano il fulcro dell’azione del governo.
Un grande storico francese ha parlato, molti anni fa, di “insostenibile leggerezza dello Stato” italiano. Noi vorremmo conservare quella stessa leggerezza ma, al tempo stesso, costruire uno Stato efficiente, moderno e consapevole della sua missione.
1. I compiti della politica, gli impegni del Pd Il PD deve costruire un pensiero autonomo. Rispettare il fondamentale ruolo delle rappresentanze dei lavoratori, dell’impresa, dei cittadini e degli utenti, ma assumersi le sue responsabilità. Il cambiamento delle PA passa dal cambiamento della politica. Sono infatti compiti della politica la capacità di progettare le politiche pubbliche e il percorsi per la loro attuazione, il rigore nel controllo della spesa, la verifica della qualità e dei risultati, il rispetto delle regole, il rafforzamento dei servizi per una società più coesa. I partiti devono sfatare con i fatti il luogo comune che li considera la fonte dell’inefficienza delle PA e della loro deriva clientelare. È una sfida decisiva per il Pd. Dobbiamo ricondurre ai rispettivi doveri politica e amministrazione. Gli iscritti al Pd con incarichi pubblici sottoscriveranno un Codice di responsabilità: trasparenza patrimoniale, azioni per il corretto funzionamento delle PA, trasparenza assoluta nelle assunzioni, valutazione dei risultati in base al merito. Ogni democratico deve garantire il rispetto di un’etica rigorosa e dell’interesse generale nel governo della cosa pubblica.
2. Legalità e lotta alla corruzione La Corte dei Conti denuncia ogni anno, con parole sempre più aspre, la vastità della corruzione pubblica. Costi elevatissimi e drammatica diminuzione della capacità di attrarre investimenti esteri sono conseguenze che il Paese non può più sopportare. Vogliamo rimuovere le condizioni che facilitano la corruzione. A partire dalle gestioni speciali, terreno privilegiato dell’illegalità attraverso cui il governo ha favorito le cricche. Energia, appalti, grandi eventi, ruolo assunto dalla Protezione Civile: un “regime di eccezione” svincolato dal principio di legalità, che ha violato divisione dei poteri, controlli e garanzie. Mentre l’assetto ordinario della PA è stato trascurato o, con malaccorti interventi – il decreto Brunetta e la legge Gelmini, ad esempio – reso più farraginoso. Bisogna invertire la tendenza.
La corruzione si combatte anche con la semplificazione dei modelli organizzativi, con regole e controlli interni efficaci che tutelino rispetto ai rischi di uso distorto delle risorse, con un’effettiva separazione tra politica e amministrazione, con un rigido regime di incompatibilità che spezzi qualsiasi commistione tra politica, amministrazione, interessi privati e giustizia.
• PROPOSTE
• No all’abuso delle gestioni speciali e commissariali; condizioni rigorose per i regimi derogatori che consentono un’eccessiva discrezionalità nella gestione delle risorse pubbliche;
• Regime di trasparenza straordinario per le gestioni commissariali e le attività in stato di emergenza della Protezione Civile: provvedimenti di spesa e contratti subito online;
• Trasparenza assoluta, anche patrimoniale, dei titolari di funzioni pubbliche; • Incompatibilità radicali precedenti e successive all’assunzione di determinate cariche nella PA per magistrati (ordinari, amministrativi e contabili) e avvocati dello Stato;
• Revisione delle norme sugli appalti: diverso criterio di accreditamento delle imprese; incentivazione dell’e-procurement; incentivazione della centralizzazione degli acquisti (centralizzare il 10% degli acquisti può produrre risparmi per circa 460 milioni di euro annui);
• Arbitrati affidati, per la parte pubblica, ai funzionari nell’ambito della loro attività ordinaria
3. Pubblica amministrazione e riforma federale dello Stato La transizione istituzionale che si trascina ormai da un quindicennio è anche come un’interminabile stagione di confusione amministrativa. Bisogna uscirne con l’attuazione al Titolo V della Costituzione, col Senato delle Regioni o altre forme di partecipazione degli enti territoriali. Il governo, costringendo il sistema delle autonomie entro un assetto dei poteri pubblici federalista a parole, ma ipercentralista nella realtà, tradisce questo progetto di cambiamento e così facendo ostacola la riforma amministrativa. Occorre uno Stato centrale più autorevole e forte, ma più snello. Occorre riorganizzare, sul piano quantitativo e delle competenze, il personale delle amministrazioni, e adottare norme che ne favoriscano la mobilità.
• PROPOSTE
• Riduzione del numero dei ministeri, presidenza del Consiglio libera da infrastrutture operative;
• Superamento degli uffici decentrati dei ministeri, salvo che per le materie di competenza esclusiva dello Stato centrale; realizzazione degli Uffici Territoriali del Governo;
• Immediata attuazione delle città metropolitane; razionalizzazione del numero delle province; processi associativi dei piccoli comuni con meccanismi partecipativi;
• Mobilità del personale dall’amministrazione centrale agli enti territoriali.
