Il 2011 è visto da molti osservatori come l’anno nel quale la ripresa economica manifesterà i suoi effetti. Forse perché la tendenza di ogni crisi è quella di invertire la rotta dopo qualche anno di congiuntura sfavorevole. Il primo mese, però, è già trascorso e una luce in fondo al tunnel non è ancora percepibile ad occhio nudo. L’aumento dei consumi, indicatore dello sviluppo, non fa registrare sintomi di miglioramento, rappresentando un segnale inequivocabile che i comportamenti dei consumatori si sono modificati. La conferma arriva da una recente indagine, che ha messo in evidenza la debolezza del reddito disponibile, scendendo rispetto all’anno precedente. Una inversione di marcia che la memoria storica rimanda a quindici anni fa! Il dato allarmante è che l’incidenza riduttiva è superiore alla media nelle regioni del Nord Italia, da sempre considerate la locomotiva della crescita. Alla luce di queste premesse, un interrogativo rimane ancora senza risposta. Come aspettarsi un aumento dei consumi se il reddito disponibile ha raggiunto lo stallo e rischia di precipitare? Scendendo nel profondo dell’analisi, qualche contraddizione si trova nello stesso sistema economico nazionale. Capita spesso, infatti, di leggere retribuzioni milionarie erogate a individui che occupano posizioni di rilievo nel Paese. Così di fronte ad una maggioranza di Cittadini costretta a tirare la cinghia per arrivare a fine mese, risparmiando sui generi alimentari o tenuta in ostaggio dalle rate di mutuo, esiste una minoranza di persone che, al contrario riesce a tesaurizzare ingenti capitali che, alla luce dell’evidente stato dei fatti, non sono investiti per accendere il motore della ripresa. La realtà mette così di fronte a due fattispecie distinte di una medesima questione:
a) da un lato, una maggioranza di persone che non dispone di risorse per incrementare i consumi, con un reddito disponibile (in calo), drenato dalla soddisfazione dei bisogni primari o dal rimborso delle rate di mutuo;
b) dall’altro, una minoranza di soggetti che dispone di ingenti risorse che non si ribalta né sui consumi personali (la cui soddisfazione è ormai satura), né sugli investimenti produttivi che non hanno prospettiva di rendimento.
Poiché gli investimenti produttivi non registrano tassi di crescita, complice la stagnazione dei consumi, è ipotizzabile che questo surplus di reddito in mani a pochi sia indirizzato al finanziamento dell’ingente stock di debito pubblico, la cui crescita, al contrario, non ha mai conosciuto la parola “crisi”. Quindi, è questa la fonte di risparmio interno che garantisce la sottoscrizione delle nuove emissioni di titoli sovrani? Se così fosse, allora non ci sarebbe alcun dubbio sul fatto che dovranno passare ancora molti anni affinché il reddito della maggior parte degli Italiani possa tornare a crescere. Infatti, una politica dei redditi espansiva rappresenterebbe una seria minaccia alla stabilità economica interna, perché se questo maggior reddito fosse dirottato sui consumi, allora si renderà necessario reperire altrove le risorse per finanziare gli investimenti produttivi che contribuiscono alla crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL). Se queste risorse da destinare allo sviluppo fossero sottratte al finanziamento del debito pubblico, allora il rischio di un default sarebbe sicuramente più elevato di quello attuale. Siamo entrati in un circolo “vizioso” (e non virtuoso) particolarmente delicato dove una politica dei redditi espansiva, oltre a generare spinte inflazionistiche, anziché generare un benessere migliore nei Cittadini, potrebbe portare al fallimento dell’intero sistema economico, facendolo collassare su sé stesso. Se non si agisce con opportuna oculatezza per uscire da questa impasse, la scossa all’economia alzerebbe il rischio di provocare un black out.
a) da un lato, una maggioranza di persone che non dispone di risorse per incrementare i consumi, con un reddito disponibile (in calo), drenato dalla soddisfazione dei bisogni primari o dal rimborso delle rate di mutuo;
b) dall’altro, una minoranza di soggetti che dispone di ingenti risorse che non si ribalta né sui consumi personali (la cui soddisfazione è ormai satura), né sugli investimenti produttivi che non hanno prospettiva di rendimento.
Poiché gli investimenti produttivi non registrano tassi di crescita, complice la stagnazione dei consumi, è ipotizzabile che questo surplus di reddito in mani a pochi sia indirizzato al finanziamento dell’ingente stock di debito pubblico, la cui crescita, al contrario, non ha mai conosciuto la parola “crisi”. Quindi, è questa la fonte di risparmio interno che garantisce la sottoscrizione delle nuove emissioni di titoli sovrani? Se così fosse, allora non ci sarebbe alcun dubbio sul fatto che dovranno passare ancora molti anni affinché il reddito della maggior parte degli Italiani possa tornare a crescere. Infatti, una politica dei redditi espansiva rappresenterebbe una seria minaccia alla stabilità economica interna, perché se questo maggior reddito fosse dirottato sui consumi, allora si renderà necessario reperire altrove le risorse per finanziare gli investimenti produttivi che contribuiscono alla crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL). Se queste risorse da destinare allo sviluppo fossero sottratte al finanziamento del debito pubblico, allora il rischio di un default sarebbe sicuramente più elevato di quello attuale. Siamo entrati in un circolo “vizioso” (e non virtuoso) particolarmente delicato dove una politica dei redditi espansiva, oltre a generare spinte inflazionistiche, anziché generare un benessere migliore nei Cittadini, potrebbe portare al fallimento dell’intero sistema economico, facendolo collassare su sé stesso. Se non si agisce con opportuna oculatezza per uscire da questa impasse, la scossa all’economia alzerebbe il rischio di provocare un black out.
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