Il rilancio del settore pubblico e il rapporto col privato
La crisi mostra che non si può abdicare alla regolazione pubblica. Le politiche pubbliche dei governi si sono rivelate decisive per mitigarne i pesanti effetti sociali e per rilanciare la crescita. Alla forzata contrapposizione tra una presunta efficienza del privato e l’inefficienza fatale del pubblico – talvolta assecondata anche dal centrosinistra – deve sostituirsi una sinergia positiva per i servizi, gli utenti e l’economia. A livello centrale, ma ancor più locale – anche per effetto di un “insensato” patto di stabilità interno – si evidenzia un fenomeno non sempre virtuoso di privatizzazioni e esternalizzazioni, al di fuori di un piano di regolazione definito e di una visione strategica che compete alla politica.
È tempo di un nuovo patto fra sistema pubblico e sistema privato, che ridefinisca il perimetro e le modalità di azione del settore pubblico e distingua fra liberalizzazioni che fanno bene al mercato e attenzione ai beni e ai servizi pubblici essenziali. Mentre le esternalizzazioni di attività costituiscono prassi gestionali consolidate, le esternalizzazioni di funzioni vanno limitate a casi eccezionali. Per noi al centro ci sono il cittadino, l’impresa e l’utente. Perciò gli appalti per la gestione dei servizi non devono essere svincolati da effettive valutazioni qualitative delle offerte e dallo status giuridico dei dipendenti delle imprese e le amministrazioni devono adottare efficaci metodologie di valutazione dei soggetti esterni. 5.
Le amministrazioni pubbliche per la promozione della sussidiarietà Il principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale, chiave per definire correttamente l’integrazione tra intervento pubblico e ruolo del settore privato, non significa – come vorrebbe la destra – circoscrivere il primo ai soli casi in cui il privato non ritenga opportuno intervenire, ma considerare quest’ultimo come una risorsa in una nuova prospettiva delle dinamiche Stato-società. Dunque, niente affatto una rinuncia al ruolo del pubblico, chiamato a garantire l’interesse collettivo necessario per assicurare lo sviluppo e la coesione, a partire dal suo ruolo di regolatore, e ad intervenire direttamente in tutte le circostanze in cui l’iniziativa dei cittadini non sia in grado di soddisfare adeguatamente un bisogno pubblico.
In questo senso, la sussidiarietà è uno dei più significativi terreni di incontro tra alcune delle correnti ideali fondanti del progetto del PD, quali il cattolicesimo politico e la cultura civica della sinistra riformista. Più concretamente, la reale attuazione della sussidiarietà comporta un intervento legislativo e amministrativo che supporti la libera iniziativa dei cittadini, dei gruppi sociali e degli enti privati e un atteggiamento attivo da parte della PA. Il decisore pubblico deve, infatti, definire un percorso di riconoscimento, sostegno e incentivazione delle funzioni di interesse collettivo in capo a esponenti di diverso livello della società civile (famiglia, associazionismo, cooperativismo, imprenditorialità).
Piani industriali per servizi di qualità
La PA non è una realtà omogenea, ma è fatta di singole PA che stanno cambiando, specializzandosi sotto la spinta di una società e di un mercato in rapida evoluzione. Il lavoro pubblico sta evolvendo, gli apparati pubblici assumono nuove “missioni”. Le tecnologie più avanzate determinano un effetto modernizzante che riduce sempre più il tradizionale lavoro burocratico e ripetitivo. Si sviluppano le funzioni di rapporto con l’utenza, di ascolto, di facilitazione e sostegno, ed è necessario un adattamento continuo all’evoluzione normativa e delle situazioni sociali. Servono, perciò, più giovani, più donne, più professionalità elevate. Diviene centrale il changing management. Serve un nuovo approccio, con l’adozione di piani industriali e piani strategici dei servizi, nel cui ambito si riscopre il valore della contrattazione con le rappresentanze sindacali.
• PROPOSTE
• Piani industriali per la riorganizzazione dei servizi e delle strutture amministrative: obiettivi, risorse, tempi, verifica dei risultati, monitoraggio degli effetti;
• Piani strategici dei servizi, da adottare con la partecipazione di cittadini e utenti (attraverso le loro associazioni di tutela), rappresentanti dei lavoratori e delle imprese, fondazioni bancarie, università.
Misurare i risultati con una valutazione indipendente e effettiva
Brunetta verrà ricordato dagli italiani per le sue dichiarazioni clamorose, non per il cambiamento avvertito nella qualità dei servizi pubblici. Il suo progetto si è concentrato sul funzionamento interno all’apparato, su una valutazione del singolo dipendente irrigidita in schemi burocraticamente predeterminati, con intento essenzialmente punitivo. I cittadini non sono stati coinvolti e non hanno percepito alcun mutamento; sono stati lasciati di fatto con le medesime facoltà di prima della riforma, totalmente insufficienti. Il progetto di Brunetta è fallito: clamorosa è la disapplicazione della valutazione alla Presidenza del Consiglio (e dunque alla Funzione Pubblica) e al Ministero dell’Economia. Occorre voltare pagina, riprendendo le linee originariamente proposte dal PD.
• PROPOSTE
Organismo/autorità di valutazione realmente indipendente dal governo: riforma del suo status, autonomia organizzativa e gestionale, operatività estesa a tutto l’apparato centrale dello Stato e agli enti territoriali, aprendola alle rappresentanze degli utenti-consumatori e di regioni e autonomie; • Maggiore effettività dell’azione dell’organismo/autorità di valutazione; strumenti ispettivi e sanzionatori; effettiva capacità di garantire qualità e indipendenza degli organi di controllo interno. 8. Concorsi, giovani, merito: NO al precariato, personale di qualità L’apparato pubblico deve essere ringiovanito. L’età media dei dipendenti dei ministeri è di circa 50 anni. La manovra del 2010 spazza via 300.000 giovani “precari”, mentre 75.000 vincitori di concorso vedono svanire la loro possibilità di essere assunti.
Il PD riaprirà i concorsi.
Il principio sancito dalla Costituzione – “ agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge” – è clamorosamente violato. Il concorso aperto e pubblico è ormai l’eccezione. Tra il 1975 e il 1990 il 60% degli impiegati è stato immesso in ruolo senza concorso e, successivamente, la stabilizzazione dei precari ha assunto dimensioni ancora più imponenti.
Dobbiamo interrompere questa spirale, evitando di contrapporre chi lavora con contratti precari nelle PA a chi, non avendo neppure questa opportunità, si prepara per sostenere concorsi pubblici, senza avere certezza dell’assunzione, talvolta, neppure dopo averli vinti. Dunque, niente assunzioni ope legis né meccanismi automatici di scorrimento dal precariato al posto fisso, ma selezione sempre attraverso concorsi pubblici.
• PROPOSTE
• Riduzione drastica dei casi in cui PA e società pubbliche o a partecipazione pubblica possono attingere a personale non assunto per concorso; divieto di ricorrere a somministrazione del personale;
• Regole uniformi stabilite con legge statale per la valorizzazione, nei concorsi, dell’esperienza professionale svolta in enti pubblici o privati a titolo precario e divieto di riservare l’accesso o di dare premialità specifiche a chi abbia lavorato presso le medesime PA che assumono;
• Concorsi unici articolati sul territorio, con commissioni di esame estratte da un albo composto da esperti nominati per un periodo di tempo limitato; procedure affidate a un organismo indipendente;
• Mobilità nelle carriere fondata sul merito, riconoscendo le funzioni svolte in altre amministrazioni;
• Divieto di attivare contratti “precari” prima dell’esaurimento delle assunzioni di idonei in concorsi;
• “Eccellenze nelle PA”: programma annuale per selezionare (con test standard) studenti all’ultimo anno di università da immettere in percorsi di formazione e esperienza professionale e come dirigenti e quadri nella PA, in seguito a valutazione competitiva.
Una formazione con la bussola
La qualità del personale delle PA dipende anche dalla formazione continua. Al sistema formativo pubblico italiano manca una bussola. Ogni amministrazione ha preteso la propria scuola: così abbiamo una galassia della formazione, con almeno 10 scuole. E grandi sprechi: oltre 140 milioni per la formazione nel 2009, molte scuole che comprano docenze all’esterno, anche quando - è il caso della Scuola superiore della PA – hanno in organico un cospicuo personale docente “comandato” dalle università e dalle PA. Non c’è una politica-guida della formazione.
Per riformare il sistema occorre prefigurare l’assetto dell’amministrazione dopo la riforma federalista. Il personale dovrà sempre più avere un profilo formativo europeo, e sulla cultura giuridico-formalistica dovrà prevalere la capacità di lettura dei fenomeni economico-sociali e un’attitudine organizzativa/manageriale.
Una dirigenza responsabile e autonoma
La dirigenza deve essere autonoma, responsabile, libera dagli effetti negativi dello spoils system, pratica che ha prodotto una forte immissione nel sistema di pseudo dirigenti affini alla politica. È necessario ridurre il numero dei dirigenti e far emergere i quadri direttivi, sempre più decisivi nei processi gestionali. Giovani ad alta professionalità fortemente presenti nel sistema privato ma non in quello pubblico. Occorre prevedere azioni positive per la concreta attuazione della parità di genere: le donne, infatti, sono la maggioranza dei dipendenti ma si riducono via via che ci si avvicina alle funzioni apicali.
• PROPOSTE
• Revisione delle norme sullo spoils system, in modo da impedire l’abuso;
• Concreta attuazione del principio della parità di genere nella dirigenza e nei quadri di PA e società pubbliche o a partecipazione pubblica, con l’obbligo della rappresentanza del 40% di ciascun genere.
Trasparenza, class action e tempi dei pagamenti: partecipazione e diritti per cittadini e utenti
Senza una cittadinanza attiva, le riforme rimangono precarie. Cittadini e imprese devono contribuire alle decisioni pubbliche e ad individuare le disfunzioni burocratiche. Occorre verificare l’attuazione della norma (approvata dal centrosinistra) che obbliga le aziende di servizi pubblici a fissare gli standard di qualità.
• PROPOSTE
• Rendere effettivi gli indennizzi a favore del cittadino e dell’impresa per i ritardi e le inadempienze delle PA: class action vera e immediato recepimento della direttiva UE sui pagamenti delle PA;
• Trasparenza totale: accesso alla documentazione amministrativa senza vincoli; campagna di informazione di massa sulla trasparenza totale; pubblicazione chiaramente accessibile sul sito di ogni PA dei servizi resi e dei termini massimi di conclusione, decorsi i quali il cittadino può chiedere di essere forfetariamente indennizzato; pubblicazione di ogni atto di spesa – a pena di nullità dell’atto – sui siti istituzionali delle amministrazioni; pubblicazione on line quotidiana o settimanale di aggiornamenti sintetici (anche, per esempio, coi social network) sull’attività svolta nei singoli uffici.
• Partecipazione dei privati alle decisioni su pianificazione e programmazione di opere pubbliche.
Semplificazione delle procedure per le imprese
La semplificazione deve essere organizzativa e burocratica. Il governo di destra, tra legislazione frammentaria e incapacità amministrativa, ha peggiorato le cose. Siamo in coda ai confronti internazionali, mentre i paesi più avanzati investono moltissimo in una reale semplificazione.
• PROPOSTE
• Interventi di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi e dei tempi di attesa;
• “Divieto” di introdurre nuovi adempimenti burocratici;
• Effettività dello sportello unico per le imprese e livelli essenziali di semplificazione su tutto il territorio nazionale;
• Effettiva analisi dell’impatto della regolazione per i provvedimenti più rilevanti e critici.
Innovazione per la trasparenza e lo sviluppo
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) svolgono un ruolo determinante per lo sviluppo dei processi di innovazione e per lo sviluppo economico dei paesi avanzati, e le PA sono tra i protagonisti di questa diffusione digitale, con una crescente offerta di servizi on line. In Italia non è così: mentre in altri paesi l’ICT sta contribuendo alla fuoriuscita dalla crisi, da noi il settore vive un’enorme crisi (calo del fatturato dell’11,2% tra il 2008 e il 2010) e i servizi pubblici online sono nella maggior parte dei casi incompleti e poco efficienti.
La United Nations E-Government Survey 2010 ci vede all’87esimo posto su 138 paesi, ultimi nella Ue. Il governo è incapace di attuare una strategia di recupero nel settore, mentre la PA potrebbe svolgere un ruolo di domanda pubblica qualificata in grado di trainare il settore e stimolare gli investimenti privati. Anche sul fronte dell’innovazione il governo ha fallito: dal “fantapiano” di Brunetta ai portali inutili e dal costo inaudito (“italia.it”), allo smantellamento del CNIPA. La PA deve costituire il motore dell’innovazione nel Paese, attraverso un radicale ripensamento del suo modello organizzativo e l’investimento in ICT. L’adozione di un programma di e-welfare consentirà di adeguare l’intervento della PA alle nuove esigenze della società.
• PROPOSTE
• Investire: +100 milioni di euro l’anno per nuove iniziative ICT per la PA, puntando sull’open source;
• Regia unica: centralizzare la programmazione, gli standard, le politiche comuni. Progettare le architetture per l’intero sistema di e-government nazionale;
• Interoperabilità: strutture operative per far comunicare tra loro ogni singolo pezzo della PA;
• Trasparenza: open government come forma consueta di operare da parte della PA, anche attraverso l’istituzione di uno specifico organismo di audit in grado di valutare l’operato dei diversi soggetti;
• Adottare le best practices internazionali in fatto di gestione e governance dell’IT: risparmi per la PA, vita più facile per le aziende ICT, diffusione degli standard tra le imprese italiane.
I governi Berlusconi sono stati inutili e dannosi e non hanno coltivato questa grande eredità. Oggi la riforma Brunetta ha dimostrato la sua debolezza sia sul piano progettuale che su quello della gestione del cambiamento. Anziché rincorrere perennemente la grande riforma della PA, velleità che produce (come Brunetta dimostra) un inaccettabile processo di centralizzazione e conduce al fallimento, pensiamo che si debba dare continuità ai processi di riforma, attraverso una costante e mirata manutenzione delle leggi esistenti e delle riforme necessarie dove e quando servono. Attuazione, manutenzione, miglioramento dei processi, riforme mirate che siano il fulcro dell’azione del governo.
Un grande storico francese ha parlato, molti anni fa, di “insostenibile leggerezza dello Stato” italiano. Noi vorremmo conservare quella stessa leggerezza ma, al tempo stesso, costruire uno Stato efficiente, moderno e consapevole della sua missione.
1. I compiti della politica, gli impegni del Pd Il PD deve costruire un pensiero autonomo. Rispettare il fondamentale ruolo delle rappresentanze dei lavoratori, dell’impresa, dei cittadini e degli utenti, ma assumersi le sue responsabilità. Il cambiamento delle PA passa dal cambiamento della politica. Sono infatti compiti della politica la capacità di progettare le politiche pubbliche e il percorsi per la loro attuazione, il rigore nel controllo della spesa, la verifica della qualità e dei risultati, il rispetto delle regole, il rafforzamento dei servizi per una società più coesa. I partiti devono sfatare con i fatti il luogo comune che li considera la fonte dell’inefficienza delle PA e della loro deriva clientelare. È una sfida decisiva per il Pd. Dobbiamo ricondurre ai rispettivi doveri politica e amministrazione. Gli iscritti al Pd con incarichi pubblici sottoscriveranno un Codice di responsabilità: trasparenza patrimoniale, azioni per il corretto funzionamento delle PA, trasparenza assoluta nelle assunzioni, valutazione dei risultati in base al merito. Ogni democratico deve garantire il rispetto di un’etica rigorosa e dell’interesse generale nel governo della cosa pubblica.
2. Legalità e lotta alla corruzione La Corte dei Conti denuncia ogni anno, con parole sempre più aspre, la vastità della corruzione pubblica. Costi elevatissimi e drammatica diminuzione della capacità di attrarre investimenti esteri sono conseguenze che il Paese non può più sopportare. Vogliamo rimuovere le condizioni che facilitano la corruzione. A partire dalle gestioni speciali, terreno privilegiato dell’illegalità attraverso cui il governo ha favorito le cricche. Energia, appalti, grandi eventi, ruolo assunto dalla Protezione Civile: un “regime di eccezione” svincolato dal principio di legalità, che ha violato divisione dei poteri, controlli e garanzie. Mentre l’assetto ordinario della PA è stato trascurato o, con malaccorti interventi – il decreto Brunetta e la legge Gelmini, ad esempio – reso più farraginoso. Bisogna invertire la tendenza.
La corruzione si combatte anche con la semplificazione dei modelli organizzativi, con regole e controlli interni efficaci che tutelino rispetto ai rischi di uso distorto delle risorse, con un’effettiva separazione tra politica e amministrazione, con un rigido regime di incompatibilità che spezzi qualsiasi commistione tra politica, amministrazione, interessi privati e giustizia.
• PROPOSTE
• No all’abuso delle gestioni speciali e commissariali; condizioni rigorose per i regimi derogatori che consentono un’eccessiva discrezionalità nella gestione delle risorse pubbliche;
• Regime di trasparenza straordinario per le gestioni commissariali e le attività in stato di emergenza della Protezione Civile: provvedimenti di spesa e contratti subito online;
• Trasparenza assoluta, anche patrimoniale, dei titolari di funzioni pubbliche; • Incompatibilità radicali precedenti e successive all’assunzione di determinate cariche nella PA per magistrati (ordinari, amministrativi e contabili) e avvocati dello Stato;
• Revisione delle norme sugli appalti: diverso criterio di accreditamento delle imprese; incentivazione dell’e-procurement; incentivazione della centralizzazione degli acquisti (centralizzare il 10% degli acquisti può produrre risparmi per circa 460 milioni di euro annui);
• Arbitrati affidati, per la parte pubblica, ai funzionari nell’ambito della loro attività ordinaria
3. Pubblica amministrazione e riforma federale dello Stato La transizione istituzionale che si trascina ormai da un quindicennio è anche come un’interminabile stagione di confusione amministrativa. Bisogna uscirne con l’attuazione al Titolo V della Costituzione, col Senato delle Regioni o altre forme di partecipazione degli enti territoriali. Il governo, costringendo il sistema delle autonomie entro un assetto dei poteri pubblici federalista a parole, ma ipercentralista nella realtà, tradisce questo progetto di cambiamento e così facendo ostacola la riforma amministrativa. Occorre uno Stato centrale più autorevole e forte, ma più snello. Occorre riorganizzare, sul piano quantitativo e delle competenze, il personale delle amministrazioni, e adottare norme che ne favoriscano la mobilità.
• PROPOSTE
• Riduzione del numero dei ministeri, presidenza del Consiglio libera da infrastrutture operative;
• Superamento degli uffici decentrati dei ministeri, salvo che per le materie di competenza esclusiva dello Stato centrale; realizzazione degli Uffici Territoriali del Governo;
• Immediata attuazione delle città metropolitane; razionalizzazione del numero delle province; processi associativi dei piccoli comuni con meccanismi partecipativi;
• Mobilità del personale dall’amministrazione centrale agli enti territoriali.
Il rilancio del settore pubblico e il rapporto col privato
La crisi mostra che non si può abdicare alla regolazione pubblica. Le politiche pubbliche dei governi si sono rivelate decisive per mitigarne i pesanti effetti sociali e per rilanciare la crescita. Alla forzata contrapposizione tra una presunta efficienza del privato e l’inefficienza fatale del pubblico – talvolta assecondata anche dal centrosinistra – deve sostituirsi una sinergia positiva per i servizi, gli utenti e l’economia. A livello centrale, ma ancor più locale – anche per effetto di un “insensato” patto di stabilità interno – si evidenzia un fenomeno non sempre virtuoso di privatizzazioni e esternalizzazioni, al di fuori di un piano di regolazione definito e di una visione strategica che compete alla politica.
È tempo di un nuovo patto fra sistema pubblico e sistema privato, che ridefinisca il perimetro e le modalità di azione del settore pubblico e distingua fra liberalizzazioni che fanno bene al mercato e attenzione ai beni e ai servizi pubblici essenziali. Mentre le esternalizzazioni di attività costituiscono prassi gestionali consolidate, le esternalizzazioni di funzioni vanno limitate a casi eccezionali. Per noi al centro ci sono il cittadino, l’impresa e l’utente. Perciò gli appalti per la gestione dei servizi non devono essere svincolati da effettive valutazioni qualitative delle offerte e dallo status giuridico dei dipendenti delle imprese e le amministrazioni devono adottare efficaci metodologie di valutazione dei soggetti esterni. 5.
Le amministrazioni pubbliche per la promozione della sussidiarietà Il principio costituzionale della sussidiarietà orizzontale, chiave per definire correttamente l’integrazione tra intervento pubblico e ruolo del settore privato, non significa – come vorrebbe la destra – circoscrivere il primo ai soli casi in cui il privato non ritenga opportuno intervenire, ma considerare quest’ultimo come una risorsa in una nuova prospettiva delle dinamiche Stato-società. Dunque, niente affatto una rinuncia al ruolo del pubblico, chiamato a garantire l’interesse collettivo necessario per assicurare lo sviluppo e la coesione, a partire dal suo ruolo di regolatore, e ad intervenire direttamente in tutte le circostanze in cui l’iniziativa dei cittadini non sia in grado di soddisfare adeguatamente un bisogno pubblico.
In questo senso, la sussidiarietà è uno dei più significativi terreni di incontro tra alcune delle correnti ideali fondanti del progetto del PD, quali il cattolicesimo politico e la cultura civica della sinistra riformista. Più concretamente, la reale attuazione della sussidiarietà comporta un intervento legislativo e amministrativo che supporti la libera iniziativa dei cittadini, dei gruppi sociali e degli enti privati e un atteggiamento attivo da parte della PA. Il decisore pubblico deve, infatti, definire un percorso di riconoscimento, sostegno e incentivazione delle funzioni di interesse collettivo in capo a esponenti di diverso livello della società civile (famiglia, associazionismo, cooperativismo, imprenditorialità).
Piani industriali per servizi di qualità
La PA non è una realtà omogenea, ma è fatta di singole PA che stanno cambiando, specializzandosi sotto la spinta di una società e di un mercato in rapida evoluzione. Il lavoro pubblico sta evolvendo, gli apparati pubblici assumono nuove “missioni”. Le tecnologie più avanzate determinano un effetto modernizzante che riduce sempre più il tradizionale lavoro burocratico e ripetitivo. Si sviluppano le funzioni di rapporto con l’utenza, di ascolto, di facilitazione e sostegno, ed è necessario un adattamento continuo all’evoluzione normativa e delle situazioni sociali. Servono, perciò, più giovani, più donne, più professionalità elevate. Diviene centrale il changing management. Serve un nuovo approccio, con l’adozione di piani industriali e piani strategici dei servizi, nel cui ambito si riscopre il valore della contrattazione con le rappresentanze sindacali.
• PROPOSTE
• Piani industriali per la riorganizzazione dei servizi e delle strutture amministrative: obiettivi, risorse, tempi, verifica dei risultati, monitoraggio degli effetti;
• Piani strategici dei servizi, da adottare con la partecipazione di cittadini e utenti (attraverso le loro associazioni di tutela), rappresentanti dei lavoratori e delle imprese, fondazioni bancarie, università.
Misurare i risultati con una valutazione indipendente e effettiva
Brunetta verrà ricordato dagli italiani per le sue dichiarazioni clamorose, non per il cambiamento avvertito nella qualità dei servizi pubblici. Il suo progetto si è concentrato sul funzionamento interno all’apparato, su una valutazione del singolo dipendente irrigidita in schemi burocraticamente predeterminati, con intento essenzialmente punitivo. I cittadini non sono stati coinvolti e non hanno percepito alcun mutamento; sono stati lasciati di fatto con le medesime facoltà di prima della riforma, totalmente insufficienti. Il progetto di Brunetta è fallito: clamorosa è la disapplicazione della valutazione alla Presidenza del Consiglio (e dunque alla Funzione Pubblica) e al Ministero dell’Economia. Occorre voltare pagina, riprendendo le linee originariamente proposte dal PD.
• PROPOSTE
Organismo/autorità di valutazione realmente indipendente dal governo: riforma del suo status, autonomia organizzativa e gestionale, operatività estesa a tutto l’apparato centrale dello Stato e agli enti territoriali, aprendola alle rappresentanze degli utenti-consumatori e di regioni e autonomie; • Maggiore effettività dell’azione dell’organismo/autorità di valutazione; strumenti ispettivi e sanzionatori; effettiva capacità di garantire qualità e indipendenza degli organi di controllo interno. 8. Concorsi, giovani, merito: NO al precariato, personale di qualità L’apparato pubblico deve essere ringiovanito. L’età media dei dipendenti dei ministeri è di circa 50 anni. La manovra del 2010 spazza via 300.000 giovani “precari”, mentre 75.000 vincitori di concorso vedono svanire la loro possibilità di essere assunti.
Il PD riaprirà i concorsi.
Il principio sancito dalla Costituzione – “ agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge” – è clamorosamente violato. Il concorso aperto e pubblico è ormai l’eccezione. Tra il 1975 e il 1990 il 60% degli impiegati è stato immesso in ruolo senza concorso e, successivamente, la stabilizzazione dei precari ha assunto dimensioni ancora più imponenti.
Dobbiamo interrompere questa spirale, evitando di contrapporre chi lavora con contratti precari nelle PA a chi, non avendo neppure questa opportunità, si prepara per sostenere concorsi pubblici, senza avere certezza dell’assunzione, talvolta, neppure dopo averli vinti. Dunque, niente assunzioni ope legis né meccanismi automatici di scorrimento dal precariato al posto fisso, ma selezione sempre attraverso concorsi pubblici.
• PROPOSTE
• Riduzione drastica dei casi in cui PA e società pubbliche o a partecipazione pubblica possono attingere a personale non assunto per concorso; divieto di ricorrere a somministrazione del personale;
• Regole uniformi stabilite con legge statale per la valorizzazione, nei concorsi, dell’esperienza professionale svolta in enti pubblici o privati a titolo precario e divieto di riservare l’accesso o di dare premialità specifiche a chi abbia lavorato presso le medesime PA che assumono;
• Concorsi unici articolati sul territorio, con commissioni di esame estratte da un albo composto da esperti nominati per un periodo di tempo limitato; procedure affidate a un organismo indipendente;
• Mobilità nelle carriere fondata sul merito, riconoscendo le funzioni svolte in altre amministrazioni;
• Divieto di attivare contratti “precari” prima dell’esaurimento delle assunzioni di idonei in concorsi;
• “Eccellenze nelle PA”: programma annuale per selezionare (con test standard) studenti all’ultimo anno di università da immettere in percorsi di formazione e esperienza professionale e come dirigenti e quadri nella PA, in seguito a valutazione competitiva.
Una formazione con la bussola
La qualità del personale delle PA dipende anche dalla formazione continua. Al sistema formativo pubblico italiano manca una bussola. Ogni amministrazione ha preteso la propria scuola: così abbiamo una galassia della formazione, con almeno 10 scuole. E grandi sprechi: oltre 140 milioni per la formazione nel 2009, molte scuole che comprano docenze all’esterno, anche quando - è il caso della Scuola superiore della PA – hanno in organico un cospicuo personale docente “comandato” dalle università e dalle PA. Non c’è una politica-guida della formazione.
Per riformare il sistema occorre prefigurare l’assetto dell’amministrazione dopo la riforma federalista. Il personale dovrà sempre più avere un profilo formativo europeo, e sulla cultura giuridico-formalistica dovrà prevalere la capacità di lettura dei fenomeni economico-sociali e un’attitudine organizzativa/manageriale.
Una dirigenza responsabile e autonoma
La dirigenza deve essere autonoma, responsabile, libera dagli effetti negativi dello spoils system, pratica che ha prodotto una forte immissione nel sistema di pseudo dirigenti affini alla politica. È necessario ridurre il numero dei dirigenti e far emergere i quadri direttivi, sempre più decisivi nei processi gestionali. Giovani ad alta professionalità fortemente presenti nel sistema privato ma non in quello pubblico. Occorre prevedere azioni positive per la concreta attuazione della parità di genere: le donne, infatti, sono la maggioranza dei dipendenti ma si riducono via via che ci si avvicina alle funzioni apicali.
• PROPOSTE
• Revisione delle norme sullo spoils system, in modo da impedire l’abuso;
• Concreta attuazione del principio della parità di genere nella dirigenza e nei quadri di PA e società pubbliche o a partecipazione pubblica, con l’obbligo della rappresentanza del 40% di ciascun genere.
Trasparenza, class action e tempi dei pagamenti: partecipazione e diritti per cittadini e utenti
Senza una cittadinanza attiva, le riforme rimangono precarie. Cittadini e imprese devono contribuire alle decisioni pubbliche e ad individuare le disfunzioni burocratiche. Occorre verificare l’attuazione della norma (approvata dal centrosinistra) che obbliga le aziende di servizi pubblici a fissare gli standard di qualità.
• PROPOSTE
• Rendere effettivi gli indennizzi a favore del cittadino e dell’impresa per i ritardi e le inadempienze delle PA: class action vera e immediato recepimento della direttiva UE sui pagamenti delle PA;
• Trasparenza totale: accesso alla documentazione amministrativa senza vincoli; campagna di informazione di massa sulla trasparenza totale; pubblicazione chiaramente accessibile sul sito di ogni PA dei servizi resi e dei termini massimi di conclusione, decorsi i quali il cittadino può chiedere di essere forfetariamente indennizzato; pubblicazione di ogni atto di spesa – a pena di nullità dell’atto – sui siti istituzionali delle amministrazioni; pubblicazione on line quotidiana o settimanale di aggiornamenti sintetici (anche, per esempio, coi social network) sull’attività svolta nei singoli uffici.
• Partecipazione dei privati alle decisioni su pianificazione e programmazione di opere pubbliche.
Semplificazione delle procedure per le imprese
La semplificazione deve essere organizzativa e burocratica. Il governo di destra, tra legislazione frammentaria e incapacità amministrativa, ha peggiorato le cose. Siamo in coda ai confronti internazionali, mentre i paesi più avanzati investono moltissimo in una reale semplificazione.
• PROPOSTE
• Interventi di misurazione e riduzione degli oneri amministrativi e dei tempi di attesa;
• “Divieto” di introdurre nuovi adempimenti burocratici;
• Effettività dello sportello unico per le imprese e livelli essenziali di semplificazione su tutto il territorio nazionale;
• Effettiva analisi dell’impatto della regolazione per i provvedimenti più rilevanti e critici.
Innovazione per la trasparenza e lo sviluppo
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) svolgono un ruolo determinante per lo sviluppo dei processi di innovazione e per lo sviluppo economico dei paesi avanzati, e le PA sono tra i protagonisti di questa diffusione digitale, con una crescente offerta di servizi on line. In Italia non è così: mentre in altri paesi l’ICT sta contribuendo alla fuoriuscita dalla crisi, da noi il settore vive un’enorme crisi (calo del fatturato dell’11,2% tra il 2008 e il 2010) e i servizi pubblici online sono nella maggior parte dei casi incompleti e poco efficienti.
La United Nations E-Government Survey 2010 ci vede all’87esimo posto su 138 paesi, ultimi nella Ue. Il governo è incapace di attuare una strategia di recupero nel settore, mentre la PA potrebbe svolgere un ruolo di domanda pubblica qualificata in grado di trainare il settore e stimolare gli investimenti privati. Anche sul fronte dell’innovazione il governo ha fallito: dal “fantapiano” di Brunetta ai portali inutili e dal costo inaudito (“italia.it”), allo smantellamento del CNIPA. La PA deve costituire il motore dell’innovazione nel Paese, attraverso un radicale ripensamento del suo modello organizzativo e l’investimento in ICT. L’adozione di un programma di e-welfare consentirà di adeguare l’intervento della PA alle nuove esigenze della società.
• PROPOSTE
• Investire: +100 milioni di euro l’anno per nuove iniziative ICT per la PA, puntando sull’open source;
• Regia unica: centralizzare la programmazione, gli standard, le politiche comuni. Progettare le architetture per l’intero sistema di e-government nazionale;
• Interoperabilità: strutture operative per far comunicare tra loro ogni singolo pezzo della PA;
• Trasparenza: open government come forma consueta di operare da parte della PA, anche attraverso l’istituzione di uno specifico organismo di audit in grado di valutare l’operato dei diversi soggetti;
• Adottare le best practices internazionali in fatto di gestione e governance dell’IT: risparmi per la PA, vita più facile per le aziende ICT, diffusione degli standard tra le imprese italiane.
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